ALFURI (Alfourous, Alfuren "gente della foresta")
Termine collettivo usato dalle popolazioni costiere più progredite delle Molucche a designare le tribù più primitive dell'interno di tali isole (Halmahera, Sula, Buru, Ceram, ecc.). Esso non designa una determinata tribù o popolazione e nemmeno un gruppo etnico o linguistico omogeneo, ma, al pari del termine Toragia ("gente dell'interno") per l'isola di Celebes e di Dayak per l'isola di Borneo, esprime soltanto il contrasto fra le genti islamizzate o cristianizzate della costa e delle pianure coltivate e le genti più primitive della giungla e della montagna, fra Malesi e Indonesiani. Gli Alfuri comprendono infatti anche sotto il riguardo linguistico tribù diverse, parte malesi, parte austro-asiatiche. Per la loro cultura rappresentano uno stadio di poco avanzato su quello della raccolta, caccia e pesca, le quali conservano una parte cospicua nei mezzi di sussistenza, mentre l'agricoltura ha poca importanza. È da rilevare altresì che gli Alfuri, nella maggioranza delle tribù, non tessono e non lavorano il ferro, ma ricevono gli oggetti lavorati dai loro vicini più civili. Molti altri particolari dell'esistenza materiale collocano tali tribù in uno stato assai arcaico delle culture dell'Insulindia; la caccia alle teste, per la raccolta dei cranî-trofei, tipico costume indonesiano, è, o piuttosto era, attivamente praticata. Nel loro aspetto fisico, che non è d'altra parte omogeneo, ma non si allontana sostanzialmente dal tipo medio indonesiano, si sono segnalati talvolta alcuni caratteri papuani o papuanoidi: ma osservazioni esatte mancano. Erroneamente, in ogni modo, il nome di Alfuri è esteso da alcuni autori (anche dal Deniker) a popolazioni di Celebes o della Nuova Guinea occidentale.
Religione. - Gli Alfuri hanno credenze e riti di tipo animistico (anche la caccia alle teste ha radici nell'animismo) su cui si sono sovrapposti elementi di origine islamica (arabo ginn per designare gli spiriti a Halmahera; Opo Lahatah [cioè Allāh ta‛ālā] come nome dell'essere supremo a Buru, col suo profeta Nabiata, dall'arabo nabī). La figura dell'essere supremo (che a Buru si chiama altresì, in termini indigeni, Opogeba-snulat "il Signore che forma gli uomini") s'incontra pure presso gli Alfuri delle altre isole (come anche nel resto dell'Indonesia): Upu Langi od Upu Lanite a Ceram, Upu Lanito ad Ambon (Amboina) ecc. Questi nomi significano "Signore Cielo" (Langi "cielo"), cioè il cielo personificato, e caratterizzano dunque l'essere supremo degli Alfuri come essere celeste. Infatti Upu langi dimora sul firmamento dove sono le nebbie e dove nasce il vento; Upu lanito produce il tuono e il fulmine quando negli spazî aerei muove guerra agli spiriti maligni, mentre le stelle sono segnali da lui sparsi nel firmamento per mettere in guardia il sole e la luna contro gli assalti degli spiriti; Djohu-ma-di-hutu, "il Signore lassù", detto anche Gikkimoi "padre universale", l'essere supremo degli Alfuri di Halmahera, "abita sopra le nubi", ch'egli ha poste come schermo per proteggere la terra dal fuoco di cui le regioni superne sono piene. Attributo comune agli esseri supremi sopra menzionati è l'onniveggenza e l'onniscienza, onde essi sono invocati come testimoni nei giuramenti e ordalie e come vindici contro gli spergiuri. Per quanto abbia subito influssi estranei e per quanto mostri una certa tendenza ad assimilarsi col sole, l'essere supremo celeste degli Alfuri risale verisimilmente a una fase arcaica della credenza religiosa, come dimostra anche la sua frequente associazione con la terra (Upu Tapene a Cerma, ecc.), nel noto e diffusissimo binomio cosmico di Cielo e Terra.
Bibl.: K. Martin, Reisen in den Molukken, Leida 1894, II; J. M. Baretta, Halmaghera en Marotai, Encyclopaedisch Bureau, XIII, Batavia 1917; O. D. Tauern, Patasiwa und Patalima: vom Molukkeneiland Seran und seinen Bewohnern, Lipsia 1918; A. C. Krujit, Het animisme in den Indischen Archipel, L'Aia 1906; G. A. Wilchen, Het animisme bij de Volken van den Indischen Archipel, Amsterdam 1884, 1885, voll. 2; C. F. H. Campen, De goldsdienstbegrippen der Halmaherasche Alfaren, in Tijdschrift voor indische taal-, land-, en volkenkunde, XXVII (1882), p. 438 segg.; XXVIII (1883), p. 337 segg.; XXX (1885), pagina 437 segg.; A. C. Kruijt, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, VII, p. 250 segg.; con l'amplissima bibliografia del Frazer; R. Pettazzoni, Dio: formazione e sviluppo del monoteismo, I, L'Essere celeste, ecc., Roma 1922, pagina 136 segg.