COMANDINI, Alfredo (Antonio)
Nacque a Faenza il 4 dic. 1853 da Federico e da Clementina Bonini, istitutrice privata. Battezzato come Antonio, avrebbe più tardi preso il nome Alfredo.
Dei primi anni della sua vita, iniziata nell'assenza del padre, mazziniano, detenuto per cospirazione contro il regime pontificio, il quale non sarebbe stato rimesso in libertà che nel 1865, il C. ha lasciato una descrizione molto vivace in un quaderno di Memorie buttato giù in età molto avanzata e interrotto alla rievocazione dell'ingresso nel Convitto nazionale di Fano (ed. con il titolo Memorie giovanili da P. Zama, Faenza 1959): il C., allora dodicenne, aveva vissuto un'infanzia abbastanza serena durante la quale l'affetto della madre e dei numerosi zii paterni era apparentemente riuscito a rendere meno traumatica la mancanza della figura paterna.
Più che alla scuola del padre, che dopo la liberazione si rivelò sostanzialmente incapace, nel suo rigido attaccamento al mazzinianesimo, di adattarsi alla ribollente realtà della Romagna negli anni postunitari, la formazione politica del C. si compì nel contatto con A. Saffi e, soprattutto, con E. Valzania, il garibaldino che con le sue aperture verso l'internazionalismo interpretava sia pure confusamente il desiderio di cambiamento delle nuove generazioni. A villa Ruffi, presso Rimini, dove i repubblicani di varie sfumature si radunarono il 2 ag. 1874 ufficialmente per elaborare una strategia unitaria elettorale ma forse anche - almeno nelle intenzioni degli elementi più avanzati - per convincere i vecchi capi ad aderire al programma insurrezionale loro proposto dagli internazionalisti, la posizione del C., tratto in arresto con tutti gli altri, fu giudicata più grave di quella del padre proprio per i rapporti che lo legavano al Valzania, tanto che la sua scarcerazione per insufficienza d'indizi avvenne il 10 genn. 1875, e cioè più di due mesi dopo quella del padre. Che, del resto, egli volesse vedere superata l'eredità mazziniana lo aveva già dimostrato prima dell'arresto, quando a Roma, il 29 marzo 1874, intervenendo nei lavori del XIV congresso delle società operaie, aveva con pochissimi altri propugnato il ricorso allo sciopero e l'istituzione di casse di resistenza, a sostegno delle lotte dei lavoratori.
A quell'epoca il C. studiava giurisprudenza nell'università di Roma, dove si sarebbe laureato nel 1879, e frequentava ambienti e personalità della cultura laica. Un'altra testimonianza del suo atteggiamento molto radicale ci è offerta dal ruolo primario che egli ebbe nella fondazione e nella gestione del Comitato universitario per l'erezione del monumento a Giordano Bruno, un'iniziativa che, lanciata il 19 marzo 1876, venne a notorietà internazionale più che per la realizzazione del fine propostosi (il monumento fu inaugurato solo il 9 giugno 1889) per il significato di rottura con il passato che essa intendeva promuovere nella vita della capitale. Comunque al C., che era molto ambizioso, ciò che interessava era farsi conoscere; e forse proprio questa esperienza costituì per lui il trampolino di lancio nel mondo del giornalismo, già avvicinato in precedenza con una serie di corrispondenze per un foglio democratico cesenate, il Satana. L'esordio vero e proprio portò il C. nel Veneto, direttore prima del Paese di Vicenza (1876-1879), quindi, per quattro anni, dell'Adige di Verona che caratterizzò con una linea che, pur attenta a colpire i residui autoritari dello "iniquo e settario Governo della Destra" (A. Comandini, Le Romagne. Dieci articoli da giornale, Verona 1881, p. 10) nella compagine statale, non era più certamente, con le sue aperture ai settori più avanzati della Sinistra costituzionale, la stessa degli anni giovanili. Soprattutto, quella che già nel 1876 (congresso operaio di Genova) era stata la sua opzione per una partecipazione repubblicana alle elezioni politiche, ora si svolgeva e definiva in un rifiuto dichiarato della violenza e in una accettazione della monarchia, mentre la sopravvivenza di organizzazioni settarie e di forme di lotta quali quelle promosse dagli anarchici gli apparivano come il frutto dell'immaturità politica delle masse. Presente anche dopo il 1880 nei congressi e nelle adunate che vedevano riunite in maniera quasi liturgica le varie espressioni della democrazia estrema, il C. cominciava tuttavia a far proprie le tesi dei gruppi lombardi, quelli più possibilsti, che volevano il sistema liberale garantito in pari misura dalle tentazioni autoritarie di un Crispi e dall'avventurismo rivoluzionario delle forze sovversive. Questa linea, tanto tesa alla concretezza quanto restia alle grandi dispute ideologiche, dal C. adottata e propugnata anche dalle colonne del quotidiano milanese La Lombardia negli anni in cui ne fu il direttore (1883-1891), poteva avere, e in qualche momento ebbe, alcuni punti di contatto con le idee di F. Cavallotti, un uomo che il C. stimava, ma dal quale fu indotto a prendere le distanze nel 1888 non sopportando di vederlo ancora legato ad un modello di Sinistra diverso da quello cui egli si era sforzato, come giornalista, di conferire "il carattere di partito, politico, pratico, non visionario, di partito che vive nell'oggi...", ma che a suo dire era rimasto "un partito di vanagloriosi, di chiassoni, di gente che fa tutto a colpi di gran cassa" (L'Italia radicale. Carteggi di F. Cavallotti..., pp. 103-105).
Mentre era così severo con gli antichi commilitoni, il C. completava la marcia di avvicinamento ai settori moderati e ministeriali, che in fatto di concretezza gli davano maggiori garanzie. Tappe importanti di tale marcia furono la nomina a direttore del Corriere della sera e l'elezione alla Camera per la XVIII legislatura nel collegio di Cesena (6 novembre del 1892).
Alla guida del quotidiano milanese il C. restò dal settembre del 1891 al novembre del 1892, un periodo in cui, oltre ad operare una serie di cambiamenti nella redazione e di miglioramenti di carattere tecnico, poté trattare il tema che gli stava più a cuore, quello della crisi delle istituzioni, paralizzate per l'assenza di partiti chiaramente definiti e quindi preda del trasformismo e del succedersi di maggioranze tenute insieme non dai principi ma dall'opportunismo dei singoli; a suo parere l'esempio negativo che veniva dal Parlamento si riverberava sul paese diffondendovi la corruzione e la degradazione morale, e in tale contesto il Giolitti, al quale prima di essere eletto si era proclamato devoto, gli sembrava il più gravato di responsabilità, soprattutto per la disinvoltura con cui controllava le elezioni e per il suo coinvolgimento negli scandali bancari, un punto, quest'ultimo, su cui il C. diede battaglia e come giornalista e come deputato, schierandosi con quanti chiedevano che si facesse subito luce e fornendo alla commissione d'inchiesta una testimonianza sfavorevole al capo del governo.
Per alcuni questo suo antigiolittismo presupponeva forse un passaggio al gruppo crispino, e ciò in parte dovette essere vero se si pensa ad alcuni suoi interventi alla Camera ed agli articoli in cui esaltava un esecutivo rafforzato a scapito di un Parlamento la cui funzione doveva per lui consistere solo nel "tracciare a grandi linee la condotta ... e giudicare di tale condotta poi, a seconda che sia stata o no entro quelle grandi linee" (G. Biondi, A. C. e la crisi delle istituz. parlamentari, p. 303).
Tra l'altro il suo rapporto col Corriere della sera, che dopo l'elezione alla Camera lo utilizzava come corrispondente da Roma, sì ruppe definitivamente il 30 ott. 1894, dopo che nel giugno la direzione del quotidiano aveva respinto un articolo del C. ritenendolo troppo filocrispino. D'altra parte in quello stesso anno il C. non aveva esitato a condannare senza attenuanti la politica repressiva attuata dal Crispi in Sicilia e in Lunigiana; c'è, inoltre, da tener conto di un suo coinvolgimento in vicende finanziarie poco chiare che indussero la Camera a concedere l'autorizzazione a procedere contro di lui(per una sua versione dei fatti si veda A. Comandini, Cavallini e C. Lettera aperta... al direttore dell'Avanti!..., Milano 1897). Altre voci, infine, lo davano molto vicino al federalismo lombardo, su posizioni se non repubblicane almeno antiunitarie, che gli facevano definire l'Unità "un concetto sbagliato" (Farini, Diario di fine secolo, I, p. 461)e lo spingevano ad assicurare l'appoggio delle masse di Romagna alle istanze autonomistiche dei Milanesi.In realtà il gruppo al quale il C. faceva capo dal novembre 1893 era quello del Sonnino, l'uomo che di lì a poco avrebbe esposto nel Torniamo allo Statuto idee e temi che poi si sarebbero potuti ritrovare nell'analisi che il C. avrebbe fatto dei moti milanesi del 1898. L'avvento al potere di un uomo d'ordine come Crispi era dunque una prospettiva non esaltante ma obbligata per arrivare al controllo di quelle forze sovversive d'ogni colore che minacciavano il sistema liberale. A sostegno di questo programma e del governo Crispi il C. fondò e diresse, a partire dal 18 nov. 1894, il Corriere del mattino, un quotidiano finanziato da un gruppo di cotonieri lombardi con il concorso occulto del Sonnino, allora ministro del Tesoro, e del senatore A. Rossi; ma i fondi vennero presto a mancare, mentre crollava l'iniziale illusione di prendere a Milano il posto del Corriere della sera su cui il C. aveva tentato invano di modellare la sua creatura. Piegato dall'insuccesso, il 15 febbr. 1895 il C. scomparve da Milano e riparò a Londra. Clamorose furono le reazioni della stampa: quella ministeriale ventilò l'ipotesi che il C. fosse stato ucciso per vendetta dai repubblicani di Romagna, quella d'opposizione usò il caso per stigmatizzare l'intervento del governo nella vita dei giornali; intanto il 2 marzo 1895 il Corriere del mattino aveva cessato le pubblicazioni.
Al ritorno in Italia, un mese dopo, il C. ottenne che ogni cosa fosse messa a tacere, ma ormai la sua carriera politica era chiusa. Anche come giornalista le successive esperienze di direttore del milanese Sera e quindi di fondatore del Piccolo, due fogli radicalmoderati il secondo dei quali visse solo un mese (dicembre '98), non ebbero miglior sorte. Da tempo bibliofilo e collezionista di cimeli risorgimentali d'ogni tipo il C., che in seguito avrebbe definito la politica "il peggior veleno della nostra esistenza nazionale" (Commemoraz. italiche, p. 371), si diede allora agli studi storici, portandovi un ardore di ricerca esasperata fino alla minuzia e una capacità di narratore affinata evidentemente dalla lunga militanza giornalistica. Il suo pubblico privilegiato era quello del lettore medio, il taglio che più gli era congeniale era quello divulgativo, come si vede da certe sue narrazioni in bilico tra l'aneddotico e l'oleografico, caratteri, questi, dipendenti anche dalla natura delle riviste cui il C. collaborava, prima fra tutte la patinata Illustrazione italiana dei fratelli Treves sulla quale, tra il 1905 e il 1916 comparve, oltre ad alcuni suoi saggi, una rubrica d'attualità e costume ("Corriere") firmata con lo pseudonimo "Spectator". Degli ideali giovanili poco restava nell'apprezzamento della moderazione di giudizio della Storia d'Italia dell'inglese Bolton King, da lui tradotta per Treves nel 1910, o, più ancora, nella glorificazione che della dinastia sabauda il C. faceva nelle Commemorazioni italiche e nello studio su Il 1821, pure editi da Treves a Milano nel 1912 e nel 1921; a legarlo al proprio passato erano solo alcuni fuggitivi accenni critici alla Destra storica e il ricordo di personaggi, come il Saffi e A. Fortis, cui era stato molto vicino. Dignità maggiore di opera storica, per la paziente ricerca di base su cui si fondavano, avevano altri lavori quali Milano e il 1848 nelle memorie del diplomatico austriaco conte G. A. Hübner (Milano 1898), e l'imponente apparato critico che, frutto d'un notevole sforzo sistematico, corredava il volume sulle Cospirazioni diRomagna basato sulle memorie paterne (Bologna 1899), o, pur nell'eccesso delle divagazioni e nella farraginosità di una ricostruzione troppo attenta al dettaglio, il Regno di UmbertoI. Storia e critica (Milano 1900), di cui resta una sola copia, mutila del finale, sfuggita alla distruzione decretatale dal C. forse in seguito al regicidio di Monza, ora conservata presso gli eredi a Roma.
Ma il lavoro cui più di tutti si affida il prestigio del C. e che ancora oggi si consulta con grande utilità sono i cinque volumi dell'Italia nei Cento anni (1801-1900) del sec. XIX, giorno per giorno illustrata, sterminata cronologia in cui la mania del particolare è messa al servizio d'una ordinata e precisa esposizione, sotto forma di effemeride, dei fatti avvenuti nella penisola in quello che il C. considerava il secolo decisivo per la sua storia. Ideata nel 1898 e programmata in tre volumi che l'editore Vallardi pubblicò a dispense a Milano a partire dal dicembre 1899, l'opera si venne via via dilatando per l'accumulo del materiale e la ricchezza della documentazione iconografica selezionata dallo stesso C., così che dopo i primi due volumi, usciti nel 1901 e nel 1907, fu necessario ripartire i cinquant'anni ancora da trattare in altri tre volumi che videro la luce rispettivamente nel 1917, 1929 e 1942. Intanto per la morte del C., sopravvenuta quando la cronologia era giunta all'ottantanovesima dispensa che narrava gli avvenimenti del 1864, l'editore aveva dovuto rivolgersi ad A. Monti che completò l'opera, abbassando però livello e qualità dell'informazione e introducendovi uno spirito cortigiano che il C. non aveva mai avuto.
Scrittore infaticabile, nel 1922 il C. pubblicava per i tipi di Treves a Milano, allegando una poderosa documentazione in gran parte originale, un altro volume di buon livello, Il Principe Napoleone nel Risorgimento italiano, a rivendicazione dei meriti del napoleonide verso la causa italiana. Poi dovette diradare gli impegni e nel 1923, già malato, non poté partecipare ai festeggiamenti per il cinquantenario dell'Illustrazione italiana. In politica la sua opinione aveva compiuto altre svolte: l'analisi dei suoi contributi alla rivista cui collaborava dimostra che nel 194 egli si era riaccostato al Giolitti e aveva cautamente difeso le tesi neutralistiche, ma ci dice anche che nel 1921 lo statista piemontese, al quale aveva espresso la propria solidarietà al tempo del "maggio radioso" del 1915 inviandogli "auguri non sospetti"(Dalle carte di G. Giolitti, III, p. 149), era tornato per lui "l'uomo che assume il Governo nell'ora delle vendette e lo lascia nell'ora dei pericoli" (F. Martini alla Camera, in Illustrazione italiana, 31 luglio 1921, pp. 122 s.); in precedenza, l'esaltazione della partecipazione dell'Italia al conflitto doveva essergli costata un certo sforzo se è vero che, come ebbe a confidare al nipote Giacomo Comandini, nelle elezioni svoltesi prima e dopo la guerra aveva sempre dato il proprio voto al socialista Turati.
Il C. morì a Milano il 9 luglio 1923.
Fonti e Bibl.: Le Carte lasciate dal C. sono conservate, con altro materiale proveniente dalle sue raccolte, nella Bibl. com. Malatestiana di Cesena. Una documentazione sulle ricerche di polizia per la scomparsa del C. nel 1895in Arch. centr. dello Stato a Roma, Carte Crispi-Roma, fasc. 517; sull'episodio notizie di stampa in tutti i maggiori quotidiani del tempo. Per gli interventi parlamentari del C. si rinvia agli Atti parlamentari. Camera. Discussioni sessione 1892-94..., VIII (15 giugno-11 lug. 1894), Roma 1894, ad Indicem (dati sulle sue vicende elettorali in Indice gen. degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elett., II, Roma 1898, pp. 183, 340). Sull'attività giovanile, oltre ai titoli citati nella biografia, si veda A. Comandini, Per Giordano Bruno dal 1876 al 1899. Resoconto morale e finanz. del primo Comit. universitario..., Milano 1889. Testimonianze di contemporanei o dello stesso C., lettere sue o a lui dirette in L'Illustrazione it. nel cinquantenario della sua fondazione 1873-1923, pp. 2-5, 9-11; L. Beltrami, Rievocazione dell'Ottocento. A. C., in Il Marzocco, 20 apr. 1930; F. Martini, Lettere (1860-1928), Milano 1934, ad Indicem; L. Montanari, Una lettera di A. C. a L. Rava, in Studi romagnoli, VIII (1957), pp. 169-175; Democrazia e social. in Italia. Carteggi di Napoleone Colaianni 1878-1898, a cura di S.M. Ganci, Milano 1959, ad Indicem; L'Italia radicale. Carteggi di F. Cavallatti: 1876-1898, a cura di L. Dalle Nogare - S. Merli, Milano 1959, ad Indicem; D. Farini, Diario. di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad Indicem; U. Pesci, I primi anni di Roma capitale 1870-1878, Roma 1971, pp. 187, 487; L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, ad Indicem; Dalle carte di G. Giolitti, Milano 1962, I, a cura di P. D'Angiolini; III, a cura di C. Pavone, ad Indicem; S.Sonnino, Diario 1866-1912, a cura di B. J. Brown, Bari 1972, ad Indicem. Tre saggi specifici sono stati dedicati al C. giornalista: G. Biondi, A. C. e la crisi delle istituz. parlamentari alla fine dell'Ottocento, in Studi romagnoli, XXII (1971), pp. 293-303; B. Lucchi, A. C. e il "Corriere della sera", ibid., XXVII (1976), pp. 379-392; Id., A. C. giornalista e "La Lombardia", in Ricerche cesenati. Saggi e repertori, XVII, Faenza 1977, pp. 127-141. Sullo stesso argomento inoltre: F. Cazzamini Mussi, Il giornalismo a Milano dal Quarantotto al Novecento, Como 1935, p. 332; F. Nasi, 100 anni di quotidiani milanesi, Milano 1958, pp. 45, 54, 131, 141; L'Illustraz. it. 90anni di storia, a cura di F. Simonetti, Milano 1963, ad Indicem; O.Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, I, p. 407; F. Nasi, Il peso della carta, Bologna 1966, ad Indicem; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, ad Indicem; Cento anni dal Corriere della Sera, suppl.al Corriere della Sera, 13 ott. 1976, p. 47; M. Grillandi, Emilio Treves, Torino 1977, ad Indicem; D. Mack Smith, Storia di cento anni di vita italiana visti attraverso il Corriere della sera, Milano 1978, ad Indicem; M. Punzo, Socialisti e radicali a Milano..., Firenze 1979, p. 26. Riferimenti all'attività e ai collegamenti politici del C. in N. Quilici, Fine di secolo. Banca Romana, Milano 1935, ad Indicem; A. Berselli, Gli arresti di Villa Ruffi. Contr. alla storia del mazzinianesimo, Milano 1956, pp. 59 s., 107 ss., 138, 152, 155, 168; L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, ad Indicem; A. Berselli, L'azione dei repubbl. in Emilia Romagna, in La crisi repubbl. da Porta Pia alla caduta della Destra (1870-1876)..., Pisa 1963 pp. 45 s.; F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano 1965, ad Indicem; L. Avagliano, Alessandro Rossi e le origini dell'Italia industriale, Napoli 1970, ad Indicem; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, ad Indicem. Sul C. storico: P. Zama, A. C. e la sua opera "Il regno d'Umberto I" (nel centenario della nascita), in Rass. st. d. Ris., XLI (1954), pp. 473-481. Un profilo complessivo in F. Comandini, Una favola vera. C'era una volta un tintore, Roma 1963, pp. 55-69.