MASERATI, Alfieri
– Nacque a Voghera il 23 sett. 1887 da Rodolfo e Carolina Losi.
Il padre – macchinista delle ferrovie – risiedeva a Piacenza ma, dopo il matrimonio, si trasferì a Voghera. Quarto di sette fratelli, il M. venne alla luce dopo Carlo, Bindo e Alfieri, che però morì dopo pochi mesi di vita; col suo nome venne chiamato anche il figlio successivo, appunto il M., cui seguirono Mario, Ettore ed Ernesto. Tutti i fratelli ebbero un’intensa attività nel settore automobilistico, come piloti, meccanici, progettisti e costruttori, tranne Mario che si dedicò alla pittura (ma al quale sembra si debba l’ideazione del marchio di fabbrica della Maserati, ispirato al tridente della statua del Nettuno a Bologna).
Fu il primogenito Carlo a entrare per primo nel settore, come meccanico e pilota. Dopo varie esperienze, nel 1903 fu assunto come tecnico e collaudatore alla Isotta Fraschini a Milano e nello stesso anno fece assumere anche il M., che fu seguito successivamente da Bindo ed Ettore. Il M., che aveva già lavorato in un’officina privata, iniziò come meccanico del pilota V. Trucco. Nel 1908 l’Isotta Fraschini lo nominò pilota ufficiale, affidandogli una vettura del tipo F.E. da 1200 cm3 per il Gran Premio Vetturette a Dieppe. Nel 1911 venne nominato delegato tecnico e si trasferì, insieme con il fratello Ettore, dapprima in Argentina e poi in Inghilterra per effettuare dimostrazioni delle auto della casa. Rientrati in Italia nel 1912, i due fratelli furono inviati dall’Isotta Fraschini a Bologna per organizzarvi la locale officina di assistenza.
Nel 1914 il M. decise di mettersi in proprio e, sempre insieme con il fratello Ettore, aprì a Bologna un’officina di assistenza ed elaborazione sia per le Isotta Fraschini sia per vetture di altre case. Il 14 dic. 1914 nacque così la s.a. Officine Alfieri Maserati che, con cinque operai, aveva sede in via de’ Pepoli.
Allo scoppio della guerra i due fratelli vennero chiamati alle armi, e a prendersi cura dell’officina rimase il giovanissimo fratello Ernesto. Tuttavia, prima della fine del conflitto, sia il M. sia Ettore vennero congedati e inviati in due officine milanesi che si occupavano del montaggio di motori d’aereo. Il M. andò alle officine Nagliati, dove si montavano i motori Hispano Suiza a 8 cilindri, ed Ettore alla Franco Tosi, dove si lavorava sui motori Isotta Fraschini a 12 cilindri. Fu nel corso di quest’attività che il M. ideò e brevettò una candela d’accensione in mica, molto più resistente di quelle fino ad allora impiegate, avviandone anche la fabbricazione.
Terminata la guerra, il M. tornò con i fratelli a Bologna. Le prospettive di sviluppo e di diffusione dell’auto in Italia lo indussero a trasferire l’azienda in locali più ampi, alla periferia est di Bologna in località Alemanni, meglio nota come Ponte Vecchio, dove una ex fabbrica di damigiane venne riadattata a officina, magazzino, abitazione e uffici. Nello stesso edificio venne inserita anche la fabbrica di candele, che aveva però la concessionaria a Milano.
Nella nuova sede principalmente si elaboravano auto di serie (Isotta Fraschini, ma anche auto di altre case) per trasformarle in mezzi da competizione; a tale attività era interessato in particolare il M. che, nel 1920, al circuito del Mugello, riprese a partecipare personalmente alle corse. Nonostante i risultati poco brillanti non si dette per vinto e nel 1921 tornò in pista con la prima auto da lui realizzata: un telaio Diatto sul quale era stato montato un motore aeronautico Isotta Fraschini a 8 cilindri ridotto a 4, di oltre 6300 cm3. Per le corse dell’anno successivo la macchina venne ulteriormente perfezionata e il M., in coppia col fratello Ernesto, si aggiudicò una serie di importanti vittorie. Questi successi attirarono l’attenzione della Automobili Diatto, un’azienda fondata a Torino nel 1905 che, nel primo dopoguerra, aveva ripreso l’attività produttiva e maturato anche l’intenzione di partecipare alle corse. Il M. divenne così pilota e consulente per la modifica come auto da competizione di un modello di serie, la Diatto tipo 20S.
Nonostante alcuni insuccessi, la vettura ebbe un debutto accettabile. Il 1923 non andò in maniera altrettanto soddisfacente, mentre il 1924, oltre all’assenza di vittorie, si chiuse con un episodio molto spiacevole. La Diatto era interessata al mercato spagnolo, per cui il M. si iscrisse alla corsa della Rabassada, presso Barcellona (25 maggio). La notte precedente, però, per motivi ignoti, sostituì il motore di 2000 cm3 con uno di 3000. Venne presentato un reclamo e sette mesi dopo il M. venne squalificato per cinque anni, al pari della Diatto, successivamente assolta perché all’oscuro di tutta la faccenda. La casa torinese, comunque, mantenne il proposito di dedicarsi alle corse: in quest’ottica affidò al M. la progettazione di un nuovo motore di 1995 cm3 a 8 cilindri. La Diatto 8 cilindri esordì al Gran Premio d’Italia, il 6 sett. 1925, ma la sua messa a punto venne ostacolata da varie difficoltà, alle quali si aggiunse poi la crisi economica della casa stessa (sarebbe scomparsa come casa automobilistica nel 1931, dopo vicende finanziarie abbastanza turbolente): ciò spinse il M. a interrompere la collaborazione e a iniziare in prima persona la costruzione di auto da corsa.
Nell’aprile del 1926 era pronta la nuova vettura, il tipo 26, dotata di un nuovo motore a 8 cilindri di 1500 cm3, ispirato al motore della Diatto. Macchina dal buon successo commerciale per essere un’auto da competizione (11 esemplari fra il 1926 e il 1932), debuttò il 25 apr. 1926 alla Targa Florio, con al volante lo stesso M. (al quale nel frattempo era stata condonata la squalifica), ottenendo un buon risultato: nono posto assoluto e primo della categoria 1500 cm3. Le gare successive, però, evidenziarono seri problemi di tenuta del motore. Il 24 apr. 1927, alla Targa Florio, sempre col M. ai comandi, debuttò in modo soddisfacente un nuovo modello, il 26B (6 esemplari venduti fra il 1927 e il 1930). Pochi giorni dopo, però, durante la Coppa Messina (che si svolgeva lungo un percorso particolarmente disagevole), il M. rimase vittima di un gravissimo incidente, riportando varie fratture e lesioni interne con la perdita di un rene.
Nonostante i problemi che la sua assenza causava, comunque, sia le 26 e 26B dei vari piloti-clienti (come il marchese D. De Sterlich, che delle attività del M. fu anche un importante finanziatore) sia la 26 alla guida del fratello Ernesto si comportarono onorevolmente. Anche altri piloti ottennero buoni risultati, il che portò a nuove richieste di vetture, ma la commercializzazione era ancora troppo limitata per riuscire a coprire gli altissimi costi di gestione. La necessità di perfezionare continuamente le varie auto costituiva un ulteriore ostacolo alla produzione, anche per i costanti problemi con i fornitori esterni. Eccellente era invece il livello delle maestranze, in gran parte formate nell’istituto Aldini-Valeriani per arti e mestieri di Bologna, istituito nel 1878 e nel quale il settore meccanico aveva sempre avuto particolare rilevanza. Il 1928 vide la messa a punto di due nuovi modelli, sempre derivati dai tipi 26 e 26B: i 26MM e 26B MM (rispettivamente prodotti in 2 e 4 esemplari), per correre le Mille Miglia; si trattava di veicoli con un adattamento davvero minimo all’uso su strada.
Dal punto di vista sportivo, anche il 1929 si chiuse senza grandi risultati, almeno nelle gare più importanti. A livello tecnico-industriale, invece, fu l’anno in cui dalle officine del M. uscirono due nuovi modelli, il 26C di 1100 cm3 e il V4 di 4000 cm3. Il primo era una vettura leggera con motore a 8 cilindri, che ebbe vita breve e scarso successo commerciale (solo 2 auto vendute fra il 1929 e il 1930). Anche il tipo V4, la più grossa auto da corsa di quegli anni, fu costruito in soli 2 esemplari fra il 1929 e il 1931, ma godette di ben altra considerazione: progettato totalmente dal M., con un motore a V di 16 cilindri, divenne il modello di punta della casa e fu considerata la novità dell’anno: infatti il 28 settembre, alla prova di velocità sui 10 km a Cremona, B. Borzacchini vinse in 2’26”3/10 (pari a oltre 246 km/h), stabilendo il nuovo record mondiale di categoria. Il 1929 segnò anche, nel campo industriale, l’inizio della collaborazione con E. Weber, la cui fabbrica di carburatori costituiva una fra le aziende di punta del tessuto industriale bolognese e che collaborò attivamente alla messa a punto della V4 e di altri modelli successivi. Dal 1929 le Maserati avrebbero sempre montato i carburatori Weber. Quell’anno, infine, si ebbe anche un mutamento negli assetti societari. Il 19 luglio 1929, infatti, venne costituita una nuova società per azioni, la Officine Alfieri Maserati, con sede a Bologna in via Emilia Levante e capitale di lire 50.000, aumentato pochi mesi dopo a un milione, in azioni da lire 500. Il consiglio d’amministrazione aveva il M. come presidente e i fratelli Ernesto ed Ettore come consiglieri. Due dei tre sindaci erano C. Pastore (un imprenditore agricolo che fu pilota e finanziatore della Maserati) ed E. Weber.
Nel 1931 e nel 1932 l’azienda avrebbe chiuso in perdita (rispettivamente 12.104 e 139.091 lire), ma dal 1933 al 1936 avrebbe prodotto utili, anche se modesti (fra le 6000 e le 20.000 lire). Questo nuovo assetto significò un salto di qualità nelle vicende della Maserati: anche la messa a punto della nuova V4 era stata possibile grazie all’apporto di nuovi finanziamenti. La nuova stabilità economica mise la Maserati al riparo anche dalle conseguenze della crisi economica mondiale seguita al crollo di Wall Street, da cui la protesse anche la sua dimensione semiartigianale, con una produzione specializzata e destinata a una clientela ristretta e facoltosa: tre auto nel 1926, cinque nel 1927, otto nel 1928, nove nel 1929 e nel 1930, per arrivare nel 1931 e nel 1932 a dodici.
Il biennio 1930-31 segnò definitivamente l’ingresso della Maserati fra le grandi case costruttrici di auto da corsa: significativo, in tal senso, fu l’invito a partecipare alla 500 miglia di Indianapolis con la V4 (30 maggio 1930), anche se la gara si concluse con un ritiro. Da un punto di vista tecnico nel 1930 debuttò una nuova auto progettata dal M.: il tipo 26M che, dotata di un nuovo motore a 8 cilindri di 2500 cm3, fu prodotta fra il 1930 e il 1932 in tredici esemplari, alcuni dei quali in versione sport a 2 o 4 posti con carrozzeria Castagna o Zagato.
Il 1930 fu un anno particolarmente ricco di vittorie (fra cui i Gran Premi di Roma e di Monza) e, a coronamento di una stagione sportiva eccellente, il M. fu ufficialmente ricevuto dal duce, che lo nominò cavaliere.
Nel 1931 le 26M incapparono in una serie di insuccessi nei confronti delle Bugatti e delle Alfa, che indussero il M. a realizzare rapidamente due esemplari di un nuovo modello di 2800 cm3 a 8 cilindri, il tipo 8C 2800, e poco dopo a elaborare un nuovo progetto, un 8 cilindri di 2500 cm3 con la novità della trazione anteriore, che però venne in seguito abbandonato.
L’inizio del nuovo decennio aveva poi registrato un interesse sempre maggiore – da parte della Maserati – per le auto di piccola cilindrata, che incontravano il favore della clientela e rappresentavano perciò un settore estremamente interessante da un punto di vista commerciale, sia nella versione da corsa sia in quella sport da strada. Il M. si dette così al progetto di una nuova 1100 che potesse rispondere a queste esigenze realizzandone una con un nuovo motore a 4 cilindri, la 4CTR, che debuttò in pista a Monza il 6 sett. 1931. Da questa sorta di prototipo derivarono, nel 1932, la monoposto 4CM (nove esemplari fra il 1931 e il 1937) e la due posti sport 4CS (sei esemplari fra il 1931 e il 1936). Inoltre, non essendo ulteriormente perfezionabile il tipo V4, il M. ideò una nuova auto con motore a 16 cilindri di quasi 5000 cm3 che esordì in pista nel 1932: il tipo V5.
Per quanto riguarda le gare, dopo le sconfitte iniziali quella del 1931 fu una stagione nel complesso soddisfacente, con la vittoria al Gran Premio di Roma il 7 giugno e a quello di Monza il 6 settembre, e con una più intensa partecipazione alle competizioni internazionali, anche se con risultati interlocutori.
Ricoverato in ospedale per alcuni postumi dell’incidente di Messina del 1927, il M. morì improvvisamente a Bologna il 3 marzo 1932.
Fonti e Bibl.: Per la parte generale, vedi Vittorie Maserati, 1926-1954, a cura dell’Ufficio stampa Maserati, Bologna 1955; S. Boschi, Il tridente: storia della Maserati, Bologna 1970; L. Orsini - F. Zagari, Maserati: una storia nella storia, I, Dalle origini al 1945, Milano 1980, pp. 8-252; A. Bellucci, L’automobile italiana, 1918-1943, Roma-Bari 1984, ad ind.; V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia. 1861-1990, Bologna 1993, pp. 370 s.; R. Ferretti, Reti di imprese e sistema economico locale. Industria meccanica e comparto motoristico a Bologna (1919-1971), in Comunità di imprese: sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento. Atti del Seminario..., Ancona... 1999, a cura di F. Amatori - A. Colli, Bologna 2001, pp. 471-523; A. Castagnoli - E. Scarpellini, Storia degli imprenditori italiani, Torino 2003, pp. 183 s.