MAZZOCCHI, Alessio Simmaco. –
Nacque nell’odierna Santa Maria Capua Vetere il 22 ott. 1684, ultimo di 24 figli, da Lorenzo, farmacista, e da Margherita Battaglia, che morì nel metterlo al mondo.
Nel 1697 fu avviato al seminario capuano, ma dopo poco tempo, apprezzato dagli eruditi locali, si trasferì a Napoli per continuare gli studi con il fratello Carlo. Apprese con facilità la lingua greca e quella latina, approfondì la conoscenza della filosofia e della matematica. Morto il padre nel 1706, si concentrò ancora di più sullo studio, dedicandosi all’archeologia e alle lingue esotiche e completando la sua formazione presso il seminario napoletano. Per i suoi meriti, il rettore Carlo Maielli – chiamato a Roma come custode della Biblioteca Vaticana da Clemente XI nel 1711 – scelse il M. come suo sostituto nelle lezioni di lingue erudite e nella prefettura del seminario. Distintosi per la dedizione ai suoi incarichi, fu nominato canonico del capitolo capuano e gli fu affidata la prefettura dei seminari di Capua e Nola.
In occasione del giubileo del 1725, il M. compì un viaggio a Roma, dove rivide Maielli ed ebbe modo di entrare in contatto con numerosi eruditi dell’ambiente pontificio. Nel 1727 si pose all’attenzione del pubblico erudito con l’opera In mutilum Campani amphitheatri titulum aliasque nonnullas Campanas inscriptiones commentarius (Napoli).
Lo scritto, segnalato in Italia dal concittadino G. Capece a L. Muratori e a S. Maffei, ebbe una diffusione internazionale: numerose copie furono inviate alle corti straniere, a P. Giannone a Vienna e a B. de Montfaucon a Parigi. Il M., interpretando un’iscrizione rinvenuta mutila tra le rovine dell’anfiteatro di Capua, ricostruì con acume le vicende storiche del periodo a cui risaliva il reperto e dimostrò che Capua era la prima delle diciotto colonie romane in Italia. Si soffermò poi sul IX secolo, quando l’anfiteatro fu destinato a usi difensivi e ad arena per i ludi venatori, offrendo inoltre spiegazioni sul nome dato dai Longobardi a Berelais, la nuova Capua costruita sul Volturno.
Nel 1732 il viceré conte A.T. di Harrach nominò il M. cappellano maggiore, ma la carica non fu espletata. Nel 1735 il cardinale Giuseppe Spinelli lo richiamò da Capua, dove nel 1732 il M. era divenuto decano del capitolo metropolitano, e lo nominò canonico del duomo napoletano, assegnandogli inoltre la cattedra di Sacre Scritture presso la Regia Università e il liceo arcivescovile, oltre alla direzione del seminario arcivescovile. Anche la casa regnante manifestò apprezzamento nei suoi confronti, conferendogli l’arcivescovato di Lanciano, che egli rifiutò in cambio dell’assegnazione di una pensione.
Nel 1739 pubblicò una dissertazione (Ad amplissimum virum Bernardum Tanuccium… de dedicatione sub ascia commentationes…, Napoli) nella quale illustrava il significato dell’espressione «sub ascia dedicare», adottata dagli antichi come iscrizione tombale. Nonostante le forti opposizioni, il suo studio fu apprezzato da Maffei, da I. Facciolati e dallo stesso Muratori. Nel 1741 si inserì nella polemica sull’origine degli Etruschi con la Dissertazione sopra l’origine dei Tirreni, pubblicata a Roma.
L’opera riporta solo otto delle originarie dieci diatribe del M., ristampate in latino dopo la sua morte, le prime otto nel secondo volume degli Opuscola, pubblicati a Napoli tra il 1771 e il 1775, e le ultime due nel terzo volume dell’edizione degli Opuscola del 1824.
Studioso poliedrico, attento indagatore di antichità, erudito grecista, latinista, epigrafista, cultore degli studi biblici, studioso dell’ebraico, dell’osco e dell’etrusco, raggiunse vasta notorietà tra i letterati europei e fu associato ad accademie del Regno ed estere.
Dal 1741 risulta iscritto all’Accademia di storia ecclesiastica e di liturgia, sita nella casa dell’Oratorio a Napoli, e all’Accademia etrusca di Cortona. Nel 1755 divenne socio dell’Accademia ercolanese, nella quale ebbe l’incarico di curare l’interpretazione di antiche iscrizioni e la lettura dei papiri. Nel 1756 fu accolto nella Académie royale des inscriptions et belles-lettres di Parigi. Testimonianze di amicizia e affinità di pensiero con eminenti personaggi del tempo, come B. Tanucci, F. Galiani, Muratori, sono contenute nelle dediche dei libri, nei carmi che compose e nella corrispondenza. I carteggi offrono occasione di dibattiti e alimentano dispute, come quella su un dittico acquistato nel 1732 dal cardinale Angelo Maria Quirini.
Tra il 1744 e il 1755 pubblicò a Napoli l’opera in tre volumi In vetus marmoreum sanctae Neapolitanae Ecclesiae kalendarium Commentarius, studio critico, storico, filologico su un calendario liturgico rinvenuto nel 1742 nella collegiata di S. Giovanni Maggiore.
Il calendario, risalente al IX secolo, scritto su due grandi lastre di marmo che riportavano sul lato esterno le sculture di animali fantastici e su quello interno lettere greche e latine incise a fitti caratteri, testimoniava l’antica pratica del culto santorale presso la Chiesa napoletana.
Nel 1751 fu interpellato dalla chiesa metropolitana per dirimere un’animosa vertenza sorta tra gli ebdomadari e i canonici della cattedrale circa l’origine della chiesa cattedrale di Napoli. Dando prova di vasta cultura antiquaria, nel lavoro Dissertatio historica de cathedralis ecclesiae Neapolitanae semper unicae variis diverso tempore vicibus, cum praevio anteloquio (Napoli 1751) si espresse a favore dell’unicità delle origini della cattedrale.
Nel Medioevo a Napoli i riti religiosi erano stati celebrati sia in greco sia in latino. Questa pratica aveva indotto a credere che esistessero anche due chiese cattedrali. Il M. dimostrò invece che a Napoli era sempre esistita un’unica chiesa metropolitana.
La sua fama resta legata al commento di due tavole di metallo trovate nel 1732 nell’alveo del torrente Cavone, in una località dove sorgeva l’antica Eraclea, dal cui studio ricavò un’opera in due volumi (Commentarii in Regii Herculanensis Musei aeneas tabulas Heracleenses, Napoli 1754-55), in cui descriveva le origini delle città della Magna Grecia, degli abitanti e delle loro monete.
I reperti in bronzo riportavano trascritte in dialetto dorico le divisioni e le locazioni di alcuni terreni pertinenti ai santuari dedicati a Dioniso e a Minerva. Sull’altra faccia, mutila della sezione superiore, erano alcune leges della costituzione municipale romana. Acquistate le tavole da Carlo Guevara, duca di Bovino, e da lui donate al re Carlo di Borbone, il M., incaricato del difficile lavoro di interpretazione, intuì che il testo mancante a Napoli era contenuto in un frammento rinvenuto nello stesso luogo e che, acquistato da A.B. Fairfax, era stato trasportato in Inghilterra e interpretato da M. Maittaire. Il bronzo britannico, restituito a Napoli nel 1760, fu saldato per volontà del sovrano alla sezione originaria.
Nel 1754 si applicò alla ricerca epigrafica, credendo di identificare il corso dell’acqua Iulia menzionato da Velleio Patercolo e da Dione, in una serie di sorgenti presso l’Agro capuano e nei resti di un acquedotto romano. Il M., critico costruttivo contro la tradizione scolastica, filologo illuminista e innovativo esegeta, si dedicò anche agli studi religiosi. Nel 1759 pubblicò a Napoli una storia di s. Gennaro (Actorum Bononiensium s. Ianuarii et soc. martyrum vindiciae repetitae cum pluribus eo pertinentibus lucubrantiunculis), l’anno successivo su richiesta del cardinale Spinelli lavorò sulla devozione verso i vescovi napoletani santificati dalla Chiesa (De sanctorum Napolitanae Ecclesiae episcoporum cultu…, Napoli). Scrisse, infine, una raccolta di studi biblici (Spicilegii Biblici), il cui primo tomo fu pubblicato nel 1762, il secondo nel 1766 e il terzo postumo nel 1778, tutti a Napoli.
Il M. morì a Napoli il 12 sett. 1771.
Fu sepolto nella cappella di S. Aspreno nella chiesa di S. Restituta, dove il nipote Filippo Mazzocchi fece porre un busto marmoreo scolpito da G. Sanmartino.
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