ALGHE o Ficee (dal lat. alga; fr. algues; sp. algas; ted. Algen; ingl. algae seaweeds)
Piante di assai differente natura, che comprendono forme unicellulari e pluricellulari, le ultime morfologicamente anche molto differenziate. In queste sono riconoscibili organi d'adesione, organi assili e anche appendicolari con tutta l'apparenza di quelli delle piante superiori, ma sempre si tratta di Tallofite, ossia di piante prive di un qualunque apparato vascolare. Esse hanno riproduzione agamica e sessuale, ma non sempre con una regolare alternanza.
Con la classificazione di Linneo le cosiddette Alghe costituivano una suddivisione (nell'allora invalso "sistema sessuale") della XIV e ultima classe, chiamata delle Crittogame, per non aver esse organi sessuali e funzione nuziale evidenti. In seguito tali alghe furono comprese nella divisione delle Tallofite, insieme con i funghi e i licheni. Questi gruppi però sono fondati su caratteristiche fisiologiche più che morfologiche, riunendosi sotto il nome di alghe quelle Tallofite soprattutto munite di cromatofori, nei quali quasi sempre parte integrante è la clorofilla (piante autotrofe), mentre sotto il nome di Funghi vanno le Tallofite prive di clorofilla, che conducono una vita saprofitica o parassitica. Così anche tra le alghe se ne hanno talune oligosaprobie più o meno apoclorotiche.
Una delle più razionali classificazioni è quella seguita dallo Strasburger nel suo Trattato di botanica, dove le alghe vengono, senza esclusione, intercalate alle altre tallofite, secondo lo specchietto seguente:
Nel primo aggruppamento vengono insieme posti i Batterî e le Cianoficee soltanto, ossia gli organismi che sembrano di più semplice struttura, a nucleo e cromatofori non sempre ben definiti, l'uno e gli altri forse non costantemente presenti o male riconoscibili dal rimanente contenuto cellulare. Siffatti esseri sono sprovvisti molto spesso di movimenti di nutazione più o meno stabili o regolati da fattori esterni; sono dubbî i fenomeni di riproduzione sessuale.
Nel secondo, più numeroso e complicato aggruppamento delle piante dette Alghe vere, sono comprese tutte le altre classi delle Tallofite con protoplasto evidentemente nucleato e cromatofori che assai sovente contengono clorofilla, di forma e dimensioni più o meno ben definiti.
In questo secondo aggruppamento apparisce, e in molti casi evidente, la derivazione dai Flagellati, sebbene la serie se ne presenti oltremodo complessa e con svariatissime forme; dai più minuti organismi, gareggianti per esiguità con i batterî, ai talli ramificati di lunghezze smisurate, che arrivano a oltre un centinaio di metri. Ma sempre perdurano le uguali caratteristiche, più o meno stabili; il manifestarsi di forme flagellate in alcuni stadî di sviluppo di alghe, anche le più complesse, che fa riscontro con il comparire delle fasi palmelloidi o filiformi, o comunque pluricellulari e prive di apparecchi di locomozione tra quelle di svolgimento dei Flagellati, i quali sono all'incontro di solito unicellulari e provvisti di flagelli, così da preludiare, nella loro semplicità di costituzione alle fronde delle alghe, che presentano meno complessa organizzazione.
Nel senso moderno più circoscritto, s'intendono oggi come alghe le Tallofite evidentemente munite di un nucleo bene differenziato, e che possono più o meno reputarsi derivate dai Flagellati, con nucleo e cromatofori bene definiti. Questi Flagellati possono, attraversando la successione delle loro forme più semplici apoclorotiche, oligosaprobie o saprobie, raccordarsi - come gli Schizofiti con i Missosporidî - alla serie animale dei Rizopodi, pur essi muniti di nuclei assai bene riconoscibili, che vanno dalle elementari Amebe alle più complicate colonie dei Foraminiferi, Eliozoi e Radiolarî noti, come i Coccolitofori e le Diatomee tra le alghe, per gli eleganti scheletri calcarei o silicei sovente della più complicata struttura e decorazione.
Dal trattato sulle alghe dell'Oltmanns, riportiamo, con qualche lieve modificazione, la classificazione seguente:
I. Chrysophyceae. - Unicellulari, di rado pluricellulari e, in tal caso, in colonie. Uno o più cromatofori, piastriformi, quasi sempre apireni o provvisti di granuli di leucosina (idrato di carbonio analogo al paramylon ma non ancora chimicamente ben definito). Colore predominante la ficocrisina, solubile in acqua, di color giallo bruno (talvolta mancante), e perciò nel liquido cellulare così maschera la clorofilla.
Nelle acque dolci, subsaprofite, spesso galleggianti, per eccezione nelle marine. Vi si attribuiscono i Coccosferali, facenti parte della flora pelagica nana del mare (nannoplancton), prede dei filtri delle Appendicolarie (tav. I, fig. 2).
II. Heterocontae. - Unicellulari e pluricellulari per lo più, o filiformi. Cromatofori numerosi, in forma di piastra, quasi sempre provvisti di pirenoidi d'un colore giallo verde per abbondanza di xantofilla, in confronto di quanto avviene nei normali cloroplasti. Prodotti di riserva, costituiti soprattutto da grassi. Zoospore munite di due flagelli ineguali e di due cromatofori. nelle acque dolci; per eccezione, marine e terricole.
III. Cryptomonadales. - Unicellulari, di rado pluricellulari. Uno o due cromatofori, che stanno alla periferia, bruni, rossobruni, rossicci, verdi. Struttura dorsoventrale, con due flagelli inseriti su un solco spesso terminante in un gozzo asimmetricamente disposto. Presenza di macchia oculare e di vacuoli pulsanti. Presenza di gocciole oleose e di pirenoidi. Nelle acque dolci; spesso anche marine, talvolta pelagiche, e in simbiosi con animali.
IV. Euglenaceae. - Unicellulari libere, di rado pedunculate o in involucri; con uno o due flagelli. Vacuoli riuniti in sistema, uno priincipale con deferente, altri due pulsanti contigui. Cromatofori verdi o mancanti; pirenoidi numerosi paramilacei e gocce di olî grassi; propagazione per divisione, riproduzione per coniugazione di gameti.
Nelle acque dolci, assai di rado nelle salmastre. Specie dimostranti fasi immobili d'incistamento.
V. Dinoflagellata. - Unicellulari a corpo dorsoventrale. Cromatofori dí varia natura e colore, sostanze di riserva, come nei precedenti, variamente distribuite e di aspetto diverso a seconda che sono da ritenersi amiloidi o di sostanza grassa; flagelli due, assai differenti fra di loro, l'uno diretto indietro, l'altro orizzontale e avvolto a spira. Riproduzione per divisione e per emissione di germi interni formati per divisione ripetuta. Coniugazione raramente osservata.
Specie per lo più pelagiche e limnetiche, talvolta fosforescenti; ma ve ne sono anche di caratteristiche delle sponde del mare o delle acque dolci stagnanti, quasi sempre come le precedenti munite di movimento autonomo.
VI. Coniugatae. - Unicellulari di varie forme, talvolta strozzate nel mezzo o pluricellulari filamentose non ramificate; cloroplasti stellati, nastriformi, dritti o spiralati o in forma di piastra, spesso muniti di pirenoidi amilacei assai evidenti, per lo più entro i cloroplasti; riproduzione per copulazione di gameti fra loro uguali, provenienti dal contenuto intero o parziale di cellule vegetative diverse. Zigoti generanti uno o più germogli.
Abitualmente gregarie e residenti nelle acque dolci tranquille, più di rado liberamente vaganti, trasportate al largo; per eccezione nelle acque salmastre di scarsa concentrazione.
VII. Bacillariaceae (Diatomee). - Unicellulari, semplici, libere o concatenate o in serie lineari o aggregate in masse gelatinose; sia da sole, sia viste tutte insieme, d'un colore giallo olivastro talvolta volgente al rosso bruno caratteristico; cromoplasti di varia grandezza e aspetto, per lo più piastriformi o graniformi di vario aspetto, in numero di due o più, bruni, tutti insieme chiamati endocroma; materiali di riserva di rado pireniformi nell'interno dell'endocroma, ma quasi sempre anche localizzati in gocce di grasso più o meno oleoso, spesso simmetricamente disposte rispetto al nucleo o ai cromatofori; membrana cellulare fortemente inspessita e più o meno solidamente silicizzata, così da formarsi per ciascuna cellula un involucro in forma di scatola (frustolo) a valve inguainanti. Tali valve poi sono di variabilissima forma: viste di fronte, sono circolari, ovali, poligone, bacilliformi, lanceolate, cuneate, naviculiformi; viste di profilo, per l'ordinario sono più o meno esattamente rettangolari; ma possono avere anche un'altra forma, cuneata o inflessa o altra, secondo la più o meno regolare disposizione rispettiva e il profilo delle superficie opposte delle valve; ma in tal disposizione si avrà sempre in evidenza la zona connettivale ossia la congiunzione delle valve stesse. Questa zona spesso assume dimensioni straordinarie per anelli o per squame intercalari, specialmente nelle specie libero-vaganti. Ancora più complessa risulta la scultura che orna le valve; scultura a punteggiature, a grani, a concamerazioni variamente poliedriche più o meno scannellate. Importanti fra queste ornamentazioni sono quelle in forma di corno più o meno allungato o di setole, che dànno passaggio ai plasmodesmi che si rinvengono nelle forme associate in serie, e le altre in forma di forami o di fessure (rafe) più o meno evidenti e continue lungo tutto l'asse maggiore, che si osservano in quelle specie che vivono in cellule solitarie; aperture della parete cellulare che, permettendo la circolazione dei liquidi nell'intimo del protoplasto, hanno relazione coi fenomeni di movimento proprî di queste forme, soprattutto quando sono solitarie. Propagazione per scissione conducente al nanismo per ripetuto accorciamento delle valve inguainantisi. Dimensioni ristabilite sia in modo vegetativo con emissione ed espansione del protoplasto e formazione di valve maggiori (auxospore), sia per coniugazione, la quale pure può avvenire per emissione del contenuto cellulare dai frustoli vecchi, ed è nota in modo più o meno completo per tutti i tipi. Un caso particolare è poi la coniugazione delle microspore endogene, prodotte tanto per divisione dei protoplasti normali quanto dei protoplasti di auxospore. Le Bacillariee vivono nelle acque dolci, salmastre e marine; ve n'è di neritiche, bentoniche, planctoniche. Notevole la quasi assoluta distinzione fra tutte queste categorie, sebbene specie di un unico genere possano indifferentemente abitare l'uno e l'altro ambiente. Scarsissime le forme terricole e tutte da ritenersi come specie d'acqua dolce adattate. Frequentissime e altrettanto numerose le forme fossili, per le quali è evidente la stessa distinzione morfologica ed ecologica che per le viventi. Notevoli le modificazioni morfologiche in ragione al tenore di esistenza che va dalle forme sessili alle pelagiche.
VIII. Chlorophyceae. - Unicellulari e pluricellulari delle più diverse forme, ma sempre caratteristiche per il contenuto verde o soltanto temporaneamente mascherato da colori protettivi aranciato o rosso. Cromatofori quasi sempre senza eccezione producenti amido, sovente riunito in pirenoidi. Zoospore agamiche per lo più piriformi, munite di due, di quattro o di numerose ciglia tutte uguali di dimensioni, contenenti un cromatoforo in forma tabulare più o meno ricurvata, così da arrivare ad essere uniforme. Questi i caratteri per lo più comuni; però, essendo tali alghe di variabilissimo aspetto, se ne possono aver forme mobili, per lo più flagellate e immobili, o alternativamente tali, semplici, cenobitiche, con colonie in forma sferica, tabulare, poliedrica. Se le cellule sono abitualmente consociate in tessuto, assumono strutture filiformi più o meno definite, lineari, semplici o ramificate, oppure anche si riuniscono in talli più o meno nastriformi o in lamine a uno o più strati. Le cellule infine sono uni- o plurinucleate, e divengono in certi casi veri sifoni senza delimitazione di membrana attraverso tutto lo svolgimento del tallo. I cromatofori, già definiti come tabulari per le forme mobili, se sono abitualmente simili nelle forme sessili più semplici, divengono di struttura più complicata nei casi di più complessa organizzazione; spesso sono suddivisi in masse elementari, e così nel complesso si presentano stellati o reticolati, più o meno invadenti o introducentisi nel citoplasma. Il materiale di riserva è più o meno visibile, raggiungendo la maggiore evidenza quando non vi siano pirenoidi. Riproduzione di indole svariatissima così per propagazione vegetativa, dovuta a zoospore, a spore immobili, come per riproduzione sessuale che in certi casi avviene per copulazione di gameti uguali, perciò isogamica, ma, più di frequente, si manifesta per una vera e propria oogamia con necessarî fenomeni di monecia, diecia e poligamia, presentando in taluni tipi persino fatti di dimorfismo sessuale dei più caratteristici che si conoscano. Nelle acque dolci, salmastre e marine, talune forme adattabili al differente ambiente col variare della specie. Frequentemente terricole e criofile; delle formazioni vegetali criofile costituiscono anzi l'elemento principale fra le nevi montane. Quali componenti la flora subaerea entrano soprattutto a far parte come gonidî nella simbiosi lichenica. Del resto anche fra le specie acquatiche stabiliscono altre forme di simbiosi con infusorî, celenterati e altri organismi. In conclusione le Alghe verdi formano, soprattutto nelle acque dolci e salmastre, parte importante della vegetazione della sponda e della liberonatante in regioni solatie, evitando per lo più la vicinanza di acque inquinate, che però, appena possano abitarvi, purificano con l'attiva funzione clorofilliana. Note anche fossili, tra eui particolare importanza hanno talune alghe sifonate nella costituzione delle Dolomiti e le oogemme delle Caracee, che sono perfino conservate negli strati devonici.
IX. Phaeophyceae. - Pluricellulari assai mutevoli nel loro aspetto, con variazione dei talli da filiformi più o meno ramificati con pochi micromillimetri di lunghezza, costituiti da semplici serie di cellule, fino alle grandi fronde palmate, con struttura istologica assai differenziata; munite di apparati muciferi, mostrandosi con fronde variamente frastagliate, così da simulare lunghissime teorie di foglie o ramoscelli forniti o no di particolari organi di galleggiamento. Le cellule contengono per lo più un solo nucleo e molti cromatofori discoidali semplici o lobati imbevuti di una sostanza colorante bruna, la ficofeina o feofilla; questi conferiscono all'intero tallo una tinta generale giallo bruna o bruno nerastra. Tale sostanza bruna ha una funzione protettiva rispetto all'apparato assimilatore, il quale si trova disposto nella forma e struttura più complicata verso l'esterno, essendo invece i tessuti interni adibiti a riserva delle sostanze assimilate. Quest'ultimo fatto sarebbe in relazione con la tendenza di tali piante a vegetare sulle rive a non grande profondità, o nei posti scoperti dalla marea, o galleggiando, dove il sole illumina almeno a tratto nel modo più intenso. Gli apparati muciferi esistenti nel tallo delle forme più complesse non sono che elementi tubulosi simili ai vasi cribrosi delle Cormofite e di somigliante funzione, servendo al trasporto delle sostanze albuminoidi o di riserva e contenendo spesso zuccheri secondarî. La riproduzione delle Feoficee avviene secondo due tipi principali; nelle Feosporee si hanno: formazione di zoospore agamiche a due ciglia inserite di fianco uno in avanti, l'altra all'indietro, munite di macchia oculare rossa e di unico cromatoforo, originatesi in sporangi uniloculari, in contrapposizione ad altre simili cellule mobili che funzionano da gameti, essendo in tutto uguali tra loro e che si formano in gametangi monoici o dioici o promiscui. Sebbene il gamete femminile appena fissato sia circondato da molti maschili, l'accoppiamento non avviene che fra due soli elementi. Nelle Ciclosporee la propagazione avviene per grosse spore agamiche nude immobili. E nella copulazione si ha netta distinzione fra i gameti: grosse oosfere tondeggianti nude e immobili sono fecondate da piccoli spermatozoidi biciliati.
Le Feoficee sono alghe prevalentemente marine, delle rive e di poca profondità, o galleggianti in enormi ammassi al largo, aiutate da particolari sistemi di vescicole idrostatiche. Di rado osservate nelle acque dolci con poche specie delle meno complicate e di evidente adattamento recente. Sono note anche talune forme fossili, che lasciano per lo più soltanto impronte ben riconoscibili.
X. Rhodophyceae o Florideae. - Pluricellulari, assai mutevoli nell'aspetto della loro fronda, che da quello di filamento cellulare uniseriato più o meno ramificato si complica ai talli di apparenza laminare o fogliacea, talvolta muniti di un apparato simile alla costa mediana, con nervature laterali sopravviventi da un anno all'altro, oppure ai talli abbondantemente calcificati o a quelli ancora più o meno minutamente frastagliati, fioccosi, ramificati, laminari, ciottoliformi, incrostati o di qualsiasi altro aspetto, quasi sempre elegantissimo. Normalmente esse sono colorate in rosso, che può mutare in violetto o rosso bruno, soprattutto se tale colore non venga più o meno modificato dall'incrostazione calcare, la quale spesso raggiunge notevole spessore, o se scolorato dal sole. Tale colorazione è dovuta alla ficoeritrina, pigmento rosso che, insieme col verde della clorofilla, imbeve i numerosi cromatofori contenuti in ogni cellula, i quali sono per ordinario discoidali, di forma ovale o sinuosa. Anche la ficoeritrina sembra avere funzione protettiva dai raggi solari più attinici, ma certamente facilita la vita a considerevoli profondità, dove il colore rosso avrebbe azione di specifico filtro per la raccolta dei raggi chimici, separandoli da quelli, non confacenti, di superiore lunghezza d'onda, che sembrano prevalenti in quelle condizioni di illuminazione. Le cellule sono uni- e plurinucleate, assumendo in questo caso alle volte particolare disposizione e nome di sifoni, e sono certamente tra loro collegate da plasmodesmi più o meno distinti, o dalla semipermeabilità dei setti interposti; congegni atti a mantenere un'uniformità di pressione plasmatica in tutto il loro sistema. Per materiale di riserva si conosce una speeie di amido che si colora in rosso con lo iodio, e si formano pure gocce d'olio. La riproduzione avviene secondo due tipi principali: quello delle Bangiacee, assai più semplice, e quello delle Floridee propriamente dette, che si distingue per l'organizzazione riproduttiva differenziata dal resto del tallo. Nelle Bangiacee esiste una propagazione agamica per monospore immobili e una riproduzione sessuale per spermazî uninucleati privi di mezzi locomotori evidenti, originati da ripetuta divisione (fino a 64 parti) del contenuto dell'unica cellula generatrice divenuta acromatica, e per procarpí (oogonî) formati da lieve ingrandimento della cellula del tallo e da una più o meno evidente formazione di una papilla all'esterno a ricettacolo dello spermazio stesso. Ogni cellula vegetativa sembra atta a trasformarsi in elemento riproduttivo. Notevolmente più complessa diviene la riproduzione nelle vere Rodoficee, dove la propagazione vegetativa si forma in sporangi contenenti grosse aplanospore per lo più in numero di quattro, dette perciò tetraspore, aventi riscontro con quelle delle Dictiotacee (Feoficee). La riproduzione sessuale avviene invece per speciali anteridî detti spermatangi, che sono speciali cellule terminali producenti un solo spermazio privo di flagelli uninucleato attratto da estremità particolari degli organi femminei, i carpogonî, detti tricogini e che servono da organo di copulazione. Così avviene l'anfimissia. Dal carpogonio fecondato non si sviluppano che alcuni sifoni, che sono filamenti sporigeni, o gonimoblasti e dei filamenti involucrali che li circondano. Così formasi un apparecchio detto cistocarpio, che, secondo l'Oltmanns, può ritenersi invece per una generazione alternante agamica, lo sporofito. Organi sessuali e tetrasporangi compaiono sovente in una stessa pianta. ma è frequente l'alternarsi fra piante tetrasporifere con aspetto uguale o differente dalle piante sessuate che sono per solito dioiche; quando tutti questi differenti aspetti della medesima specie non divengano anche diversi dalla fronda vegetativa rimasta sterile e quale s'incontra prima di ogni accenno a maturazione riproduttiva. Dal lato vegetativo le vere Floridee possono anatomicamente venir distinte in due tipi: quello dal filamento monosifonio centrale e l'altro a filamento polisifonio più o meno corticato e pericentrale.
Tale divario, peraltro, non ha valore di carattere tassonomico fondamentale, ma solo ricorrente, alternandosi l'un tipo e l'altro da principio a fondo della interminabile teoria di forme che costituiscono questo mirabili Tallofite.
Alghe prevalentemente marine, fisse, sempre sprovviste di apparati di galleggiamento, così da aderire specialmente a rocce, scogli e altre piante e animali, più o meno stabilmente, spingendosi fino a considerevoli profondità, in ciò aiutate dalla specifica colorazione rossa. Poche per eccezione sono adatte a vita endobiotica con tallo necessariamente apoclorotico e ridotto. Poche specie di recente adattamento sono note per le acque dolci, o sono aerofile, e stanno a vegetare nei punti esposti da vicino all'azione dello stillicidio, dei flutti o dell'aria marina. Importanza notevolissima invece dimostrarono le Corallinacee fossili nella costituzione delle rocce calcaree o dolomitiche, specialmente quelle un tempo chiamate Nulliporee.
Nel quadro naturale va considerata anzitutto la tendenza delle alghe a spingere la loro vegetazione dovunque possa riuscir possibile, anche fuori d'acqua; anzi sono le forme più semplici, da sole o nelle aggregazioni simbiotiche con altri elementi di organizzazione equivalente, quelle che fornirono forse il primo substrato alla vegetazione terricola: senza dire che in tal maniera poterono divenire il primitivo fattore per il consolidamento delle rocce esposte agli agenti atmosferici, e perciò nell'eventualità costituirono una protezione contro ogni loro degradazione. Fenomeno analogo negli effetti, di riparare dai frangenti e dai colpi d'onda del mare gli scogli e le rive rocciose continuamente esposte, offrono ancora le associazioni delle specie di maggior mole e di più complicata struttura; e questo avviene più che tutto per l'azione coercitiva esercitata dalle pseudoradici, che trattengono il rottame, e per le masse spesso voluminose interposte dalle frondi, che attutiscono ogni urto dei colpi di mare, formandovi copertura. I limiti ecologici, entro cui può intendersi normale l'esistenza delle alghe, possono addirittura ritenersi estesi alle stesse regioni dove si rinvenga ogni altra vegetazione autotrofica; ma l'ambiente che deve ritenersi loro caratteristico, è quello delle acque. E da questo derivano le svariatissime fisionomie che possono assumere le differenti associazioni anche di queste piante. Aggruppamenti sempre diversi, a seconda che muta la natura dei luoghi dove si possono osservare: dalla florula nivale e dei ghiacci polari, di cui sono i costituenti principali, al mare di Sargassi; dalle incrostazioni d'aspetto bruno verde o cruento sulle pietre bagnate dei torrenti, che scaturiscono dai massicci montani, alle incrostazioni calcaree delle coralline generatrici nei millennî dei continenti, alle associazioni di diatomee, peridinee e missoficee fluttuanti (plancton), nutrimento ai crostacei e ai pesci. Le acque possono ritenersi ancor oggi l'ambiente naturale prediletto delle alghe e la loro stazione aericola deve considerarsi come un adattamento successivo. La prova di tutto questo si avrebbe dal fatto che non sempre si osserva una specifica distinzione fra la maggior parte delle associazioni terricole e talune delle acquatiche, laddove ben maggiore può considerarsi la differenza che ormai può essere notata fra le associazioni algogiche delle varie regioni marine e quelle d'acqua dolce, così che sono addirittura da considerarsi eccezionali, se pur ve ne sono, quei tipi che estendono la loro adattabilità dalla vita oceanica a quella delle acque sorgive o freatiche. Conclusioni particolari sulla predilezione di un ambiente in confronto di un altro vogliono essere considerate in relazione alle distinzioni ormai stabilite nella classificazione. Non è per altro da ritenersi caratteristico nessun modo di vita per nessun aggruppamento; i varî adattamenti, salvo rare eccezioni, si possono ritenere di antichissima data, e se ne ha conferma nei casi in cui ci si trova di fronte a specie fossili, in massima parte rispondenti o bene paragonabili a quelle che vivono oggi. Questa dunque è la successione con cui vanno considerate le forme delle Tallofite a nucleo ben definito, le sole che al presente debbano ritenersi come autentiche alghe.
Dello stesso parere è F. Oltmanns, che non tiene conto nel suo libro se non di queste, e non considera affatto le Missoficee o Cianoficee con riguardo a tutte le suesposte considerazioni e premesse d'indole morfologica. Solo avendo riguardo al fatto che si vollero fino a quest'ultimo tempo aggregate alle Tallofite che si dissero Alghe in senso lato, e che anzi sovente ancor oggi vengono insieme con le stesse enumerate, qui si riferisce senz'altro anche la più recente classificazione di siffatti organismi. Classificazione la quale, sebbene in quasi tutte le modalità rispecchi quanto già era stato stabilito dai molto anteriori ordinamenti di O. Kirchner per le Natùrliche Pflanzenfamilien, quasi senza mutamento adottati nel volume V della Sylloge Algarum, presenta taluni miglioramenti ottenuti con gli ultimi studî del Wille, del Geitler e di altri in particolare eseguiti per le forme di più semplice organizzazione, tra questi soprattutto per i gruppi affini alle Camesifonacee, e ricorrendo anche all'ausilio della coltura artificiale che bene spesso fu atta a svelare la successione del mutarsi delle forme attraverso alle fasi del ciclo biologico, che non sarebbero state sempre facili a sorprendersi nella loro successione, se osservate nell'ambiente libero:
Le sette principali suddivisioni degli ordini, in parte almeno corrispondenti alle antiche, sono anche nel metodo presente disposte in modo da poter venire aggruppate nelle tre sottoclassi principali: Crococcacee, esseri cellulari singoli o riuniti in colonie senza distinzione d'apice e base sempre tra loro indipendenti; Camesifonacee, esseri prima unicellulari ad apice e base ben distinti, perciò fissati; in seguito anche pluricellulari filamentosi, cellule più o meno intercomunicanti con plasmodesmi, propagazione per ormogonî spesso separantisi per eterocista o elemento disgiuntivo quando questo vi si trovi presente.
Le Missoficee sono semisaprobie o di rado endoparassite e per lo meno adattate ad occupare ambienti d'inquinamento recente, che possono anche contribuire a risanare e a rendere adatti alla vita delle forme schiettamente autotrofe. Formano parte anche esse, al pari delle Cloroficee, della simbiosi lichenica, per la quale anzi molti tipi hanno sicura predilezione.
Usi pratici. - Le alghe possono essere adibite ad usi diversi, e se per taluni di questi lo furono fino dal tempo antico, per altri lo divennero di recente per necessità economica, perfino sotto stimolo degli avvenimenti guerreschi, che posero a contributo ogni accorgimento, anche riprendendo costumanze straniere e fino allora inusitate nei nostri paesi. Le alghe servirono certamente come cibo fino dal Medioevo, almeno in Europa, nei periodi di carestia e di miseria. In Islanda nel sec. XII la saga narra di Egillo salvato dalla morte da sua figlia col Sol, l'elegantissima fronda rossa della Rhodymenia palmata (L.) Grev. - Certo si è invece che una laminariacea, l'Alaria esculenta, venne ripetutamente usata per nutrimento nei paesi e nelle isole dell'Atlantico settentrionale, e che l'uso antico di trarre gelatina dalle fronde delle Floridee appartenenti ai generi Chondrus, Gigartina, Laurencia, Dilsea, e persino dalle Porfire e dalle Ulve, non ha più data nella storia. Così che ancora in farmacologia questo prodotto, che nella lingua dei Celti venne chiamato charrageen, il Fuco Carageo dei nostri aromatarî, porta il nome degli aborigeni: segno certo della consuetudine primitiva.
Però fino a pochi anni fa e forse ancora oggi alcune alghe servirono abitualmente di cibo: Ulva lactuca L. o lattuga di mare (certo per il suo aspetto che ricorda la lattuga) in Bretagna, in Inghilterra e nei paesi vicini viene consumata cruda, condita come l'insalata. Ancora la Rhodymenia palmata J. Ag., che è chiamata dulse dagl'Inglesi, è molto ricercata, specialmente se vegeta sulle rocce e sulle conchiglie piuttosto che sulle laminarie cariche di iodio. Viene confusa con la vera Dilsea (Sarcophyilis) edulis Ag., che porta il nome popolare antico ed è assai gustata anche al presente nel paese di Galles e in Irlanda, ove ne vien anche confezionato un pane, il laver bread. Ma i paesi dove l'uso delle alghe come nutrimento trova tuttora il massimo delle applicazioni sono il Giappone, la Cina, le isole Hawaii, insomma, più o meno, tutte le regioni dell'Oceano Pacifico, specialmente le coste asiatiche e le isole della Polinesia. Chichou o hai-tsai è il prodotto di rigonfiamento delle specie di Gloiopeltis Suring., usato in Giappone per nutrimento, come venne osservato fino dal principio del secolo scorso. Ma molte altre alghe erano usate per cibo; come le Porphyrae, le Enteromorphae. Certo si è che tuttora i Giapponesi (dove il nome di alga viene dato dal suffisso -nori) possono ritenersi i maestri dell'arte di coltivare, raccogliere, preparare, confezionare e commerciare tali nutrimenti; come possono darne un'idea notevolissimi studî di Perrot e Gatin e di Yendo, ove qualche centinaio di specie diverse sono elencate quali materie prime di una lunghissima serie di commestibili e di prodotti farmaceutici, che tutti portano un nome particolare. Principali specie sfruttate, secondo Yendo, sono Undaria pinnatifida, Gigartina lancifolia, Ecklonia radiata, raccomandata da un'antica enciclopedia giapponese a sostituire il riso in momenti di carestia; molte specie di Laminaria, fra cui talune endemiche, diverse specie di Nemalion e Mesogloia, con un movimento commerciale, nel 1914, di 800.000 sterline, di cui 100.000 per l'esportazione cinese. Particolari coltivazioni delle Porfire, simili a quelle usate per le ostriche, si hanno presso Tokio. Altre specie sono importanti, come talune Enteromorfe e taluni Codium, usati nelle Hawaii sotto il nome di limu, secondo descrive dapprima il Gaudichaud e cinquant'anni dopo il Setchell. Il musco o agaragar di Ceylan, commerciato anche in India, ricco di sostanze amilacee, pare sia il principale ingrediente dei nidi della rondine marina salangana, una leccornia cinese; la yuyucua degli abitanti delle Ande equatoriali è un Nostoc, detto perciò edule da Berkeley e Montagne; gli spaghetti turchi di Palermo non sono che le fronde del Nemalion lubricum; infine l'orribile ampo o tanahampo dei Giavanesi di Samarang, la terra edule, è costituita da sedimenti di diatomee quaternarie, ed è stata prima descritta da G. G. Ehrenberg, poi più completamente da Stefanini e da altri; queste sono le più note fra le alghe, usate in antico, se non forse al presente per cibo. Queste tallofite furono poi usate come mangime per gli animali; anzi nel 1919 il Lepicque faceva noto all'Accademia di Francia che per i cavalli l'avena poteva utilmente sostituirsi per peso a secco con le fronde di Laminaria delle coste atlantiche. Certo si è che Gunnar, vescovo di Trondhjem (1766) e la Flora danica dettero alla Rhodymenia palmata, la Floridea che calmò anche in Islanda l'inedia del principe Egillo, il nome rispettivamente di Fucus ovinus e di Fucus caprinus evidentemente perché usata come foraggio; e che Linneo trova in Gotlandia il Fucus vesiculosus, misto con farina, usato a ingrassare i maialetti. Giuseppe Meneghini (1838) afferma poi che codesta stessa pianta durante l'inverno è usata in Islanda per pasto a cavalli, buoi e pecore; quivi e pure altrove, Fucus serratus e Chorda filum si dànno in pasto alle pecore, e Laminaria saccharina ai giumenti e ai buoi.
Inutile aggiungere poi che molte alghe possono servire di cibo abituale ai pinnipedi sirenoidi, come i lamantini o le ritine - i quali debbono a questo probabilmente la bontà delle loro carni come cibo - a molti pesci e tartarughe sia d'acqua dolce che di mare. Un cenno è da farsi da ultimo delle cosiddette ostriche verdi di Marennes, il cui colore è dovuto alla presenza di una sottilissima diatomea che s'insinua nel mantello dei molluschi (Navicula [Vibrio] ostrearia Gaill.). Ma meglio che quale cibo, le alghe possono essere ritenute utili materie prime per i prodotti che contengono: la soda, la potassa, lo iodio e il bromo, e specialmente per il terzo, di cui costituiscono una delle fonti d'estrazione. Le ceneri di varec o varech, fin da tempo antichissimo, ottenute per combustione dei talli dei Fucus e delle alghe brune affini che vivono promiscue, sono raccolte sulle coste brettoni e normanne, dànno per lisciviazione la soda sotto forma prevalentemente di carbonato, che vi si trova nella proporzione perfino del 70% delle ceneri; essendo il rimanente formato da altri sali di potassio e di sodio: ioduri e bromuri, i quali servono pure all'estrazione dei metalloidi alogeni stessi. Tali ceneri vengono inoltre usate similmente sulle coste delle isole britanniche, col nome di kelp, per l'estrazione dei medesimi prodotti.
Kelp vengono chiamate anche in America le grandi Fucoidee neritiche del Pacifico: Nereocystis Luetkeana (verso nord), Macrocystis pyrifera (verso sud) con circa 0,30‰ di cloruro potassico e dall'1,5 al 3‰ di iodio. Tanto quest'ultimo metalloide quanto il bromo, che si trovano nelle ceneri sotto forma di sali basici, ne vengono spostati e ridotti semplicemente per l'azione diretta del cloro. - L'estrazione dello iodio prima si faceva quasi per intero in Scozia, oggi si fa quasi tutta in Giappone. Un altro prodotto d'estrazione delle alghe è detto algina, un sale sodico in cui principio attivo è l'acido algenico o alginico, usati da poco tempo l'uno e l'altra come mordenti o appretti per tessuti e cellulosa da colorarsi. Gli altri sali derivanti da questo, detti alginati o alginoidi, presentano l'importante proprietà di attraversare impunemente lo stomaco senza venire intaccati dal succo gastrico. I più usati sono l'alginato di bismuto astringente al pari del nitrato basico; l'alginato ferrico col 10% di ferro metallico, preparato marziale di facile assorbimento. Analogo prodotto è la norgina che svolge ammoniaca, scaldata con potassa, ed è quindi forse il prodotto ammonico dello stesso acido organico.
Anche in farmacia o nella tecnica in generale l'estrazione della sostanza gelatinosa viene usata per varie applicazioni. Così il charragheen suddescritto, chiamato pure musco d'Irlanda, che si vende in lamelle secche bianche o giallognole di odore debole e sapore mucillaginoso, rigonfiato nell'acqua calda, da gelatina utile per mordenti di tessuti, e colla per carta. Serve per dar corpo alla birra e inspessire i colori; è usato per cataplasmi e suppositori, persino per bandoline da parrucchieri (cataplasma di Lelièvre, ovatta impregnata di mucillagine); sostituisce l'ittiocolla nei più varî usi: confezione degli ovuli, delle pillole e simili. Ma le applicazioni più importanti della gelatina vegetale si hanno nella tecnica batteriologica e nella chiarificazione delle melasse, dei siroppi, dei vini e di altri liquidi da rendere trasparenti. In batteriologia viene particolarmente usato l'agar-agar (tratto dalle fronde delle Floridee, la mousse de Chine di Payer, 1859) come sottostrato di coltura, a sostituire il brodo o la gelatina animale, dando rispettivamente un decuplo rendimento degli altri mezzi, ossia di cinquecento volte tanto rigonfiato in acqua. Questo agar-agar non va confuso col precedente agar-agar o muschio di Ceylan, che è formato da Gracilaria lichenoides, o coll'agar-agar di Giava o alga spinosa da Euchema spinosum; l'agar-agar o muschio giapponese detto anche in farmacia ittiocolla vegetale, gelosio o gelosina, è fatto con specie di Gelidium, Gloiopeltis e di altre Floridee; usati anche per preparazioni gastronomiche e farmacologiche, fra le prime delle quali è assai diffusa quella varietà usata a sofisticare le gelatine di frutta che, non di rado, è riconoscibile per la presenza nel deposito dei frustoli di diatomee (Arachnoidiscus japonicus).
Il Fucus vesiculosus L., sotto il nome di etiope vegetale, veniva anticamente usato anche contro la gotta, il cancro, le scrofole e il gozzo; gli antichi lo avevano raccomandato anche nelle cure contro l'obesità o come rinfrescante, al pari di quello che si faceva per Cystoseira Hoppii C. Ag., forse in base al loro contenuto iodico. Oggi non si estrae più il belletto dal Plocamium coccineum, che era creduto in tutto innocuo alla pelle dalle Romane dell'impero.
Le alghe sono pure impiegate anche oggi quali leggieri antielmintici, e viene a tale scopo soprattutto impiegata la cosiddetta corallina di Corsica, una mescolanza di Floridee, con prevalenza di Alsidium helminthochorton Ktz., che viene per l'appunto raccolta in Corsica, Sardegna e Sicilia e serve come ingrediente ai siroppi e alle pozioni di santonico e di arancio amaro. Al fine dovrebbe servire anche la vera Corallina officinalis L. di tutti i mari di Europa con effetti peraltro ancora più scarsi tanto che, da soli, tali farmaci non si somministrano che per gli ossiuri e le ascaridi.
Sono usati in medicina gli stipiti delle Laminarie (Laminaria Cloustoni) per dilatare canali (uretra, seni fistolosi e soprattutto il collo uterino), profittando del loro potente rigonfiamento, se bagnati dopo l'introduzione. Di scarsa importanza è poi l'estrazione della mannite, che cristallizza alla superficie delle Laminarie lavate e fatte seccare all'aria, come viene fatta in Scozia, perché migliore e più abbondante è quella del frassino.
Tralasciando di accennare ad altre consuetudini di ancora minore importanza: di alcune cloroficee e missoficee (Meterpapier) atte a confezionare o ad essere utilizzate a fare la carta; della Chorda filum in Inghilterra usata a fabbrica dei cordami; della estrazione, che risale fino al tempo classico, del fuco o porpora, da tingere o scrivere, meraviglioso colore dapprima solubile nell'acqua dolce, dalla Rytiphloeati nctoria; si usano talune delle maggiori forme come combustibili e contemporaneamente vengono utilizzate in Norvegia, secondo il Harvey, per l'affumicamento delle carni suine o dei pesci, senza considerare che altrove talune di queste ultime vengono utilizzate a formare il crine vegetale marino usato per imballaggi e imbottitura soprattutto dei materassi, dove le fronde di Macrocystis e di Sargassum sovente sostituiscono quelle di Zostera e Posidonia, fanerogame marine di solito usate a tale scopo. Ma soprattutto resta ad accennare all'importanza assunta da non molti anni dalla produzione del kelp americano di Nereocystis e di Macrocystis già prima descritto, produzione eseguita su vasta scala. Vengono dunque incenerite tali alghe a tonnellate, approfittando del loro forte contenuto di cloruro potassico, data la sua notevole proprietà fertilizzante. Tale uso delle ceneri delle alghe marine come concime veniva da gran tempo praticato anche in Bretagna con le ceneri di varech, che non venivano adoperate per gli altri scopi predescritti, con le ceneri delle Laminarie (Goemons) e con le alghe calcaree, specialmente Litotamniee (Maerl), sparse sui campi. Infine vogliono essere nominati il tripolo o tripoli, formato di gusci silicei di Radiolarie e di Diatomee per lo più marini, detto anche terra inglese, proveniente dalla Boemia, Hannover, Francia, Inghilterra, Sicilia, Chile, ecc., gialliccio o rossastro, di apparenza terrosa, che serve alla pulitura dei vetri, alla brunitura dei metalli o simili usi; e ancor meglio la farina fossile (Kieselguhr, Bergmehl, Randanite) pur essa dovuta a scheletri silicei di Diatomee quasi sempre in formazioni quaternarie o subfossili d'acqua dolce (Lüneburg, Klicken, Alvernia, Stati Uniti, Santafiora sul Monte Amiata, ecc...), usata principalmente per la sua proprietà di coibente del calore nella fabbricazione della dinamite, essendo anche assorbente e leggiera. Serve perciò opportunamente come isolante delle condutture termiche, per la preparazione dei mattoni refrattarî e come imballaggio sicuro e diatermane. Viene anche adoperata come filtro ad ottenere la chiarificazione dei liquidi specialmente nell'industria degli zuccheri, come il charrageen, nonché per la pulitura e levigazione dei metalli (v. abrasivo).
Bibl.: È impossibile dare un quadro bibliografico, essendo estesissima la letteratura e oltremodo mutevoli i limiti in cui è compreso il concetto di alga. Si elencano poche opere valevoli per repertorio e altre che hanno almeno in parte servito per la redazione del presente articolo.
F. T. Kuetzing, Tabulae Phycologicae, Nordhausen 1845-1871; J. C. Agardh, Species, Genera et Ordines Algarum, Lund-Lipsia 1848-1901, I-III; G. B. De Toni e D. Levi, Notarisia. Commentarium phycologicum, Venezia 1886-1890; J. B. De Toni, Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum, Padova 1889-1907, 1924; G. B. De Toni, La nuova Notarisia, Padova 1890-1924; A. Engler e K. Prantl, Die natürlichen Pflanzenfamilien, Berlino-Lipsia 1900-1911; E. Strasburger, L. Jost, H. Schenck e G. Karsten, Trattato di botanica, 2ª traduzione italiana sulla 11ª ed. tedesca, Milano 1913; C. Sauvageau, Utilisation des Algues Marines, in Encyclopédie Scientif., Parigi 1920; F. Oltmanns, Morphologie und Biologie der Algen, Jena 1922-1923; G. V. Villavecchia, Dizionario di merceologia e di chimica applicata, Milano 1923-1926; P. Allorgee e G. Hamel, Revue Algologique, Parigi 1924; R. Wettstein, Botanica sistematica, traduzione italiana di A. Poli, Torino 1926, I; Pia Iulius, Pflanzen als Gesteinsbildner, Berlino 1926.
Le alghe come concimi. - Le alghe lanciate e ammucchiate dal mare sulle coste sono un conveniente concime per le campagne adiacenti, in quanto portano nel terreno, insieme con la materia organica e inorganica di cui sono costituite, i residui di animali lacustri o marini in esse inclusi.
In Italia hanno particolare importanza le varie specie di Cystoseira usate a Imperia, la Laurentia papillosa o alga turca di Palermo, la Jania rubens o corallina della spiaggia ligure e la Phycoseris australis o alga verde di Sicilia. Accanto ad esse trovano anche impiego altre piante marine, impropriamente chiamate alghe, quali, per esempio, la Posidonia oceanica, diffusissima lungo le coste della nostra penisola, e la Zostera marina, conosciuta a Palermo col nome di alga taglierina e a Cagliari con quello di barranco. Nella seguente tabella è data la composizione media di questi vegetali:
Anche in Francia, lungo le coste dell'Atlantico, queste alghe sono molto usate. Talvolta si sotterrano nel terreno allo stato fresco, dopo aver lasciato sgocciolare l'acqua marina; talvolta si lasciano sotto la pioggia per liberarle della maggior parte del cloruro di sodio, che nocerebbe alla vegetazione; a volte ancora si lasciano a sé per lungo tempo a fermentare. In quest'ultimo caso, il materiale decomposto s'incorpora meglio e più uniformemente al terreno; si va però incontro ad una notevole perdita di azoto
Lo stesso inconveniente è da lamentare quando, piuttosto che usare direttamente le alghe, si preferisca usare come concime le loro ceneri. In tal caso si effettua una vera concentrazione degli elementi fertilizzanti e si evitano gravi spese di trasporto, ma dell'azoto non rimane che un residuo di 0,4%. Il sistema non è dunque consigliabile.
Sestini, in Annali della R. Stazione Agraria di Roma, V (1875), p. 1; VI (1876), p. 99; VII (1877), p. 1; Musso, in Le Staz. sper. agr. ital., IX (1880), p. 139; Del Torre e Bomboletti, in Annali della R. Stazione agraria di Roma, VIII (1878-1879), p. 53; Gabrielli, in Le Stazioni sperimentali agrarie italiane, XXXV (1902), p. 642; F. Pio Bonuccelli, ibidem, XXXIV (1903), p. 1.
Le alghe nel terreno. - Per lo più si riscontrano delle diatomee e delle alghe verdi o azzurre. Esmarch, Robbins, Petersen e Bristol studiarono rispettivamente le alghe dei terreni dello Schleswig-Holstein, delle colonie tedesche dell'Africa, dei terreni del Colorado, dei terreni danesi e inglesi; la vita di questi organismi si svolge sino a 30 centim. di profondità dalle superficie libere, e in qualche caso sino a 60, senza particolare differenziazione fra le specie che vivono negli strati superficiali e quelle degli strati profondi.
Le loro funzioni si riassumono in una partecipazione attivissima ai processi biologici del terreno. Infatti: a) agiscono da accumulatori d'idrati di carbonio e di energia, se vivono negli strati superficiali; agiscono in senso inverso, se vivono negli strati profondi; b) sono capaci di assimilare l'azoto atmosferico (Franck, Schloesing e Laurent, Moore e Webster); c) agevolano l'attività degli azobacterî (Kossowitsch, Nakano, Bouilhac e Giustiniani, Pringsheim); d) assimilano l'azoto inorganico (ammoniacale o nitrico) e lo convertono in azoto organico (Gautier e Drouin); e) fissano il carbonio dell'anidride carbonica, svolgendo ossigeno: dall'immediato contatto di questo gas con le radici deriva un notevole giovamento alle piante, a quelle soprattutto dei terreni torbosi (Harrison e Ayer).
Bibl.: Gautier e Drouin, in Comptes-Rendus Ac. Science., CVI (1888); Franck, in Ber. d. bot. Ges., VII (1889); Schloesing e Laurent, in Ann. de l'inst. Pasteur, VI (1898); Kossowitsch, in Bot. Zeit. (1894); Bouilliac, in Comptes-Rendus, CXXXVII (1903); Esmarch, in Jahrb. der hamb. wiss. Anstalt, XXVIII (1910) e in Hedwigia, IV (1914); Robbins in Bull. 184 Agric. Exp. Stat. Colorado (giugno 1912); Petersen, in D. Kgl. Danske Vidensk. Selsk. Skrifter, 7 e in Naturv. og. Mathem. XII (1915); Nakano, in Journ. of Coll. Science Imper. Univ. Tokio, XL (1917), in Annals of Botany, XXXIV (1920); Moore e Webster, in Proc. Roy. Soc., Londra (1920-21); Pringsheim, in Colon's Beitr. Biol. d. Pflanzen, XII.