ALJAMÍA o ALJAMIADO
Entrambi i vocaboli, dei quali il secondo è propriamente un aggettivo, designano in spagnuolo gl'idiomi neolatini della Spagna (castigliano, aragonese e valenzano) scritti in caratteri arabi, secondo particolari convenzioni grafiche e con vocalizzazione completa, dai Moriscos, ossia dai musulmani apparentemente cristianizzati, oppure tollerati per decreti speciali, che erano rimasti in Spagna dopo il decreto dell'11 febbraio 1502 (imponente ai musulmani del già regno di Granata di lasciare la Spagna o di farsi cristiani) e che furono definitivamente cacciati dalla penisola iberica con ordini del 1609-1614. La letteratura aljamiada comprende numerosi scritti in prosa e in versi, concernenti materie religiose musulmane (dogmatica elementare, rituale, diritto secondo la scuola mālikita, morale, inni in lode di Maometto, biografia di quest'ultimo, descrizione del pellegrinaggio alla Mecca) e anche novelle, romanzi e superstizioni popolari; essa è interessante dal punto di vista linguistico (finora solo imperfettamente studiato) e folkloristico, e come specchio della vita religiosa e sociale dei Moriscos. Particolarmente notevoli il poema Alhadiz de Yusuf (Racconto di Giuseppe) - in base alla narrazione coranica intorno al patriarca biblico - che risale al secolo XIV; la traduzione d'una romanzesca storia araba d'Alessandro Magno; i quattro poemetti dí materia religiosa composti nel 1603 dall'aragonese Mohamad Rabadan, ecc.
Il vocabolo aljamía viene dall'arabo 'aǵiamiyyah, aggettivo femminile significante "(lingua) barbara, straniera", che dagli Arabi di Spagna era usato per indicare tutte le parlate neolatine della penisola.
Bibl.: Ed. Saavedra, (La literatura aljamiada) Discurso leído ante la Real Academia española en la recepcion pública, ecc., Madrid 1878 (pp. 5-56, schizzo fondamentale della letteratura; pp. 101-191, indice generale dei manoscritti in aljamía sino allora conosciuti; altri furono in seguito scoperti e illustrati in monografie d'altri autori). In Italia furono pubblicati saggi di testi da E. Teza (un compendio del Corano, nei Rendic. Acc. Lincei, 1891) e da K. V. Zetterstéen (saggio d'un rituale, nel Centenario della nascita di M. Amari, Palermo 1910, I, pp. 277-291).