CANO, Alonso
Architetto, pittore e scultore, nacque a Granata nel 1601, vi morì nel 1667; figlio di uno stipettaio e costruttore d'altari che lo iniziò nell'architettura. Trasferitosi col padre a Siviglia, subì nella scultura l'influenza di Juan Martínez Montañés, nella pittura quella di Francisco Pacheco. Molto giovane si cominciò ad apprezzarlo: e non aveva ancora 28 anni che già aveva eseguito tre altari per il collegio di S. Alberto e due per il monastero di Santa Paola. Conscio della propria superiorità, probabilmente per qualche questione di primato nell'arte, sfidò il pittore Sebastian del Llano Valdés; ferito l'avversario, dovette fuggire a Madrid dove, per l'amicizia del Velázquez, poté ottenere commissioni dal conte-duca de Olivares. Dopo avere eseguito molti lavori in diversi luoghi della Spagna, ottenne di essere messo a capo dei lavori di decorazione, nella cattedrale di Granata, a condizione che dentro un anno si ordinasse sacerdote. Egli tardò alquanto nell'eseguire quest'ordine, e solo nel giugno del 1660 si recò a Granata dove rimase fino alla morte. La sua attività fu instancabile. Non bastando a soddisfarla i molteplici incarichi che egli riceveva da ogni parte, aiutava volentieri i suoi scolari, non solamente con istruzioni, ma anche abbozzando, e talvolta terminandole, le opere ch'essi dovevano eseguire. Era grandissima la sua facilità nel disegnare, e appunto i disegni ne rivelavano il genio manifestando così l'ispirazione istantanea come la sicurezza e la eleganza della linea. Delle sue pitture fu detto che "hanno una grazia un po' femminile con un po' di realismo, corrette e leccate, e, quanto all'ordine morale, improntate piuttosto a una pietà rassegnata che a un misticismo intenso". Più importante fu l'opera del C. nella scultura talvolta unita all'architettura e d'altra parte sempre associata alla pittura, poiché l'artista con la policromia finissima, da lui stesso eseguita, portò al più alto grado il realismo delle sue figure. Già fin dal 1629 veniva eseguito sul suo disegno l'altare di Lebrija in cui si manifestava uno stile scultorio molto diverso da quello del Montañés; il C. seguitò a eseguire altari ed altre sculture in Siviglia fino al 1638. Nei suoi più importanti altari sivigliani, quelli di S. Giovanni Evangelista e di S. Giovanni Battista in Santa Paola, si rivela piuttosto architetto che scultore, perché le figure sono in gran parte opera del Montañés; tuttavia si deve a lui il bassorilievo del Battesimo di Gesù. Nel periodo madrileno che durò fino al 1652, possono collocarsi con certezza due sole sculture: il Bambino con la croce in spalla, una delle sue creazioni più tenere ed eleganti, in S. Firmino a Madrid, e il Crocefisso di Monserrato, ora in un collegio di Lecaroz (Navarra). Il suo ultimo periodo, a Granata, si distingue per le opere di maggior mole, in alcune delle quali fu aiutato dallo scultore Pedro de Mena, per l'Immacolata, che eseguì per il grande faldistorio della cattedrale, sostituita poi dalla Madonna di Betlemme, anche questa opera sua, e per i vigorosi busti di Adamo e di Eva. Vanno attribuiti a questo stesso periodo anche il S. Diego e il S. Antonio nella chiesa dell'Angelo a Granata; il S. Giovanni Evangelista in quella di Loja; il S. Diego della collezione Gómez-Moreno e il S. Giovanni di Dio del Museo delle belle arti a Granata. Con le sue ultime opere il C. raggiunse una grande sobrietà piena di espressione, dalla quale appresero assai Pedro de Mena e José de Mora.
Bibl.: A. Palomino, El museo pictórico y escala óptica, Madrid 1797, pagine 575-586; J. A. Ceán Bermúdez, Diccionario histórico de los más ilustres profesores de las bellas artes en España, I, Madrid 1800, pp. 208-225; Conde de Vinaza, Adiciones al Diccionario histórico de los más ilustres profesores de las bellas artes de España, Madrid 1889, II, p. 125; III, p. 290; O. Schubert, Geschichte der Barocks in Spanien, Esslingen 1908, p. 142 segg.; M. v. Boen, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, V, Lipsia 1911; M. Gómez-Moren (figlio), A. C. escultor, in Archivo español de arte y arqueología, II (1926), pp. 177-214.