MUSSET, Alfred de
Nacque di nobile famiglia a Parigi l'11 dicembre 1810 e a Parigi morì nella notte dal 1° al 2 maggio 1857. La disposizione a scrivere era tradizionale nei M. Un prozio di Alfred, L.-A. de Musset marchese di Cogniers, aveva acquistato una certa fama sotto Luigi XVI con un romanzo epistolare scritto in collaborazione con J.-F. de Bourgoing. Il padre, Victor de Musset-Pathay, romanziere e cultore di studî storici. scriveva tra l'altro anche versi e s'era costituito difensore della memoria di J.-J. Rousseau, del quale pubblicò una diligente biografia e un'edizione delle opere. Il fratello maggiore, Paul (1804-1880), scrisse un gran numero di novelle e romanzi, che furono apprezzati per l'elegante sobrietà della scrittura. A. de M. fece i suoi studî, e furono studî brillantissimi, nel collegio Henri IV dove ebbe compagni i giovani principi d'Orléans, figlioli di Luigi Filippo non ancora re dei Francesi. Uscito di collegio, seguì per qualche tempo i corsi di legge e poi quelli di medicina, ma li abbandonò ben presto per seguire la sua vocazione poetica. La parola vocazione è qui perfettamente a posto. Nella storia della poesia pochi esempî si hanno d'una precocità così felicemente originale. Nei versi che pubblicò non ancora diciottenne in un giornale di Digione, M. non solo si è mirabilmente assimilato la maniera di certe ballate di Victor Hugo, tintinnanti di rime rare nel congegno delle balde strofette, ma è già lui col suo foco leggiero, con la sua grazia spregiudicata di paggio settecentesco che ha però nel sangue il romanticismo. Elegante, seducente, impertinente, i poeti dei due cenacoli romantici, quello di Ch. Nodier e quello di V. Hugo, lo accolgono ammirati, lo vezzeggiano, lo trattano da pari a pari. Alla fine del 1829, ma con la data del 1830, uscirono i Contes d'Espagne et d'Italie, straricchi di pittoresco romantico, ostentatamente ribelli ai precetti di Boileau nell'uso dell'alessandrino e nella mescolanza dei generi, sfidanti con tono da monello così la lingua della tradizione classica come la morale tradizionale.
Accanto ai poemetti e ai drammi in cui divampano passioni selvagge e come nelle corride il sangue scorre tra effetti di colore locale (Don Paez), qualche volta con eroi byroniani tormentati dal dubbio (Portia) o con figure caricaturali a contrasto secondo la formula vittorughiana del grottesco (Les marrons du feu), ecco le romanze svelte e briose come mandolinate (L'Andalouse, Le lever, Madrid, Madame la Marquise), la fantasia maliziosa e paradossale della Ballade à la lune, il racconto birichino che procede a bella posta scucito e dinoccolato, come nel Beppo e nel Don Juan di Byron, tra digressioni impertinenti e affermazioni temerarie buttate là con simulata noncuranza per il piacere di scandalizzare i benpensanti e i buoni borghesi (Mardoche). Ma in tutto M. porta la sua nota personale: anche il lettore d'oggi, che sa a memoria la retorica romantica è preso dall'accento inconfondibilmente poetico che avviva i romantici Contes, e segue il poeta in quella Spagna e in quella Venezia di sogno nelle quali M. non aveva mai messo i piedi.
Dopo il chiasso fatto intorno a quel primo volume di versi, giornali e riviste si aprirono largamente a M., che iniziò nel Temps una serie di articoli brillanti e leggieri sotto la rubrica Revue fantastique e pubblicò nella Revue de Paris nuove poesie: tra queste è particolarmente notevole il frammento intitolato Les secrètes pensées de Rafaël gentilhomme français, per il tono canzonatorio con cui vi si accenna ai romantici che vanno frugando nel Medioevo col loro pugnale insanguinato. Nel dicembre 1830 gli s'era aperto il teatro dell'Odéon, ma per un infelice successo: la fantasia ch'egli vi fece iappresentare, La nuit vénitienne (un atto in prosa), col suo sconcertante "marivaudage", la sua ostentata e ironica mescolanza di generi, la sua azione aggrovigliata e non chiara, non era fatta per un pubblico di spettatori. Da allora M. non volle più rivolgersi se non a lettori, come annunzia chiaramente il titolo del suo secondo volume di versi: Un spectacle dans un fauteuil (1833).
Vi sono raccolti: un poema drammatico (La coupe et les lèvres), una deliziosa fantasia dialogata che ricorda il teatro fiabesco di Shakespeare (A quoi rêvent les jeunes filles) e, per soddisfare le esigenze dell'editore che aveva fissato a M. il numero delle pagine del volume, un poemetto in tre canti, Namouna, in cui la maniera discorsiva di Mardoche, vale a dire la chiacchiera in versi sull'esempio di Byron, è portata veramente all'assurdo, con fastidio non soltanto del lettore ingenuo, il quale vede il filo della narrazione continuamente interrotto e ironicamente riappiccato solo nelle ultime stanze, ma anche del lettore scaltrito, che nelle digressioni apparentemente disinvolte non può non riconoscere la stanchezza e lo sforzo: graziosissima, però, la digressione su Manon Lescaut, che è del migliore M., e interessante, per un adeguato apprezzamento della psicologia mussettiana, l'altra su Don Giovanni, o piuttosto sul tipo di libertino che M. idoleggia in quegli anni, sentimentale, sognatore, candido e ingenuo anche nella crapula e nel delitto, remotissimo perciò così dal cinismo del Lovelace di Richardson o del Valmont di Laclos come dall'eroe byroniano in rotta col consorzio umano che non ha voluto riconoscere la sua superiorità. In Namouna tra le molte canzonature non manca quella del colore locale romantico. Da allora in poi, infatti, M. si contentò di suggerire l'ambiente dei suoi drammi, racconti e commedie per mezzo di sobrie pennellate e di delicati accenni, e tanto più felicemente raggiunse il suo intento. Ma del pugnale romantico seguitò a fare uso ancora per un pezzo. Esso lampeggia intanto nel dramma La coupe et les lèvres, in cui il protagonista, Frank, è il tipo dal libertino che dal suo stesso libertinaggio si vede chiuse per sempre le fonti del sano e puro amore. La coupe et les lèvres e A quoi rêvent les jeunes filles segnano in un certo senso due direzioni nell'opera drammatica e narrativa di M.: il dramma del libertino giustiziere e carnefice di sé stesso e la fantasia leggiera, che dalla fiaba volge sempre più al proverbio, ispirata a una saggezza facile, leggiadra e mondana, ma sempre meno romantica, sempre più tradizionale. S'intende che tra le due vie non mancano le comunicazioni e che spesso, specie nel periodo giovanile, per quel senso d'ironia che M. metteva nella mistione romantica dei generi, dramma, fantasia e proverbio s'intrecciano capricciosamente. Dei tre lavori drammatici in prosa ch'egli scrisse nel 1833, non destinati alla scena, André del Sarto è nella direzione della Coupe et les lèvres, Fantasio in quella di A quoi rêvent les jeunes filles, di cui ha la grazia agile e fresca, e Les Caprices de Marianne è una commedia o fantasia che precipita in dramma, più ancora dell'eroe libertino (che sopravvive) che non dell'eroe sentimentale (che muore). Un'altra vittima del proprio libertinaggio e del dubbio impotente che travaglia il secolo è il suicida Rolla, protagonista del poemetto omonimo, anch'esso del 1833.
In quell'anno, a un pranzo che la Revue des deux Mondes offrì ai proprî collaboratori, M. conobbe George Sand e dall'incontro nacque quell'amore fortunoso e celeberrimo, "esemplare" nella storia del romanticismo, che ha avuto i suoi storici gli uni contro gli altri armati, sandisti e mussettisti, e poi, cessate le querele, i suoi filosofi, volti a trarre una lezione di saggezza dalla tormentata storia dei due, per dir così, simbolici amanti. Il primo storico sandista fu la stessa George Sand (Elle et Lui, 1859) e il primo mussettista Paul de Musset (Lui et Elle, 1860). Qui basti dire che i due amanti andarono in Italia a cullare la loro splendida illusione e che a Venezia il miraggio si dissipò. Quale la causa? Fu l'irascibilità morbosa di M., preparata dai passati stravizî, esasperata dall'alcool? Fu la facilità di George a secondare gli appelli della propria carne? Senza che si possa stabilire la concatenazione dei fatti e delle cause, certo è che quelle erano le rispettive disposizioni di M. e di George. E certo è che a un dato momento interviene terzo un dottore bellunese, Pagello, chiamato al capezzale di M. ammalato. È difficile, e del resto poco utile all'apprezzamento della poesia, stabilire in quale misura la triste avventura veneziana e il suo contraccolp0 dopo il ritorno in Francia di M. abbiano agito sull'ispirazione di lui. Ma è un fatto che se l'amore aveva avuto fino allora la parte dominante in quell'ispirazione, e segnatamente l'amore inteso come passione fatale, che ha come compagno inseparabile il dolore, ora nell'amore e nel dolore che fatalmente lo accompagna M. vede con straziante chiaroveggenza la sua unica ragion di vivere, ed egli accetta il suo destino con una sorta di dolorosa voluttà, con un desiderio insaziato di soffrire ancora, lieto e orgoglioso del suo cilizio se a questo prezzo può dire d'aver provato quel sentimento che dà alla creatura umana la coscienza d'una vita sovrumana.
Questo è il M. della Nuit de mai (1835), della Nuit de décembre (1835) della Nuit d'août (1836), della Lettre à Lamartine (1836), della Nuit d'octobre (1837), del Souvenir (1841), liriche in cui la passionalità romantica si effonde irrefrenabile, ma è assente quasi la tecnica romantica di cui M. s'era compiaciuto nei Contes d'Espagne et d'Italie, respinta qui dall'impeto stesso dell'ispirazione: se mai, si potrebbe parlare d'un certo ritorno al classicismo, perché l'esperienza personale assurge qui a formule (che sono però gridi del cuore) di valore universale; e dell'oratoria classica si sentono qui a volte gli schemi, o piuttosto si trasentono, perché la forza dell'ispirazione, anche se torbida, li soverchia e travolge, come fa d'altri luoghi comuni retorici. Contro la retorica, la poetica e la psicologia romantica M. pubblica intanto le quattro Lettres de Dupuis et Cotonet au directeur de la Revue des deux Mondes (1836-1837), graziosissime per brio indiavolato. E la diagnosi del male romantico, già avviata in Rolla, egli l'approfondisce nella Confession d'un enfant du siècle (1836), romanzo in cui forse volle dare una trascrizione, favorevole a George Sand, dell'avventura veneziana. Comunque sia di ciò, ritorna nella Confession il motivo del libertino che avvelena la propria vita e l'altrui. Questo motivo M. l'aveva già ripreso nel dramma Lorenzaccio (1834), in cui l'uccisore di Alessandro de' Medici è presentato come un giovane sentimentale e sognatore, patriota, innamorato della libertà, il quale per meglio infingersi favorisce le turpi inclinazioni del duca, ma al contagio si corrompe per sempre e compie il tirannicidio più per vendicare la propria purezza distrutta che non per la causa della libertà in cui più non crede. Stretto parente di Lorenzaccio è Perdican, eroe del dramma On ne badine pas avec l'amour (anch'esso del 1834), in cui abbondano i felici spunti comici e idillici, ma alquanto confusa è la linea maestra. Uno squisito gioiello è invece la commedia Le chandelier (1835), in cui la poesia si raccoglie tutta intorno alla gentile figura di Fortunio, il piccolo scrivano poeta pronto a dare la vita per la donna ch'egli ama in segreto, innamorata d'un altro.
Con le due commedie o proverbî La quenouille de Barberine (1835) e Il ne faut jurer de rien (1836), fiori d'incomparabile grazia, M. accenna a temperare con la saggezza comune e con la morale tradizionale la concezione romantica dell'amore, a riconciliare due divinità egualmente necessarie all'uomo, Eros e Imene. Questa saggezza sorridente finirà col prevalere, non senza qualche ritorno romantico, nelle opere degli anni seguenti, che per il tono fanno sempre più pensare, così le commedie e i proverbî come le novelle, a certa letteratura settecentesca. Per questo, e per quel che si è detto a proposito delle liriche, si comprende bene la simpatia che Désiré Nisard, il fiero avversario del romanticismo, dimostrò a M. nel riceverlo all'Académie (1852) quasi come un figliol prodigo penitente. Nel 1847 un'attrice, Louise Allan, portò sulla scena un grazioso proverbio, Un caprice, che M. aveva pubblicato nella Revue des deux Mondes giusto dieci anni prima. Fu il segnale della resurrezione sul palcoscenico di tutto o quasi il teatro del poeta, che dopo la caduta della Nuit vénitienne non aveva più voluto affrontare il giudizio delle platee. Egli allora non solo adattò alle esigenze teatrali parecchi dei suoi lavori precedenti, ma ne scrisse di nuovi: Louison (1849: la sola sua opera drammatica in versi dopo La coupe et les lèvres e A quoi rêvent les jeunes filles): On ne saurait penser à tout (1849), Bettine (1851). Ma il poeta andava declinando, spento precocemente dalla vita dissipata che conduceva, soprattutto dall'abuso dei liquori. Il suo genio lampeggia tuttavia in qualche scritto che ricorda l'antica grazia, birichina o patetica: le stanze, in ritmo di barcarola, A mon frère revenant d'Italie (1844), alcune novelle (Le secret de Javotte, 1844; Mimi Pinson, 1845; La mouche, 1853), il proverbio mondano Il faut qu'une porte soit ouverte ou fermée (1845), e soprattutto la commedia Carmosine (1850, rappresentata postuma) di cui una novella del Boccaccio gli offrì la trama, ma a cui egli diede i colori d'una squisita fiaba romantica. Gli ultimi anni li passò quasi nell'inazione. Morto a quarantasei anni, da tre o quattro era un sopravvissuto a sé stesso.
L'opera di A. de M. perde a una lettura continuata, non tanto per l'insistenza dei pochi motivi (dove il poeta canta spontaneo l'accento è sempre nuovo), quanto per l'incontro di punti morti dove all'ispirazione che langue si sostituisce la maniera: più che nei componimenti di carattere patetico, dove, come s'è detto, l'eloquenza raramente si scompagna dalla poesia, quella sostituzione si avverte nel discorso vagabondo di certi scritti leggieri in cui si direbbe che M. rifaccia il verso a sé stesso, a volte con poco garbo. Ma le sue grandi liriche rendono come poche oltre il fremito della passione d'amore e i capolavori del suo teatro restano inimitabili esempî d'una grazia leggiera, fiabesca a un tempo e mondana, che fonde il pianto e il sorriso nella sua incantevole armonia.
Opere: Øuvres complètes d'A. de M., Parigi 1866, voll. 10; Parigi 1867, voll. 10; Parigi 1878-1879, voll. 10; Parigi 1889-1891, voll. 5; Parigi 1907-1908, a cura di E. Biré con notizia biografica e note, voll. 9; Parigi 1923 (in corso di pubblicazione), a cura di Bouteron e Longnon. Øuvres complémentaires, Parigi 1911, a cura di M. Allem; Correspondance d'A. de M., Parigi 1907, a cura di L. Séché; Lettres de G. Sand à Musset et à Sainte-Beuve, Parigi 1897, a cura di S. Rocheblave; Correspondance de G. Sand et d'A. de M., publ. intégralement et d'après les documents originaux, Bruxelles 1904, a cura di F. Decori; P. Gastinel, Les deux "André del Sarto" d'A. de M., ediz. critica, Rouen 1933. Particolarmente utili i Morceaux choisis a cura di J. Giraud, Parigi 1912.
Bibl.: H. Clouard, Bibliographie de M., Parigi 1883; P. de Musset, Biographie d'A. de M., Parigi 1877; É. Montégut, Nos morts contemporains, Parigi 1883; É. Faguet, Dix-neuvième siècle, Parigi 1887; A. Barine, A. de M., Parigi 1893; H. Clouard, Documents inédits sur M., Parigi 1909; Ch. Maurras, Les Amants de Venise, George Sand et Musset, Parigi 1902; L. Séché, A. de M., documents inédits, Parigi 1903; L. Lafoscade, Le théâtre d'A. de M., Parigi 1908; Gauthier-Ferrières, M.: la vie de M., l'oeuvre, M. et son temps, Parigi 1909; M. Donnay, A. de M., Parigi 1914; C. de Lollis, Il classicismo del M., in Saggi di letteratura francese, Bari 1920; B. Croce, De M., in Poesia e non poesia, Bari 1923; M. J. Pommier, À propos de Lorenzaccio, in Revue des cours et conférences, dicembre 1924 segg.; Les grands écrivains français jugés par Sainte-Beauve: XIXe siècle, Les poètes, II, Parigi 1926, a cura di M. Allem (ivi quanto Sainte-Beuve) ha scritto su M.); Comte de Gobineau, A. de M., le poète, le prosateur, in Études critiques (1844-1848), Parigi 1927; J. Charpentier, La vie meurtrie d'A. de M., Parigi 1928; H. Wynn Rickey, M. shakespearien, Bordeaux 1932; P. Gastinel, Le romantisme d'A. de M., Rouen 1933. Nel 1933 l'antica società "Les Mussettistes", che pubblicava un bollettino, si è ricostituita a Parigi col nome di "Société Alfred de Musset", e ha annunziato la pubblicazione d'una serie di Cahiers A. de M.