CECCARELLI, Alfonso (Fanusius Campanus)
Nacque a Bevagna (Perugia) il 21 febbraio del 1532 da Claudio, notaio di famiglia originaria di Città di Castello, e da Tarpea Spezi; avviato alla professione medica, la esercitava nel 1559 a Canzano (Teramo), dopo aver sposato nel 1553 Imperia Ciccoli.
Nel 1562 fu a Roma come membro di una delegazione bevanate inviata a Pio IV. Nel 1564 vennero edite insieme a Padova le sue prime opere note, un Opusculumde tuberibus (sui tartufi neri del suo paese d'origine), composto anteriormente, e un trattatello sul Clitumno; ambedue, ricche di citazioni classiche in parte inventate e prive comunque di ogni interesse scientifico, recano il ricordo di altri suoi sconosciuti testi scientifico-medici. L'anno appresso era a Sangemini come medico e negli anni successivi continuò ad occupare varie condotte in diverse cittadine umbre. In questo stesso periodo dovette cominciare la sua attività di prolifico fabbricatore di testi storico-cronistici, che usava attribuire ad autori medievali inesistenti. Certo è che quando, nel gennaio del 1569, dedicò ai Podiani una sua storia dell'antica Rieti e delle origini della loro famiglia, vi citò come fonti autorevoli alcune sue contraffazioni destinate a diventare famose, dalle cronache di Gualdo a quelle dei signori di Brunforte, da un breve compendio di storia italiana alle Ephemerides storiche di un Eleuterio Mirabello.
Deciso a sfruttare l'ambizione nobiliare di ricche famiglie borghesi, di magistrati, di comuni e di città, il C. riuscì in breve tempo a crearsi una solida ed estesa fama di esperto storico, antiquario e genealogista. Già prima del dicembre 1569 egli era in contatto con Alberico Cibo principe di Massa, per conto del quale preparava una storia di Genova e della Liguria, nella quale intendeva inserire abbondanti notizie sui Cibo; ma il progetto si ridusse ad una trattazione storico-genealogica in buona parte fantastica (Simolacro dell'antichissimae nobiliss. casa Cybo), completata (novembre 1572), mentr'era medico condotto a Nepi, ed inviata al principe con sonante dedica (copia manoscritta nell'Archivio di Stato di Massa); in essa figurava per la prima volta tra le fonti anche un ampio trattato De familiis illustribus Italiae et earum origine, divisoin cinque libri, attribuito ad un fantomatico Fanusio Campano, e infarcito di falsi privilegi imperiali. Le perplessità subito manifestate dal Cibo circa la genuinità delle improbabili e sconosciute fonti citate dal C. nella sua opera non arrestarono le sempre più audaci attività falsificatorie del C., il quale proprio all'inizio degli anni Settanta stava per entrare nel periodo più fecondo e turbinoso della sua operosità intellettuale. Venuto in contatto con il vescovo e cardinale di Orvieto G. Simoncelli, nipote di Giulio III, egli riuscì a farsi assumere come medico di famiglia dalla zia di lui E. Cortese Del Monte, nella casa romana della quale si trasferì almeno dalla fine del 1574. A Roma egli portò con sé quattro dei suoi miracolosi libri, fra cui, il Fanusio Campano, e un'ambizione smodata, che lo induceva a qualificarsi "filosofo eccellentissimo trovatore delle grandezze del mondo et tribuno delle delitie dell'alma natura" . (Ottob. lat. 3033, c. 98r), e ad asserire: "Io... ho un cervellaccio che cape molte cose et gli miei studi, sono fertilissimi" (ibid., c. 100r). Nel 1575 conipilò un trattato sul giubileo, che diceva di voler pubblicare e che non ci è giunto; nel dicembre del medesimo anno provò ad offrire al cardinale G. Sirleto, custode della Biblioteca Vaticana, alcuni dei suoi manoscritti, scegliendo, in verità con qualche prudenza, quelli meno evidentemente sospetti e di qualche immediato interesse storico-religioso (Reg. lat. 2023, cc. 59-61); ma la cosa non ebbe seguito.
Pur continuando a esercitare la professione medica, il C. fra il 1575 ed il 1580 estese e ampliò a dismisura la sua produzione di testi infarciti di dati e documenti falsi (fra cui un Giovanni Selino, De familiis nobilibus, e un trattato attribuito a Giovanni Del Virgilio), che continuò a conservare presso di sé e cui diede il pomposo titolo di "Bibliotheca del mondo"; offrendone estratti ed anticipazioni ora a questo ora a quello, con autenticazioni esemplate su quelle notarili, e annunciando mirabolanti scoperte di casse ripiene di documenti o di codici membranacei. Mentre da alcune famiglie lusingate dalle sue mirabolanti offerte e dai magistrati di minori città di provincia, quali Cagli (1574), Orvieto (1580), Pesaro (1581), Chieti (1582), riceveva onori e danaro edall'esule: signore del Montenegro Nicola Crnojević la nomina a conte palatino (29 ott. 1580: il diploma originale in Vat. lat. 12488, cc. 76-94), il principe di Massa tornava a proporre i suoi dubbi rafforzati dal parere negativo di alcuni dotti, fra cui S. Ammirato; e a "sospetti", ormai generalizzati, faceva riferimento anche M. Monaldeschi in una preoccupata lettera dell'ottobre 1576 (Vat. lat. 12487, c. 82r).
Proprio il rapporto con l'orvietano Monaldeschi, non del tutto chiaro, poiché pare che in lui il C. avesse trovato non soltanto un protettore, ma anche un attivo e consapevole collaboratore, portò prima alla fabbricazione dei falsi annali in volgare di L. Monaldeschi e poi alla pubblicazione nel 1580 (lo stesso anno; si noti, in cui uscivano a stampa le Famiglie nobili napoletane dell'Ammirato) dell'unica opera storica del C. resa pubblica lui vivente: Dell'historia di casa Monaldesca ... libri cinque (Ascoli 1580). In essa il C. mescolò spregiudicatamente fonti falsificate o interpolate a fonti genuine e osò pubblicare documenti imperiali e pontifici in parte da lui stesso malamente fabbricati, concludendo il testo con la "bella historia" (p. 215) delle origini di Orvieto e con una lunga lista di autorità per la maggior parte fantastiche (pp. 216-217).
Intorno al C. ruotavano altri personaggi, in parte committenti, come alcuni minori nobili o prelati romani, in parte collaboratori o complici, come Fulvio, Arcangeli, Silvio Lari, eruditi e antiquari, o quel Tarquinio Gregorio che lo stesso C. denunciò durante il processo. Ma si trattava pur sempre di personaggi minori o minimi, socialmente e culturalmente, della Roma di allora, ove le armi della falsificazione e dell'impostura erano, sì, consuete, ma ove la filologia e l'antiquaria erano ancora esercitate a livello altissimo tanto, comunque, da impedire alle rozze fantasie del C. di varcare la soglia del più o meno piccolo cabotaggio genealogico.
Dopo la pubblicazione della Historia, e sfidando i sospetti diffusisi intorno alla sua attività, il C., sempre alla ricerca di una definitiva affermazione e forse spinto ad una improponibile emulazione dalla recente pubblicazione delle Familiae romanae di Fulvio Orsini (1577), dose di compilare una grande storia delle famiglie nobili romane dalle origini ai suoi giorni e di dedicarla al Senato e al popolo dell'urbe. L'opera (La serenissima nobiltà dell'alma città di Roma, autografa nei manoscritti Vat. lat. 4909-4911) consiste in un'indigesta accozzaglia di dati, messa insieme, secondo le affermazioni del C., senza "ordine alcuno di precedenza, perché secondo che io ho havuto i libri e le scritture così io le ho poste et scritte" (Vat. lat. 4909, c. 11r); in essa il testo vero e proprio, composto di citazioni, estratti o riassunti, per buona parte falsi o inquinati da interpolazioni, è preceduto da una confusa teoria sul supremo valore della nobiltà e da una curiosa difesa metodica della genuinità delle fonti adoperate, che sarebbero "autentiche e vere" se comunque da altri autori citate, o anche se soltanto conservate in biblioteche note (ibid., c. 10v).
L'ultimo, grande lavoro compilatorio del C. era terminato nell'aprile dell'anno 1582, e invano il padre Claudio, rimasto a Bevagna con la nuora e gli altri nipoti, lo invitava ad abbandonare Roma e a riprendere la professione medica in provincia: "le vostre veglie, fatiche et stenti se risolveranno in fumo et in niente" (Ottob. lat. 3053, c. 115v).
In realtà il C. non si limitava a più o meno innocue falsificazioni genealogiche; da qualche tempo si era dedicato anche (per "instigatione et altre cause", secondo sua ammissione: Fumi, p. 253) alla falsificazione di documenti relativi a testamenti, fidecommissi, passaggi di proprietà, che finirono per coinvolgere le famiglie Anguillara e Cesi e forse, sia pure indirettamente, anche precisi interessi dei Boncompagni, al servizio dei quali pare egli abbia svolto ricerche storico-genealogiche nell'ultima parte della vita. Certo è che, contro di lui fu avviato un processo dinanzi al tribunale della Camera apostolica, in cui agirono come parti lese, oltre al Fisco, anche una signora Porzia di Cere e P. E. Cesi.
Arrestato e imprigionato a Tor di Nona, forse anche torturato, confessò in data 15 febbr. 1583 i numerosi falsi compiuti e scrisse anche una memoria ("libello supplice") in sua difesa, nella quale sostenne di avere agito sempre "in favorem Ecclesiae pro veritate" e "ad decorem familiarum", "con buone intentione", né più né meno di come, a suo dire, usavano comportarsi storici come l'odiato Ammirato e L. Contile; di avere dato nomi di antichi autori a sue compilazioni soltanto per modestia; di avere aggiunto dati suppletivi a fatti noti e sicuri e di non avere perciò falsificato o inventato nulla (Fumi, pp. 247-53).
Fu condannato a morte per decapitazione il 1º giugno 1583 (testo della sentenza in Fontanini, Difesa seconda, pp. 319-26); la sentenza fu eseguita a ponte S. Angelo il 9 luglio successivo ed il corpo venne seppellito nella chiesa dei SS. Celso e Giuliano.
Il suo archivio, contenente parte dell'epistolario, manoscritti di opere sue, documenti falsificati e documenti genuini, un diario, oroscopi per sé, i familiari e terze persone, spogli e appunti di ogni genere, fu sequestrato, depositato nell'Archivio di Castel Sant'Angelo (e poi in quello Vaticano fino a non molto tempo fa), riordinato da F. Contelori e forse anche dal Garampi; oggi costituisce i manoscritti Vat. lat. 12487 e 12488 della Biblioteca Apostolica Vaticana, cui vanno aggiunti anche, della medesima biblioteca, i manoscritti Vat. lat. 6157 e 6158, nonché l'Ottob. lat. 3053; ma molte sue opere, autografe o in copia, sono contenute in altri manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana e di altre biblioteche ed archivi d'Italia (Bertini e Kristeller).
Il primo studioso a ricostruire con ammirevole completezza l'attività del. C. fu L. Allacci, nelle sue Animadversiones del 1642 (pp. 255-360), anche sulla base di indicazioni e di dati, fornitigli dal Contelori, cui si deve un ampio e circostanziato indice delle opere del C. (oggi in Vat. lat. 9200, cc. 200r-201r). Ma ciononostante la diffusione manoscritta delle sue straordinarie invenzioni continuò e numerose biblioteche private se ne arricchirono. Alla fine dello scorso secolo sia A. Riegl, impegnato nell'edizione dei diplomi imperiali, sia G. Sforza, biografo di A. Cibo, principe erudito, fornirono due notevoli contributi alla ricostruzione delle falsificazioni del C., cui il Fumi intese attribuire (ma senza molto fondamento) anche le famose profezie dello pseudo s. Malachia, e più recentemente G. Pistarino un falso protocollo notarile ligure (ma su base del tutto ipotetica). Quanto difficile sia distinguere il vero dal falso nelle opere prodotte dal C. e quanto ampia sia la gamma del materiale da lui utilizzato e inquinato è stato posto in rilievo dal Kehr, dal Mercati e più recentemente dall'ultima indagine dedicatagli dal Paravicini Bagliani.
La qualità dei prodotti del C. era piuttosto scadente per sue evidenti carenze culturali ed erudite; inelegante il suo latino, scarse le conoscenze di cronologia, incerto l'uso dei formulari nelle falsificazioni documentarie (basate su pochi modelli), monotona e meccanica la costruzione delle opere falsificate, tutte identiche nello schema e negli sviluppi; abili forse sono soltanto l'imitazione di scritture antiche, la manipolazione delle materie scrittorie e dei sigilli. Singolari, infine, appaiono nella sua personalità la fede cieca nell'astrologia, comune peraltro a moltissimi uomini di buona cultura dell'epoca, e la mania di compilare oroscopi: pericolosi, forse, quelli dedicati al papa Gregorio XIII ed ai cardinali papabili (Vat. lat. 6157, cc. 5-29; Vat. lat. 12488, cc. 389r-390v); tragico, infine, quello destinato a se stesso nell'anno stesso della morte, nel quale si pronosticava con ottimistica sicurezza una vita lunga sino agli ottanta anni e il raggiungimento di molte ricchezze (Vat. lat. 6.157, cc. 117r-v; altri oroscopi in Vat. lat. 14926).
Fonti e Bibl.: Elenchi delle opere del C. in L. Fumi, L'opera di falsificazione di A. C., in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, VIII(1902), pp. 213-277, e in partic. pp. 260-65; un elenco dei suoi mss., oltre a quelli citati nel testo, è desumibile da C. Bertini, Codici Vaticani riguardanti la storia nobiliare, Roma 1906, pp. 20, 23, 40 s., 52, 53, 60-63; e da P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices, sub voce Fanusius Campanus; sue lettere edite in A. Bulifon, Lettore memorabili…, I, Pozzuoli 1669, p. 129; Ch. Dejob, Marc-Antoine Muret. Un professeur français en Italie…, Paris 1881, pp. 477 s. Vedi inoltre su di lui: L. Allacci, In antiquitatum Etruscarum fragmenta ... animadversiones…, Romae 1642, pp. 255-360; Naudaeana et Patiniana, ou singularitez rémarquables..., Amsterdam 1703, pp. 73, 199-200; G. Fontanini, Difesa seconda del dominio temporale della S. Sede, Roma 1711, pp. 129 s., 319-326; Id., Della eloquenza italiana… libri tre..., Roma 1736, pp. 220-223; G. Tiraboschi, Riflessioni su gli scrittori genealogici, Padova 1789, pp. 9 ss.; F. Labruzzi, Gli annali di L. Monaldeschi, in Arch. d. R. Soc. rom. di storia patria, II(1879), pp. 281-302; A. Riegl, A. C. und seine Fälschungen von Kaiserurkunden, in Mitteilungen des Instituts für österreich. Geschichtsforschung, XV(1894), pp. 193 ss.; P. A. Saccardo, La botanica in Italia …,in Memorie del R. Ist. veneto di sc., lett. ed arti, XXV(1895), p. 51; XXVI(1901), p. 120; G, Sforza, Il falsario A. C. e Alberico Cybo Malaspina principe di Massa, in Arch. stor. ital.,s. 5, XV(1895), pp. 276-287; P. F. Kehr, Diploma purpureo di Roggero II per la casa Pierleoni, in Arch. d. R. Società romana di storia patria, XXIV (1901), pp. 253-259; O. F. Mitis, Eine Fälschung C.s und ihre Nachwirkung, in Mitteilungen des Instituts für österreich. Geschichtsforschung, XXIII(1992), pp. 273-289; P. F. Kehr, Otia diplomatica, in Nachrichten der k. Gesellschaft der Wiss. zu Göttingen, phil.-hist. Klasse, 1903, pp. 263-267; P. Egidi, Del falso diploma di Enrico VI a favore degli Ubaldini, in Bullettino dell'"Arch. paleogr. ital.",I (1908), pp. 103-109; A. Mercati, Per la storia letteraria di Reggio Emilia, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le prov. modenesi, s. 5,XII (1919), pp. 71 ss.; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VI, New York 1941, p. 156; G. Kern, A. C., the physician of Bevagna, in Medicina nei secoli, X(1973), pp. 111-116; A. Paravicini Bagliani, A. C., gli "Statuta Urbis" del 1305 e la famiglia Boccamazza ..., in Xenia Medii Aevi historiam illustrantia ..., Romae 1978, pp. 317-350.