MELANI, Alfredo
– Nacque il 23 genn. 1859 da Candido e Maria Bianchi a Pistoia, dove frequentò prima il seminario, poi il ginnasio municipale, passando successivamente all’istituto tecnico (Maestrelli, pp. 3, 14 nn. 1-6; Chelucci, 2004, pp. 6-8).
Nel 1874 si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze, dove ricevette vari premi di architettura. Nel 1877 vinse il concorso Dal Gallo di Pistoia, per il perfezionamento degli studi in architettura, con una borsa settennale che gli garantì un buon sussidio mensile (Chelucci, 1997, pp. 7, 18 nn. 45 s.).
I progetti di questi anni risentono di influenze gotiche, rinascimentali e manieriste (soprattutto toscane e lombarde), evidenti nei disegni conservati nel fondo Carte Alfredo Melani della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia: un’Edicola sepolcrale (1876), un Cimitero cattolico evangelico (1878) e un Carcere (1879) per 400 detenuti (ibid., pp. 6-13; Maestrelli, pp. 3-5).
Nel 1879 il M. conseguì la licenza di professore di disegno architettonico e nel 1881 si trasferì a Milano, dedicandosi all’insegnamento della storia dell’arte e del disegno in vari istituti (Maestrelli, p. 6). All’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1881 vinse un premio per il progetto di restauro del palazzo comunale di Pistoia, per il quale ideò un «completamento all’antica», con un’arbitraria balaustra merlata sulla facciata (Ghiringhelli, p. 173). Nel capoluogo lombardo fu in contatto con molti protagonisti del riformismo artistico-architettonico (C. Boito, L. Beltrami, D. Donghi, R. Ojetti) e del modernismo (E. Thovez, V. Pica, L. Bistolfi, A. Muñoz, D. Calandra, G.A. Reycend), che lo portarono spesso, negli anni, a vivaci scontri sulla stampa. Nel 1882 iniziò a insegnare alla Scuola superiore d’arte applicata all’industria di Milano, della quale sarà anche direttore e dove ebbe come allievo, tra gli altri, G. Sommaruga (Maestrelli, pp. 59, 91; Chelucci, 2004, pp. 4, 9 n. 4). Si interessò inoltre alla produzione ceramica nazionale ed estera in modo capillare, indagando industrie, manifatture e singole personalità artistiche (Vossilla, pp. 344-346). Ancora negli anni Ottanta dell’Ottocento, pur continuando l’insegnamento, divenne collaboratore di importanti riviste d’arte e di letteratura: Roma. Vita artistica, di cui fu anche redattore; Il Bibliofilo; Arte e storia, a volte sotto lo pseudonimo di Helvetius; La Construction moderne; Revue des arts décoratifs. Dalla fine dell’Ottocento collaborò, fra l’altro, a Emporium; L’Arte decorativa moderna, di cui fu redattore; L’Artista moderno; The Architectural Review; The Architectural Record; The Studio; The Architect.
La bibliografia più aggiornata del M. raccoglie oltre 900 titoli: monografie e manuali in varie edizioni, articoli sulla stampa specialistica e divulgativa (Maestrelli, pp. 112-176). Gli articoli del M., spesso accompagnati da fotografie, costituiscono, a giudizio di alcuni studiosi, il materiale più esaustivo dell’epoca sul movimento moderno nell’architettura e nelle arti applicate (Rosci, pp. 60 s. n. 12). Già nel 1889, a soli trent’anni, venne inserito in importanti dizionari contemporanei (De Gubernatis). Tuttavia non mancò di criticare i principî di selezione dei biografati, ai quali era consuetudine chiedere un’autopresentazione della propria attività. Lo spazio a loro dedicato, secondo il M., era condizionato dai rapporti di amicizia e da interessi di natura economica, senza alcun criterio di merito oggettivo, come scrisse nell’articolo Note biografiche (in Arte e storia, XI [1892], 10, pp. 77 s.). Grazie alla sua attività pubblicistica degli anni Ottanta, tenendosi aggiornato sugli studi inglesi e francesi, contribuì fortemente a diffondere in Italia i repertori decorativi orientali, soprattutto islamici (Barucci, pp. 23 s.). Si interessò sempre ai progetti di riforma dell’insegnamento dell’architettura e delle arti decorative, sostenendo la necessità dell’abolizione del valore legale di lauree e diplomi. Era frequentemente impegnato, oltre che nella pubblicazione di saggi su singoli artisti (Masaccio, Nicola Pisano, A. Palladio, Raffaello, Pietro Vannucci detto il Perugino, L. Lotto), nella divulgazione delle conoscenze a tutti gli strati sociali e soprattutto ai giovani (Ghiringhelli, p. 176). Per il M. la nuova arte moderna, denominata «arte nova», era il prodotto di un ampio «movimento sociale» (Fratini, p. 102) di riforma globale, se non di rivoluzione, della società. Il M. era vicino all’ideologia del «socialismo della bellezza» di Beltrami e di altri modernisti secondo la quale ogni oggetto doveva essere progettato con una valenza estetica ed educativa (ibid., p. 80). In quest’ottica, quindi, il disegno doveva essere parte integrante del bagaglio culturale di ognuno e, applicato all’industria, poteva avere una «diretta influenza sulla ricchezza nazionale» (ibid., p. 88).
Nonostante il dolore per la perdita di due figli, nel 1887 e nel 1893 (Lettere ad Alberto Chiappelli, 2 genn. 1888 e 29 luglio 1892, in Ghiringhelli, p. 190 nn. 43, 44) rimase, in ogni momento, fortemente produttivo, aggiornato sull’arte e sul sistema museale dei Paesi europei. Per il M. l’arte contemporanea non doveva ricercare uno «stile nazionale» che tenesse conto dei modelli italiani del passato (secondo la scuola di Boito), ma sviluppare un linguaggio realmente innovativo, non succube dei modelli europei dell’art nouveau. Tuttavia i suoi mobili e gli oggetti d’arredo (Maestrelli, pp. 8, 11, 24-27) risultano aggiornati sulla più elegante produzione liberty internazionale di C.R. Mackintosh e di E. Quarti, con intarsi polimaterici in vetro, ceramica e metalli, ma senza eccessi decorativi, tenendo sempre presente la comodità d’uso e la semplicità. L’adesione del M. al modernismo non stemperava i suoi giudizi critici, talora pungenti, su artisti e colleghi. In occasione della I Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902 non valutò in modo positivo gli edifici progettati da R. D’Aronco, soprattutto per l’esecuzione e per l’adesione ai prototipi della Secessione viennese (Fratini, p. 191; Bairati - Riva, pp. 107-109, 114) e, nel 1906, si scagliò contro la maggior parte dei progetti di architettura presentati all’Esposizione nazionale di Milano e contro il tentativo di mitigare le istanze più innovative del liberty attraverso formule della tradizione storica (Ghiringhelli, p. 181). Nelle dispute dell’epoca sulla superiorità fra artigianato e industria ebbe una posizione non orientata ideologicamente ed estremamente moderna. Pur ammirando le idee di J. Ruskin non provava alcuna avversità ideologica verso le opere fatte a macchina. Andando oltre le ideologie, era capace di valutare il singolo manufatto, prescindendo dalla scuola d’appartenenza e ritenendo che il valore dell’opera dipendesse dall’originalità dell’idea che l’aveva generata. La singolare produzione di C. Bugatti, infatti, che coniugava materiali preziosi, stili di varie epoche e paesi, pur nell’assenza totale di una funzionalità modernista, venne apprezzata dal M., che capì la valenza eminentemente «scultorea», a tratti anche originale, della sua ebanisteria (Melani, in Fratini, p. 260).
Come architetto, però, allontanandosi dai propri principî, fu evidentemente influenzato sia dall’eclettismo sia dal liberty internazionale. Villa Rosa a Corlanzone, in una frazione del comune di Alonte nel Vicentino (ripr. in Maestrelli, pp. 20-22), fu progettata con cura estrema in ogni dettaglio, per ottenere luminosità interna e comodità abitativa.
Furono impiegati tecniche e materiali moderni, come il calcestruzzo armato, secondo i prototipi modulari dell’architettura della Secessione viennese, senza molta originalità formale, ma con una certa solidità ed eleganza. Anche la cappella Merli-Maggi, oggi Curci-Gramitto-Ricci, nel cimitero Monumentale di Milano (ripr. in L’Architettura italiana, V [1910], 9, pp. 104-107), realizzata su disegno del M., si attesta sulle tendenze della Secessione austriaca, essendo ispirata, probabilmente, anche agli edifici progettati da D’Aronco per l’Esposizione di Torino del 1902.
Dagli anni Dieci il M. non fu più in grado di cogliere i fermenti che avrebbero portato alle innovazioni dell’architettura futurista e poi al movimento razionalista italiano, per il quale non mostrò mai un forte entusiasmo. L’attività critica sulle riviste italiane ed estere all’avanguardia subì un arresto: iniziò a pubblicare saggi storici e a rieditare i manuali. La sua integrità morale di studioso, pronto a rifiutare cariche pubbliche per godere della libertà di affermare i propri principî e le proprie convinzioni estetiche, gli valse, tuttavia, la stima dei suoi oppositori (Boito e Beltrami).
Morì a Milano il 29 dic. 1928.
Lasciò vari studi in corso che furono completati dalla figlia Maria e poi pubblicati. Alcuni suoi libri sono ancora in commercio, dopo numerose ristampe. Attualmente i contributi teorici del M. (quelli prodotti fino ai primi del Novecento) vengono ritenuti fondamentali nell’ambito del modernismo italiano, dai maggiori studiosi del settore (Ghiringhelli, p. 184).
Fonti e Bibl.: Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Carte Alfredo Melani (fondo non inventariato composto da libri, disegni e autografi); A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, p. 294; A. Chiappelli, Necr., in Bullettino storico pistoiese, XXXI (1929), 1, pp. 46-48; Torino 1902. Polemiche in Italia sull’arte nuova, a cura di F.R. Fratini, Torino 1970 (con antologia di scritti del M.); M. Nicoletti, L’architettura liberty in Italia, Bari 1978, p. 412 e passim; M. Rosci, Torino come spartiacque, in Torino 1902. Le arti decorative internazionali del nuovo secolo (catal., Torino), a cura di R. Bossaglia - E. Godoli - M. Rosci, Milano 1994, pp. 60, 69; G. Chelucci, A. M.: gli anni dell’Accademia (1874-1879), in Farestoria, XVI (1997), 30, pp. 5-23; A. M. e l’architettura moderna in Italia: antologia critica (1882-1910), a cura di M.L. Scalvini - F. Mangone, Roma 1998 (in particolare, O. Ghiringhelli, pp. 169-230); M.L. Neri, rec. ad A. M. e l’architettura moderna in Italia …, in Palladio, n.s., XI (1999), 22, pp. 132-134; F. Vossilla, Aspetti della critica ottocentesca alla ceramica durantina: Giuseppe Corona e A. M., in Faenza, LXXXV (1999), pp. 344-346; C. Barucci, L’orientalismo nelle fonti bibliografiche e nella manualistica italiana dell’Ottocento, in L’orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento. Atti del Convegno, Viareggio … 1997, a cura di M.A. Giusti - E. Godoli, Siena 1999, pp. 23 s., 28 s.; E. Bairati - D. Riva, Il liberty in Italia, Roma-Bari 2001, pp. 3-11, 52 s., 91 s., 107-109, 112-114, 119, 121, 123-127, 179-185 e passim; M.G. Maestrelli, A. M.: architetto, storico e critico dell’architettura, Firenze 2001; G. Chelucci, A. M.: appunti per una biografia, in DecArt, 2004, n. 2, pp. 3-11.