LAMARTINE, Alphonse-Marie-Louis de
Nato a Mâcon il 10 ottobre 1790, morto a Parigi il 28 febbraio 1869. La sua famiglia paterna era stata nobilitata verso la metà del sec. XVII. Suo padre, Pierre de Lamartine cavaliere de Pratz, ufficiale di cavalleria, fu ferito il 10 agosto 1792 nella difesa delle Tuileries, imprigionato durante il Terrore, e in seguito ridotto a vivere nella sua modesta proprietà di Milly (presso Mâcon). Qui, in piena vita georgica, il poeta trascorse l'infanzia sotto lo sguardo vigile di sua madre (Alix des Roys), donna intelligente e colta, religiosa e caritatevole, dotata d'un senso di poesia (si ha di lei un Journal intime, 1800-1833, pubblicato nel 1870), che non fu senza efficacia sul figlio; ma in questo, affidandosi a un ottimismo un po' idillico, ella educò più il cuore che la ragione e la volontà. Dal 1803 al 1808 L. fu alunno interno nel collegio di Belley, fondato e retto da quei Padri della Fede che s'erano riuniti per continuare lo spirito della soppressa Compagnia di Gesù e preparare la restaurazione di questa. Ivi ebbe una buona educazione umanistica, lesse Chateaubriand e compose i suoi primi versi. La sua vita di giovane gentiluomo sentimentale e ambizioso, sdegnoso e svagato, ma non alieno dagli studî è segnata da un soggiorno di qualche mese a Napoli (1811-1812) - durante il quale s'intravede l'avventura difficilmente ricostruibile nella sua realtà storica, con la Graziella del futuro romanzo - e dal servizio ch'egli prestò come guardia del re durante la prima restaurazione borbonica per lasciarlo poco dopo il ritorno di Luigi XVIII. Nell'autunno del 1816 conobbe ad Aix-les-Bains una giovane signora, bella e interessante, che curava in quella stazione termale una malattia di petto: Julie Charles, nata Bouchaud des Hérettes. L'amore reciproco che nacque da quest'incontro, la morte di lei poco più d'un anno dopo e la nostalgia della fede acuita dal triste avvenimento aprirono in L. la vena di poesia che nelle Méditations poétiques (marzo 1820) attirò irresistibilmente i contemporanei, preparati a subirne l'incanto dalla sensibilità romantica ormai dominante nella nuova generazione.
La sensibilità romantica s'era potentemente manifestata nella prosa, da Rousseau a Chateaubriand, ma non aveva trovato adeguata espressione nel verso, anche se essa affiori qua e là in alcuni verseggiatori della generazione dell'impero. Il verso delle Méditations fu la musica flebile e patetica, accorata senza strappi e sussulti, che cullò i sogni d'una generazione stanca di lotte, incline a un'elegiaca e nostalgica religiosità. Musica difficilmente analizzabile nei suoi elementi, aliena da innovazioni metriche, materiata di parole e frasi della lingua poetica tradizionale, evocatrice di paesaggi senza concretezze realistiche, orchestrata su schemi retorici e oratorî, ma d'una così straordinaria purezza d'accento nelle sue più felici effusioni e d'una così operante forza di suggestione, che ben si comprende come la Francia abbia salutato nell'autore delle Méditations il suo nuovo grande poeta e si sia deliziata di poesie come L'Isolement, Le Vallon, Le Lac, L'Automne. I residui degli elegiaci settecenteschi, le reminiscenze di Ossian, i motivi epicurei ereditati da Parny, sono avvolti e quasi fusi nella malinconia religiosa che è l'atmosfera di questo libro, come nella figura femminile che L. designa col romantico nome di Elvire s'intravedono sfumati i lineamenti d'ispiratrici diverse da Madame Charles.
Nel 1820 L. sposò una giovane inglese, di formazione protestante: Marianne-Elise Birch, eletta creatura che gli fu compagna per quarantatré anni. Entrato subito dopo in diplomazia e addetto all'ambasciata di Francia presso il re delle Due Sicilie, passò alcuni mesi a Napoli, e poi, chiesto un congedo illimitato per ragioni di salute, trascorse in Italia gran parte dell'anno 1821, fu nel 1822 in Inghilterra e nel 1823 si stabilì nel suo castello di Saint-Point (Saône-et-Loire), indulgendo al suo intermittente genio di gentiluomo campagnolo. Uscirono in quell'anno le Nouvelles Méditations poétiques, che contengono, tra l'altro: l'ode Bonaparte, echeggiante più d'un motivo del Cinque Maggio manzoniano; Ischia, squisita elegia, tra patetica e voluttuosa, composta durante il soggiorno napoletano del 1820; Le Crucifix, ispirata dalla morte di Madame Charles, una delle non molte poesie di L. in cui la fede cattolica si affermi; e quei Préludes nei quali lo schietto poeta georgico che fu L. si rivela in alcune stanze di stupendo disegno musicale. Il poemetto La mort de Socrate (1823), in cui la critica d'oggi riconosce una delle cose più belle di L., è una libera interpretazione cristiana e romantica del Fedone platonico, a quel modo che il Dernier chant du pèlerinage d'Harold (1825), composto sotto l'ispirazione della morte di Byron a Missolungi, ma d'ispirazione fiacca e come soffocata dal macchinismo retorico, ci presenta nell'aspetto d'un cristiano in potenza e già penitente l'irreligioso eroe dell'incompiuto poema byroniano. Nel 1825 L. riprende servizio ed è nominato segretario d'ambasciata a Firenze, dove nel 1826 ha un duello con Gabriele Pepe, a proposito di quel verso del Pèlerinage d'Harold, "des hommes et non pas de la poussière humaine", che aveva ferito la dignità nazionale degl'Italiani: i due avversarî si comportarono con perfetta cavalleria reciproca, anche se L., più tardi, colorendo com'era suo costume la verità, drammatizzò l'episodio a proprio vantaggio. Ritornato in Francia nel 1828, vi perde nel 1829 la madre, morta in seguito alle ustioni d'un tragico bagno. Pochi giorni prima era stato eletto membro dell'Académie française. Nel 1830, alla vigilia della rivoluzione di luglio, pubblica le Harmonies poétiques et religieuses, che segnano una nuova ascensione del suo genio ed estendono ancora la sua popolarità.
Se qualche poesia delle Harmonies, come Milly ou la terre natale, ci riporta all'ispirazione elegiaca delle Méditations, quel che domina nella nuova raccolta è un potente soffio di pindarismo religioso, che esige più ampio o più vario e libero metro per celebrare la presenza del Creatore nella natura e l'azione di Dio nella società. Il tintinno dell'arpa di David e la romba d'organo di Bossuet volti ad esprimere gl'ideali moderni dovevano assicurare alle Harmonies un successo non meno trionfale di quello delle Méditations. Ancora una volta L. interpretava i bisogni spirituali dei contemporanei, i quali ora chiedevano ai poeti accenti di salmisti e di sacerdoti ispirati.
L. non aveva aspettato la rivoluzione di luglio per lamentare la politica reazionaria di Carlo X. Se nei primi anni della Restaurazione aveva simpatizzato coi conservatori estremi, se ne era allontanato a poco a poco, e il suo epistolario lo rivela sempre più incline alle idee liberali. Alla politica militante non si diede tuttavia se non dopo l'avvento di Luigi Filippo, al cui regime aderì pur lasciando la carriera diplomatica per riservarsi piena libertà d'azione. Con programma nettamente liberale (1831) fu candidato alla deputazione nei collegi di Bergues e di Tolone, ma non fu eletto. Sono di questo tempo alcune odi d'ispirazione politica, come quella Contre la peine de mort (per impetrare la clemenza del popolo sui ministri di Carlo X), quella A Némesis (risposta al giornale omonimo che aveva amaramente satireggiato le sue velleità d'uomo d'azione), e quella intitolata Les Révolutions (atto di fede nel progresso sociale), oltre un opuscolo, La politique rationnelle, in cui L. espone il suo programma politico, non senza audaci accenni alla questione sociale. Nel luglio 1832 parte con la famiglia per l'Oriente. Nel dicembre gli muore a Beirut, a dieci anni, l'unica figliola rimastagli, Julie, già minata da una malattia di petto. Una poesia, Gethisémani, dettatagli dal cuore straziato, apparve nei Souvenirs, impressions, pensées et paysages pendant un voyage en Orient (1835), libro dato come un taccuino di viaggio, ma in realtà elaborato a tavolino con visibili intenti d'arte: L. vi si rivela prosatore efficace, padrone d'un suo colore nitido e robusto di cui non aveva fatto uso nel verso. Il Voyage en Orient è significativo per altri rispetti, in quanto, attraverso esitazioni e ritorni, segna il trapasso di L. da un cattolicismo sempre un po' vago e sentimentale a un razionalismo cristiano o deismo umanitario sempre più risolutamente affermato.
Fin dal 1823 L. aveva pensato a una grande epopea ciclica, in cui la storia dell'umanità, dalle origini fino alla sua ultima ascensione attraverso l'esperienza purificatrice del dolore, fosse simboleggiata nelle vicende d'un angelo che ha voluto trasformarsi in uomo per amore d'una donna ed è condannato a seguir questa, invano, di forma in forma, di prova in prova, fino a che l'espiazione sia piena. Il poema Jocelyn (1836) si presenta come un frammento della grande opera non mai compiuta. Ne è protagonista un prete d'animo candido e generoso, che sacrifica al dovere i suoi sentimenti più cari, e diviene parroco d'un villaggio alpino, dove diffonde tra gli umili lo spirito del Vangelo. Un senso di caldo ottimismo, che dall'idillio sale all'estasi, domina in Jocelyn: il meglio del poema è nella pittura del paesaggio alpestre e nelle scene di vita rustica: un lirismo di salmista romantico vi si effonde trionfalmente, assorbendo i particolari realistici che L. ha lavorato con cura per gareggiare con V. Hugo e la cosiddetta "école pittoresque". La gara con V. Hugo, in quanto poeta del titanico e del mostruoso, troppo si scopre nel poema La Chute d'un Ange (1838), dato come l'inizio della grande epopea incompiuta, di cui Jocelyn dovrebbe essere la conclusione redentrice. Qui siamo nel mondo biblico primitivo: meglio che evocatore d'una colossale umanità primigenia, L. si rivela anche qui poeta corale, come nel magnifico Te Deum che fa intonare ai cedri del Libano.
Se Jocelyn fu un successo, La Chute d'un Ange fu quasi un insuccesso. Né una nuova raccolta di liriche, Recueillements poétiques (1839), accrebbe la gloria del poeta. Ma un altro genere di popolarità attendeva L. Deputato dal 1833, al ritorno dal viaggio in Oriente, aveva fatto parte per sé stesso, ora sembrando favorire i ministri di Luigi Filippo, ora votando con l'opposizione. Ma all'attenzione della Camera riuscì a imporsi con la sua eloquenza sempre più sicura ed efficace: famoso tra i suoi discorsi quello del 26 maggio 1840 per il ritorno delle ceneri di Napoleone da Sant'Elena. Rappresentativa della sua mentalità in questo tempo è l'eloquente ode La Marseillaise de la paix (1841), invito alla concordia internazionale in risposta a una poesia nazionalista del tedesco Becker. Avvicinatosi via via alle idee dei repubblicani, nel 1843 si dichiara avversario della Monarchia di luglio e diviene uno dei capi dell'opposizione. Ispirata a questo suo repubblicanismo alquanto idillico è la Histoire des Girondins (1847), in cui "dorò la ghigliottina", come disse Chateaubriand, o, come disse Sainte-Beuve, vi "lasciò cadere un raggio della sua luna d'argento". La sua ora scocca nel 1848. Il 24 febbraio, dopo l'abdicazione di Luigi Filippo, la sua parola è decisiva nella Camera, che deve scegliere tra la reggenza della duchessa d'Orléans e il governo provvisorio reclamato dal partito repubblicano. Dell'instaurato governo provvisorio L. fa parte come ministro degli Esteri. Il suo enorme prestigio si afferma il 25 febbraio, quando alla folla tumultuante, capeggiata dai socialisti, che chiede l'assunzione della bandiera rossa, impone con un'impetuosa arringa la conservazione del tricolore. La sua politica estera è prudente e sostanzialmente conservatrice: senza rinnegare la solidarietà della Francia coi popoli che si reggono a democrazia, afferma la volontà di pace della repubblica francese, accetta senza simpatia, ma come stato di fatto da cui non si può prescindere, la carta d'Europa quale è uscita dai trattati del 1815 e s'impegna a non fare nei paesi vicini una propaganda sorda o incendiaria d'idee democratiche. L'apogeo della sua popolarità L. lo raggiunge il 23 aprile, quando con votazione plebiscitaria (quasi due milioni di voti) è eletto membro dell'Assemblea costituente in dieci dipartimenti. Poi, a poco a poco, il favore gli viene meno. Membro della commissione esecutiva di governo, riesce ancora una volta (15 maggio) a neutralizzare l'azione delle masse proletarie.
Ma nel giugno, di fronte al minaccioso ingrossarsi del movimento, alla commissione esecutiva non resta che rimettere il potere al generale Cavaignac. La stella di L. è ormai al suo triste tramonto. Alle elezioni del dicembre 1848 per la presidenza della repubblica egli ottiene poche migliaia di voti contro sette milioni dati al principe Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III. Nel 1849 è rieletto deputato con povera votazione, e dopo il colpo di stato del 1851 abbandona del tutto la politica.
Nel suo ultimo ventennio di vita la storia della sua produzione letteraria è un po' quella delle sue finanze, dissestate da imprevidenze e larghezze eccessive e da disgraziate speculazioni agricole. Lo scrittore, come è stato detto, è condannato ai lavori forzati. Ecco l'elenco quasi completo degli scritti di questo tempo. Una serie di ricordi, Confidences (1849), che sarà seguita da una nuova serie, Nouvelles confidences (1851); Raphaël (1849), frammento delle Confidences, che è la storia romanzata della sua avventura con M.me Charles; un'edizione di opere scelte, per sottoscrizione, con commenti alle poesie fantastici e spesso mendaci (1849); un dramma in versi, Toussaint Louverture (1850); i racconti Geneviève, histoire d'une servante e Le tailleur de pierres de Saint-Point (1851); la tenera e delicata storia di Graziella (1852), anch'essa parte delle Confidences e vagamente autobiografica; una frettolosa, ma non del tutto superficiale, Histoire de la Restauration (1852); un Nouveau Voyage en Orient (1853), scritto dopo un soggiorno in Asia Minore, dove L. s'illuse di sfruttare un terreno concessogli dal sultano; e finalmente un Cours familier de littérature (1856-1869), dove il ripieno è evidente, ma in cui è da ammirare, oltre le notazioni a volte nuove e acute, la nobiltà con cui il vecchio scrittore parla dei suoi coetanei ed emuli e, soprattutto, la calda intelligente simpatia con cui saluta in Mirèio del giovane Mistral l'opera d'un nuovo grande poeta: ancora una splendida lirica apparve nel Cours familier, La Vigne et la Maison, accorato saluto alla casa paterna di Milly, già da tempo adocchiata dai creditori, venduta poi nel 1861.
Nel 1867, su proposta di E. Ollivier e per desiderio di Napoleone III, fu assicurata per legge a L., come ricompensa nazionale, una rendita annua insequestrabile di 25.000 franchi. Il poeta ne beneficiò per due anni soltanto. Amorosamente assistito nella sua solitudine dalla nipote Valentine de Cessiat, egli le legò morendo il proprio nome. Fu sepolto a Saint-Point.
L'opera di L., anche al tempo della sua più spontanea attività è viziata dall'assenza del "fren dell'arte", da un'invincibile tendenza all'amplificazione retorica. Intemperanza verbale, più che stanchezza lirica. Ma più che ogni altro dei grandi romantici francesi L. ha nelle ore felici il dono del puro canto. Ben povera dote sarebbe la sua proverbiale fluidità se non concorresse a quell'incomparabile linea melodica che forma il fascino duraturo delle sue cose più belle.
Opere: Œuvres complètes (a cura dell'autore), Parigi 1860-1866, voll. 41; Œuvres de L. (ediz. della Société propriétaire des oeuvres de Lamartine), Parigi 1900-1907, voll. 23; Poésies inédites (a cura di Valentine de Lamartine), Parigi 1873; Correspondance de L., Parigi 1882 (2ª ediz.), voll. 4; Carnet de voyage en Italie, pubbl. da R. Doumic nel Correspondant (1908); Méditations poétiques (ediz. critica a cura di G. Lanson), Parigi 1915, voll. 2; Saul (ediz. critica a cura di J. des Cognets), Parigi 1918 (il Saul è una tragedia giovanile che L. pubblicò per intero solo nell'edizione delle opere complete del 1860, ma di cui inserì alcuni frammenti nelle Méditatiom, nelle Nouvelles Méditations e nelle Harmonies); Lettere inedite di L. alla Marchesa di Barolo, a cura di V. P. Ponti, Torino 1926.
Bibl.: H. de Lacretelle, L. et ses amis, Parigi 1878; Ch. Alexandre, Souvenirs sur L., Parigi 1884; F. Brunetière, La poésie de L., in Revue des Deux Mondes, 15 agosto 1886; E. Faguet, Dix-neuvième siècle, Parigi 1887; Ch. de Pomairols, L., Parigi 1890; Baron Chamborand de Périssat, L. inconnu, Parigi 1891; R. Reyssié, La jeunesse de L., Parigi 1892; Lettres à L., a cura di Valentine de Lamartine, Parigi 1892; A. France, L'Elvire de L., Parigi 1893; E. Deschanel, L., Parigi 1893; E. Zyromsky, L. poète lyrique, Parigi 1898; P. Quentin-Bauchart, L. homme politique, voll. 2, Parigi 1903-07; R. Doumic, Lettres d'Elvire à L., Parigi 1906; L. Séché, L. de 1816 à 1830, Parigi 1905; id., Le roman d'Elvire, Parigi 1909; id., Les amitiés de L., Parigi 1911; Chr. Maréchal, Lamennais et L., Parigi 1907; G. Allais, Le lyrisme de L. dans les Harmonies, Parigi 1910; H. de Lacretelle, Les origines et la jeunesse de L., Parigi 1911; P.-M. Masson, L., Parigi 1911; R. Doumic, L., Parigi 1912; J. des Cognets, Les manuscrits de L., in Revue d'hist. littér. de la France, 1913; id., La vie intérieure de L., Parigi 1913; E. Sachs, Les idées sociales de L. jusqu'en 1848, Parigi 1915; L. Barthou, L. orateur, Parigi 1916; C. de Lollis, Il "Cinque Maggio" di L. e L'irrealismo di L., in Saggi di letteratura francese, Bari 1920; A. Viatte, Le Catholicisme chez les romantiques, Parigi 1922; M. Levaillant, L., Œuvres choisies, Parigi 1925 (con biografia e ricco commento); P. Hazard, L., Parigi 1925; R. de Brimont, Autour de "Graziella"), Parigi 1931; J. Baillou-É. Harris, État présent des études lamartiniennes, Parigi 1933.