LAMBERTUCCI, Alfredo
Nacque a Montecassiano, presso Macerata, il 19 marzo 1928 da Ernesto e Maria Burchi. Studiò a Roma prima all'Accademia di belle arti e poi presso la facoltà di architettura di Valle Giulia, dove conseguì la laurea nel 1953. La sua presenza nella facoltà proseguì dopo la laurea con incarichi di insegnamento senza interruzione fino alla morte.
Dal 1954 al 1966 fu assistente incaricato presso la cattedra di elementi di composizione del professore Roberto Marino, partecipando attivamente alla sperimentazione per la riforma del corso degli studi in architettura.
Conseguita la libera docenza in elementi di composizione nel 1964, fu poi professore incaricato dal 1967 e ordinario dal 1981.
Negli anni della formazione universitaria si legò alla generazione che affrontava con entusiasmo la sfida della ricostruzione, favorito anche dalla ridotta dimensione della facoltà, allora frequentata quotidianamente. Il L. lavorò come disegnatore presso gli studi professionali di alcuni docenti della facoltà per mantenersi agli studi, e queste esperienze concorsero a costruire una solida formazione professionale parallela a quella accademica. La produzione artistica, e in particolare pittorica, cominciata da autodidatta prima di trasferirsi a Roma per gli studi, fu una costante che affiancò la sua attività di progettista e docente, soprattutto dopo la metà degli anni Settanta, quando realizzò una grande quantità di tele astratte di ottima fattura (G. Rosa, Lo studio della forma attraverso la pittura, in A. L. architetto, pp. 14-17).
L'esordio professionale del L. fu il progetto della chiesa parrocchiale di Consalvi (Macerata, 1953), dove l'edificio sacro si configura come un piccolo borgo rurale inserito nella campagna circostante, con la netta distinzione dei volumi componenti l'organismo edilizio e l'estrema attenzione alla qualità e alla funzionalità della costruzione.
Nel 1955 vinse con l'amico e collega Claudio Dall'Olio, cui rimarrà legato tutta la vita, il concorso di architettura per il nuovo istituto di farmacologia dell'Università di Roma, da realizzarsi in un lotto interstiziale della città universitaria, accanto al magistrale istituto di botanica di G. Capponi.
L'edificio fu poi realizzato tra il 1958 e il 1959. Anche in questo caso, la frammentazione del programma in elementi con chiara identità volumetrica viene scelta come assunto di progetto, favorito dalle particolari condizioni del lotto, irregolare anche in altimetria.
Il L. partecipò a vari concorsi di architettura banditi in questi anni, con esiti sempre di eccellenza, come quelli per il complesso scolastico di Cremona (primo premio, 1955), per il motovelodromo olimpico di Roma (terzo premio, 1955) e per l'inclusione nell'elenco dei progettisti INA Casa, in cui poté affrontare il tema della residenza che diventerà il suo campo di interesse principale nella professione, nella didattica e nella ricerca universitaria. È del 1956 il progetto per il quartiere INA Casa a Rimini, con C. Dall'Olio, M. De Rossi, A. Nonis, F. Rossi.
Nel 1955 sposò Carla Aiello da cui ebbe due figlie, Sabina e Silvia.
Nel 1958 il L. progettò la nuova sede della casa editrice Laterza a Bari, in via Sparano da Bari, costruendo un edificio particolarmente innovativo nelle soluzioni formali come nel programma edilizio, utilizzando il piano terra a negozi, il primo e il secondo per gli uffici del committente e i restanti tre piani per appartamenti.
Nella facciata il L. esprime al meglio un sapiente mestiere: il partito architettonico è chiaro senza apparire banale, i materiali denunciano l'appartenenza del giovane architetto a una scuola che vuole reinterpretare esperienze coeve nordeuropee, il controllo dell'intero progetto evidenzia capacità indiscutibili nella composizione architettonica.
Nel 1960 il L. vinse il concorso bandito dalla XII Triennale per una scuola a Rovigo, di seguito realizzata, e il concorso per un complesso edilizio misto a Ferrara, costruito tra il 1969 e il 1973.
Il progetto di Ferrara fu per il L. l'occasione di verificare alcuni temi che saranno ricorrenti nella sua produzione: per esempio, l'edificio pensato come struttura aperta alla vita di relazione del quartiere. Da ricordare, la soluzione degli alloggi duplex, contestata dall'IACP (Istituto autonomo case popolari) in fase di progetto e accolta con grande entusiasmo dagli abitanti. Il L. pose particolare attenzione nei dettagli costruttivi, memore della scuola di M. Ridolfi, maestro romano del dopoguerra, interessato al cantiere come luogo della tradizione del fare.
Sulla casa di abitazione il L. fece confluire l'impegno dell'attività universitaria e la ricerca applicata a progetti di concorso e a concrete occasioni professionali.
In particolare, nell'ambito della residenza pubblica, il L. poté esprimere con chiarezza la sua posizione nel concorso di selezione ISES (Istituto per l'edilizia sociale) di Secondigliano (1965), con successivo progetto per un centro residenziale (1968), nel già citato complesso residenziale IACP a Ferrara (1969), nelle case di Vigne Nuove a Roma (1972), nel progetto per il Tuscolano presentato al concorso In/Arch dell'ANIACAP (Associazione nazionale Istituti autonomi e consorzi case popolari) per tipologie edilizie residenziali (1973), nel progetto di ristrutturazione della borgata Primavalle a Roma (1976), nell'ambito della ricerca GESCAL (Gestione case per lavoratori) sull'edilizia residenziale.
Alcuni sono progetti realizzati, altri proposte di studio e di ricerca applicata, ma in tutti si rintraccia la cifra "etica" del L., che non deroga su alcuni principî del progetto: la chiarezza di impianto planimetrico, così esplicita nel progetto di Secondigliano; la netta distinzione tra le viabilità carrabili e pedonali; l'attenzione al dettaglio costruttivo, evidente già nei lavori di esordio; la forza dell'immagine architettonica giocata anche con l'utilizzo di elementi ricorrenti come il cilindro per i corpi scala, all'inizio più timido, poi, come nel caso di Vigne Nuove, elemento plastico che misura il ritmo delle facciate. Il L. utilizza i materiali da costruzione denunciandone la matericità, con la prevalenza nell'uso del mattone a faccia vista, degli infissi metallici per le facciate e dei pannelli industriali in calcestruzzo per gli edifici più importanti.
Tra il 1967 e il 1971, il L. realizzò il palazzo di Giustizia di Macerata, considerato da Bruno Zevi una delle architetture più rappresentative del XX secolo. Da ricordare sono le prospettive di ambientazione del complesso nello skyline della città, così come evidenti sono i riferimenti alle architetture allora più in voga, alcuni edifici di Le Corbusier (Ch.-é. Jeanneret-Gris), I.M. Pei e P. Rudolph negli Stati Uniti di America e il brutalismo inglese. Ancora una volta, su scala maggiore, è sempre chiara la legge di aggregazione degli oggetti distinti che compongono l'organismo. Il L. con questa prova lascia definitivamente un ambito localistico per candidarsi come architetto colto sulla scena internazionale.
In quegli anni a Roma, città di adozione del L., l'emergenza casa era un problema politico e sociale molto sentito dagli architetti più impegnati, e molti di loro vennero chiamati a dare un contributo ai programmi di investimento dell'IACP. Il L. fu progettista del complesso di Vigne Nuove, nella zona Bufalotta, tra le vie Salaria e Nomentana, con un impegnativo programma di 524 alloggi. Sebbene il L. facesse parte di un gruppo con l'ingegnere Lucio Passarelli (coordinatore) e Claudio Saratti, gli va riconosciuta la paternità della soluzione architettonica.
Il lotto di forma casuale, vagamente triangolare, consente al L. di recuperare alcune idee delle sue prime esperienze di case popolari e di realizzare dieci piani fuori terra, scanditi dalle torri scala cilindriche tutte esterne al corpo di fabbrica. Le finestre sono a nastro; e le testate si presentano con accurati accorgimenti spaziali a deformare l'ortogonalità e sono di grande impatto estetico. Un fitto tessuto di servizi, quali asili, una palestra, strutture aggregative e commerciali, con i campi sportivi all'aperto, innerva a pettine il piano terra dell'insediamento. Nel complesso di Vigne Nuove, realizzato qualche anno dopo Corviale, progettato nel quadrante opposto di Roma da Mario Fiorentino, furono evitati alcuni errori, tra cui quello di non appaltare gli edifici di servizio insieme con le residenze, con il rischio di creare un ghetto ingestibile dal punto di vista sociale.
Nel 1973 il L. costruì una casa per la sua famiglia a Genzano, cittadina dove più tardi lavorò a vari progetti. Della casa appaiono più significativi alcuni schizzi preliminari di progetto che sono una sintesi del modo di ragionare sulla forma del progetto di architettura (A. L. architetto, pp. 70-77).
Il L. fu l'ultimo direttore dell'istituto di progettazione della facoltà di architettura di Valle Giulia, prima della trasformazione in dipartimento, e continuò l'impegno appassionato per la scuola che ha caratterizzato la sua vita di architetto e intellettuale.
Ancora attivo sul tema della residenza sociale, eseguì, su commissione dell'assessore al Centro storico di Roma Carlo Aymonino, il progetto non realizzato per un isolato al Testaccio (1983-85). In questa prova il L. controllò con perizia il tema dell'inserimento di un brano di architettura contemporanea in un contesto storico, riuscendo a realizzare una piazza nell'isolato incompiuto e risolvendo l'attacco all'isolato esistente con un edificio a torre misurato, ma di forte impatto volumetrico. Alcuni stilemi, come le coperture voltate per Testaccio e per le case a schiera di Genzano (1980-82), sono reiterati dal progettista negli ultimi lavori, con interpretazioni contemporanee di elementi della tradizione costruttiva romana.
Dal 1986 al 1990 il L. progettò con lo studio Valle il campus per la II Università di Roma a Tor Vergata, in un'area esterna al grande raccordo anulare, adiacente all'autostrada Roma-Napoli. Il piano, che comprendeva la scala territoriale e l'impostazione architettonica delle facoltà e degli altri edifici previsti, subì vari aggiornamenti che causarono discussioni interne al gruppo di progettazione, determinando il progressivo allontanamento del L. dal controllo della fase esecutiva.
Il L. morì a Roma il 10 apr. 1996.
Fonti e Bibl.: Realtà, disegno, forma. Architetture di A. L., a cura di G. Rosa, Roma 1983; Parametro, XVIII (1987), 162 (numero dedicato al L.: Opere recenti di A. L. Immagine della città e riqualificazione delle periferie), pp. 10-43; A. L. architetto, in Ricerca e progetto, IV (1996), 8, numero monografico con contributi di G. Rosa, G. Mainini, L. De Licio, A. Sajeva, V. Giorgi (con ulteriore bibl. e regesto delle opere); Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, Roma 1969, p. 325.