RUFFO, Alfredo
– Nacque a Napoli il 7 aprile 1915 da Alfredo, proprietario terriero e imprenditore, e da Amalia Arena, crocerossina. Il padre morì un mese prima che nascesse, per cui il figlio prese il suo nome. Definito «un gentiluomo napoletano d’antico stampo» (Afeltra, 2002, p. 37), discendeva dai marchesi Ruffo di Calabria; e la madre fu per tutti sempre la marchesa Amalia. Sposò Adriana Landi, da cui ebbe tre figli: Giorgio, Barbara e Brigida.
Compì la formazione di base nella sua città natale e intraprese gli studi di medicina all’università, dove, sotto la guida di Gaetano Quagliariello (1883-1957), cominciò a occuparsi di biochimica, che divenne il suo principale interesse scientifico. Fu professore nelle Università di Camerino, Perugia, Pavia e Napoli, dove divenne preside della facoltà di farmacia. A Napoli, negli anni Settanta, diresse il Laboratorio internazionale di genetica e biofisica (LIGB); contribuì anche a organizzare la ricerca presso la Fondazione Pascale, istituto per lo studio e la cura dei tumori.
A segnare la formazione e la carriera professionale di Ruffo furono probabilmente due principali elementi. Il primo fu la sua appartenenza alla scuola napoletana di Quagliariello, che di fatto fece di lui un militante del gruppo di lavoro che tenne a battesimo la biochimica moderna in Italia.
Proseguendo l’opera svolta nei primi decenni del Novecento dal maestro e collega Filippo Bottazzi (1867-1941), Quagliariello occupò infatti la prima cattedra universitaria di biochimica e si mosse, insieme a discepoli e collaboratori, nell’ottica di un rinnovamento teorico e metodologico della disciplina, rendendola autonoma rispetto alla fisiologia. Ruffo svolse un ruolo importante in questa vicenda scientifica e culturale.
Il secondo elemento importante nella sua formazione fu il periodo di studio all’estero svolto alla fine degli anni Quaranta. Fu dapprima ad Aberdeen in Scozia (1947-48), nel laboratorio del biochimico Cyril N.H. Long; poi presso il dipartimento di biochimica dell’Università di Sheffield (1948), accanto a Hans Adolf Krebs (1900-1981). Quest’ultimo lavorava allora al filone di studi che lo avrebbe condotto al premio Nobel per la medicina nel 1953 per la scoperta del cosiddetto ciclo degli acidi tricarbossilici (o dell’acido citrico, come da lui chiamato) che porta il suo nome. Anche Ruffo si occupò a più riprese di vari aspetti concernenti le modalità con cui le cellule viventi producono e utilizzano energia.
Riguardo agli stimoli culturali che fecero da sfondo alla sua vita professionale, Sandro Pontremoli, nel necrologio per l’Accademia dei Lincei, osservava: «Ruffo dunque si forma scientificamente nella nuova frontiera di ricerca che si pone allora come obiettivo quello di esplorare i processi biochimici degli organismi viventi. Una sfida che certamente deve aver appassionato un giovane ricercatore che si trova a partecipare a una nuova esperienza di lavoro in cui alla curiosità di studioso si aggiunge l’entusiasmo per un’attività pionieristica nel contesto di una nuova scienza. Credo che all’epoca molti ricercatori, e Alfredo tra questi, hanno percepito il fascino, l’attrazione di essere protagonisti di questa avventura» (Pontremoli, 2004, p. 19).
Sul versante di studi e ricerche svolte da Ruffo, è possibile distinguere diversi periodi lungo un arco temporale che va dal 1938 al 2002. I primi lavori svolti sotto la guida di Quagliariello, nel periodo 1938-46, riguardarono natura chimica, distribuzione e attività in diversi organi di enzimi, tra cui le fosfatasi e l’arginasi; si occupò inoltre di alcune reazioni intermedie del metabolismo ossidativo, incluso quello dell’adenosina trifosfato (ATP) anche in relazione a glucosio e glicogeno.
Negli anni 1946-47, presso la stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli collaborò con Alberto Monroy (1913-1986) a ricerche sulla biochimica della fecondazione in uova di riccio di mare (Ricerche sulla fisiologia della fecondazione (parte seconda), in Pubblicazioni della Stazione zoologica, 1946, n. 20, pp. 253-269, con A. Monroy). Essi individuarono nell’enzima ialuronidasi prodotto dagli spermatozoi il fattore fluidificante responsabile di un evento chiave del processo di fecondazione: l’idrolisi della capsula gelatinosa che avvolge l’uovo di riccio di mare. I risultati furono pubblicati anche su Nature (Hyaluronidase in sea urchin sperm, in Nature, 1947, n. 159, pp. 603-605, con A. Monroy).
Durante la permanenza nel Regno Unito e al suo rientro in Italia, tra il 1947 e il 1956, cominciò a occuparsi di biochimica della respirazione, argomento che sarebbe tornato anche nei suoi successivi lavori, e di fosforilazione ossidativa in tessuti normali e neoplastici di ratto.
Nel ventennio successivo, 1956-76, seguirono studi di grande rilievo anche per le implicazioni che possiedono a livello generale. Alcune di queste indagini si focalizzarono sul meccanismo dell’inibizione esercitata dal gliossilato sulla respirazione cellulare dei tessuti animali, che si manifestava con l’accumulo di acido citrico, nonché di vari suoi intermedi coinvolti nel ciclo di Krebs. I risultati ottenuti permisero di ipotizzare una reazione di condensazione del gliossilato con l’ossalacetato, con la formazione di un nuovo acido tricarbossilico, l’acido ossalomalico (OMA, OxaloMalate Acid), quale effettivo responsabile della inibizione dell’ossidazione e dell’accumulo di citrato. Si trattò di «una scoperta importante – come osserva Pontremoli – che aprì nuove linee di ricerca e che stabilì non soltanto la presenza di un nuovo composto biologico, ma il suo ruolo quale regolatore di importanti processi metabolici» (Pontremoli, 2004, p. 20).
Nel periodo 1977-2002, coadiuvato da discepoli e collaboratori, Ruffo compì una serie di studi sugli effetti dell’OMA su diversi fronti, tra cui crescita, trasformazione e differenziamento cellulare; il metabolismo energetico in connessione con la presenza o assenza di varie molecole organiche e inorganiche; la funzione di regolatore di processi cellulari.
Dal primo punto di vista, egli dimostrò che l’interruzione dell’ossidazione del citrato a causa dell’OMA, sintetizzato nelle cellule animali grazie alla presenza di precursori come il gliossilato e l’ossalacetato, causa inibizione della crescita cellulare, accumulo di citrato e aumento della sintesi di acidi grassi, accelerando il differenziamento di adipociti. Dal secondo punto di vista, fu individuato un influsso dell’OMA su processi mitocondriali essenziali e quindi sul metabolismo energetico, tra l’altro con una conseguente deviazione dei substrati del ciclo citrico verso altre vie metaboliche. Dal terzo punto di vista, Ruffo osservò che esso svolge un ruolo regolatore di eventi citosolici, quali la traduzione di specifici mRNA e l’omeostasi del ferro, anticipando l’idea di un ruolo protettivo dell’OMA sullo stress ossidativo ferrodipendente.
La sua incessante attività di scienziato militante è stata dunque ricca di risultati significativi che hanno contribuito non poco all’ampliamento e al consolidamento delle conoscenze nel settore della biochimica, nonché della fisiologia generale. Le sue pubblicazioni sono state oltre trecento, collocate perlopiù su riviste internazionali e nazionali. Ruffo fu anche autore di manuali: si segnalano una monografia sul ciclo di Krebs (Il ciclo citrico e la sua regolazione, Padova 1988), un manuale di biochimica scritto in collaborazione con Rodolfo Margaria (Principi di biochimica e fisico-chimica fisiologica, Milano 1966) e la cocuratela svolta con Carlo Ricci e Pietro Volpe degli atti di un congresso italo-sovietico su biochimica e fisiologia cellulare tenutosi a Siena nell’ottobre 1982, pubblicati come volume monografico dei Quaderni de La ricerca scientifica (n. 113) del Consiglio nazionale delle ricerche (Macromolecules in the functioning cell. Proceedings of the III Soviet-Italian symposium..., Siena... 1982, Roma 1984).
Affabile e garbato, fu molto attivo a livello culturale. Fra le sue amicizie si ricorda quella con lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte. Fu accademico dei Lincei; ottenne diversi riconoscimenti, tra cui il premio I maestri della medicina istituito dalla Farmitalia-Carlo Erba. Nelle motivazioni del comitato promotore egli è definito «un protagonista della Biochimica moderna, che ha saputo trasmettere una sintesi critica nel turbinoso crescere delle conoscenze, infondendo negli allievi la volontà e il piacere di scegliere e di perseguire con rigore tematiche di ricerca» (citato in Picardi, 2002). Il titolo di professore emerito gli permise di continuare la sua attività di laboratorio fino ai giorni precedenti alla sua scomparsa. Per chiudere con le parole di Tina Pietropaolo, allieva e poi collega di Ruffo all’Università Federico II, egli fu «un professore e allo stesso tempo un maestro; una personalità di grande rilievo scientifico e umano» (ibid.).
Morì a Napoli il 3 ottobre 2002.
Fonti e Bibl.: G. Afeltra, R., il gentiluomo della chimica, in Corriere della sera, 18 ottobre 2002, p. 37; I. Picardi, Napoli ricorda R., maestro di biochimica, in l’Unità, 8 ottobre 2002; F. Ghiretti, La biochimica nella Stazione zoologica di Napoli nei primi cento anni dalla fondazione dell’istituto, in Id., La mangusta e il cobra. Scritti di storia (in)naturale, a cura di O. Longo, Pisa 2004, pp. 73-82; S. Pontremoli, A. R., in Rendiconti Lincei. Supplemento, s. 9, 2004, vol. 15, pp. 15-22.