VARANO, Alfonso
Letterato, appartenente alla famiglia degli antichi duchi di Camerino; nacque in Ferrara il 13 dicembre 1705, vi morì il 18 giugno 1788. Educato dal 1715 al 1722 nel Collegio dei nobili di Modena, vi ebbe maestro di poesia l'amorevole abate Gerolamo Tagliazucchi. Fu poi iscritto in molte accademie, fra cui la Crusca. Allo spirito rinnovatore del secolo partecipò solo nell'amore dell'erudizione scientifica, né al resto reagì con doti efficaci d'ingegno. Nobile, ricco, non ambizioso, dedito agli studi e alla pietà e amante della solitudine, ebbe la sua umanità limitata in questi affetti, in lui continui, ma temperati e quasi soddisfatti in sé stessi.
Cantò da giovane in forma deliberatamente astratta un amore forse reale per una Celinda, e scrisse rime bernesche, pastorali, d'occasione e di divozione per deliberato proposito e secondo il costume, non per vocazione. Nel 1749 pubblicò il Demetrio, tragedia con cori di tipo classico, già abbozzata in gioventù, e nel '54 il Giovanni di Giscala, altra tragedia e suo più spontaneo lavoro. Vi rappresenta la folle e violenta passione del tiranno del tempio di Gerusalemme, atteggiandola a una magnanimità furente, assorta e grandiosa e preludendo a quelle passioni avvolte da tragico fato che divennero un tema dominante nella poesia seguente. A lugubre tristezza inclinano anche le Visioni, in numero di 12, cominciate nel 1749, terminate nel 1766 e curate per il resto della vita; ma in nessun passo esse sollevano ad altezza veramente poetica questo tema. L'invenzione materiale infatti vi sostituisce la fantasia, e ne sono indizio i nessi lenti, gli episodî diffusi, il periodare prosastico, qualità le più remote dall'arte di Dante, cui quella del V. venne, per un'incauta lode del Monti, paragonata. L'argomento è cristiano con intento moraleggiante, e il V. vuole anche mostrare come se ne possa fare poesia altrettanto degna di quella ispirata ai miti pagani, polemizzando - ciò che anticipa lontanamente una disputa romantica - con un asserto contrario del Voltaire. Ma qui alla materia religiosa manca l'altezza adeguata del sentimento e l'austerità del concepimento. Gli argomenti del V. non hanno né l'anelito né l'ansiosa concatenazione della fantasia che penetra e s'innalza nel mistero della fede e nella conoscenza della virtù, essendo la sua verità quella ricevuta dell'uomo pio e non l'infallibile verità conquistata con dramma di tutta la coscienza. Lontanissima è perciò anche la sublimità della Bibbia, da cui l'autore intese di muovere. Ai pregi inferiori dell'arte, come la cura solenne della magniloquenza e lo studio delle invenzioni grandiose, si è data soverchia lode quando si sono considerati come un esempio all'arte del Monti. Frutti senili dell'ingegno del V. sono le tragedie Agnese (1783) e Saeba regina di Ginge e di Taniorre.
Cfr. le Opere scelte in poesia (Milano 1818).
Bibl.: L. Cambini, A. V. poeta di visioni, in Atti della Deputaz. di storia patria di Ferrara, XV (1904), con bibliografia.