NICEFORO, Alfredo
NICEFORO, Alfredo. – Nacque a Castiglione di Sicilia, il 23 gennaio 1876, da Nicolò e da Clotilde Campioni.
Il padre, noto giurista, ricoprì la carica di presidente della corte d’appello di Palermo e ricevette diversi incarichi ministeriali. Tuttavia acquisì fama soprattutto per la sua produzione letteraria: gran parte delle sue opere, firmate con lo pseudonimo Emilio del Cerro, si basavano su documenti conservati negli Archivi di Stato di Firenze e Roma, e intrecciavano ricerca storica e letteratura.
Niceforo ereditò dal padre tanto l’amore per la letteratura quanto quello per gli studi giuridici. Lettore avido degli autori classici (soprattutto Orazio, Cicerone, Quintiliano), di scrittori francesi e russi ottocenteschi (da Balzac a Dostoevskij), fu conoscitore approfondito anche di Dante e della Commedia, di cui avrebbe offerto poi una lettura originale nel testo Criminali e degenerati dell’Inferno dantesco (Torino 1898).
Studiò a Firenze, a Perugia e all’Università di Roma – dove ebbe occasione di seguire il corso di antropologia di Giuseppe Sergi, fondatore della Società romana di antropologia e dedito alla psicologia sperimentale – laureandosi infine a Napoli nel novembre del 1897. Nello stesso anno diede alle stampe la sua prima opera monografica, La delinquenza in Sardegna (Palermo 1897), in cui coniugava il metodo tassonomico appreso da Sergi con i dettami della sociologia criminale.
Frutto delle indagini svolte sull’isola nei due anni precedenti, per conto della Società geografica italiana e della Società romana di antropologia, il volume individuava l’esistenza di una particolare «zona delinquente» in Sardegna, determinata, secondo l’autore, dall’azione combinata di cause individuali e ambientali. Inaugurava, così, un approccio che teneva insieme l’interesse per i caratteri antropologici, fisiologici, psicologici degli individui e contemporaneamente per l’ambiente – familiare e sociale – in cui le persone sono «avvolte», che caratterizzò in modo originale gran parte della sua opera successiva.
Negli anni immediatamente seguenti approfondì lo studio delle classi popolari, sempre coniugando antropologia e sociologia criminale. A La mala vita a Roma (Torino 1898, con Scipio Sighele; rist. anast., Sala Bolognese 1987), perlustrazione dei bassifondi della capitale, seguì Italiani del Nord e italiani del Sud (Torino 1901, ma precedentemente apparso in La rivista moderna, II [1899], 3-4; III [1900], 2), in cui ricorse sapientemente ai dati statistici (da quelli relativi alla diffusione dell’analfabetismo al numero degli iscritti alle scuole di ogni genere e grado e a quello degli sposi capaci di sottoscrivere il loro atto nuziale, passando per gli indici di diffusione dei periodici e delle produzioni intellettuali) per dimostrare il differente grado di civiltà delle regioni settentrionali e centrali, da una parte, e regioni meridionali e insulari dall’altra, che l’autore legava strettamente a un minor desiderio di istruzione delle popolazioni del Sud.
Da allora in poi, il ricorso al metodo statistico divenne fra gli strumenti d’indagine privilegiati: utile a ricercare le regolarità – da quantificare e classificare – presenti nei fenomeni sociali e nei ‘fatti collettivi’, compresi gli indici del progresso e del grado di civilizzazione di gruppi sociali, popolazioni, razze, aree geografiche. Oltre a perfezionarne progressivamente l’applicazione alle scienze sociali, utilizzò le statistiche in modo originale anche nel campo della linguistica, dell’arte e della letteratura, come testimoniano i due volumi cui affidò, trascorso qualche anno, le sue riflessioni sul metodo statistico: La misura della vita. Applicazioni del metodo statistico alle scienze naturali, alle scienze sociali, e all’arte (Torino 1919) e Il metodo statistico. Teoria ed applicazioni alle scienze naturali, alle scienze sociali, e all’arte… (Messina 1923).
Ebbe una brillante carriera accademica. Sul finire del secolo si recò all’estero e a Parigi, nel 1900, sposò Margherita Sicarè. Nel 1901 fu nominato per titoli docente privato di diritto penale presso la facoltà di legge dell’Università di Losanna, dove, l’anno seguente, insegnò l’antropologia nei suoi rapporti con le scienze sociali. Nel 1905 fu nominato libero docente di statistica presso l’Università di Napoli, ma il suo impegno oltreconfine rimase attivo. Autore tra il 1903 e il 1905 di tre cicli di conferenze all’Università di Bruxelles (Delinquenza e le sue cause, Sullo stato antropologico delle classi povere, Inchiesta giudiziaria scientifica), nel 1906 ottenne infatti anche la nomina a professore nell’Ateneo belga.
Negli stessi anni fu impegnato anche come corrispondente per alcuni giornali (Avanti!, Il Piccolo, Il Giornale di Sicilia), cimentandosi con la divulgazione scientifica e la comunicazione per un vasto pubblico delle novità introdotte dalla criminologia. Dal 1910 (e sino al 1953) assunse l’insegnamento di questa materia nella Scuola giuridico-criminale presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza, fondata e diretta da Enrico Ferri. A questo impegno nel 1914 aggiunse l’incarico di professore straordinario di statistica nell’Istituto di scienze economiche di Torino, cui seguì nel 1919, sempre nella stessa materia, l’investitura a professore ordinario nell’Università di Messina e, l’anno dopo, presso l’Università di Napoli. Nel 1918-19 era stato anche professeur d’échange alla Sorbona di Parigi; dal 1931, infine, fu professore ordinario di statistica metodologica, demografica ed economica presso la facoltà di scienze economiche dell’Università romana.
Oltre ai riconoscimenti accademici, collezionò numerosi incarichi di rilievo, che ben testimoniano le competenze dimostrate in diversi campi d’indagine. Fu presidente della Società italiana di antropologia, della Società italiana di criminologia, della Società italiana di economia, demografia e statistica. Si distinse inoltre in organismi prestigiosi come la Società delle Nazioni, per cui fu membro della Commissione statistica per l’igiene e del Comitato statistico per lo studio dei tumori maligni. Socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, come molti esponenti della cultura positivista anche Niceforo strinse forti legami con gli ambienti scientifici internazionali, pubblicando alcune sue opere anche in francese e tedesco e diventando socio corrispondente, tra le altre, della Società di antropologia di Parigi, di quella di Porto, della Società di antroposociologia tedesca di Hannover. Fu inoltre rappresentante per l’Italia nell’Institut international d’anthropologie e nell’International Sociological Association.
Morì a Roma il 10 marzo 1960.
Nel corso della sua vita pubblicò più di cinquanta opere, oltre a decine di memorie e studi minori, che spaziavano dalla sociologia alla demografia, passando per l’antropologia, la statistica, la psicologia. Da segnalare, tra gli studi in quest’ultimo campo, L’io profondo e le sue maschere: psicologia oscura degli individui e dei gruppi sociali, Torino 1949, in cui convogliarono teorie elaborate da Niceforo sin dai primi anni del secolo che anticipavano taluni sviluppi della psicoanalisi: secondo Niceforo la psicologia umana si componeva di un «io profondo», inconscio, che rifletteva istinti atavici e primitivi, e di un «io superiore» che rispecchiava invece quanto appreso dalla società in termini di ruoli, norme, valori, sentimenti. Fra le opere non citate nel testo si rammentino ancora: Il gergo nei normali, nei degenerati e nei criminali (ibid. 1897; rist. anast., Bologna 1972); Antropologia delle classi povere (Milano 1908); L’istruttoria giudiziaria nell’arte e nella scienza (ibid. 1922); Lezioni di demografia (2ª ed., Napoli 1924); Il mito della civiltà, il mito del progresso (Milano 1951); Sociologia ed altri scritti (ibid. 1959).
La competenza e l’originalità con cui combinò nelle sue ricerche discipline, metodologie e strumenti d’indagine differenti contribuirono a un notevole allargamento dell’area di competenza tanto della criminologia quanto della sociologia. Nelle sue formulazioni, infatti, la criminologia si dedicò a studiare il crimine, le caratteristiche fisiche e psicologiche del criminale, il suo ambiente sociale e familiare, senza tralasciare mai il confronto costante con le caratteristiche e con l’ambiente di vita dell’uomo comune, così come testimoniano i sei volumi di cui si compone l’opera Criminologia (ibid. 1941-53), intesa proprio a spiegare metodo, teorie, obiettivi della scienza criminologica. Allo stesso tempo, soprattutto nella seconda parte della sua carriera, arrivò a concepire il ‘fatto sociale’ secondo uno spettro più ampio, come risultante di diverse forze (fisiche, biologiche, sociali), che in egual misura dovevano essere indagate.
Fonti e Bibl.: S. Salomone, La Sicilia intellettuale contemporanea. Diz. bio-bibliografico, Catania 1913, pp. 336 s.; E. Altavilla, A. N., in La Scuola positiva, 1951, n. 3-4, pp. 325-363; L. Livi, A. N. criminologo e sociologo, ibid., 1960, n. 2, pp. 175-182; A. Santoro, A. N. uomo e ricercatore, ibid., pp. 167-174; M. Marotta, Il pensiero sociologico di A. N., in Rassegna italiana di sociologia, 1960, n. 1-2, pp. 73-94.