allotropia
Si designa con questo termine il fenomeno della presenza, nella lingua italiana, di voci diverse nella forma, ma risalenti a una medesima voce originaria. Esso può designarsi anche come ‛ polimorfismo ' e riguarda sia le voci che pur nella diversità della forma conservano un medesimo significato (allotropi fonetici), sia quelle che attraverso evoluzioni avvenute in ambienti diversi, o per accidenti vari, hanno assunto anche un diverso valore semantico. La presenza di allotropi nel lessico e nella morfologia di D., che costituisce uno degli aspetti più interessanti della sua lingua, è dovuta da una parte alle particolari condizioni storiche e tradizioni letterarie entro le quali si venne affermando negli ultimi decenni del sec. XIII il predominio del fiorentino, e dall'altra alle ragioni letterarie che guidavano il criterio dantesco, non certo nuovo nella consuetudine dei poeti, di scegliere liberamente le forme più rispondenti alle varie esigenze dello stile e dell'espressione, nel che consiste il carattere ‛ acronico ' proprio della lingua letteraria. Il predominio, in Toscana, di Firenze e quindi della sua lingua seguiva infatti a una serie di predomini diversi che avevano lasciata traccia nel fiorentino, la cui evoluzione rispetto al latino era stata sotto certi aspetti più limitata; inoltre la diffusione della letteratura settentrionale, provenzale e francese, e la tradizione poetica siciliana avevano imposto accanto alle voci fiorentine quelle corrispondenti degli altri volgari. Su questo sfondo s'inserisce il criterio di scelta adottato da D.: egli si muove sostanzialmente entro i limiti della tradizione linguistica fiorentina, né ricorre mai, se non in casi eccezionali, ad allotropi che non siano divenuti patrimonio del fiorentino o non siano giustificati dalla tradizione letteraria. Sicché, al di là della difficoltà, che permane, di catalogare le scelte dantesche in base alla provenienza geografica o sociale, bisognerà, nella valutazione degli allotropi danteschi, partire soprattutto da un criterio che tenga conto delle ragioni espressive o genericamente letterarie (e queste ultime possono essere, e lo sono molto spesso, puramente tecniche).
S'intende che la ricognizione e l'esame degli allotropi danteschi trovi il suo limite nella complessa tradizione dei testi, la quale rende discutibile in numerosi casi la lezione, specialmente quando si tratti di particolari forme arcaiche o dialettali che sembrano sconfinare nel campo proprio delle varianti ortografiche, e che naturalmente potrebbero attribuirsi al colorito dell'antica vulgata su cui si fonda il testo che assumiamo a base. Tuttavia, a parte alcuni casi, come ad es. quello dei dittonghi mobili e quello delle consonanti raddoppiate, che sono in sostanza i meno significativi, alcuni elementi tecnici quali il metro e la rima rendono possibile registrare con sufficiente sicurezza gran parte delle oscillazioni dell'uso dantesco. E a tal proposito è da dire che vanno registrate come allotropi anche quelle forme, come appunto le dittongate e non, che parrebbero doversi attribuire all'ortografia, mentre si escluderanno le vere e proprie oscillazioni ortografiche, perché le prime, a differenza delle seconde, pur non sempre motivate da particolari ragioni espressive, rivelano il gusto dello scrittore e il suo atteggiamento nei confronti della tradizione letteraria. Inoltre sarà soprattutto al poema che bisognerà rivolgersi, essendo più evidente in esso l'ibridismo della lingua dantesca che non nelle Rime e nella Vita Nuova, dove e la limitatezza dei temi e la persistenza di un linguaggio poetico di scuola riducono gli allotropi alle oscillazioni tipiche della tradizione lirica (‛ beltà ' ‛ biltà ' ‛ bieltà ' ‛ virtù ' ‛ vertù ' ‛ vertute ', ecc., ‛ semblare ' ‛ sembiare ', ecc.).
Un'importanza relativa hanno gli allotropi nei quali la diversità di significato si era ormai cristallizzata: ‛ essemplo ' ‛ scempio ', ‛ fuga ' ‛ foga ', ‛ minuzia ' ‛ minugia ' ‛ spazio ' ‛ spazzo ', ecc. Ma nell'ambito di questo genere di allotropi acquistano interesse alcune serie, in cui il poeta sembra serbare il senso dell'originario rapporto: ‛ pensare ' sembra, in Pd XXIII 64 pensasse il ponderoso tema, richiamare l'allotropo popolare che ha conservato il senso proprio del vocabolo latino (in Vn X 1 pensava è stato anche spiegato nel senso etimologico di ‛ pesava ' [Melodia, p. 75 nota 8]); ‛ salma ' di fronte a ‛ soma ' acquista il suo senso particolare di " corpo privo di anima ", ma si arricchisce del senso metaforico che gli deriva dalla relazione con ‛ soma ' (carcar si volse de la nostra salma, Pd XXXII 114). Così ‛ biscia ', contro ‛ bestia ', designa un tipo di serpente, ma in Pg VIII 98 il significato generico attribuito al nome perché indichi il ‛ mostro ', il demonio, sembra richiamare la ragione per cui il serpente fu considerato la bistia (voce del latino tardo) per eccellenza; ‛ monco ', usato in senso traslato in If XIII 30, s 'incontra col valore traslato assunto ormai da ‛ manco ' (cfr. specialmente Pg IV 78).
Viceversa il poeta contribuisce ad approfondire la differenza semantica di taluni allotropi formatisi attraverso l'incrocio con vocaboli affini: tiene infatti ben distinti ‛ fisso ' e ‛ fiso ' (che richiama ‛ viso ') e, sebbene adoperi spesso indifferentemente ‛ grave ' e ‛ greve ', mostra in Pg XII 118 di avvertire in quest'ultimo l'influsso dell'opposto ‛ lieve '. Allo stesso modo allotropi dovuti alla dissimilazione consonantica quali ‛ raro ' e ‛ rado ' appaiono generalmente in accezioni diverse (‛ raro ' è ripetutamente usato a proposito delle macchie lunari) e solo in rima si scambiano, sicché ‛ rari ' sono i passi, e ‛ rade ' le nuvole.
Non possiamo trascurare inoltre alcuni doppioni che esulano propriamente dai limiti dell'a., trattandosi effettivamente di sinonimi, ma che D. avvertiva come etimologicamente affini: adoperava infatti come varianti ‛ nuvola ' e ‛ nebula ' (cfr. Isid. Etym. XIII X 10), ‛ trono ', ‛ truono ' e ‛ tuono ', sebbene i primi due assumesse per la loro carica onomatopeica, come faceva con ‛ tromba ' nei confronti di ‛ tuba '. Va ugualmente distinta dalla vera e propria a. la presenza di doppioni dovuta al fenomeno del metaplasmo (v. la voce relativa), dove tuttavia si riscontra la medesima disposizione del poeta a utilizzare voci affini distinguendone il valore semantico e voci sostanzialmente distinte come sinonimi, per esigenze tecniche.
Una delle ragioni più cospicue della presenza di allotropi nella lingua di D. è la disposizione del poeta a contrapporre le forme latineggianti a talune forme volgari, senza sopprimere queste ultime. L'oscillazione può comportare una minima variante e non avere altra giustificazione che quella di nobilitare il linguaggio: si vedano allotropi come ‛ luogo ' - ‛ loco ' (usati nella Vita Nuova l'uno in prosa l'altro in poesia, presenti ambedue nella Commedia, dove però solo la forma latineggiante appare in rima), ‛ partorire ' - ‛ parturire ',‛ pargolo ' - ‛ parvolo sepolcro ' - ‛ sepulcro sodisfare ' - ‛ satisfare ', ecc.; possono inoltre spiegarsi col tono aulico che il poeta ha inteso dare all'espressione ‛ lauro ' contro ‛ alloro ' una volta in bocca a Virgilio (Pg XXII 108), ‛ regale ' contro ‛ reale ' una volta in bocca a s. Tommaso (Pd XIII 104); infine il vocabolo nella forma latina sembra talvolta adattarsi a un determinato valore simbolico (‛ arbore ' contro ‛ albero ' indica l'albero del girone dei golosi e l'albero del Paradiso terrestre), o a una metafora spirituale (‛ vigilare ', come il provenzalismo ‛ vegliare ', ma quest'ultimo in rima, ha contro ‛ vegghiare ' il significato di " vivere nell'eternità "). L'unico ‛ radiare ', in Pd XIX 90, contro il normale ‛ raggiare ', designa in particolare l'operazione creativa della volontà divina. Per contro al consueto e aulico ‛ aura ' si contrappone forse una volta sola il popolare ‛ ora ' (Pg XXVIII 16), ma con una medesima ricerca di dolcezza espressiva.
Ma la ricerca dell'allotropo latineggiante acquista un particolare interesse nei casi in cui il poeta rinnova il vocabolo comune evocando attraverso la forma latineggiante il valore semantico originario: ‛ claustro ' (che è in rima, ma non appare dovuto a essa, in Pg XXXII 97) accanto a ‛ chiostro ' riprende il significato di " cintura difensiva "; ‛ labore ' accanto a ‛ lavoro ' insiste sull'immagine della " fatica "; ‛ equale ' accanto a ‛ iguale ', attribuito all'acqua (Pd II 15), richiama il supposto rapporto con quest'ultimo vocabolo (cfr. Isid. Etym. XX III 1); ‛ ripa ' conserva prevalentemente il senso originario latino contro ‛ riva ' che indica sempre la riva di un fiume; ‛ sentenzia ', usato una sola volta nella Commedia contro il comune ‛ sentenza ', ha il valore di " significato " (If IX 15; ‛ sentenzia ' è costante nella Vita Nuova in questa prevalente accezione); ‛ securo ' contro ‛ sicuro ', in Pg XXXIII 42 (secure d'ogn 'intoppo), riprende il valore etimologico del vocabolo latino; ‛ servare ' contro ‛ serbare ' rinnova il significato di " osservare ", " mantenere " che contiene il vocabolo latino, e così nell'uso di ‛ nervo ' e ‛ nerbo ' all'allotropo toscano è attribuito un senso ristretto (il nerbo / del viso, If IX 73; de' piè... 'l nerbo, XXI 36); ‛ subietto ' (Pg XVII 107) conserva contro ‛ suggetto ' il significato filosofico scolastico, sebbene l'allotropo comune sia assunto nel significato dotto etimologico di " sottostante " (Pd II 107); ‛ tragetto ' (If XIX 129) riprende il senso etimologico contro ‛ tragitto ', volto a significare genericamente " cammino ". Infine ‛ Mantua ' di If XX 93 (altrove ‛ Mantova '), in bocca a Virgilio, vuol richiamare proprio la forma originaria del nome (Mantua l'appellar).
A questi vanno aggiunti quei casi nei quali, accanto alla voce dotta latina che ha conservato il suo significato, troviamo la voce volgare corrispondente, che ha avuta una diversa evoluzione semantica: ‛ commendare ' - ‛ comandare ', ‛ ministero ' - ‛ mestiere ' (-i), ecc. Va notato che mentre ‛ sigillare ' e ‛ suggellare ' sono usati indifferentemente con valore proprio e metaforico, fra ‛ sigillo ' e ‛ suggello ' l'uso pare dipendere dal significato proprio attribuito al primo e da quello metaforico attribuito al secondo (tranne in Pg XXXIII 79 cera da suggello, ma in rima). ‛ Esprimere ' e ‛ spremere ', che ereditavano i due sensi fondamentali del composto latino, vengono usati come varianti nel senso traslato proprio del primo allotropo, ma la voce popolare, usata per due volte nella Commedia in un contesto dotto (Pd IV 112, XXIV 122: parlano Beatrice e s. Pietro), ora è dovuta alla rima (così anche in Rime CXI 5 sprieme), ora, adoperata in una metafora realistica, si carica del particolare significato che conserva nell'uso comune (cfr. premerei di mio concetto il suco, lf XXXII 4). ‛ Augusto ' si conserva nella forma latina solo in riferimento al nome proprio; la forma dell'aggettivo ‛ agosta ' (Pd XXX 136) appare solo in rima, ma nel contesto acquista un valore stilistico tutt'altro che umile.
Un notevole gruppo di allotropi riguarda i composti con de, che appaiono nella forma latineggiante e nella forma toscana col grado fonetico i, condizionando spesso il valore semantico del vocabolo. ‛ Defettivo ' sembra richiamare, contro il più generico ‛ difettivo ' (" difettoso "), il senso etimologico di ‛ imperfetto ', se compare sempre in rapporto col concetto di ‛ perfezione ' (Pd XXXIII 105, Cv III II 18, XV 3, IV X 5). ‛ Divoto ', accanto a ‛ devoto ', allude prevalentemente, oltre che all'atteggiamento ‛ reverente ', a un senso di ‛ pietà ' in relazione con la pratica religiosa cristiana (divote erano le ombre che recitavano le litanie, Pg XIII 82; divota la sinfonia del Paradiso, Pd XXI 60; divote furono le sante, Fiore X CV 3; divota avrebbe dovuto esser Eva, Pg XXIX 28). La scelta di ‛ dirivare ' contro ‛ derivare ' potrebbe dipendere dal valore di ‛ dispersione ' attribuito al di- (= dis-): il Flegetonte si diriva verso l'Inferno movendo dall'unica sorgente di Creta (If XIV 122), Eunoè diriva (Pd XXXIII 127), ossia " si dirama " (Scartazzini; " volge il corso ", Dizion. del Battaglia) dall'unica sorgente donde scaturisce anche Lete. La stessa distinzione dovette essere avvertita fra gli allotropi ‛ descrivere ' e ‛ discrivere ', se il primo conserva il valore di " riprodurre " e il secondo acquista quello intensivo di " esporre dettagliatamente " (If XXXII 8) che appare nelle scritture coeve.
Lasciando da parte i composti con dis- che si presentano anche nella variante allotropica con la s- senza alcuna differenza semantica, bisognerà invece valutare gli allotropi costituiti dal prefisso re- ri-, nei quali talvolta la forma latineggiante corrisponde all'impiego del verbo nell'accezione classica: così leggiamo refuse (Pd XII 9) ma si rifonde (II 88), resolva (Pg XIII 88) ma si risolve (Pd II 135, XXVIII 82), revelando (Pg III 143) ma si riveli (Pd XXI 120; si revela di Pd XXIX 133 è in rapporto col suo significato sacro: cfr. revelazion, XXV 96). Cui va aggiunta la scelta di ‛ revestire ' contro il più comune ‛ rivestire ' (anche questo adoperato nel senso spirituale), ma in un verso come la revestita carne alleluiando (Pg XXX 15). Nel caso di ‛ relucere ' - ‛ rilucere ' la seconda forma conserva il senso del ripetersi dell'azione (Pg XVIII 110, XXVII 133; ambedue le volte si parla del riapparire del sole), che l'altra ha in sostanza perduto, mentre ‛ refulgere ' - ‛ rifulgere ', ‛ resplendere ' - ‛ risplendere ', ecc., sono pure varianti fonetiche. Non è escluso che ricenti di If XVI 11 (piaghe... / ricenti e vecchie) contro ‛ recenti ' sottolinei, con la particolare forma del prefisso, che si tratti di piaghe ‛ rinnovate '.
Pochi sono, fra gli allotropi la cui scelta non dipenda principalmente dalla rima o dal metro, quelli che risalgono all'influsso dell'antico francese: ‛ frale ', usato solo in poesia, accanto al latinismo ‛ fragile ' (una sola presenza); e così ‛ gioire ', accanto a ‛ gaudere ' - ‛ godere ', trasportato dal vocabolario amoroso a quello spirituale. In Pd XII 142 inveggiar conserva contro ‛ invidiare ' il senso buono che ha la voce francese donde deriva (cui si accosta invidia, in Vn IV 1), ‛ sire ' accanto a ‛ signore ' - ‛ segnore ' si limita a designare il " re " nel senso proprio e metaforico di " Dio " e di " sommo " (sire [If IV 87] è chiamato il segnor de l'altissimo canto, IV 95); ostale (Vn VII 3 6) conserva il significato originario di hospitale più che la voce italiana ‛ spedale ' (If XXIX 46).
I pochi allotropi di origine provenzale della Commedia obbediscono a una scelta stilistica: ‛ augello ' contro ‛ uccello ' entra solo in similitudini poetiche; ‛ veglio ' contro ‛ vecchio ' è attribuito solo alla figura simbolica del veglio di Creta e a Catone, disio ' e ‛ disire ', per lo più in rima, appaiono largamente nella Commedia accanto a ‛ desiderio ' che ha in comune con le due voci della tradizione lirica il significato spirituale ma non quello amoroso (analogo è il trattamento di ‛ desideroso ', ‛ disioso ', ecc.). Nella Vita Nuova ‛ desiderio ' s 'incontra una sola volta in prosa, mentre le altre due voci ricorrono quasi esclusivamente nei brani lirici. ‛ Selvaggio ' è più largamente usato che il toscano ‛ salvatico ', che gli corrisponde nel senso proprio, ma acquista nel traslato il significato particolare di " rozzo ", " scontroso ".
Non è il caso di soffermarsi sull'a. delle voci nelle quali la presenza dei dittonghi ie e uo non sia costante (‛ priego ' - ‛ prego ', ecc.; ‛ truova ' - ‛ trova ', ecc.): le forme non dittongate erano usate di preferenza nella tradizione lirica e in D. ricorrono accanto alle altre senza alcuna evidente ragione. In genere è osservato il criterio tradizionale di preferire le forme non dittongate in poesia e soprattutto in rima. Talvolta però la scelta risponde a una particolare funzione, come omo in Pg XXIII 32 (chi nel viso de li uomini legge ‛ omo '); ‛ om ' - ‛ uom ' ricorrono con valore impersonale, alla maniera francese. Talvolta la scelta appare dettata da tutt 'altro criterio, e ‛ foco ' della tradizione lirica, usato sempre al singolare, indicherà la sostanza che brucia, anche nel senso metaforico, mentre ‛ fuochi ', al plurale, indicherà le " fiamme ", anche nel senso metaforico (i fuochi pii, Pd IX 77) e l'unico fuoco indicherà il "rogo" (If XXX 110). Così affuoca (If XXV 24) acquisterà il senso di " spirar fiamme ", contro affoca (VIII 74, dove però ha potuto giocare la paronomasia: Il foco etterno / ch'entro l'affoca) che conserva il senso generico di "brucia ".
Alla tradizione letteraria si deve la presenza di forme settentrionali: ‛ coverto ', ‛ discoverto ', ‛ savere ', sovra ' e relativi composti, accanto alle forme fiorentine che non hanno subito la lenizione del p. La scelta appare talvolta guidata dal criterio di attribuire all'allotropo letterario un particolare senso traslato: coperchia (If XXIII 136) vale " copre ", " fa da coperchio ", mentre ‛ coverchia ' è detto dell'emisfero celeste (XXXIV 114), di un meridiano (Pg II 2) o dell'uomo che chiude le palpebre (XIV 3); ‛ soprastare ' nella Commedia ha il senso proprio di " star sopra " (Pd XXX 112), nella Vita Nuova (II 10) e nelle Rime (XCIII 3) quello traslato di " indugiare " (ancora in quest 'ultimo senso nel Convivio si legge ‛ sovrastare ': III VIII 14, IX 10); mentre sovrasta è usato assolutamente per " essere più alto " (If XVIII 111).
Fra i settentrionalismi che vivono accanto alle forme normali fiorentine un gruppo è costituito dalle forme con la gutturale sonora, laddove il fiorentino conserva la consonante latina: ‛ sego ' contro ‛ seco ' appare solo in rima, ma ‛ agro ' e ‛ acro ', ‛ drago ' e ‛ draco ', ‛ figo ' e ‛ fico ' appaiono tutti condizionati dalla rima (eppure ‛ figo ' è in bocca a un romagnolo; cfr. Zingarelli, p. 48). Allo stesso modo è difficile giustificare le scelte di ‛ lago ' e ‛ laco ' che appaiono indifferentemente in rima e nel corso del verso. Malgrado l'indifferenza dell'uso, è evidente invece la preferenza per ‛ aguto ' di fronte ad ‛ acuto ', per ‛ secreto ' di fronte a ‛ segreto ': quest'ultimo è usato due volte (le segrete cose, If III 21; segreta porta, VIII 125) richiamando il senso che ha ereditato il volgare ‛ segreto ' (" cosa inaccessibile ") forse per influsso del medievale segretarius, contro quello di " appartato ", " oscuro ", che il ‛ secreto ' dantesco ha ereditato dall'aggettivo latino (ma cfr. Cv II I 5 le secretissime cose). Viceversa ‛ macro ' è adoperato solo in rima, contro ‛ magro ' che è anche fuor di rima (Macra è invece chiamato il fiume toscano, fuor di rima [Pd IX 89], contro la denominazione di Val di Magra [If XXIV 145], in rima), ‛ preco ' è adoperato solo in rima contro ‛ prego ' e ‛ priego '. Quanto alle forme con la dentale sonora, ‛ lido ' appare solo in rima contro il normale ‛ liso ', mentre 'm'aggrada ' è preferito, fuor di rima (If II 79), alla forma fiorentina ‛ m'aggrata ', che è in rima in If XI 93 (‛ grado ' e ‛ grato ' si alternano invece indifferentemente).
La disponibilità del poeta di fronte a serie di allotropi, nelle quali la forma tipicamente fiorentina o arcaica vive accanto alla forma più recente, si può scorgere nell'uso indifferente di ‛ avante ' - ‛ avanti ', ‛ davante ' - ‛ davanti ', condizionati dalla rima (tranne davanti, in If V 34, e avante, in Vn XII 14 36); così nella Commedia s'incontrano, solo in rima, ‛ fora ' - ‛ fore ' - ‛ fori ' e perfino ‛ furi ' contro il fiorentino ‛ fuori ' che si legge fuor di rima; malgrado l'incertezza dei codici si può affermare che D. aveva preferito nella Vita Nuova ‛ fuori ' in prosa e ‛ fori ' - ‛ fore ' in poesia. Non condizionate dalla rima sono invece le forme ‛ lungi ' - ‛ lunge ', ‛ ogni ' - ‛ ogne ' - ‛ onne ', ‛ neente ' - ‛ niente ', ma è evidente la preferenza per ‛ lungi '. E chiaro inoltre che l'arcaico ‛ diece ', adoperato in rima e non, venga preferito a ‛ dieci ', adoperato solo due volte, quantunque fuor di rima. Viceversa pare ‛ contro ' ‛ pari ' è solo in rima, come d'altra parte ‛ iguali ' contro i ‛ guale '.
Quanto all'a. in corrispondenza con le voci latine col gruppo -rj-, mentre gli arcaici ‛ contraro ' e ‛ varo ' di fronte a ‛ contrario ' e ‛ vario ', e d'altra parte ‛ impero ' di fronte al latineggiante ‛ imperio ' s'incontrano solo in rima, ‛ avversaro ' e ‛ matera ' sono comunemente usati accanto ad ‛ avversario ' e ‛ materia '. Eppure, come ‛ matera ' appare più largamente usato, sia in prosa che in poesia, ‛ avversaro ', che s 'incontra due volte in rima in bocca a Sordello e alle anime del Purgatorio (VIII 95, XI 20) e una volta fuor di rima in bocca a Virgilio (Pg XIV 146) sembra scelto appunto per la sua patina arcaica.
È interessante l'uso di arcaismi come ‛ atare ', che è nelle Rime (CIII 13) e nella Vita Nuova (XVI 9 9), e nella Commedia compare solo nella preghiera delle anime (Pg XI 34) mentre viene comunemente adoperato ‛ aiutare ' e una volta sola, in rima, aita (Pg XI 130); come ‛ canoscenza ' che s 'incontra nelle Rime e nella Vita Nuova (ma quivi compare nelle parti poetiche, accanto a ‛ conoscenza ' adoperato in prosa), mentre nella Commedia si legge una sola volta, contro l'allotropo più comunemente usato, ma viene assunto nel senso di " scienza " (If XXVI 120), non in quello di " riconoscimento " e simili; come ancora ‛ ancidere ', comune nelle Rime e nelle poesie della Vita Nuova (le prose hanno ‛ uccidere '), mentre nella Commedia si alterna con ‛ uccidere ', prevalendo su quest 'ultimo, ma senza una ragione evidente. ‛ Tristizia ' ricorre più volte accanto a ‛ tristizia ' nella Commedia e nella Vita Nuova.
Altre volte la forma arcaica rappresenta invece, di fronte alla forma originaria conservatasi letterariamente, l'abbandono a un tono colloquiale; così accanto a ‛ s'invola ' troviamo ‛ s'imboli ' nelle parole rivolte da D. alle anime (If XXIX 103), o nella tenzone con Forese (Rime LXXVII 10) o nel Fiore, in un contesto di significato equivoco (imbolarle il fiore, CCIV 12); accanto a ‛ Sibilia ', pronunciato da Ulisse (If XXVI 110), leggiamo ‛ Sobilia ' in un affettuoso avvertimento rivolto al poeta dal maestro (XX 126); ‛ dimanda ' ricorre sempre nella Commedia tranne in Pg III 94, nelle parole rivolte da D. alle anime (nella Vita Nuova le forme ‛ dimandare ' e ‛ domandailo ' sono presenti nello stesso passo [XII 5 e 6] ma ‛ dimandare ' è nelle parole di Amore); accanto a ‛ demonio ' generalmente usato, leggiamo, quale attributo di Caronte, ‛ demonio ', che designa non la figura tipica dell'Inferno cristiano, ma la potenza demoniaca della tradizione popolare. ‛ Piuvico ', contro ‛ pubblico ', ancora nella tenzone con Forese, dipende da una ricerca di stile ‛ comico ', come ‛ addovenire ' contro ‛ addivenire '. Nel Fiore abbondano le forme dialettali contro quelle colte più generalmente usate: ‛ assiglio ' contro ‛ essilio ' ‛ àncola ' contro ‛ àncora ' ‛ bilanza ' ‛ fazzone ' ecc.
Va attribuita alla rima la presenza di una serie di voci dialettali e di uso popolare quali ‛ compagna ' (che in realtà appare già in rima nella tradizione letteraria), accanto a ‛ compagnia ', ‛ fersa ' accanto a ‛ ferza ', ‛ lassa ' (da ‛ lassare ', diffuso nel dialetto toscano, anche se pare riprendere la voce latina; cfr. Zingarelli, p. 32) accanto a ‛ lascia ', ‛ mastro ', nel caso in cui è attribuito a Virgilio (If XXIV 16) accanto a ‛ maestro ', ‛ punga ' accanto a ‛ pugna ', ‛ soso ' accanto a ‛ suso '. Possiamo aggiungere il toscano ‛ rio ', che figura solo nella Commedia e in rima, accanto al letterario ‛ reo ' preferito anche nella Vita Nuova. Si aggiungano ‛ cherco ' della Commedia contro ‛ clerico ' del Convivio,‛ merigge ' della Commedia contro ‛ meridie ' del Convivio. Un interesse particolare offre la voce ‛ manicare ', condannata nel De vulg. Eloq. come dialettale, che compare accanto a ‛ mangiare ' nell'episodio del conte Ugolino: ‛ manduca ' usa nella Commedia D. (If XXXII 127) per ragioni di metrica e di rima, e ‛ manucare ' nel Convivio (I 17).
Non c'è dubbio che la rima abbia favorito l'introduzione nel poema dantesco di una serie di forme latineggianti e di gallicismi, e che la presenza dei corrispondenti allotropi fiorentini o toscani fuor di rima riveli ancora una volta la particolare struttura della lingua della Commedia. Tuttavia la tirannia della rima non deve essere considerata talmente dura da escludere che il poeta tenesse in alcuni casi all'introduzione di quella nota ‛ nobile ' che appunto la rima avrebbe fatto risaltare. Distingueremo perciò una serie di allotropi in cui la forma latineggiante rappresenta una pura disponibilità tecnica, da quelli in cui essa in maggiore o in minore misura sembra sottoposta a una scelta stilistica. Nel primo caso abbiamo ‛ bolla ' - ‛ bulla ', ‛ Dio ' - ‛ Deo ' (che è della tradizione lirica), ‛ duca ' - ‛ duce ', ‛ fele ' - ‛ felle ', ‛ fumma ' - ‛ fuma ' (il sostantivo sempre ‛ fummo '), ‛ madre ' - ' matre ', e analogamente ‛ padre ' - ‛ patre ', ‛ melodia ' - ‛ melode ' (cfr. Zingarelli, p. 166), ‛ nero ' - ‛ negro ' (cui si aggiunge ‛ negro ', pure in rima), ‛ toglie ' - ‛ tolle ' (ma nella Vita Nuova solo ‛ tolte ', fuor di rima), ‛ sommo ' - ‛ summo '.
Altrove, come si è detto, la scelta, pur condizionata dalla rima, sembra corrispondere particolarmente al. tono sostenuto del contesto: ‛ filio ' è attribuito a Cristo in un verso come,Quivi triünfa, sotto l'alto Filio (Pd XXIII 136); gaude, contro il comune ‛ gode ', è in rima con plaude e laude dove si parla dell'Aquila (Pd XIX 39); a sua volta ‛ laude ' è adoperato nella Commedia solo nel passo citato contro ‛ loda ' e ‛ lode ', mentre nella Vita Nuova si alternano le forme ‛ lauda ' e ‛ loda ', l'una in poesia, l'altra in prosa (sempre però ‛ laudare ', che invece nella Commedia si alterna con ‛ lodare ' nella stessa misura). ‛ Robbio ' si oppone a ‛ rosso ' e ‛ roggio ' e compare in un passo in cui abbondano i latinismi (Pd XIV 91 ss.: essausto, litare, fausto, lucore): così la forma sincopata ‛ periclo ' è usata, contro il più comune ‛ periglio ', in una serie di rime preziose (cfr. Parodi, Lingua 241). Meno evidente è la ragione della scelta, al di là della ragione esterna della rima, in altri casi, in cui tuttavia il personaggio introdotto a parlare e l'enfasi del discorso ci riconducono a una ragione stilistica: ‛ audivi ', contro il comune ‛ udii ' (ma nella Vita Nuova è quasi costante ‛ audire ': cfr. Barbi, p. CCLXXXVI), introduce il nobile discorso di Ulisse con un'espressione marcatamente latineggiante (lui parlare audivi, If XXVI 78); ‛ approbo ' contro ‛ approvo ', in rima con ‛ probo ', si legge nel passo lirico in cui il poeta guarda dall'alto i cieli e acquista consapevolezza della sua ascesa (Pd XXII 136); il vocativo figliuole è in bocca a Virgilio (Pg XXIII 4); ausa, contro ‛ osoa ' (anch 'esso sempre in rima) nell'espressione latineggiante è... ausa è in bocca a s. Bernardo (Pd XXXII 63), in rima con pausa e con sine causa. Diverso è forse il caso di ‛ pausare ', che acquista, contro il più comune ‛ posare ', un significato spirituale " trovar pace nell'amore divino ", Pd XXXII 61), e di sedi (XXXII 7), che designa i posti dei beati nella mistica rosa, laddove ‛ seggio ' è sempre il ‛ trono ' di Dio.
Non sono molti i gallicismi che costituiscano un doppione della voce toscana e che D. invochi per ragioni di rima. A parte i gallicismi che compaiono in due forme differenti, come ‛ botto ' - ‛ butto ' (cfr. Parodi, Lingua 223), ‛ braco ' - ‛ brago ', ‛ galeotto ' - ‛ galeoto ', tutti in rima, citeremo ‛ costuma ', che contro il più consueto ‛ costume ' (" modo " o " comportamento morale ") compare in rima nel senso particolare di " usanza " (nel Fiore CXVI 1, fuor di rima e nel significato consueto); ‛ dispitto ', che ha il valore del corrispondente vocabolo francese (" dispregio "), quale ha talvolta, tuttavia, anche il ‛ dispetto ' dantesco; ‛ insembre ' accanto a ‛ insieme ', ‛ inveggia ' accanto a ‛ invidia ' (‛ envia ' nel Fiore); pareglio (Pd XXVI 107 e 108) che corrisponde a parecchio di Pg XV 18; ‛ speglio ' nella stessa accezione di ‛ specchio ' e dell'unico ‛ speculo '; ‛ vengiare ' e ‛ vallea ' contro ‛ vendicare ' e ‛ valle ' son richiesti ora dalla rima, ora dalla misura del verso.
La scelta implica però, talora, una particolare intenzione espressiva: respitto (Pg XXX 43) richiama, contro ‛ rispetto ', la corrispondente forma francese, ma il suo particolare valore, per il quale si distingue dall'allotropo anche nel significato, si spiega con l'etimo latino (respicere). ‛ Stile ' serba nei confronti di ‛ stilo ', usato sempre in senso metaforico, il significato originario del termine, se in Pg XII 64 si deve intendere la verghetta del disegnatore o lo scalpello. Un senso particolare acquistano anche i gallicismi ‛ palagio ' contro ‛ palazzo ', ‛ ploia ' contro ‛ pioggia ' - ‛ piova ',insistendo il primo sull'agiatezza di una dimora signorile, e assumendo il secondo il significato spirituale del riversarsi della Grazia e dello Spirito Santo. Nelle Rime (CXIII 12) ploia, in rima, acquista ancora un valore traslato, ma di "pianto ".
Per casi dominati dalle rime bolognese o aretina o siciliana, vedi Rima. Una volontaria allusione al siciliano è probabilmente nel Mora, mora! di Pd VIII 75, dove si allude ai Vespri; la forma toscana ‛ moia ' ricorre due volte in rima, e la medesima esclamazione, ancora nella forma toscana, si legge in tutt'altro contesto nella Vita Nuova, dove sono presenti, in rima, ambedue le forme (XV 4 1, 5 6).
Sempre a una ragione tecnica quale la misura del verso o la rima andrà riportata l'a. quando s'incontri la forma nominativale accanto a quella più consueta: ‛ erro ', ‛ grando ', ‛ maggio ', orizzòn ' (accanto al grecismo ‛ orizzonta ' e al volgare ‛ orizzonte '), ‛ scorpio ', ‛ temo ' costituiscono casi unici e appartengono alla Commedia. ‛ Sermo ' s'incontra due volte, in rima, e ‛ imago ', tre volte accanto a ‛ image ' e ‛ imagine ', anche nel corso del verso. Nell'uso dei nomi propri l'a. è evidentemente dettata dalle medesime ragioni tecniche: troviamo ‛ Iuno ', in rima, contro ‛ Iunone ' ‛ Fetòn ', in rima, contro ‛ Fetonte ' ‛ Creta ' e ‛ Baco ' in rima, contro ‛ Creti ' e ‛ Bacco ' (un'oscillazione comune nei testi mediolatini), ‛ Minoi ' in rima contro ‛ Minos ', ‛ Tifo ' in rima contro ‛ Tifeo ', e infine ‛ Cherubini ' e ‛ Serafini ' contro ‛ Cherubi ' e l'analogo ‛ Serafi '. Thomas, pronunciato dal santo stesso (Pd X 99), non sarà stato scelto solo per ragioni metriche contro ‛ Tommaso ' e il latinismo ibrido ‛ Tomma ', che dipende dalla rima. Un evidente valore espressivo ha invece, quantunque in rima, Polo (Pd XVIII 136), contro ‛ Paulo ' di qualche verso precedente: la voce popolaresca assume infattinel contesto un intento dispregiativo come l'appellativo di ‛ pescatore ' dato a Pietro.
La necessità di evitare lo sdrucciolo ha suggerito in rima ‛ medesmo ' e ‛ centesmo ', ma le forme intere come quelle sincopate sono evidentemente condizionate dalla rima o dal metro, come nel caso di ‛ biasmo ' (nella Vita Nuova incontriamo ‛ biasimare ' in prosa e ‛ blasmare ' in poesia), ‛ dritto ', ecc. ‛ Ratto ' figura come la variante sincopata di ‛ rapido ', ma ha anche il senso di " ripido " (Pg XII 107) e assume la funzione avverbiale. ‛ Spirto ', ‛ metro ', ‛ mertare ' compaiono nella Commedia accanto alle forme intere, ma nella Vita Nuova queste ultime s'incontrano nella prosa, le sincopate in poesia. Lo stesso si dica per ‛ alma ' - ‛ anima '. ‛ Erto ' vien trattato come variante di ‛ eretto ', ma utilizzato per particolari effetti retorici (erti levorsi, If XXVI 36; erte... arte, Pg XXVII 132; a proferer più erto, Pd III 6).
Non è il caso di soffermarsi sui doppioni con epitesi (‛ fue ', ‛ giue ', ‛ sue ' accanto a ‛ fu ', ‛ giù ', ‛ su ', ecc.); né insisteremo sulle forme tronche che ricorrono accanto alle forme intere (‛ ca ', ‛ piè ', ‛ siè ', ecc.). Va osservato invece l'uso dantesco di fronte agli allotropi derivati dai sostantivi in -tas, di cui già la tradizione letteraria si serviva liberamente per esigenze metriche. Nella Commedia appaiono le forme tronche e quelle piane in -ate -ade, ma risulta evidente che nella Vita Nuova e nel Convivio siano preferite le forme intere, le quali sono costanti nella prosa, tranne che per voci usuali come ‛ pietà ', ‛ umiltà ', ecc. Quanto a ‛ potestate ' - ‛ podestate ' e ‛ podestade ', manca la forma tronca, mentre si legge quella nominativale podèsta in rima (If VI 96, Fiore LVII 8). Tale è forse ‛ pièta ' più volte in rima e una fuori di rima, sempre nel senso particolare di " dolore ".
Nella morfologia verbale il fenomeno dell'a. acquista una particolare importanza se vogliamo valutare il comportamento di D. di fronte al dialetto fiorentino e toscano da una parte, e alle forme letterarie tramandate dalla lirica dugentesca dall'altra. Si rivela anche per questo verso la maggiore spregiudicatezza con la quale D. si comporta nel poema. S'intende come il ricorso alle forme arcaiche e proprie dei dialetti toscani e a quelle tramandate dalla lirica siciliana dipenda in gran parte dalla rima; ma è interessante notare la varietà che presentano alcune forme verbali, soprattutto in alcuni verbi di più largo uso.
La III singol. del pass. rem. di ‛ fare ' appare nelle forme ‛ fece ', ‛ fé ' ‛ feo ' ‛ fee ' ‛ fene '; così accanto a ‛ partì ' incontriamo in rima ‛ partio ' e ‛ partine ', accanto a ‛ seguì ', ‛ seguìo ' e ‛ seguette '; ‛ gìo ', anche fuor di rima, e ‛ gì appario ' e ‛ apparve ', ‛ udio ' e ‛ udì ', ‛ uscì ' e ‛ uscìo '; ‛ salì ', ‛ salio ', ‛ saline '; e ancora ‛ perdeo ' e ‛ perdé poteo ' e ‛ potè ', ‛ rompeo ' e ‛ ruppe '. Accanto a ‛ convenne ', ‛ visse ', ‛ tacque ' incontriamo le forme analogiche ‛ convenette ', ecc., in rima, mentre accanto a ‛ credette ' troviamo, in rima, ‛ crese '. ‛ Volle ' e ‛ volse ' (ma quest'ultimo più di frequente) s'incontrano ambedue in rima.
L'atteggiamento di D. verso le forme arcaiche e dialettali è visibile nell'uso notevole delle forme con l'epitesi di -ne (‛ fane ' e ‛ face ' si leggono nel poema, ma solo la forma latineggiante nel Convivio e nella Vita Nuova), nell'accoglimento, in rima, del pisano ‛ vonno ' accanto a ‛ vanno ', di ‛ abbo ' nella Commedia accanto a ‛ hoe ' della Vita Nuova, di ‛ este ',‛ èe ' accanto ad ‛ è ', di ‛ eramo ' accanto a ‛ eravamo ', di ‛ redui ' accanto a ‛ reduci ' (‛ riduci '), di ‛ vuoli ' accanto a ‛ vuoi ' (anche nella Vita Nuova). Il largo impiego della desinenza -e nella II singol. del pres. indic. è dovuto soprattutto alla rima; accanto alla forma arcaica s'incontra in qualche caso anche la più recente (‛ fide ', ‛ fidi '; ‛ pense ', ‛ pensi ').
D'altro canto l'influsso della tradizione poetica siciliana si può scorgere in forme come ‛ aia ' in rima accanto ad ‛ aggia ', ma soprattutto nelle tipiche forme in -ia dell'imperf. indic. e del condizionale. Già nelle Rime queste forme sono assai ridotte e nella Vita Nuova confinate nella parte poetica; nella Commedia predominano le forme in -e(v)a, -ei, mentre le altre sono adoperate ormai solo in rima.
Un esempio tipico, infine, della disposizione di D., soprattutto nella Commedia, ad accogliere, sia pure per esigenze tecniche, una varietà di forme, e insieme della propensione per le forme arcaiche è costituito dall'uso della III plur. del perf. indic., dell'imperf. cong. e del condizionale. Sullo sfondo di una vicenda che vede predominare nettamente nella Vita Nuova, nelle Rime e nel Convivio le forme in -aro, -ero e -éro su quelle in -arono, erono, e nella Commedia essere utilizzate le seconde (ma non quelle in -óno, assolutamente assenti) in rima (ridotte in -arno ed -erno) e nel corpo del verso (ridotte in -aron ed -eron), va segnalata l'a. di alcuni verbi d'impiego particolarmente ampio: accanto a ‛ fur(o) ' s'incontra ‛ fuoro ' e ‛ furon(o) ' (notevole è l'uso delle tre forme in If III 38-39 li angeli che non furon ribelli / né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro; dove concorrono ragioni di rima, di eufonia e di dissimilazione), ‛ dierno ' accanto a ‛ diero ' e ‛ dier ferno ' ripetutamente in rima accanto a ‛ fero ' e ‛ fer '.
Bibl. - Oltre alle consuete fonti (concordanze, rimari, vocabolari danteschi): R. Caverni, Voci e modi nella D.C. dell'uso popolare toscano, Firenze 1877; G. Canello, Gli allotropi italiani, in " Arch. Glottol. It. " III (1878) 285-419; N. Zingarelli, Parole e forme della D.C. aliene dal dialetto fiorentino, in " Studi Filol. romanza " I (1884) 1-202; Parodi, Lingua 203-284, 152-188; M. Barbi, Introduzione all'ediz. critica della Vita Nuova, Firenze 1932, CCLXXXI-CCCVIII; A. Schiaffini, Note sul colorito dialettale della D.C., in " Studi d. " XIII (1928) 31-45; ID., L'imperfetto e il condizionale in -ia dalla scuola poetica siciliana al definitivo costituirsi della lingua nazionale, in " Italia dialettale " V (1929) 1 ss.; G. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, Firenze 1953, 56-61; G. Nencioni, Fra grammatica e retorica, ibid. 1955, 13-19; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, ibid. 1960, 186-194.