ANDRYANE, Alexandre-Philippe
Nato nei pressi di Parigi, nel 1797, da famiglia belga, era il secondogenito di Gandolfo, ricco possidente e commerciante di Parigi, "in rapporti di amicizia col famigerato banchiere Laffitte" (come si esprimeva la polizia austriaca nel 1823), Inziati gli studi di giurisprudenza nel 1814, nello stesso anno entrò nella casa militare di Luigi XVIII, col grado di tenente dei dragoni; ma circostanze più favorevoli al suo affacciarsi alla vita pubblica parvero presentarglisi durante i Cento giomi, quando il padre era deputato alla Camera e il fratello, maggiore Luigi ciambellano di Napoleone. Gli valsero particolarmente in questo periodo i rapporti assai stretti (e che anche successivamente avranno per l'A. grandissima importanza) che lo legavano alla famiglia Merlin, non solo in virtù del matrimonio contratto dal fratello Luigi con Paolina, sorella del generale Antoine-Frangois-Eugène Merlin, ma anche del profondo e tenero affetto che nutriva, ricambiato, per questa stessa sua cognata Paolina.
Paolina e Antoine-Francois-Eugène erano figli del famoso "regicida" Philippe-Antoine Merlin de Douai, già in fama per i suoi studi giuridici sotto l'ancien régime, poi convenzionale, termidoriano e per un certo tempo membro del Direttorio; era divenuto una personalità di primo piano soprattutto con Napoleone che lo nominò anche conte dell'Impero. Suo figlio Antoine-François-Eugène, che aveva fatto la carriera militare durante la Rivoluzione e aveva partecipato alle campagne di Egitto e di Spagna, era stato nominato generale di brigata nel 1813; quando Napoleone, fuggito dall'Elba, sbarcò in Francia, prese l'iniziativa, prima ancora dell'arrivo di Napoleone a Parigi, di impossessarsi del forte di Vincennes. Fu questo generale Merlin che, durante i Cento giorni, ottenne da Napoleone che il giovane A. gli fosse assegnato come aiutante di campo. Ma quest'ultima, brillante e sfortunata, avventura napoleonica fu di assai breve durata: e mentre Merlin de Douai, uno dei 38 esiliati del 24 luglio 1815, si ritirava nei Paesi Bassi (dove poté rimanere, nonostante le potenze della Santa Alleanza ne avessero richiesta l'estradizione, fino al 1830), accompagnato dal figlio generale (che tuttavia poteva rientrare nel 1818, pur restando in retraite), l'A., ritornato a vita privata, provò, con poco successo, a interessarsi di una fabbrica di suo padre a Chantilly, vicino a Parigi. Dopo alcuni mesi trascorsi a Bruxelles nel 1816, presso il generale Merlin, egli rientrava nella capitale francese. Di questi anni trascorsi a Parigi dall'A. non si conosce molto; è certo che lo ritroveremo a Ginevra fra il 1820 e il 1822. Sia nelle sue deposizioni di fronte al Salvotti e alla polizia austriaca, sia poi nelle sue Memorie, egli sostenne sempre che questi anni parigini furono anni di dissipazione: anzi avrebbe dovuto abbandonare Parigi e ritirarsi a Ginevra per sottrarsi ad un mandato d'arresto, spiccato contro di lui dietro denuncia di alcuni creditori. Mentre resta aperto il problema di controllare se l'A. non ebbe effettivamente contatti con ambienti bonapartisti o con altri gruppi settari in Francia, in questi primi anni della Restaurazione, si deve dire che egli affermò sempre di aver lasciato Parigi nel dicembre 1819 per raggiungere Ginevra (dopo un viaggio per la Provenza e Lione) nel febbraio 1820 (dunque alcuni mesi prima che l'amico e protettore generale Merlin dovesse fuggire di nuovo da Parigi, essendo stato accusato di essere uno dei capi della cospirazione del 19 ag. 1820: la Corte dei pari poi lo dichiarerà innocente, assolvendolo il 13 febbr. 1821). L'A. dirà nelle Memorie che il suo entusiasmo politico si accese soltanto a Ginevra (dove si sarebbe recato per studiare e rimettere ordine nella sua vita disordinata), in quella città piena di rifugiati, perseguitati dalla Santa Alleanza e centro di cospirazioni e di organizzazioni settarie che si diramavano verso tutti i paesi d'Europa. Qui, dove conobbe tra gli altri l'ex convenzionale Forestier, che lo mise in contatto con Filippo Buonarroti, sarebbe entrato per la prima volta in contatto con il mondo settario che aveva le sue ramificazioni nella Francia della prima Restaurazione, ed avrebbe aderito a qualcuna di quelle società segrete. Da Ginevra egli fece certamente tre viaggi a Parigi, nel dicembre 1820, nel settembre 1821 e nel settembre 1822; viaggi sui quali il Salvotti mostrerà di nutrire forti sospetti, perché assai pericolosi per uno sul cui capo pendeva sempre la minaccia del mandato di arresto, e perché avvenuti nel più assoluto segreto e persino ad insaputa del padre; ma l'A. sosterrà che proprio con la paura dei creditori si spiegava quel segreto e che il loro scopo era stato soltanto quello di rivedere la cognata Paolina.
L'incontro con il vecchio rivoluzionario fiorentino F. Buonarroti ebbe senza dubbio un'importanza decisiva nella vita dell'A., che aderì ben presto alla società segreta buonarrotiana, ricevendo nel giro di poco tempo l'investitura di "Sublime Maestro Perfetto" e poi di "Sublime Eletto". Probabilmente su incarico del Buonarroti e qualche volta in sua compagnia, l'A. nel corso del 1822 avrebbe fatto più di un viaggio in Francia, a Lione e nel dipartimento del Giura, per tenere i contatti con quei rivoluzionari; forse anche il viaggio a Parigi nell'estate-autunno del 1822 va posto in relazione con le mosse dei settari per tentare di salvare i famosi quattro sergenti di La Rochelle. Il problema più urgente, però, che si presentava al Buonarroti sul finire del 1822 era quello della riorganizzazione del movimento rivoluzionario in Italia, che aveva ricevuto durissimi colpi, sia a causa dei fallimento delle rivoluzioni nel Napoletano e in Piemonte, sia a causa dei numerosi arresti che si erano susseguiti a Parma, nella Romagna, nel Veneto e in Lombardia e che ora alimentavano quei lunghi e pericolosi processi che la Commissione speciale conduceva sotto la guida instancabile di Antonio Salvotti. Questa riorganizzazione appariva tanto più urgente in un momento in cui le diverse organizzazioni settarie erano tutte prese dalla speranza che l'imminente intervento della Francia contro i rivoluzionari spagnoli avrebbe provocato una crisi generale in Europa e una ripresa del processo rivoluzionario in Francia e negli altri paesi, dove si sperava di poter attaccare e battere le forze della Santa Alleanza. Per un'impresa così delicata il Buonarroti si fidò del giovane ed inesperto A., certamente entusiasta, ma non capace di affrontare le più dure difficoltà, come dimostrò di lì a poco di fronte alla polizia austriaca. L'A. fu nominato, con diploma del "Gran Firmamento", "Diacono straordinario" in Italia per un anno, con funzioni di "Diacono territoriale negli antichi dipartimenti e nelle provincie napoletane": oltre al compito di riprendere i contatti con i centri settari della penisola e di trasmettere i documenti per la trasformazione dei "Sublimi Maestri Perfetti" nei "Veri Architetti", per sfuggire alle conseguenze degli arresti di quegli anni, egli sarebbe stato incaricato, secondo il Luzio (A. Salvotti, p. 407), di trattare anche la fusione del "Gran Firmamento" con l'"Alta Vendita". Comunque da Ginevra l'A. fu inviato dal Buonarroti a Bellinzona per prendervi contatto con l'esule piemontese del '21 Malinverni; questi pensò di farlo incontrare a Roveredo in Mesolcina con l'abate Francesco Bonardi, anch'egli esule piemontese del '21, il quale avrebbe potuto dargli commendatizie per Milano e in particolare per l'ex colonnello Pietro Varese, a cui si pensava di affidare la riorganizzazione dell'ordine buonarrotiano in Lombardia. L'A. giunse a Milano, proveniente da Ginevra e con regolare passaporto per Firenze, il 26 dic. 1822; e il 18 genn. 1823 subiva nella propria abitazione, per opera del Bolza e su ordine dei Torresani, una perquisizione, durante la quale gli veniva sequestrato un pacco di carte assai compromettenti. La polizia austriaca veniva così in possesso, all'improvviso ed imprevedutamente, di materiali importantissimi, che avrebbero permesso di condurre avanti, con nuova lena e con risultati più ampi, i processi contro i "Federati lombardi" (F. Confalonieri e compagni), che si trascinavano ormai stancamente, nonostante l'attività che vi dedicava il Salvotti, insoddisfatto dei modesti risultati e dei pochi accertamenti raggiunti. Infatti l'A., immediatamente arrestato, "fece propalazioni del più grande interesse", fornendo per prima cosa la chiave per decifrare le carte perquisitegli (rapporto Torresani del 24 genn. 1823); messo subito a disposizione della Commissione speciale, continuò a fare al Salvotti rivelazioni della più grande importanza, cosicché il governo austriaco riusciva ad acquistare una visione abbastanza chiara e precisa dei vasti legami internazionali e settari che erano a fondamento dell'azione dei "Federati lombardi" e degli altri gruppi che si erano trovati ad agire in Italia in quegli anni e contro i quali le diverse polizie avevano condotto o conducevano processi. Il Metternich, quando poté sintetizzare le informazioni che si ricavavano dalle rivelazioni dell'A. con i risultati dei diversi processi aperti fra il '19 e il '21, si preoccupò di informare gli ambasciatori austriaci presso le potenze estere, invitandoli ad insistere presso di queste sull'importanza delle rivelazioni ottenute dall'A. e sulla novità delle notizie da lui date su tutte le sette d'Europa (cfr. I Costituti di F. Confalonieri, IV, p. 313). Processato coi Federati lombardi, la sua posizione fu giudicata fra le più gravi: il Confalonieri e l'A., soli fra i processati in stato di detenzione, ebbero inflitta la condanna a morte, commutata ad entrambi, l'8 genn. 1824, nel carcere duro a vita da scontare nelle prigioni dello Spielberg. Qui egli soffrì duri anni di pena, insieme con i patrioti italiani; del Confalonieri fu per otto anni compagno di cella, assistendolo e sostenendolo, tanto che ne nacque un vivo senso di amicizia. Inutili risultarono i tentativi di fuga che la cognata Paolina (già accorsa a Milano nell'aprile del 1823, col marito e con la figlia, per intercedere a suo favore) andava studiando e architettando, più di una volta in accordo con Teresa Casati Confalonieri, anch'essa instancabile nella ricerca dei mezzi per liberare il marito dallo Spielberg. Probabilmente più efficace risultò l'interessamento di Paolina nel sollecitare l'intervento presso il governo austriaco, in favore dell'A., di altissime personalità ecclesiastiche e politiche francesi, soprattutto dopo che, in seguito alla Rivoluzione del luglio 1830, migliorò di nuovo notevolmente la posizione dei Merlin, che andavano riacquistando notevole influenza sotto il regno di Luigi Filippo; infatti Merlin de Douai era immediatamente rientrato dall'esilio nei Paesi Bassi (e fu presto chiamato all'Institut, riprendendo posto alla Accademia di Scienze morali e politiche), mentre il figlio generale lasciava la retraite e rientrava in servizio (e sarà membro della Camera dei Deputati dal 1834 al 1837 e della Camera dei Pari dal 1839). Certo è che l'A. fu graziato nel 1832; nelle Memorie dice che la grazia gli fu concessa dall'Imperatore nel 40° della sua assunzione al trono "piegandosi ad una istanza di famiglia".
Dopo essersi dedicato alla pubblicazione dei Mémoires d'un prisonnier d'État au Spielberg (1837-38) e dei Souvenirs de Genève (1839), tentò di partecipare alla vita politica, presentandosi inutilmente candidato alle elezioni per la Camera dei deputati nel 1842 e nel 1846. Dopo la Rivoluzione del febbraio 1848 ottenne, per breve tempo, un incarico al ministero degli Interni con Ledru-Rollin. Rientrato in Italia nel 1859, Napoleone III gli affidò a Milano l'incarico di Commissario generale dell'esercito francese con il compito di provvedere ai soldati malati e feriti. Trascorse gli ultimi anni nel suo castello di Coye, un villaggio dell'Oise, di cui divenne anche maire, e qui morì nel 1863.
I Mémoires d'un prisonnier d'État au Spielberg, che uscirono a puntate su una rivista francese fra il 1837 e il 1838, furono pubblicati in volume, a Parìgi, presso Ladvocat, nel 1838. Assai poco attendibili come fonte storica, miravano da un lato a rappresentare, sull'esempio delle Mie prigioni, del Pellico, le vicissitudini spirituali di un giovane (all'inizio trovatosi a condurre una vita dissipata, poi trascinato dal proprio entusiasmo ad aderire quasi inconsapevolmente a pericolosi tentativi rivoluzionari) che attraverso le sofferenze e le dure esperienze del carcere riconquista la fede in Dio; e dall'altro lato volevano ricordare le sofferenze dei patrioti italiani allo Spielberg, esaltando in primo luogo il maggior rappresentante di essi, il Confalonieri, la sua nobiltà d'animo, l'eroismo, e il patetico affetto che legava lui e la moglie Teresa, ai quali il libro era dedicato (non senza che un po' dell'alone di gloria e della simpatia dei lettori venissero così orientati verso lo stesso A., compagno di cella del Confalonieri, e sulla cognata Paolina, compagna di sofferenze di Teresa). In un primo tempo furono accolti con benevolenza e talvolta con entusiasmo dal Pellico, dal Capponi e da vari esuli italiani, se non altro per l'affetto che nutrivano per il Confalonicri; ma questi si mostrò molto dispiaciuto della pubblicazione, non amando di essere posto così su di un piedistallo e di veder fatti oggetto di pubblica curiosità i suoi sentimenti più intimi e i suoi affetti, ed anche perché non voleva che fosse ancora una volta sollevata pubblicamente la questione dei suoi rapporti con l'Austria, in un momento in cui sperava prima di tutto, ormai ripiegato e disilluso, di trascorrere in pace e possibilmente in Lombardia gli anni che gli restavano di vita. Dopo aver tentato, fin dalla fine del '37, appena rientrato dall'America, di convincere l'A. a sospendere la pubblicazione, il Confalonieri fu costretto a interrompere i rapporti di amicizia con lui e si preoccupò di far sapere che non aveva autorizzato quella pubblicazione e che la disapprovava. I Mémoires dispiacquero in particolare al Solera, del quale si lasciava intendere che avesse fatto la spia; di quest'ultimo uscì nel '48, a Brescia, una Risposta alle calunnie appostegli dal sig. Andryane, con la pubblicazione in appendice di una lettera di amicizia e di solidarietà del Confalonieri. D'altra parte, suscitarono le ire di G. Pallavicino, che, trovandosi ancora a Praga, si offerse al governo austriaco di stendere un libello o delle note a quelle memorie, per distruggere la figura del Confalonieri, lì tanto esaltata; nelle sue Memorie (1850) il Pallavicino pubblicherà alcune di quelle note, ma non le più gravi. Comunque i Mémoires ebbero un grande successo, furono più volte ristampati (la 3a ediz. è del 1850) e nel 1861, dopo che l'A. era passato a Milano al seguito di Napoleone III, ne uscì anche una traduzione italiana (Memorie di un prigioniero di Stato nello Spielberg, di Alessandro Andryane, compagno di prigionia di Confalonieri e Silvio Pellico, unica traduzione italiana, coll'aggiunta di documenti inediti e rari non compresi nell'originale francese, pubblicata coll'assenso dell'autore, dal prof. abate Francesco Regonati, primo cappellano nel regio Collegio militare di Milano, Milano, Libreria di Francesco Sanvito, 1861, voll. 4). Esso fu considerato in Francia un libro di fede, fu pubblicato per la gioventù e fu usato come libro di premio nelle case di educazione, nei seminari e nei collegi. A. Vannucci porrà le Memorie dell'A. sullo stesso piano degli scritti di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli: "Questi tre uomini hanno il doppio merito di essere martiri e storici del martirio italiano... I libri che scrissero, appena usciti dallo Spielberg, rivelarono al mondo gli orrori della vecchia barbarie: e narrando la pazienza delle vittime, accesero nei cuori de' buoni Italiani più ardente l'odio contro l'imperatore..." (II, p. 137). Ad essi seguirono, con gli stessi intendimenti e la stessa impostazione (e identica inattendibilità) i Souvenirs de Genève, complément des Mémoires d'un Prisonnier d'État, par Alexandre Andryane, Paris 1839, sulle esperienze e conoscenze ginevrine e su quel mondo di esuli, per mostrare "agli spiriti ardenti e generosi, ma inesperti, in quali pericoli ci si può lasciare trascinare quando non si consulta che il cuore e i sentimenti in materia di libertà e di cospirazioni politiche" e ricordare "per quali vie Dio mi aveva condotto al massimo delle sfortune per ricondurmi a lui, e farmi ritrovare nella sua fede la sanzione e la ricompensa di tutte le mie pene".
Fonti e Bibl.: F. Confalonieri, Carteggio ed altri documenti, a cura di G. Gallavresi, II, Milano 1913, pp. 414, 613, 702, 709 e passim; I Costituti di F. Confalonieri, IV, a cura di A. Giussani, Roma 1956, pp. 302-304, 310-313, 315, 320 s., 346-350 e passim; A. Luzio, Nuovi documenti sul processo Confalonieri, Roma-Milano 19o8, pp. 216-231; I. Rinieri, Ventiquattro lettere inedite di F. Confalonieri a S. Pellico, in Il Risorgimento italiano, XV(1922), pp. 26 s., 32 s.; R. Morozzo della Rocca, Nuovi documenti intorno ai tentativi di far evadere dallo Spielberg il conte F. Confalonieri (1824-1830), in La Lombardia nel Risorgimento, XV(1931), pp. 21-52; H. Bédarida, Un poème et une lettre de S. Pellico avec quelques autres inédits, in Etudes italiennes, IV(1932), pp. 239-254; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana, I, Milano 1878, pp. 20-31, 119-122, 152-154 e passim; A. Luzio, Antonio Salvotti e i Processi del ventuno, Roma 1901, pp. 174-181; G. Weill, Philippe Buonarroti, in Revue historique, LXXVI (1901), pp. 241-275; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del ventuno e dello Spielberg (1821-1838), Torino 1911, pp. 78-81, 166-227 e passim; V.Giussani, Per gli studi sul Confalonieri, in Studi sul Risorgimento in Lombardia, I, Modena 1949, pp. 45 ss.; A. Bersano, L'abate Fr. Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, pp. 99, 156-165, 223 e passim; Dict. de biographie française, II, coll.1015-16; altre notizie si possono ricavare, in generale, dagli studi e pubblicazioni che riguardano i processi del '21. Per l'attendibilità dei Mémoires e dei Souvenirs, oltre a sparse osservazioni del Luzio in Studi critici, Milano 1927, a M. Lupo Gentile, Le memorie di un prigioniero di A. A., in Il Risorgimento, IX(1957), pp. 216-220, e alle conclusioni che si possono ricavare dai documenti del suo processo, soprattutto quelli pubblicati dal Sandonà, si veda in particolare A. Saitta, Filippo Buonarroti, Roma 1950, passim.