GRASSI, Alfio
Nacque ad Acireale, presso Catania, il 2 ag. 1766 da Nicola e da Maria Vasta. Di famiglia benestante, ebbe un'ottima educazione letteraria (studiò con passione Livio e Plutarco), ma alle lettere preferì le armi (di carattere avventuroso, all'età di dieci anni aveva tentato di fuggire di casa). Giunto all'età dell'arruolamento, contro la volontà del padre si recò a Napoli ed entrò come cadetto volontario nel reggimento "Borbone Ferdinando"; fu promosso sottotenente il 10 febbr. 1790, tenente il 15 apr. 1792 e capitano il 16 sett. 1793.
La carriera del G. nell'esercito napoletano fu però troncata da una forte passione politica, che lo avrebbe segnato per il resto della vita. Entusiasmato dalla Rivoluzione francese si dedicò a propagandarla, tentando di portare la sedizione nell'esercito napoletano. Scoperto, subì un arresto preventivo e successivamente la condanna a morte in contumacia e la confisca dei beni (1796). Riuscì però a darsi alla latitanza e a rimanervi, nonostante una taglia posta sulla sua testa, fino al gennaio 1799, quando con l'occupazione francese del Regno di Napoli sorse la Repubblica partenopea. Entrò allora nell'esercito repubblicano, partecipando alle campagne contro gli insorgenti filoborbonici e alla difesa di Napoli; caduta la Repubblica nel giugno 1799, si sottrasse a stento alla vendetta del restaurato governo di Ferdinando IV e riparò in Francia.
In una lettera da Parigi al fratello Vincenzo, del 9 nov. 1820 (in Calì, pp. 114 s.), il G. affermò poi d'aver combattuto nell'esercito francese "fin dall'epoca dell'allontanamento dal [suo] paese". Ma dai suoi stati di servizio - di cui nel 1843 M. Amari trasse copia dagli archivi del ministero francese della Guerra e da quelli della Legion d'onore (Calì, pp. 110-112) - non risultano servizi sotto le bandiere francesi fino al 15 maggio 1809, quando il ministro della Guerra lo nominò capitano soprannumerario nel 28° reggimento cacciatori a cavallo (nomina confermata con decreto 27 ag. 1809). Non è da escludere che tra il 1799 e il 1809 il G. servisse nell'esercito francese come militare di truppa e che solo in seguito a sue istanze al ministro della Guerra del Regno di Napoli (dal 1806 nuovamente occupato dai Francesi) ottenesse il riconoscimento del grado di capitano già avuto nell'esercito napoletano. In un'altra lettera al fratello da Parigi, del 19 apr. 1817 (Calì, p. 113), sostenne d'aver rifiutato di riprendere servizio nell'esercito napoletano, respingendo vantaggiose offerte fattegli da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, perché non voleva trovarsi a portare le armi contro la terra natale, la Sicilia, che il re Gioacchino intendeva strappare a Ferdinando IV e agli Inglesi (nella stessa lettera affermò che gli sarebbe stato offerto "il comando generale della spedizione contro la Sicilia", la qual cosa sembra del tutto improbabile, essendo egli solo un capitano di cavalleria; è però possibile che, come proscritto siciliano, gli fosse offerto nell'isola un incarico politico-amministrativo di rilievo).
Il G. (non più soprannumerario ma inserito nei quadri del 28° reggimento cacciatori a cavallo dal 20 sett. 1809) fece come capitano le campagne del 1810, 1811 e 1812 nell'armata del Nord della Spagna, nella divisione "Bonnet", e nell'armata del Portogallo nella divisione "Curtò". Il 19 marzo 1811 si distinse nel combattimento di Tinéo nelle Asturie, dove fu ferito e il suo cavallo ucciso. Il 22 luglio dello stesso anno, al ponte d'Orbico in Castiglia, ebbe ucciso un altro cavallo. Il 22 luglio 1812, alla battaglia di Salamanca, fu ferito da quattro colpi di sciabola e da una palla, ma il 3 agosto seguente combatté ugualmente a Valladolid. Fece poi le campagne di Germania del 1813 e del 1814 nel XIII corpo d'armata del maresciallo L.-N. Davout, partecipando alla difesa di Amburgo. Fu più volte proposto per le decorazioni della Legion d'onore e della Riunione; ottenne certamente il cavalierato della Legion d'onore e, secondo quanto affermò, anche quelli dell'Ordine reale italiano della Corona di ferro e dell'Ordine reale bavarese al Merito (ma il suo stato di servizio non registra alcuna decorazione).
Dopo la prima abdicazione di Napoleone (aprile 1814) il G., che si era naturalizzato francese, fu collocato in non attività a mezza paga, come capo squadrone (per tale grado, equivalente a quello odierno di maggiore, era stato proposto il 15 sett. 1813, a Lubecca, dal colonnello comandante il 28° cacciatori a cavallo). Intraprese allora l'attività di scrittore di storia militare e politica, che non avrebbe più lasciato. La sua prima opera (Extrait historique sur la milice romaine, et sur la phalange grecque et macédonienne. Avec une table d'applications, qui démontre que nous devons aux Romains et aux Grecs, ce qu'il y a de plus essentiel et de plus important dans notre milice. Suivie d'une courte notice sur l'invention de la poudre à canon, Paris 1815) fu pubblicata pochi giorni dopo il trionfale ritorno di Napoleone a Parigi. Non risulta che il G. tornasse in servizio attivo durante i Cento giorni, e rimase a mezza paga anche dopo la seconda abdicazione dell'imperatore, rifiutando l'incarico di aiutante di campo di Carlo Ferdinando d'Artois, duca di Berry. Viaggiò in Grecia e in Turchia, raccogliendo materiale per altre due opere.
La prima (Charte turque, ou Organisation religieuse, civile et militaire de l'Empire ottoman; suivie de quelques réflexions sur la guerre des Grecs contre les Turcs, I-II, Paris 1825), ampio quadro dell'Impero ottomano, attirò aspre critiche per i giudizi favorevoli espressi sulla "costituzione" turca (il G. intendeva dimostrare che il governo turco, tanto vituperato in Occidente, era meno arbitrario dei governi assoluti d'Europa). L'altra (La Sainte-Alliance. Les Anglais et les jésuites. Leur système politique à l'égard de la Grèce, des gouvernements constitutionnels et desévénements actuels, Paris 1827), fu una vibrante apologia della rivoluzione indipendentista greca e del costituzionalismo liberale.
Gli ultimi anni del G. furono rattristati, oltre che dal perdurare dell'esilio in Francia, da dispiaceri familiari: la morte della moglie; la misteriosa scomparsa del figlio Antonio nell'America del Sud, dov'era andato non ancora ventenne per combattere sotto il comando di S. Bolívar; l'ingratitudine del figliastro Filippo al quale, come ad Antonio, aveva procurato la migliore istruzione militare in Francia; l'impossibilità di rivedere la madre, i fratelli e le sorelle viventi in Sicilia (svanita una speranza di rimpatrio concepita all'epoca della rivoluzione napoletana del 1820, il G. fu a Malta dall'ottobre al dicembre 1825, ma nessuno dei suoi osò sfidare la polizia borbonica per andare a incontrarlo).
Rimasto solo con una figlia giovanissima, Adolfina, morì a Parigi il 25 apr. 1827.
Fonti e Bibl.: L. Vigo, Vita militare, civile e letteraria, ed analisi di tutte le opere di A.G., in Nuove Effemeridi siciliane, III (1871), (poi rist. parzialmente in Id., Opere, III, Acireale 1882); M. Calì, Merito e patriottismo. Profili biografici e critici, Acireale 1884, pp. 63-142 (con un profilo del G. e un'appendice di documenti, lettere e brani della Charte turque e de La Sainte-Alliance); A. D'Ancona, Carteggio di MicheleAmari, II, Torino 1896, pp. 285 s. (lettera dell'Amari a M. Calì del 22 apr. 1884, sul G.); V. Frosini, Esuli siciliani al seguito di Napoleone, in Risorgimento in Sicilia, I (1965), 1-2, pp. 24-29.