Alla ricerca del confine tra concussione e induzione indebita
L’introduzione con la l. 6.11.2012, n. 190 della nuova fattispecie di «Induzione indebita a dare o promettere utilità» (art. 319 quater c.p.) ha dato luogo ad un forte contrasto giurisprudenziale, rivelato dall’emersione di tre diversi indirizzi in ordine alla linea di demarcazione con la contigua figura della concussione, ora imperniata esclusivamente sulla condotta di costrizione mediante abuso. Per dirimere tale disputa sono dovute intervenire le Sezioni Unite della Cassazione.
L’introduzione con la l. 6.11.2012, n. 190 della nuova fattispecie di «Induzione indebita a dare o promettere utilità» (art. 319 quater c.p.), caratterizzata dall’assoggettamento a pena del privato (reclusione fino a tre anni) che ceda alla pressione abusiva del pubblico agente (reclusione da tre a otto anni), ha provocato un forte disorientamento nella Sezione Sesta della Cassazione, attestato dall’emersione di ben tre diversi indirizzi interpretativi in ordine alla linea di demarcazione con la concussione, a seguito della novella realizzabile solo nella forma costrittiva (art. 317 c.p.).
Inevitabilmente, la soluzione di tale quaestio iuris è stata demandata alle Sezioni Unite, che il 24 ottobre scorso sono state chiamate proprio a tracciare «la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (nuovo art. 319-quater c.p.) soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione».
Prima di passare in rassegna i diversi orientamenti giurisprudenziali affiorati intorno a questo spinoso dilemma, meritano di essere sinteticamente rammentate le ragioni – in parte qua – della riforma. Nell’ottica del legislatore del 2012, la restrizione dell’ambito precettivo del delitto di concussione e l’introduzione del delitto di nuovo conio trovano la loro giustificazione politico-criminale sia in ragioni interne, legate al problematico vissuto giurisprudenziale dei delitti di concussione e corruzione e ai mutamenti della realtà criminologica di riferimento, sia in istanze di penalizzazione rivenienti da fonti ed organismi europei e internazionali.
Dal primo punto di vista rileva, soprattutto, l’eccessiva dilatazione applicativa cui era pervenuta la fattispecie di concussione, frutto di quattro fattori convergenti: il «carattere evanescente della c.d. concussione per induzione»1, del tutto priva di limiti tassativi2; il principio – mai messo in discussione dalla passata giurisprudenza – di “mutua esclusività” tra le due figure liminari della concussione e della corruzione3; l’assunzione del “rapporto tra la volontà delle parti” – soggezione psicologica del privato alla volontà prevaricante del pubblico agente nella concussione, piena par condicio contractualis nella corruzione – a criterio divisorio “di essenza”4; last but not least, semplici ragioni di convenienza processuale5.
La spinta decisiva alla revisione del delitto di concussione è venuta, però, dagli organismi deputati al controllo sull’attuazione degli strumenti convenzionali di contrasto alla corruzione, adottati in seno al Consiglio d’Europa e all’OCSE6: rispettivamente, il Groupe d’Etats contre la corruption (GRECO) e il Working Group on Bribery in International Business Transactions (WGB)7. Il GRECO, in particolare, aveva stigmatizzato l’uso strumentale che della concussione, nel nostro ordinamento, potevano fare “veri corruttori”8, e parallelamente gli organi inquirenti per ottenere collaborazione investigativa ed elementi di prova da soggetti solo asseritamente prevaricati. La più intransigente impostazione del WGB dell’OCSE, dovuta essenzialmente alla focalizzazione della relativa Convenzione del 1997 (cfr. art. 1) esclusivamente sul supply-side della corruzione (corruzione attiva)9, era sfociata nella raccomandazione di sopprimere, pressoché integralmente, l’«esonero da responsabilità basato sulla concussione dal reato di corruzione internazionale»; lasciando impregiudicata, però, ogni diversa soluzione normativa nel contesto della corruzione prettamente domestica10.
Come si è detto, tuttavia, a seguito della recente legge “anticorruzione” sono affiorati almeno tre diversi orientamenti giurisprudenziali in ordine al criterio di distinzione e reciproca delimitazione tra la condotta di cui al novellato art. 317 c.p. e la nuova incriminazione della induzione indebita a dare o promettere utilità. Per giunta, il primo di tali orientamenti ricostruttivi può essere ulteriormente scomposto in due sotto-indirizzi. Merita sin d’ora notare, comunque, che nessuno di questi filoni interpretativi ha messo in discussione la piena continuità normativa tra vecchie e nuove fattispecie, salva ovviamente l’irretroattività della nuova incriminazione avente ad oggetto il pagamento indotto (art. 319 quater, co. 2, c.p.).
2.1 L’indirizzo quantitativo-soggettivizzante
Il primo indirizzo ermeneutico, messo a punto dalla sentenza Nardi11, appare prevalentemente motivato dalla preoccupazione di assicurare una piena continuità normativa tra vecchie e nuove fattispecie penali12.
Esso inizia con il constatare che gli artt. 317 e 319 quater c.p. sostanzialmente ritagliano due diverse forme di pressione o influenza abusiva sulla sfera psichica dell’estraneo. Il fundamentum divisionis è tracciato in chiave quantitativa, essendo individuato nell’intensità della pressione esercitata dall'intraneo: più forte o incisiva nella costrizione, più blanda nell’induzione.
Essendo la pressione induttiva più tenue di quella propriamente costrittiva, vale a dire non così «seria» e «significativa» da «incidere e in misura notevole sulla volontà del soggetto passivo», l’extraneus, pur essendo «consapevole di star subendo e di dare o promettere il non dovuto», sarebbe tenuto a resistere e a «non collaborare» con il pubblico agente13.
Il vantaggio di questo approccio, almeno in teoria, è la sua esaustività, nel senso che di qualsiasi forma di pressione psicologica può stabilirsi, in termini ordinali, il grado di incidenza sulla libertà di autodeterminazione del destinatario; il suo contraltare problematico sta, però, nell’incertezza applicativa in concreto. Come determinare la soglia oltre la quale una condotta abusiva diviene sufficientemente grave o “seria” da esprimere il disvalore proprio della concussione? Insomma, il vero nodo ermeneutico resta quello di riempire di contenuto l’espressione “grado” o “intensità” della pressione14: in mancanza di criteri “provabili” in giudizio con la necessaria attendibilità, essa rischia di scadere in vuota formula evocativa, dalla vaga intonazione psicologista. Non sembra rimedio adeguato, a questo riguardo, affidarsi alla pregressa vicenda giurisprudenziale delle nozioni di “costrizione” ed “induzione”, in quanto da un lato non immune da oscillazioni e dall’altro sviluppatasi in un ben diverso contesto normativo.
In un certo senso, a rivelare la carenza di univocità dei passati approdi giurisprudenziali è proprio l’emersione, all’interno dell’orientamento in esame, di due sotto-indirizzi.
Il primo evince l’intensità-gravità della pressione, prevalentemente, dall’atteggiarsi della condotta del pubblico agente, vale a dire dal mezzo (tipo di condotta abusiva) impiegato per condizionare la volontà del privato e, più precisamente ancora, dalle sue modalità espressive. Secondo Nardi, innanzitutto, «la dazione o la promessa dell’indebito è nella ‘concussione’ effetto del timore mediante l’esercizio della minaccia e, nella ‘induzione’, invece, effetto delle forme più varie di attività persuasiva e di suggestione tacita e di atti ingannevoli»15. Così ragionando, però, non si è ancora chiarito come possa distinguersi, in modo affidabile, tra una condotta persuasiva finalizzata alla stipula di un patto corruttivo e una persuasione induttiva, ed altresì – nei rapporti tra concussione e induzione – tra «una significativa e seria intimidazione» che limita in misura notevole la volontà del privato e una «suggestione tacita» o una «pressante persuasione priva di una seria e specifica intimidazione». Per superare questa incertezza, la sentenza de qua finisce per valorizzare, più che la sostanza della pressione abusiva, il registro comunicativo adoperato dal pubblico agente16, il quale sarebbe più esplicito, diretto ed energico nella costrizione, più ammiccante, cortese, implicito o suggestivo nell’induzione17.
L’altra variante ricostruttiva, appannaggio soprattutto delle sentenze Bellini18 e Vaccaro19, posiziona il baricentro della fattispecie ex art. 319 quater c.p. – ritenuta sintesi di due figure criminose monosoggettive (contrariamente all’indirizzo maggioritario) – sull’effetto della condotta abusiva, quindi su ciò che accade nella psiche del privato, muovendo dall’assunto che, a parità di abuso (ad es. minaccia di un danno ingiusto, prospettazione di un danno conforme alla legge, ecc.), l’incidenza sulla libertà di autodeterminazione del destinatario può assumere, a seconda delle circostanze concrete, tanto una salienza realmente costrittiva quanto una minore valenza induttiva20. In particolare, la condotta costrittiva tipica della concussione (o dell’estorsione aggravata ex artt. 629 e 61, n. 9, c.p., nel caso di minaccia di un incaricato di pubblico servizio) consisterebbe in una «coazione psichica che, pur non eliminandola del tutto, condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo». Diversamente, l’induzione di cui all’art. 319 quater c.p. sarebbe «integrata da un’attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nei confronti del privato, che, avvertibile come illecita da quest’ultimo, non ne condiziona, però, gravemente la libertà di autodeterminazione, rendendo a lui possibile di non accedere alla pretesa del soggetto pubblico». In quest’ottica, la costrizione ex art. 317 c.p. non è coazione «assoluta»21, come puntualizza la Cassazione, ma vi si approssima molto. Comunque, a rivelare in modo eloquente la cifra distintiva di questo approccio è soprattutto l’esemplificazione fornita: ad es., il conducente che, nel corso di un lungo viaggio lontano da casa, si adegua alla richiesta indebita di un organo di polizia per evitare il legittimo sequestro di un veicolo per una violazione che ciò implichi, sarebbe vittima «verosimilmente, nella generalità dei casi» di una concussione; diversamente da chi paga una mancia per evitare l’omessa elevazione di un verbale di divieto di sosta in zona urbana parimenti dovuto.
Quanto ai parametri in base ai quali appurare l’evento psichico intermedio consistente nel «condizionamento grave della libertà di autodeterminazione», le sentenze in discorso sembrano privilegiare quelli dell’incombenza del danno minacciato e dell’inevitabilità altrimenti del pericolo22.
Entrambe le visioni sopra succintamente richiamate sollevano fondate perplessità, avuto riguardo ai seguenti inconvenienti: l’ambiguità, attestata proprio dall’emersione di due sotto-orientamenti, dagli esiti applicativi non necessariamente speculari, a cui si collega la scarsa determinatezza e conseguente inidoneità ad assicurare sostanziosi progressi sul piano della tassatività della fattispecie; la proiezione ermeneutica interamente retrospettiva, insita nell’appiattimento sulla giurisprudenza formatasi in un contesto normativo che vedeva costrizione e induzione appaiate anche quoad poenam; sul piano politico-criminale, l’incapacità di fondare razionalmente il diverso trattamento del privato “indotto” rispetto a quello “costretto”.
Quest’ultimo, probabilmente, è il difetto più vistoso. Porre un’eccessiva enfasi sulle modalità espressive dell’abuso può rivelarsi fuorviante negli hard cases che la prassi applicativa non di rado prospetta, conducendo a qualificare come induttive, solo perché espresse in forma più blanda23, velatamente allusiva, involuta o fintamente conciliante, anche condotte che, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, siano invece univocamente interpretabili come ingiustamente minatorie24.
Dall’altro lato, la concezione che evince la “costrizione”, essenzialmente, dall’impossibilità per il privato erogante utilità indebite di evitare altrimenti il danno prospettato dal pubblico agente sembra trascurare del tutto i coefficienti normativi di un giudizio di inesigibilità (o non rimproverabilità) rilevante per il diritto penale. Una nozione di «grave condizionamento della libertà di autodeterminazione» eccessivamente caratterizzata in senso psicologico-naturalistico non sembra pertinente alla materia in oggetto. La “costrizione” ex art. 317 c.p. rappresenta un concetto normativo in cui, partendo dal dato naturalistico, si riflette un giudizio di inesigibilità anticipato al piano della tipicità e governato da criteri regolativi di tipo giuridico. Questi, nel silenzio della disposizione codicistica, vanno desunti dal sistema, e segnatamente dai principi fondamentali del diritto penale (soprattutto, colpevolezza, finalità costituzionali della pena, proporzione-ragionevolezza: artt. 3 e 27 Cost.25) e, nella materia oggetto di specifico interesse in questa sede, dai principi e valori che informano i doveri dei titolari di pubblici poteri e i loro rapporti con i cittadini, in uno Stato sociale e democratico di diritto (spec. artt. 54, 97, 98 Cost.). In quest’ordine di idee, i coefficienti normativi veramente dirimenti per affermare l’esistenza di uno “stato di costrizione” ex art. 317 c.p. ci sembrano, come si è accennato, l’antigiuridicità del danno preannunziato dal bribe receiver e l’estraneità di un vantaggio indebito alla sfera delle determinanti motivazionali decisive della prestazione illecita. Gli elementi qualitativi in esame si ricavano, in prima battuta, dalla condotta volontariamente posta in essere dal pubblico agente, ma devono trovare corrispondenza nella rappresentazione psichica del privato. In definitiva, la libertà di autodeterminazione del cittadino è tutelata solo da interferenze della pubblica autorità che non siano del tutto conformi all’ordinamento. Per converso, l’extraneus non può essere ritenuto “coartato psicologicamente” agli effetti dell’art. 317 c.p. quando la dazione/promessa causata dall’abuso sia dipesa, in modo determinante, dalla prospettiva di conseguire un vantaggio indebito, più o meno determinato. Qui egli finisce per concorrere, volutamente e per un proprio tornaconto, alla messa in pericolo dei beni del buon andamento e dell’imparzialità delle pubbliche attività.
In quest’ottica, la punibilità del soggetto indotto mira, più che ad incentivare – in una prospettiva eticizzante – una resistenza attiva contro abusi non costrittivi, a disincentivare forme di sfruttamento opportunistico della relazione inquinata dall’abuso della controparte pubblica. Ad eccezione di tassativi obblighi di denuncia, nessun dovere penale di “non collaborazione” potrà essere congetturato, in uno Stato democratico di diritto, a carico di cittadini ingiustamente prevaricati dai detentori di pubblici poteri o qualità. Una simile pretesa finirebbe per trasformarli in una sorta di garanti dell’imparzialità e del corretto funzionamento della pubblica amministrazione26; e «spint[a] fino a questi limiti estremi, più che concezioni etiche e illiberali evoc[herebbe] visioni impregnate di toni utopistici ma soprattutto ipocriti»27.
2.2 L’indirizzo qualitativo-oggettivizzante
Secondo il paradigma interpretativo inaugurato dalla sentenza Roscia28, tanto nella costrizione quanto nell’induzione il pubblico agente, mediante l’abuso della qualità o dei poteri, ricorre ad un’intimidazione psicologica per influenzare la volontà del privato29. Il criterio discretivo è individuato, così, nella natura giuridica del danno prospettato – esplicitamente o implicitamente – all’extraneus: contra ius nella concussione, cioè contrario «alla legge e all’ordinamento generale o settoriale della pubblica amministrazione interessata dalla condotta di abuso del pubblico ufficiale»; secundum ius nell’induzione, vale a dire «derivante dall’applicazione della legge»30 o, come puntualizzato in un’altra pronuncia, «conforme alla legge e alla disciplina del peculiare settore amministrativo d’interesse»31.
Solo così la punibilità del privato “indotto” potrebbe trovare giustificazione anche sul piano dell’esigibilità e della rimproverabilità valutate in astratto32: «è esigibile che il privato resista ad una tale pretesa, ancorché il complesso della situazione abbia fatto ragionevolmente optare per un livello di sanzione inferiore a quella del soggetto pubblico; ed è ‘rimproverabile’ il privato nel caso in cui abbia invece optato per cedere alle richieste del pubblico ufficiale, senza però rischiare un danno ingiusto ma ottenendone, comunque, un vantaggio»33.
Tale approccio è apprezzabile quanto allo sforzo di enucleare parametri più oggettivi e rispettosi dell’esigenza di prevedibilità delle decisioni giudiziali. Il suo limite maggiore, probabilmente, sta nell’eccessiva ristrettezza della definzione di induzione, quale fenomeno residuale rispetto alla costrizione. Al di là della prospettazione di conseguenze sfavorevoli corrispondenti ad una pretesa giuridicamente giusta, sono ipotizzabili anche altre situazioni in cui un privato, ancorché relegato da un abuso funzionale in uno stato di soggezione, possa agire al fine prevalente, comunque determinante, di ottenere vantaggi non dovuti, specifici o indeterminati; così da meritare una pena.
Per fare un primo esempio, la complessa realtà delle interazioni tra privati e pubblici agenti presenta anche abusi, essenzialmente di qualità, in cui l'intraneus fa valere tutto il peso della propria posizione, senza però né minacciare, esplicitamente o implicitamente, un male ingiusto, né prospettare maliziosamente un pregiudizio dipendente dall’esercizio legittimo di un potere pubblico34.
Inoltre, il concetto di induzione proposto dall’indirizzo Roscia taglia radicalmente fuori dal raggio applicativo dell’art. 319 quater c.p. quelle più sofisticate tecniche di pressione che combinano la minaccia di un danno ingiusto (ad es. il pubblico ufficiale fa capire che è pronto a trasgredire la legge, escludendo arbitrariamente un privato da una gara pubblica…), con la promessa di un vantaggio indebito (… ma che è, altresì, pronto ad assicurargli l’aggiudicazione del contratto a scapito dei concorrenti), quali conseguenze alternative del diniego o dell’adesione alla richiesta indebita. Situazioni di “minaccia-offerta”, queste, in cui il privato ben potrebbe decidere di sottomettersi al volere del pubblico agente soprattutto per un obiettivo di lucro indebito35.
Va ancora notato che lo stesso concetto di «pregiudizio derivante dall’applicazione della legge» è meno preciso di quanto possa prima facie apparire; ciò risulta evidente non appena si fuoriesca dal novero dei poteri amministrativi vincolati nell’an e nel quomodo, dai quali discendano ex lege, in modo pressoché automatico, esiti sfavorevoli per il destinatario (ad es. il dovere del vigile urbano di contestare una violazione del c.d.s. non appena accertata), e si entri nel vasto e complesso universo dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione36. A fronte di potestà discrezionali, lo “sviamento” del potere dalla causa tipica, quale figura sintomatica del vizio di “eccesso di potere”, implica l’illegittimità dell’attività amministrativa conseguente37. Pertanto, se l’esercizio di un potere discrezionale, in sé legittimo, è interamente rivolto al perseguimento di un obiettivo criminoso, quindi diverso ed estraneo agli interessi pubblici, ben può parlarsi di prospettazione concussiva di un “danno ingiusto”.
D’altra parte, affermare l’applicabilità dell’art. 319 quater c.p. ai casi di prospettazione di un atto dovuto sfavorevole38, rende necessaria una chiara distinzione tra “induzione” e “sollecitazione” ex art. 322, co. 4, c.p. o “corruzione passiva” ex art. 319 c.p. (qualora la sollecitazione sia accolta). Il dato cruciale, al riguardo, è l’eventuale stato di soggezione patito dal privato a causa di una pressione abusiva, il quale però non può ridursi alla superiorità che il pubblico agente staticamente vanta nei confronti dell'extraneus o alla generica soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione. Un indice sintomatico dell’induzione potrebbe allora essere ravvisato nell’iniziativa del pubblico agente39, purché qualificata da ulteriori contrassegni fattuali come il carattere perentorio ed ultimativo della richiesta illecita, tale da non ammettere ad es. alcuna trattativa sull’an e sul quantum della dazione, e/o – secondo altra indicazione dottrinale – la sua natura reiterata e fortemente insistente40.
2.3 L’indirizzo cd. intermedio
Un terzo indirizzo “intermedio”41 ha cercato di ricomporre ad unità i due precedenti. Secondo questa impostazione, costrizione e induzione hanno in comune il fatto che il privato subisce l’abusiva iniziativa intimidatoria del pubblico agente, la quale si traduce in una «pressione psichica relativa» – vale a dire, una «più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio» – e nel conseguente “stato di soggezione” del destinatario. La differenza tra le due condotte risiederebbe, così, nel fatto che nella concussione si ha «una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell’altrui volontà» e quindi una pretesa dalla «maggiore carica intimidatoria»; nell’induzione una più tenue pressione, che «spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione». Dal punto di vista dell’incidenza sulla sfera psichica del privato, nel delitto di cui all’art. 317 c.p. non è lasciato «alcun significativo margine di scelta al destinatario»42; nella figura di cui all’art. 319 quater c.p., invece, egli conserva «un più ampio margine di scelta in ordine alla possibilità di non accedere alla richiesta del pubblico funzionario»43.
Nella seconda parte della sentenza Melfi, però, la Corte regolatrice affronta il vero punctum dolens dell’impostazione quantitativo-soggettivizzante, vale a dire le consistenti incertezze che essa alimenta nel passaggio dall’astratto al concreto, nonché le facili manipolazioni cui è esposta, anche per ragioni di convenienza processuale-investigativa, soprattutto nei casi più ambigui, in cui il registro comunicativo è più sfumato, implicito o allusivo. Così, per dare ai due concetti in esame confini semantici più precisi, si individua, condivisibilmente, un criterio integrativo dotato di maggiore oggettività: il tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue (o aspira a conseguire) per effetto della dazione o della promessa. In quest’ottica, il concusso, anche in assenza di brutali forme di minaccia psichica diretta, è «posto di fronte all’alternativa ‘secca’ di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto: al destinatario della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di scelta»; egli si determina alla prestazione indebita solo per evitare il pregiudizio minacciato. Al contrario, il privato è punibile come coautore indotto «se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di una omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito». In questi termini, il danno ingiusto e il beneficio indebito rilevano anche per il loro concreto impatto sulle scelte del privato.
Nella sentenza Melfi il vantaggio indebito è inquadrato come mero “dato sintomatico”, ancorché in posizione preminente44. Tuttavia, nella successiva sentenza Milanesi45 – dello stesso giudice relatore46 – può notarsi un salto di qualità in direzione della piena integrazione tra il criterio classico del grado di condizionamento psichico del privato e quello del danno/vantaggio ingiusto. In questo modo, il fine di vantaggio indebito pare assurgere a “criterio di essenza”, e quindi ad elemento costitutivo implicito della fattispecie induttiva47. A questo approdo ermeneutico la Cassazione perviene nella lucida consapevolezza della complessa e sfaccettata realtà criminologica di riferimento, la quale presenta anche “casi di confine”, nei quali è pressoché impossibile differenziare una mera induzione da una vera costrizione sulla sola base del generico parametro quantitativo. Vengono, al riguardo, segnalate anche situazioni “miste” o “ambivalenti”, di minaccia-promessa, che, alla luce di un attento esame dei vari casi concreti, potrebbero confluire nel nuovo tipo dell’induzione: il condizionare al pagamento contra ius vuoi l’omissione di un atto doveroso sfavorevole al privato, vuoi il compimento di un atto a contenuto discrezionale con effetti favorevoli. Nel primo caso il vantaggio indebito coincide proprio con la mancata adozione dell’atto (si pensi, ad es., al pubblico ufficiale che, accertata l’esistenza di una irregolarità, comunichi o faccia capire al privato che “chiuderà un occhio” se verrà soddisfatta la sua pretesa); nel secondo è dato dal sicuro ottenimento di un provvedimento discrezionale, così da riservare un trattamento di favore all’aspettativa (ad es. di futura contrattazione) del beneficiario, rispetto a quella di altri privati titolari di interessi “concorrenti”48.
L’indirizzo intermedio ci sembra il più ragionevole, a fronte di un quadro normativo che non sembra consentire alcuna interpretazione completamente immune da problemi ed incertezze applicative. Oltre al doveroso sforzo di assicurare maggiore certezza giuridica, attraverso il riferimento a criteri più oggettivi, la persuasività di questa impostazione sembra discendere proprio dall’aver recepito il punto più convincente dell’approccio Roscia, vale a dire la fondazione della punibilità del destinatario della pressione, «pure particolarmente invasiva», sulla sua «partecipazione … ad un vantaggio personale»49; ma dall’aver, altresì, preconizzato l’estensione della fattispecie induttiva a situazioni non caratterizzate dalla prospettazione di un male “giusto”, e tuttavia a questa assimilabili in ragione dell’opportunità lasciata al privato di orientare razionalmente la sua condotta al rapporto costi/benefici personali.
2.4 Il decisum delle Sezioni Unite
Dalla lettura della sola informazione provvisoria concernente il decisum delle S.U. della Cassazione sulla questione del discrimine tra concussione e induzione indebita50, sembra emergere che anche il massimo organo nomofilattico si sia reso conto della necessità di ricorrere, in via integrativo-costitutiva, ad un parametro discretivo più oggettivo – il fine di vantaggio indebito –, per specificare l’altrimenti troppo generico criterio del quantum di autodeterminazione residuante in capo al privato a seguito della condotta abusiva del pubblico agente. Si è stabilito, infatti, che «la fattispecie di induzione indebita di cui all’art. 319-quater cod. pen. è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella concussione di cui all’art. 317 cod. pen., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario».
Con la novella del 2012 non sono mutate le nozioni di base di “costrizione” e “induzione”, imperniate sulla maggiore o minore gravità della pressione psichica esercitata sul privato, ma i parametri normativi in base ai quali operare una differenziazione che sia coerente, sul piano assiologico e politico-criminale, con “l’invertita posizione penale” del privato nelle separate ipotesi della concussione e dell’induzione51. A fini discretivi, realmente decisivo, così, è lo “spazio di libera determinazione” lasciato al privato, che nella costrizione è radicalmente ridotto, vale a dire limitato alla scelta tra due mali parimenti ingiusti, mentre nell’induzione offre ancora – nonostante l’abuso – margini decisionali improntati al rapporto costi-benefici personali52, vale a dire al perseguimento di vantaggi indebiti, specifici o indeterminati (in quest’ultimo caso, cioè, potenzialmente discendenti dal “consolidamento” del rapporto con il pubblico agente).
Nella futura elaborazione giurisprudenziale e dottrinale non priva di insidie si presenterà, verosimilmente, anche la precisa definizione della coppia oppositiva danno ingiusto/vantaggio indebito. Fermo restando che questi due concetti vanno intesi in chiave dinamica e non statica, dovendo essere sempre calati nelle peculiarità della vicenda concreta, essi ci sembrano comunque l’ancoraggio più solido per favorire soluzioni applicative equilibrate, rispettose della legge e del referente teleologico. Difficoltà di vario genere non mancheranno di porsi, in concreto, nelle situazioni caratterizzate dall’esercizio di poteri discrezionali, dalla sussistenza di alternative “lecite” facilmente accessibili da parte del privato nonostante l'abuso subito, o dal fine dell’extraneus di preservare un bene altamente personale da un grave pericolo di danno (ad es. assicurarsi un intervento chirurgico “salvavita” da parte del medico più esperto, ottenendo così anche un trattamento preferenziale53)54.
Va preso atto, in ogni caso, del fatto che una dose di incoercibile incertezza è congenita a questa materia. La realtà empirica sottostante è estremamente fluida. Inoltre, indagare il processo motivazionale di individui in carne ed ossa, anche ricorrendo a massime di esperienza, non è mai agevole. Infine, anche qualora si addivenisse ad una piena concordanza di vedute sull’interpretazione degli enunciati degli art. 317 ss. c.p., e nel singolo caso giudiziale fosse raggiunta piena chiarezza nella verifica del thema probandum, sensibili diversità di vedute potrebbero ancora sorgere nella qualificazione dei fatti così come accertati. Assai utile, soprattutto in questa materia, sarebbe così un’elaborazione dottrinale, e forse anche nomofilattica55, più casistico-applicativa, attraverso l’enucleazione di un inventario sempre più articolato e dettagliato di possibili tipologie di abuso pubblicistico, avuto riguardo, ad es., alla natura discrezionale/vincolata dell’attività amministrativa, alla sua natura ampliativa o riduttiva della sfera giuridica dei destinatari, alle varie tecniche di condizionamento psichico (minaccia semplice, minaccia-offerta, mera offerta, ecc.), alle diverse situazioni della vita reale in cui l’abuso di un pubblico agente può insinuarsi.
1 Forti, G., L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. proc. pen. 1996, 488. V., tra i tanti, anche Manna, A., Corruzione e finanziamento illegale ai partiti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 134 ss.; Fiandaca, G., Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 897 s.; Davigo, P.-Mannozzi, G., La corruzione in Italia: percezione sociale e controllo penale, Roma-Bari, 2007, 294.
2 Tra le principali spie del trend espansivo della concussione possono annoverarsi il progressivo ridimensionamento del classico requisito del metus publicae potestatis e il successo – almeno nella stagione politico-giudiziaria che va sotto il nome di “Tangentopoli” – della figura, in toto giurisprudenziale, della “concussione ambientale”: sia consentito il rinvio, per i dettagli, a Mongillo, V., L’incerta frontiera: il discrimine tra concussione e induzione indebita nel nuovo statuto penale della pubblica amministrazione, in www.penalecontemporaneo.it, 27.9.2013, 7 s.
3 In dottrina, questo principio è stato criticamente definito un “dogma” da Spena, A., Il «turpe mercato». Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Milano, 2003, spec. 482 ss.
4 Cfr., ad es., Cass. pen., sez. VI, 3.3.2009, rv. 243047; Cass. pen., sez. VI, 3.4.2003, n. 15742, rv. 225429; Cass. pen., sez. VI, 24.2.2000, n. 2265, rv. 215639.
5 Cfr. Padovani, T., Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Arch. pen., 2012, 788.
6 Convenzione OCSE di Parigi del 17.12.1997, specificamente votata alla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, ratificata dall’Italia con la l. 29.9.2000, n. 300; Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, adottata a Strasburgo il 27.1.1999, ratificata dalla l. 28.6.2012, n. 112.
7 Sul punto, amplius, Di Martino, A., Le sollecitazioni extranazionali alla riforma dei delitti di corruzione, in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., a cura di, La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, spec. 372-374; Manacorda, S., Normativa internazionale e scelte politico-criminali di contrasto alla corruzione: il “piano inclinato” della riforma, in AA.VV., Riciclaggio e corruzione: prevenzione e controllo tra fonti interne e internazionali, Milano, 2013, 171 ss.; Mongillo, V., La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale. Effetti, potenzialità e limiti di un diritto penale “multilivello” dallo Stato-nazione alla globalizzazione, Napoli, 2012, 92-98, 547 ss.; Salazar, L., Contrasto alla corruzione e processi internazionali di mutua valutazione: l’ Italia davanti i suoi giudici, in Cass. pen., 2012, 4270 ss.
8 GRECO, Third Evaluation Round, Evaluation Report on Italy Incriminations, 2012, § 119, 132.
9 Così, in attuazione del disposto convenzionale, l’art. 322 bis, co. 2, n. 2, c.p. punisce soltanto il privato corruttore di – o indotto da – pubblici agenti extra-UE.
10 Rivela bene il pragmatismo dell’OECD WGB il suggerimento implicitamente rivolto al nostro Paese di limitare l’esonero da responsabilità del privato concusso al solo ambito domestico. Tale consiglio, però, ove accolto, avrebbe innescato seri dubbi di violazione dell’art. 3 Cost.
11 Cass. pen., sez. VI, 21.2.2013, n. 8695, Nardi, rv. 254114.
12 Si parte, infatti, dall’opinabile assunto che l’interpretazione propugnata delle espressioni “induzione” e “costrizione” sia l’unica in grado di assicurare un’integrale continuità tra i precetti succedutisi nel tempo.
13 La sentenza richiama sul punto un passo di Pulitanò, D., La novella in materia di corruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in suppl. di Cass. pen., n. 11, 2012, 10. Pur esprimendo perplessità, intravede un «obbligo giuridico di resistenza» a carico del privato sottoposto ad un abuso induttivo, anche Palazzo, F., Gli effetti “preterintenzionali” delle nuove norme penali contro la corruzione, in Mattarella, B.G-Pelissero, M., La legge, cit., 20. Notano l'identità ibrida del cittadino "indotto", "in parte vittima e in parte complice", Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte speciale, I, Bologna, V ed., 2012, Addenda, 2013, 14.
14 Sull’indeterminatezza di tale criterio, anche Garofoli, R., Concussione e indebita induzione: il criterio discretivo e i profili successori, in www.penalecontemporaneo.it, 3.5.2013, 9.
15 Nello stesso senso Cass. pen., sez. VI, 15.3.2013, n. 12388, Sarno, rv. 254441.
16 Analogamente già Cass. pen., sez. VI, 21.1.2013, n. 3093, Aurati, rv. 253947.
17 Similmente, v. anche Cass. pen., sez. VI, 8.4.2013, n. 16154, Pierri, rv. 254539, dove però – in un obiter dictum, concernente lo spinoso tema della riserva mentale e la configurabilità di una desistenza volontaria del privato promittente – traluce anche la preoccupazione per le iniquità che questa accezione di induzione potrebbe generare in futuri giudizi relativi a fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’art. 319-quater c.p. Sul punto, Seminara, S., I delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione indebita, in Dir. pen. e processo, Speciale Corruzione, a cura di P. Pisa, 2013, 31.
18 Cass. pen., sez. VI, 15.4.2013, n. 17285, Vaccaro, rv. 254620.
19 Cass. pen., sez. VI, 30.4.2013, n. 18968, Bellini, rv. 255072.
20 Aveva in qualche modo anticipato questo sdoppiamento di prospettiva Spena, A., Per una critica dell’art. 319-quater c.p. Una terza via tra concussione e corruzione, in www.penalecontemporaneo.it, 28.3.2013, 15 («facendo dell’induzione una forma attenuata di costrizione non è chiaro se si ponga la differenza tra le due condotte sul piano delle loro rispettive forme o del loro risultato»). Sulla rilevanza di entrambi i profili v. Benussi, C., I delitti contro la pubblica amministrazione, t. 1, I delitti dei pubblici ufficiali, II ed., Padova, 2013, 897.
21 In dottrina, per una lettura che coglie l’ubi consistam della concussione nella coazione psichica “assoluta” e quello della nuova induzione nella coazione “relativa”, v. soprattutto Balbi, G., Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, in Dir. pen. contemp., n. 3-4, 2012, 11. Invece, esprimendo il punto di vista sinora prevalente in dottrina, osserva Pulitanò, D., La novella, cit., 12, che «il campo della concussione è ancora all’interno delle modalità di coazione relativa, sia pure come territorio estremo e assai più fortemente caratterizzato».
22 Per ulteriori considerazioni al riguardo, sia consentito il rinvio a Mongillo, V., L’incerta frontiera, cit., 27 ss.
23 Cfr. Ronco, M., L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in Arch. pen., 2013, 45, che proprio per l’insostenibilità di una punizione diretta contro un soggetto coartato, esclude «che l’induzione sia una forma più blanda della costrizione, come veniva sostenuto, non senza contraddittorietà, nella vigenza del vecchio art. 317». Similmente, Valentini, V., Ancora sulla frattura della disposizione ex art. 317 c.p. Qualche rapido spunto in attesa delle Sezioni Unite, in Arch. pen., 2013, 6.
24 È un dato ormai acquisito anche dalla giurisprudenza penale in tema di estorsione quello secondo il quale la minaccia estorsiva sia ravvisabile anche quando assuma toni apparentemente morbidi e concilianti, purché sia in grado di incutere timore nella persona offesa in relazione a tutte le circostanze del caso concreto e alla personalità dell’agente: ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 20.5.2010, n. 19724, Pistoiesi, rv. 247117.
25 Cfr. in ordine ai parametri costituzionali rilevanti per la soluzione della questione interpretativa in argomento anche Vinciguerra, S., La riforma della concussione, in Giur. it., 2012, 2689.
26 Ancora, acutamente, Spena, A., Per una critica, cit., 16.
27 Seminara, S., I delitti di concussione, corruzione, cit., 31. Condivisibilmente anche Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, III ed., 2013, 240: «se è certo da lodare la tempra morale di chi, dopo aver tollerato suggestioni, allettamenti, velate allusioni a possibili attese incompatibili con le sue legittime aspettative (se non ulteriori difficoltà future), rinunci ai propri diritti, si ritiri in buon ordine e (magari) denunci il p.u., pare eccessivo che l’ordinamento sanzioni con la reclusione il suo cedimento».
28 Cass. pen., sez. VI, 22.1.2013, n. 3251, Roscia, rv. 253936.
29 Cfr., oltre all’arresto Roscia, Cass. pen., sez. VI, 15.2.2013, n. 7495, Gori, rv. 254021, secondo cui «l’art. 319 quater c.p. suppone parimenti un’intimidazione psicologica». L’indirizzo in esame, invece, esclude radicalmente la rilevanza della violenza fisica nel perimetro dell’art. 317 c.p., in quanto ritenuta assolutamente incompatibile con l’esercizio, sia pure in forma di abuso, dei poteri del pubblico agente.
30 Così la sentenza Roscia.
31 Cfr. Cass. pen., sez. VI, 18.4.2013, n. 17943, Sammatrice, rv. 254730.
32 Cass. pen., sez. VI, 25.1.2013, n. 13047, Piccinno, rv. 254466.
33 Cass. pen., sez. VI, 12.4.2013, n. 16566, Caboni, inedita.
34 Di norma, questi contegni abusivi si prestano, per la loro equivocità, ad una duplice possibile lettura da parte di chi li subisce: questi può sia paventare imprecisate ritorsioni ad opera della controparte pubblica qualora non si acconci a fare ciò che questa desidera, sia attendersi un consolidamento dei rapporti, in vista di imprecisati favoritismi, ove dia o prometta l’indebito. Si pensi al caso giurisprudenziale del ministro che utilizzi abitualmente l’aereo privato di un imprenditore che abbia in corso rapporti di affari con il ministero rappresentato dal primo e, soprattutto, abbia l’aspettativa di ulteriori commesse, quando dalle modalità dei fatti emerga la soggiacenza dell’imprenditore alle pretese del pubblico ufficiale: caso inquadrato come concussione da Cass. pen., sez. VI, 23.2.1998, n. 2303, rv. 209977.
35 Nella filosofia politica e morale di lingua anglosassone, per denominare pressioni ibride di questa natura, si è soliti utilizzare il neologismo “throffer”, crasi tra threat (minaccia) e offer (offerta): v. Steiner, H., Individual Liberty, in Proceedings of the Aristotelian Society, vol. 75, 1974-75, 33 ss., spec. 36.
36 Amplius, sul punto, Mongillo, V., L’incerta frontiera, cit.
37 Cfr., per tutti, Casetta, E., Manuale di diritto amministrativo, XIII ed., Milano, 2011, 549.
38 Ci eravamo espressi in questi termini già in Mongillo, V., La corruzione, cit., 148.
39 Secondo Seminara, S., I delitti di concussione e induzione indebita, in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., La legge, cit., 395, «l’iniziativa dell’extraneus, in assenza di qualsiasi condotta ascrivibile al pubblico agente e qualificabile alla stregua del paradigma normativo, integra il reato di corruzione».
40 Cfr., nell’ultimo senso, Grosso, C.F., Novità, omissioni e timidezze della legge anticorruzione in tema di modifiche al codice penale, in Mattarella, B.G.-Pelissero, M., La legge, cit., 9.
41 Così è stato qualificato anche nell’ordinanza di rimessione alle S.U. della quaestio iuris in discorso: Cass. pen., sez. VI, ord. 13.5.2013, n. 20430, Cifarelli.
42 Cass. pen., sez. VI, 12.3.2013, n. 11794, Melfi, rv. 254440; conf. Cass. pen., sez. VI, 14.3.2013, n. 11942, Oliverio, rv. 254444.
43 Nel senso che nell’induzione il privato «mantiene un margine di scelta criminale che giustifica una, sia pur limitata, pena», v. Severino, P., La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. e processo, 2013, 10.
44 Ciò spiega perché, nel principio di diritto scolpito alla fine della sentenza Melfi, il criterio dell’intensità della coazione morale e quello facente leva sulla natura del vantaggio perseguito dal privato siano collocati l’uno a fianco dell’altro, in chiave complementare.
45 Cass. pen., sez. VI, 13.5.2013, n. 20428, Milanesi, rv. 255076.
46 Il Cons. E. Aprile.
47 Questo esito era stato già raggiunto da Cass. pen., sez. VI, 14.3.2013, n. 11944, De Gregorio, rv. 254446, proprio partendo da Melfi; in tale sentenza, però, mancava la specificazione concernente la natura indebita del vantaggio perseguito dal privato indotto.
48 Per analoghe considerazioni v. Mongillo, V., La corruzione, cit., 146 ss.
49 Per mutuare un passaggio di Cass. pen., sez. VI, 9.7.2013 n. 29338, Policastro, rv. 255615.
50 Cass. pen., S.U., 24.10.2013, Maldera e altri (informazione provvisoria). Quando il presente lavoro è andato in stampa non erano ancora note le motivazioni della sentenza in discorso.
51 Che questo sia il dato veramente cruciale è nitidamente sottolineato anche da D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, II ed., 2013, 168 e da A. Sessa, La fisiologia dell’emergenza nella più recente normativa anticorruzione: tra eccessi tecnicistici e diritto penale criminogeno, in Crit. dir., 2012, 319.
52 Tra i costi: il male prospettato, il rischio di atti ritorsivi, la stessa dazione indebitamente richiesta, ecc.
53 Cfr., per un recente caso di questo tenore, Cass. pen., sez. VI, 12.3.2013, n. 11793, Abbate, inedita. Sull’eventuale applicazione dell’art. 319 c.p. a situazioni simili, v. Viganò, F., La riforma dei delitti di corruzione, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 156.
54 Per più puntuali indicazioni sui concetti di “danno ingiusto” e di “vantaggio indebito” sia consentito ancora il rinvio a Mongillo, V., L’incerta frontiera, cit., § 8.
55 Da ultimo, per l’auspicio di una “nomofilachia dei casi”, più che di una “nomofilachia delle norme”, v. le limpide considerazioni di F.M. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano, 2013, 118.