HAMILTON, Alexander
Insigne uomo di stato americano, nato l'11 gennaio 1757 nell'isola inglese di Nevis (Antille), da James H., scozzese, e da Rachel Faucette, discendente di calvinisti francesi, morto a New York il 12 luglio 1804. Ebbe un'infanzia assai dura: la madre morì presto, il padre subì varie disavventure finanziarie, sì che H., a dodici anni, doveva impiegarsi presso un commerciante, nell'isola di Santa Croce. Ma forse le stesse disavventure di quei primi anni valsero a temprarne il carattere, a infondergli quell'indomabile energia e quel severo e alto senso morale che dovevano poi essere i tratti caratteristici della sua personalità; e, nonostante la sorte poco propizia, già allora si dava con passione agli studî di lettere, di storia, di filosofia, e soprattutto di scienze naturali e matematiche, colmando da sé le lacune della sua istruzione, appena abbozzata nel poco tempo in cui aveva ricevuto un insegnamento regolare. Finalmente un suo articolo, pubblicato in un giornale, richiamava l'attenzione su di lui e gli otteneva l'aiuto finanziario di parenti, dandogli la possibilità di abbandonare le Antille, nel 1772, e di recarsi a New York. Qui, nel 1773, cominciava a frequentare l'università. Ma gli studî venivano interrotti dallo scoppio della guerra per l'indipendenza. Sebbene giovanissimo, H., per cui l'interesse politico costituiva realmente l'interesse vitale, prendeva parte attivissima ai contrasti fra "lealisti", cioè partigiani dell'Inghilterra, ostili a ogni idea d'indipendenza delle colonie, e i rivoluzionarî, ormai decisi a staccarsi dalla madrepatria; e schieratosi coi secondi, cominciò la propaganda, prima parlando in un'assemblea, poi dando alla stampa successivamente due scritti: A Full Vindication of the Measures of Congress from the calumnies of their ennemies (apparso il 15 dicembre 1774) e The Farmer Refuted (15 febbraio 1775), in difesa delle decisioni del Congresso continentale. Poi, nel marzo 1776, iniziò la sua vita militare come capitano d'una compagnia d'artiglieria della milizia di New York; e prese parte alla campagna del 1776, distinguendosi a tal segno che l'anno dopo Washington lo assunse come suo segretario, nominandolo tenente colonnello. E da allora, nonostante un passeggero incidente nel 1781, H. fu amico e confidente di Washington. L'ultima sua azione militare fu a Yorktown (1781), dove ebbe parte brillante. Poi, s'iniziò il suo grande periodo politico, che doveva farne, con il suo antagonista Thomas Jefferson, la personalità più eminente del primo periodo della vita nordamericana, l'esponente di una delle due grandi correnti d'idee che si contrapponevano in quel momento di sistemazione del nuovo stato.
Dotato d'un senso politico chiaro e profondo, H. muove da presupposti che sono assai lontani dalle ideologie allora di moda: vale a dire dal presupposto della politica come potenza e della naturale tendenza dell'uomo - come degli stati - all'acquisto di potenza. In luogo dei rosei sogni dell'uomo buono e dello stato ottimo, la realistica valutazione della realtà e degli uomini che operano in un certo momento e in un certo paese: valutazione che deve servir di base al politico per quello che è lo scopo da raggiungere - lo stato capace di agire, di svolgere una politica di potenza. Naturalmente, non mancano anche in H. i riflessi delle preoccupazioni spirituali e morali dell'età sua, che rivivono nella sua cura di salvare l'idea di diritto, conciliandola, non contrapponendola, a quella di potenza, e di assicurare alla politica un contenuto eticogiuridico: "l'onestà è la migliore politica", dirà H. negli scritti che, al riguardo, sono i più espressivi, le due lettere ai cittadini di New York, a firma Focione. Ma il pensiero dominante in H. è pur sempre quello schiettamente politico; e il compito ch'egli si prefigge è anzitutto quello di creare uno stato degno di questo nome, che sia qualche cosa di più che non la semplice somma dei varî stati, allora confederatisi. Per tali motivi, egli è irriducibilmente avverso alle tendenze decentralizzatrici, così vive in molti dei patrioti, avverso quindi ai partigiani del potere quasi sovrano dei singoli stati; e fautore, invece, d'uno stato unitario, con forte potere centrale che possa rivolgersi direttamente al popolo - anziché passare per la mediazione dei singoli stati - e che abbia organi proprî, indipendenti d'azione. I governi dei singoli stati dovrebbero ridursi, per H., a organi del potere centrale, a cui deve spettare, piena e intera, la sovranità.
Queste le linee fondamentali del programma politico, che H. cercò di tradurre in pratica, lottando strenuamente contro le diffidenze. di quelli che in un forte potere centrale vedevano il pericolo di una tirannide, per ottenere che venissero modificati gli Articoli di confederazione del 1781, che avevano attribuito al governo centrale un potere puramente nominale. Non solo sul terreno prettamente politico si esplicava l'azione di H., sibbene anche - com'era ovvio, dato che in quel momento le preoccupazioni più vive erano quelle finanziarie (v. stati uniti: Storia), - sul terreno economico-finanziario: ma, anche qui, sempre l'atteggiamento di H. era ispirato dal motivo politico dominante nel suo pensiero.
Infatti, andando risolutamente contro corrente, H. si pone contro le dottrine dei fisiocratici, invocando invece l'intervento statale anche nella vita economica e propugnando, in sostanza, un "mercantilismo" intelligente e accorto.
Prese dunque attivissima parte ai lavori del Congresso continentale, nel 1782-83; negli anni seguenti, lottò energicamente perché si addivenisse a una riforma dell'assetto statale; nel 1786 rappresentò, con E. Benson, lo stato di New York nella convenzione di Annapolis. Finalmente, nel 1787, si riaprì la Convenzione di Filadelfia, da cui doveva uscire la nuova costituzione degli Stati Uniti: e qui egli ebbe parte dominante, presentando, in un celebre discorso del 18 giugno, il suo credo politico nella formulazione più chiara e più succosa.
Approvata la nuova costituzione, occorreva farla accogliere dai singoli stati; e al riguardo H. dovette sostenere aspra lotta nello stato di New York, recisamente ostile a un accrescimento di potere del governo centrale. Appunto in occasione d'una controversia col governatore di New York, George Clinton, H. scrisse, con James Madison e John Jay, la serie di saggi raccolti sotto il titolo The Federalist; un commentario, rimasto classico, della costituzione nordamericana, un'ammirevole opera d'interpretazione e applicazione ai problemi particolari di principî generali. L'esito delle sue fatiche fu che New York accettò la nuova costituzione.
Poco dopo Washington, eletto presidente della repubblica, affidava (11 dicembre 1789), la segreteria del Tesoro a H., la cui opera dovette quindi volgersi alla sistemazione fiscale finanziaria dell'unione. Anche qui egli agì in modo da dar solide basi al nuovo stato, non solo dal punto di vista prettamente tecnico, ma anche dal punto di vista politico. Infatti, se il consolidamento del debito pubblico dell'Unione e dei singoli stati, da lui effettuato, era di grande importanza ai fini di assicurare all'Unione la fiducia dei mercati finanziarî, era non meno importante in quanto precisamente conglobava gl'interessi dei singoli stati nell'interesse generale, e dava una concreta attuazione al principio della subordinazione dei primi al secondo. Notevoli furono anche gli altri provvedimenti presi da H., dall'istituzione della Banca federale alla regolamentazione dei dazî doganali e alla politica di favoreggiamento dell'industria. Ma l'azione di H. non si faceva avvertire solo nell'ambito specifico del suo dicastero. Egli era invece allora la vera mente direttiva di tutta la politica del governo: sia all'interno, sia di fronte all'estero, nei cui riguardi H. propugnava la politica dell'assoluta indipendenza degli Stati Uniti da qualsiasi legame con le potenze del continente europeo. Era la piena antitesi al periodo di Franklin e Lafayette; ed era invece, già in nuce, l'isolamento nazionalistico americano che si affermava con H.
Ed ecco cominciare l'asprissimo dissidio con Jefferson, che pure faceva parte del gabinetto, ma che era sotto ogni riguardo agli antipodi da H. (v. jefferson). Materia concreta dell'antagonismo erano tanto i problemi di politica interna (Jefferson sosteneva i diritti degli stati contro le tendenze centralizzatrici di H., e opponeva agli ideali aristocratici, alla poca fiducia nel popolo di quest'ultimo la sua predicazione democratica, rappresentando poi in sostanza la reazione del Sud, agrario, al predominio dell'aristocrazia industriale degli stati del Nord, impersonata da H.), quanto i problemi di politica estera (nella lotta allora iniziata tra l'Inghilterra e la Francia rivoluzionaria, H. propendeva per la prima, pur facendo adottare dal governo una politica di stretta neutralità, al contrario di Jefferson, francofilo). Washington, capo dello stato, era sotto l'influsso di H.; Jefferson uscì dal gabinetto e organizzò una fierissima campagna contro H., che nel gennaio 1795 fu costretto a dimettersi. La fortuna di H. declinava: nello stesso partito federalista, John Adams (v.), eletto presidente nel 1796, dopo la morte di Washington, pareva soppiantarlo, sebbene in realtà nei quattro anni della presidenza dell'Adams, H. continuasse ad avere grande influenza sulla politica dell'Unione. Ma nel 1800, al termine della presidenza Adams, i federalisti erano battuti; saliva al potere proprio il nemico di H., Jefferson, e s'iniziava l'era della democrazia jeffersoniana. Allora H. si chiuse nella vita interna dello stato di New York: ma, anche qui, furono nuovi acerrimi contrasti con Aaron Burr, jeffersoniano, che riuscì a trascinarlo in un duello in cui H. perdette la vita.
Opere: Le operc di H. sono edite da H.C. Lodge (voll. 8, Filadelfia 1885-86). Il Federalist è edito anche a parte (ultima ed., Filadelfia 1923).
Bibl.: J. C. Hamilton, Life of Alexander Hamilton, voll. 2, New York 1840; J. T. Morse, The life of Alexander Hamilton, voll. 2, Boston 1876; G. Shea, Alexander Hamilton, voll. 2, New York 1877-78; H. C. Lodge, Alexander Hamilton, Boston 1882; F. S. Oliver, Alexander Hamilton, Londra 1906; A. M. Hamilton, The intimate Life of Alexander Hamilton, Londra 1910; C. G. Bowers, Jefferson and Hamilton, 7a ed., New York 1926; A. Bein, Die Staatsidee Alexander Hamiltons in ihrer Entstehung und Entwicklung, Monaco-Berlino 1927.