ALFABETISMO.
La nozione di a. consiste specificamente nella distribuzione della capacità di scrivere e di leggere nelle diverse età e società dalle origini della scrittura sino ai giorni nostri; in quanto tale essa non corrisponde né alla storia dei sistemi di scrittura che l'uomo ha adoperato nel tempo, né alla storia dei sistemi educativi e della scuola, anche se a esse è strettamente collegata. Una storia dell'a. intesa nella sua globalità non è facilmente divisibile in periodi omogenei e di validità generale per tutte le culture scritte, in quanto strettamente legata alle particolari condizioni di sviluppo culturale e di organizzazione sociale di ciascuna società o comunità umana.
Ove si voglia, peraltro, tenere l'attenzione rivolta soprattutto alla tradizione culturale occidentale, si possono distinguere alcune grandi fasi caratterizzate ciascuna da forti rivolgimenti nella diffusione delle capacità di scrivere e di leggere: un primo periodo, quello delle civiltà scritte più antiche, del Vicino Oriente, della valle del Nilo, del Mediterraneo greco e dell'Italia arcaica, in cui l'uso dei sistemi di scrittura rimase limitato; un secondo periodo, che è quello della piena civiltà classica greca e romana, in cui l'uso della scrittura, e quindi anche del libro, si diffonde gradualmente prima nelle città greche e poi anche nei territori facenti parte dell'impero di Roma; una fase di riflusso, che caratterizza il periodo tardoantico e quello altomedievale sino al secolo 11°; un periodo di lenta e progressiva ripresa della diffusione sociale dello scrivere e del leggere, nonché della produzione libraria, dal 12° secolo in avanti, sino a tutto il 18° secolo; e infine, negli ultimi due secoli, una forte tendenza all'alfabetizzazione totale che dall'Europa e dagli Stati Uniti si è diffusa gradualmente a tutte le regioni del mondo, ma appare ben lungi dal raggiungimento dell'obiettivo che ci si è prefissi, e che anzi viene incontrando crescenti difficoltà.
La nascita e l'uso sociale dei vari sistemi di scrittura nelle comunità del Vicino Oriente antico e poi dell'Egitto furono strettamente legati all'origine e alla prima organizzazione delle città, nel 4° e nel 3° millennio a.C. Si trattò comunque di un uso estremamente limitato, rispetto sia alle funzioni, sia al numero degli utenti. All'inizio, infatti, i sistemi di scrittura furono escogitati e usati a fini esclusivamente inventariali ed economici (liste di prodotti, elenchi di tributi, e così via), e solo più tardi, negli stadi più evoluti delle diverse civiltà mediorientali e di quella egizia, essi divennero anche gli strumenti per la registrazione e la trasmissione dei diversi patrimoni di ''sapere'' (tra cui quello religioso) della comunità; in ogni caso essi rimasero il patrimonio di un ceto assai ristretto di specialisti della scrittura, dell'amministrazione e della cultura scritta destinati a occupare, in particolare in Egitto, un ruolo di primo piano nella gerarchia sociale. Nella civiltà minoico-cretese e micenea i due sistemi di scrittura adoperati (lineare A e lineare B; v. miceneo: Linguistica, App. IV, ii, p. 472) nel secondo millenio a.C. rimasero sempre legati alla funzione di mere scritture inventariali.
La invenzione dell'alfabeto da parte dei Fenici e la sua adozione, con l'inserimento delle vocali, da parte della civiltà greca arcaica, cambiarono radicalmente le condizioni di base che permisero una maggiore diffusione dell'a. rispetto al passato. Il nuovo sistema era estremamente semplice e più pratico di tutti i precedenti, e perciò facilmente insegnabile e usabile. Nell'ambito della civiltà greca, che cominciò ad adottarla dal 9° od 8° secolo a.C., la scrittura alfabetica conobbe una diffusione urbana relativamente estesa, come uso e come funzioni, soltanto dalla seconda metà del 5° secolo a.C. Dall'età di Pericle in poi nelle città greche più sviluppate economicamente e politicamente sia l'uso attivo sia quello passivo della scrittura si estesero per la prima volta al di là di una ristretta cerchia di specialisti, anche se alla capacità di scrivere non si accompagnò un'altrettanto vasta diffusione di testi scritti. Nel mondo ellenistico e poi in quello romano, almeno sino al 2° secolo d.C., vaste fasce di alfabetizzati e di semialfabeti erano costretti a un uso limitato della cultura scritta; con il Cristianesimo, però, forme ''popolari'' di testi scritti cominciarono a circolare anche negli strati medio-bassi della popolazione; probabilmente con il 2°-3° secolo d.C. si toccò nelle città maggiori dell'Italia, della Gallia, della Spagna, dell'Africa un livello abbastanza alto di diffusione della capacità di scrivere e di leggere, che peraltro non siamo in grado di quantificare.
Con il 5°-6° secolo il definitivo crollo delle istituzioni didattiche e culturali dell'Impero provocarono, soprattutto nelle sue regioni occidentali, un forte restringimento nell'uso della scrittura; mentre, infatti, nei territori orientali, quelli dell'impero di Bisanzio, un notevole grado di a. rimase patrimonio diffuso di ampie fasce di laici, oltre che degli ecclesiastici, nell'Europa altomedievale la conoscenza e l'uso della scrittura furono limitati a un numero assai ristretto di scriventi e di leggenti, soprattutto ecclesiastici, anche se non mancavano, specialmente in Italia, laici capaci di scrivere almeno la loro personale sottoscrizione e anche se rimase sempre attivo un notariato prevalentemente laico.
Lo sviluppo delle città in Italia e nell'Europa dei secoli 11°-13° corrispose a una vigorosa ripresa dell'uso sociale e di una diffusione generalizzata della scrittura, favorita dalla registrazione per iscritto dei testi volgari e dalla introduzione della carta, materia scrittoria assai meno costosa della pergamena. Nelle maggiori città mercantili dell'Europa del tempo la capacità di scrivere toccò vasti strati sociali comprendenti mercanti, artigiani, piccoli commercianti; secondo G. Villani (Cronica, XI, 93) nella Firenze del 1338 su centomila abitanti si contavano circa dodicimila scolari di ambo i sessi frequentanti scuole di tre tipi: elementari, comuni ad ambo i sessi; tecniche (di abaco) e di ''grammatica e loica'', riservate soltanto ai maschi. Il fenomeno continuò a svilupparsi nel Quattrocento e trovò nuovi incentivi nella progressiva burocratizzazione degli stati europei che con la pressione fiscale, il controllo amministrativo e la presenza giudiziaria indussero un sempre maggiore numero di appartenenti agli strati medio-bassi della popolazione urbana ad apprendere almeno i primi rudimenti dello scrivere. D'altro canto, dapprima l'introduzione e poi la diffusione della stampa a caratteri mobili moltiplicò dalla seconda metà del Cinquecento in avanti la produzione di testimonianze scritte: libri, innanzi tutto, ma anche avvisi, cedole di indulgenze, moduli e documenti amministrativi, libretti liturgici e devozionali, e così via, soprattutto nelle regioni economicamente più avanzate: la valle del Reno, e poi l'intera Germania, i Paesi Bassi, l'Italia centrosettentrionale, la Francia, cioè Parigi e poi Lione. Fra Quattro e Cinquecento la forte pressione dal basso per una maggiore diffusione della capacità di scrivere e di leggere trovò ostacoli nell'indifferenza o nell'ostilità delle autorità laiche e religiose e nell'assenza di strutture didattiche efficienti e diffuse.
Con il pieno Cinquecento un potente impulso alla diffusione della lettura come pratica comunitaria e soprattutto come pratica individuale fu provocato sia dalla Riforma protestante, sia dalla Controriforma cattolica, poiché ambedue i movimenti individuarono nella lettura e nella diffusione di libretti a stampa di carattere devozionale un importante mezzo di propaganda religiosa. Questo atteggiamento provocò anche la diffusione di scuole elementari religiose (come a Roma le Scuole Pie del Calasanzio) rivolte soprattutto all'insegnamento della lettura anche alle donne. Il fenomeno fu molto più pronunciato e rapido nei paesi protestanti, sia pure con fluttuazioni rilevanti nel tempo e nette differenze fra città e campagne, fra regione e regione. All'inizio del 17° secolo l'Inghilterra era certamente il paese più alfabetizzato: fra il 1580 e il 1720 l'analfabetismo passò dal 61% al 34%, anche se nelle campagne rimase a livelli alti. In Svezia si venne affermando, per impulso della locale Chiesa luterana, un a. soprattutto di lettura diffuso praticamente a tutta la popolazione adulta (50% nel 1645 e 98% nel 1714). In Francia la linea Saint-Malo-Ginevra tagliava in due il paese fra un Nord acculturato e un Sud arretrato; nel corso del 18° secolo, mentre nelle regioni settentrionali l'a. superava il 50%, in quelle meridionali oscillava intorno al 20%. Nella seconda metà del medesimo secolo le riforme illuministiche portarono a un forte sviluppo dell'educazione elementare, e perciò dell'a., nelle regioni più avanzate dell'Impero asburgico (80÷90% per i maschi; 40% per le donne) e nella stessa Francia pre e postrivoluzionaria. Nelle colonie americane dell'Inghilterra (e poi negli Stati Uniti) l'a. fu sin dalle prime installazioni di coloni molto alto, per la tradizionale acculturazione al libro dei puritani; per i maschi si hanno percentuali del 60% nel 1660, del 70% nel 1710, dell'85% e oltre nel 1760. In Europa, e poi anche negli Stati Uniti, esisteva inoltre e operava da secoli una comunità, quella ebraica, tradizionalmente e profondamente alfabetizzata in funzione della lettura, dello studio e della esegesi dei libri sacri; questa tipica caratteristica delle comunità ebraiche le portò a costituire ovunque un elemento di stimolo e di progresso nell'ambito della cultura scritta, della sua produzione e della sua diffusione.
L'Ottocento rappresentò per tutti i paesi di cultura occidentale il secolo dell'alfabetizzazione di massa, anche se la rivoluzione industriale, con l'urbanizzazione forzata della popolazione rurale, costituì un fattore di rallentamento del processo. In Inghilterra si passò da un analfabetismo maschile del 30% e femminile del 45% nel 1850 a una percentuale comune dell'1% nel 1913. In Germania nel 1879 si aveva un analfabetismo maschile del 10% e femminile del 15%. Nell'Impero austroungarico nel 1900, pur con forti differenze geografiche, l'analfabetismo complessivo era attestato intorno al 19%; in Svizzera nel 1879 solo il 6% delle reclute risultava analfabeta. In Francia lo sviluppo del sistema educativo nazionale e laico produsse una graduale decrescita dell'analfabetismo lungo l'intero secolo. In Italia nel 1871 vi era ancora una percentuale generale di analfabetismo del 69%, ridotta al 48% nel 1901 e al 38% nel 1911, ma con fortissime disparità fra le regioni settentrionali e quelle meridionali e insulari; in quest'ultimo anno si aveva il 18% di analfabetismo in Piemonte e il 79% in Calabria; e nel 1931, con una percentuale generale del 21%, si aveva ancora il 4% in Piemonte e il 48% in Calabria. Negli Stati Uniti la diversità fra Nord e Sud rimase costante per tutto il secolo 19°: nel 1840 si aveva una percentuale generale di a. molto alta, con il 96% a New York e il 28% nella North Carolina; e in tutto il paese si contavano ben 1404 quotidiani (a fronte dei 92 nel 1792).
Nel secolo 20°, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, è stato posto con forza il problema dell'analfabetismo di massa dei paesi in via di sviluppo in Asia, dell'Africa, dell'America Latina, mentre gli stessi paesi industrializzati scoprivano al loro interno la presenza di estesi strati di semialfabeti e analfabeti. Attualmente la percentuale mondiale di analfabeti è scesa al disotto del 28%: il loro numero, in ragione dell'incontrollato sviluppo dei paesi meno sviluppati, sta per toccare il miliardo. I progetti d'intervento messi in atto dall'UNESCO per conto dell'ONU sono finora tutti praticamente falliti; riusciti sembrano invece quei programmi di alfabetizzazione di massa che, in alcuni paesi protagonisti di una rivoluzione nazionale e sociale (Cuba, Vietnam, Nicaragua, alcuni paesi africani) sono riusciti a coinvolgere attivamente la popolazione nel suo complesso, donne comprese.
Bibl.: Lo studio storico dell'a. è relativamente recente e si è sviluppato soprattutto nei paesi anglosassoni e in Francia secondo metodologie di natura quantitativa; in Italia e in Spagna le indagini si svolgono invece prevalentemente secondo metodi qualitativi. Sul piano generale si vedano: C. M. Cipolla, Literacy and development in the West, Londra 1969 (trad. it., Istruzione e sviluppo. Il declino dell'analfabetismo nel mondo occidentale, Torino 1971); Literacy in traditional societies, a cura di J. Goody, Cambridge 19752; Literacy in historical perspective, a cura di D. P. Resnick, Washington 1983; e sopratutto H. J. Graff, The legacies of literacy. Continuities and contradictions in western culture and society, Bloomington-Indianapolis 1987 (trad. it., Storia dell'alfabetizzazione occidentale, 3 voll., Bologna 1989). Per la situazione in questo secolo: A. Petrucci, Scrivere e no. Politiche della scrittura e analfabetismo nel mondo d'oggi, Roma 1987.