CASOLI, Alfonso Maria
Nacque di culta e doviziosa famiglia, ligia all'ancien régime e alla Chiesa, il 21 luglio 1867 in Modena, da Ferdinando e Virginia Parenti.
Il padre, che il C. doveya piangere perduto in tenera età (10 dic. 1878: vedi in Reliquie, pp. 43-46, una poesia scritta a Cremona, dove era convittore al collegio "Vida", il 28 nov. 1882), professò diritto alla locale università. La madre, figlia del letterato e dantista Marcantonio, fu donna di pietà e di buone lettere, quale rivive sotto le fattezze e nelle travagliate esperienze religiose ed umane della signora Elisa nel romanzo Anime sane (il romanzo è per larga parte confessatamente autobiografico). Ebbe per fratello maggiore quell'avvocato Pier Biagio Casoli, che fu magna pars dell'intransigentismo cattolico negli ultimi decenni del secolo e il cui sostanziale insuccesso politico, ed effettivo superamento ad opera della "democrazia cristiana", il C. deprecò in due fieri ed aspri sonetti, non pur di rievocazione, ma d'impegnata rivendicazione della sua ideologia (Reliquie, pp. 47-48). Parimenti celebrò in una saffica d'alta pietà e di fervida ispirazione religiosa la morte precoce (26 sett. 1896) della sorella monaca suor Teresina, e questa saffica è pur anche un'alta e gentile testimonianza di omaggio alle virtù educatrici, al consolato e severo dolore di sua madre (Reliquie, pp. 8-9). Educato a Cremona nel collegio "Vida", retto da gesuiti, del quale è sovente memoria nel suo romanzo Anime sane (pp. 148 ss., 210, 556), vi ebbe una rigorosa e rigidissima educazione classica, addestrandosi a un perfetto "bilinguismo", a maneggiare il verso e la prosa, in italiano e in latino, con echi e ricordi specialmente di Virgilio, di Orazio e dì Dante, ma non senza lezie arcaistico-toscaneggianti, inversioni disusate, ecc.
Donde uno stile che soprattutto è significativo per essere del pari lontano dalla prosa manzoniana e carducciana (mentre nei versi latini il tema del componimento suggerisce come a priori la fonte e lo stile, che è pertanto virgiliano, negli esametri degli epilli storicomitici, ed oraziano o giovenaliano nei componimenti a carattere polemico-satifico). Questo non toglie, ovviamente, che non manchino ai suoi versi e alla sua prosa moduli manzoniani (vedi, per esempio, Reliquie, pp. 150, 158) e cadenze o reminiscenze carducciane ma indica il sostanziale "anacronismo" storico-letterario dell'attività del C., la solitudine battagliera in cui scrisse e operò, affiancando l'opera sua di propagandista e di polemista pubblicistico (non mai, ne fosse o non ne fosse a pieno. consapevole, propriamente artistica) all'opera politico-pratica del fratello. Significativo è, d'altra parte, il silenzio esplicito, negli scritti del C., sul compagno ed amico, e condiscepolo al collegio "Vida", il padre G. Semeria, forse raffigurato nell'appassionato e impaziente Don Primo di Anime sane, ma rispetto. al C. di ben altra modernità e levatura culturale. Il C. fu volutamente e sempre un arretrato, anzi un combattente contro ogni e qualunque manifestazione (vuoi sociale vuoi politica vuoi letteraria) del tempo suo. Resta, perciò, un interessante testimone a contrario delle vicende italiane dalla vigilia della guerra d'Africa all'indomani della grande guerra.
Entrato nella Compagnia di Gesù il 15 ag. 1887, insegnò per tredici anni lettere italiane, latine e greche in collegi ecclesiastici dell'Italia austriaca, "sulle rive del Quamero" (Anime, p. 154) e a Gorizia; e conobbe anche bene il Trentino. Fu quindi allievo della facoltà letteraria dell'università di Padova, un cui efficace ritratto (naturalmente ex parte) tracciò in Anime sane, deplorandovi la presenza e il magisterio di R. Ardigò (ma non senza compiacersi che già fosse in crisi per la diffusa rinascita dello "spiritualismo"), e stringendo legami, invece, soprattutto con F. Bonatelli, F. Flamini ed E. Teza.
Inviò a quest'ultimo parecchie sue pubblicazioni, "omaggio dello scolaro riconoscente" (che si conservano nel Fondo Teza della Marciana), e del Teza parlò con simpatia e penetrazione, invano peraltro augurandone "un ritorno alla fede", che gli parvero anticipare o render concepibile "certi suoi catechismi pepatissimi sulle sette, sugli apostati, sui dottorelli moderni" (Anime, pp. 359-360. Vedi altresì i giudizi sul Teza nell'articoletto, anonimo, ma che per concetti e stile vorremmo rivendicare al C., e resta assai utile a intenderne metodi, conoscenza e critica della nostra letteratura novecentesca, in Civ. catt., LXXIII [1922], n. 1, pp. 334-340: "Il Teza, col quale pur noi serbammo, come discepoli, viva amicizia e carteggio... era d'animo se non di modi, gentilissimo; assorto in ogni questione scientifica e religiosa; ma traviato da un sentimento che l'inclinava al buddismo, e gli faceva stimare, in modo strano, Calvino. Negli ultimi anni avrebbe voluto potersi per-suadere di qualche più certa verità, e uscire dal suo scetticismo; e godeva assai nell'intima conversazione di ragionar di religione, dicendo che ciò gli faceva bene").
Iniziò in questi anni la collaborazione alla Civiltà cattolica, per trattarvi "di cose letterarie e di questioni correnti". Vi pubblicò, ad esempio, le due monografiette Il cardinale Sforza Pallavicino e la Repubblica di Venezia (quaderni del 10 settembre e del 6 ott. 1900; in estratto, Roma 1900) e Il p. Paolo Segneri. Le sue missioni nel territorio di Brescia e la Repubblica di Venezia (quaderno del 18 genn. 1902; in estratto, Roma 1902).
Nel primo di tali opuscoli interessano soprattutto, se non alla storia dei tempi evocati, almeno alla storia del C. e della temperie in cui visse, la rivendicazione d'un presunto patriottismo italiano del Pallavicino ("potrà ognuno vedere come in altri tempi, senza le frasi altisonanti de' nostri giorni e senza il moderno sciupio di patriottismo si sapesse amare fortemente e veramente l'Italia"), che è erronea affermazione frequente negli scrittori cattolico-reazionari dell'Otto-Novecento; e la condanna dei Sarpi, per un suo presunto desiderio o proposito "d'introdurre l'Eresia in Italia" (p. 24). Il secondo opuscolo è il preannunzio, o l'avant-goût, di più ampio lavoro non eseguito: nell'avvertenza il C., allora dimorante a Venezia, significava, infatti, la sua "speranza di potere, quandochessia, pubblicare un compiuio studio letterario-storico su Paolo Segneri e l'eloquenza sacra in Italia nel secolo XVII, e sollecitava documenti a tal fine, rivolgendosi "in maniera particolare ai RR. Parrochi dell'Appennino emiliano e toscano, che come fu più spesso evangelizzato dal Segneri, così forse più copiose ne conserva le memorie". Poiché la conclusione della ricostruita attività evangelizzatrice del Segneri nel Bresciano il 1676 è che "Paolo Segneri da grette paure di una sospettosa politica si vide intralciato il corso di quelle missioni" (p. 24). l'uno e l'altro opuscolo comprova e conferma, pur sotto l'apparenza e la realtà sostanziale dell'obiettiva ricerca "scientifica", il fine propagandistico-predicatorio del C.; la difesa, cioè, nel passato (e tanto più, implicitamente od esplicitamente, nel presente), dell'opera dell'Ordine cui apparteneva, senza nulla concedere alla significazione ed importanza storica dell'antigesuitismo della Repubblica veneta "del suo consultore, senz'avvertirne, dunque, senza volerne cogliere, la positività, la forza e l'efficacia.
Quest'atteggiamento polemico-predicatorio del C., che, laureatosi a Padova nel 1901, proseguì l'insegnamento in varie scuole confessionali della penisola, fra le quali il convitto "Leone XIII" a Milano, di cui fu per cinque anni rettore, è il contrario tanto della ricerca scientifica (o della ricostruzione storica) quanto della libera e disinteressata ispirazione poetica. Ma fu un atteggiamento che, significativamente, l'impegnò contro tutto e contro tutti.
Cattolico "intransigente", rifiutò, invero, la realtà dello Stato italiano, in quanto sorto con e suì principi del liberalismo, sull'abrogazione del potere temporale dei papi e mercé la breccia di porta Pia. Rifiutò coerentemente la politica italiana tutta quanta, anche i conati reazionari ed imperialistici del Crispi (in cui vide uno strumento della massoneria e un piccolo emulo del Bismarck, avversato quest'ultimo per il Kulturkampf, sì da salutare nella caduta del cancelliere una nuova Canossa). Condannò del pari massoni, radicali e conservatori, Cavallotti come Rudinì (pur usando al primo maggiore giustizia e pietà che al secondo, accusato di osteggiar l'opera di Leone XIII per la pace in Africa e il riscatto dei prigionieri di Adua), macchiò di veleno antisemitico molte pagine di Anime sane, in cui anche stampò non pochi suoi versi contro il Carducci "barbaro" e Rapagnetta (cioè il D'Annunzio) "greco", benché preferisse il poeta del Clitumno e di Miramar al poeta del Chiarone e del Cadore, ("ma s'ei legga Marlowe o mi sciorini/del capitano Calvi il fazzoletto": Anime, p. 443, Reliquie, p. 37). Non trovarono grazia presso il C. non che il Bonghi, ma, perché "modernista", il Fogazzaro (Reliquie, pp. 125, 170-171); e men che meno i cattolici "liberaleggianti" alla Murri: "Dio non voglia che un bel giorno i cattolici italiani... non si debbano trovare, senza nemmeno accorgersene, là donde s'erano fuggiti come dal diavolo, col tricolore in mano, inginocchiati davanti a una statua del Cavour e le spalle volte a S. Pietro, spauriti anco del nome di cattolici... ansiosi d'intrupparsi coi liberali, per figurare patrioti e conservatori" (Anime, p. 244); mentre lauri e canti il C. "nel trentesimo anniversario di Casteffidardo" aveva entusiasticamente sparso sui "Martiri santi", dal Pimodan al Lamoricière, "verace Leonida cristiano" il primo, "tra Goffredo e Tancredi" il secondo, vittime degli "empi" Piemontesi e d'una monarchia dimentica di avere avuto per "scudo / la virtù d'Ildebrando e di Matilde" (Reliquie, pp. 193 ss., 199, 202, 204; a p. 204n. 1, si veda il significativo rinvio a un romanzo del padre Bresciani, quasi a dinotare una consapevole continuità di animus e di giudizio).
Alla guerra mondiale il C. fu avverso, e la deprecò nella prosa del suo romanzo e in versi latini premiatigli al certamen Hoefftianum di Amsterdam, cui partecipò, variamente vittorioso, fin dall'anno 1908 quando con una sua ode saffica battè il Pascoli di Post occasum Urbis (volgarizzati o rifatti in parecchie delle Reliquie poetiche). Con questo animo, in un romanzo che voleva essere "storico", ed è di tecnica e costruzione manzoniana, conscia trasposizione dei Promessi Sposi nel descrizionismo, nei moduli narrativi, nel taglio dei capitoli, ecc. (e dov'è esemplato su don Rodrigo, nel suo stesso incapricciarsi per la virginea protagonista, un ebreo e massone prof. Gionata Sassari, destinato a perire, "senza riprender più i sensi, per quanto v'adoprasser di cure i medici, e di sollecitudini e di preghiere suor Luisa... e suor Rosa, la buona superiora", non sul giaciglio del lazzaretto, ma "allo spedale" di Milano, vittima delle stragi del maggio 1898), il C. rievocò la guerra d'Abissinia, l'Italia di vent'anni addietro, senza che nulla in quel ventennio gli paresse mutato e giudicando l'Italia e l'Europa in guerra meritamente espianti le proprie colpe: unica luce vedeva nella predicazione di papa Benedetto XV, come aveva giudicato sterilmente cruento il colonialismo africano, se non fosse, meramente e totalmente, missionarismo alla Massaia. Né gli diede conforto lo stesso pontificato di Benedetto XV, se l'Italia del secentenario dantesco giudicò tuttavia unicamente meritevole delle rampogne dell'Alighieri all'Italia del tempo suo (Lyricorum, pp. 129 ss.) e il mondo contemporaneo ritenne ugualmente e solo impegnato nell'esaltazione del divismo sportivo (Reliquie, pp. 283 ss.; versione-rifacimento dell'Ecloga novissima premiata ad Amsterdain il 1922). Sempre alacre nella sua attività di scrittore della Civiltà cattolica (per alcun tempo ne fu anche redattore) e d'altri periodici, nonché di facondo predicatore, soggiacque rapidamente, in Torino, dov'erasi recato a predicar la quaresima in duomo, a un repentino attacco nefritico. la sera del 20 febbr. 1923.
Opere: oltre agli scritti ricordati nel testo, il romanzo Anime sane (la cui prima edizione è di Roma 1917 e la terza, donde si cita, di Modena 1921) e il discorso Un campione della causa cattolica, il conte Stanislao Medolago Albani (Acquapendente 1922) veggansi le due sillogi poetiche: Lyricorum liber, Modena 1922; Reliquie poetiche, ibid. 1930.
Bibl.: Sul C., il necrologio anonimo in Civiltà cattol., LXXV (1923), n. I, pp. 467-468 e l'articolo, anonimo ma del p. Busnelli, ibid., LXXIII (1922), 2, pp. 242-48 (vedi, altresì, gli Indici del periodico, ad nomen, per vari accenni, recens., ecc.). Inoltre T. Sorbelli, nell'introduzione al Lyricorum liber, pp. XXV-XXVIII; T. Sorbelli-G. Mattiussi, nella prefazione alle Reliquie poetiche, pp. 5-10, 11-16, rispettivamente; uno studio di P. Treves sul romanzo del C. nella miscellanea in onore di E. Paratore, in corso di pubblicazione.