DE MARCHIS, Alessio
Nacque a Napoli nel 1684 (Pio, 1724). Non sappiamo se questo pittore e disegnatore abbia avuto un apprendistato presso qualche artista locale, come sembrerebbe tuttavia testimoniare il suo stile legato in modo inconfondibile a quello di Salvator Rosa. Infatti, la fonte fondamentale per la biografia del D., la breve "vita" manoscritta stesa da N. Pio (1724), ne fa iniziare la carriera a Roma, quando aveva diciassette anni circa. nel 1701.
La data di nascita del pittore compare anche sul disegno che lo ritrae, ad opera di Agostino Masucci, sullo sfondo di un paesaggio con rovine antiche, questo tracciato dallo stesso De Marchis. Il disegno (che con gli altri della serie, anch'essi ora nel Museo naz. di Stoccolma, doveva illustrare la pubblicazione delle Vite del Pio, restata per sempre allo stato di progetto: cfr. Clark, 1967) va datato, come il relativo testo manoscritto, a prima del 1724 (anno che compare sul frontespizio dello stesso) e ci mostra l'artista fra i 35 e i 40 anni quando, come indica la didascalia, la sua personalità si era affermata a Roma tra quelle dei maggiori paesaggisti del tempo.
Le notizie biografiche fornite dal Pio hanno il pregio dell'attendibilità ma il difetto di essere estremamente succinte. Giunto il giovane a Roma nel primo anno del Settecento, lo scrittore afferma che passò un anno e mezzo circa nello studio di Pieter Philip Roos, detto Rosa da Tivoli, che lo avviò, iniziando dal disegno, all'attività di paesaggista. Il Pio scrive che presto il D. si affermò come "spiritoso pittore di paesi, vedute, massi, fabbriche rotte antiche...", una scelta che sembra l'artista abbia voluto sintetizzare nello sfondo del ritratto fattogli dal Masucci. Egli non sfuggì tuttavia anche all'influenza di quello che era considerato il maggior paesaggista a Roma nella seconda metà del sec. XVII, Gaspard Dughet. E da collocare nel 1715 (Michel, 1977) la decorazione a fresco di due stanze, andata poi distrutta, eseguita nel palazzo Ruspoli, al Corso. È probabile che negli stessi anni, e certo prima del 1724, eseguisse opere per i Theodoli, oggi smarrite (Pio, 1724). Andate perdute queste opere, non è facile ricostruire la prima parte della carriera del D., che evidentemente produsse soprattutto dipinti di non grande mole e di destinazione privata (sono forse da ascrivere a questo periodo le decorazioni di porte in palazzo Borghese e nel salone di palazzo Giustiniani, ancora da studiare). Rimangono del periodo romano soprattutto disegni (in particolare nel Gabinetto naz. delle stampe di Roma; cfr. Chiarini, 1967 e 1971) che ritraggono la campagna o monumenti famosi e tipici del repertorio vedutistico sei-settecentesco: Ponte Nomentano, Ponte Salario, Porta S. Paolo, Ponte Rotto, le Mura aureliane, ecc., che il D. immerse in un'atmosfera fantastica e preromantica determinata dai violenti contrasti luministici.
Questi disegni sono caratterizzati da una tecnica molto larga e sommaria, basata sull'uso di un acquerello bruno scuro molto denso, steso suuna traccia compositiva a matita nera o rossa su una carta molto spessa che accentua il risultato preimpressionistico della pennellata. In essi, cosìcome nell'unico dipinto che si può ascrivere a un periodo iniziale dell'attività del pittore, un Paesaggio con buttero della Galleria naz. d'arte antica di Roma (cfr. Clark, 1970), su un evidente sostrato rosesco e dughettiano si afferma un forte influsso dei paesaggisti olandesi "italianizzanti" più tardi, come ad esempio il Van der Cabel: a quest'ultimo alludono le scritte storpiate "Vandercaper" che appaiono spesso sui disegni del Gabinetto naz. delle stampe, e l'influenza degli Olandesi in generale spiega l'attribuzione tradizionale a Jan Both della tela della Galleria naz. di Roma.Il fatto che l'opera del D. fino a tempi recentissimi passasse sotto altri nomi dimostra come essa, non documentata, fosse andata dimenticata nel tempo fino al totale oblio, a parte pochissimi disegni che, recando scritte e firme autografe dell'artista (cfr. Magagnato, 1956; Chiarini, 1967), hanno consentito una sua prima ricostruzione come disegnatore e quindi la parziale ricostruzione della sua opera pittorica (Busiri Vici, 1975).
La perdita delle opere ricordate dal Pio come eseguite a Roma è in parte compensata dalla conoscenza di quelle ascrivibili al periodo postromano che vengono ad assumere un ruolo predominante e a segnare lo svolgimento dello stile del D. nel secondo quarto del secolo.
È sempre il Pio (1724) che ci informa come il pittore, per ragioni rimaste ancora sconosciute, dovette scontare un lungo periodo di prigione al quale infine fu sottratto per la protezione della famiglia Albani, mentre il Lanzi (1796), ma non sappiamo su quale base documentaria, precisa che ciò accadde perché l'artista "per dipingere incendj più al naturale desse fuoco a un fienile", ragione che sembra troppo esile per una punizione così severa.
La tradizione, creata evidentemente dal anzi, di una specializzazione del D. nel rappresentare incendi è stata alquanto ridimensionata dal Busiri Vici, che ha provato come le due tele di questo soggetto acquistate nel 1950dalla Galleria nazionale di Roma (cfr. Boll. d'arte, XXXV [1950], p. 380) sonoda espungere dal catalogo dell'artista perché più tarde. È però da ricordare che il D. rappresentò soggetti di questo tipo (Busiri Vici, 1975, ill. 197 a p. 187, e 37 a p. 318), come ricorda anche il Lanzi segnalando un Incendio di Troia allora nella collezione Semproni a Urbino.
Dal contesto delle Vite del Pio non risulta chiaro quando l'episodio ebbe luogo, poiché egli parla dell'artista al presente e come ormai lontano da Roma: quindi anteriormente al 1724, data che compare nel manoscritto del Pio. Tuttavia nel 1975 lo Zampetti ha annunciato il ritrovamento da parte di C. Renzetti (197475) di un documento che proverebbe come il D. fosse stato liberato dalla prigionia in Castel Sant'Angelo per intercessione del cardinal Annibale Albani (nipote di Clemente XI) il 5 maggio 1728. Il cardinale avrebbe poi fatto proseguire il pittore per Urbino, dove gli dette l'incarico di decorare alcune stanze del palazzo di famiglia che veniva restaurato in quegli anni.
In queste decorazioni ritroviamo infatti i tipici motivi paesistici del D., svolti in modi che al Lanzi ricordavano giustamente quelli di Salvator Rosa ("...architetture, lontananze, marine bellissime, più addette al Rosa che ad altri"), anche se in un soffitto con grandi alberi fronzuti il ricordo della decorazione del Dughet in S. Martino ai Monti di Roma è evidente. Il tipo di composizione allungata dei sottofinestra compare poi anche in quattro tele della collezione Fucili di Urbino, dove ancora molto forte è l'influsso degli olandesi "italianizzanti" come Vari der Cabel. Il senso decorativo cui sono improntate molte composizioni paesistiche, e che valse spesso ai quadri del D. l'attribuzione a Marco Ricci (cfr. Chiarini, 1979), risulta evidente nei pannelli dipinti a paesaggi in un armadio che reca le imprese degli Albani nella sacrestia dell'oratorio di S. Giuseppe ad Urbino, le quali devono appartenere a un momento vicino alla decorazione del palazzo Albani. Lo stesso tipo di taglio compositivo compare anche nei disegni che risalgono a questo periodo, come quelli nella collezione Santini di Urbino (Busiri Vici, 1975, pp. 204 s.), nei quali la fattura si fa più sfumata e atmosferica e i contrasti luministici del periodo romano si sciolgono in un segno vibrante e frammentario che ricorda i disegni dello Zuccarelli. Tale stile compare anche nelle tempere pubblicate dal Busiri Vici (pp.331 ss.) che anni fa, sul mercato antiquario romano, erano attribuite a Marco Ricci.
Non sappiamo quando il D. si trasferì da Urbino a Perugia dove, a giudicare dalle opere elencate nelle guide locali, ebbe una produzione piuttosto vasta. Sia l'Orsini (1784) sia il Siepi (1822) ne ricordano infatti i paesaggi nelle principali collezioni della città, oltre alla decorazione di alcuni ambienti: decorazione a paesaggi delle pareti della cappella del collegio Gregoriano (1739), volta decorata con paesaggi in una sala del palazzo dei Priori (1748). A queste opere andrà aggiunta la serie di trentaquattro paesaggi su tela in una sala del capitolo della cattedrale che nel ThiemeBecker (XXV, p. 82) era assegnata a Pietro Montanini su suggerimento di H. Voss: essa è stata tuttavia attribuita al D. su basi stilistiche (Chiarini, 1972; pubblicata in parte dal Busiri Vici, 1975).
Il D. morì a Urbino nell'agosto 1752 (Lupattelli, 1909).
Controversa e per ora non documentabile sembra l'attribuzione al D. di'qualche quadro di figura, come i Filosofi della Pinacoteca civica di Ancona (Marchini, 1960), o il S. Gerolamo pubblicato dal Busiri Vici (p. 330, n. 55) e contemporaneamente dallo Zampetti (1975) con un'attribuzione al Barocci. Altri quadri illustrati dal Busiri Vici restano in dubbio (ad es. il n. 173 a p. 167, o la coppia di Paesaggi a pp. 302 s., forse di un paesaggista già neoclassico), mentre la Lavandaia n. 191 a p. 180 è stata, con maggiore verosimiglianza, attribuita ad Antonio Diziani (cfr. G. M. Pilo, S. Riccie la pittura veneziana del Settecento, Pordenone 1976, ill. 103). Il catalogo dell'artista è tutt'altro che completo e si va man mano arricchendo (cfr. la bibliografia dal 1975). Ai disegni elencati da Chiarini (1967) e a quelli successivamente pubblicati si possono aggiungere i seguenti inediti: Amburgo, Kunsthalle, attr. a Zuccarelli (foto Gernsheim 16.970); Berlino Ovest, Kupfersticlikabinett, K2 nn. 21.094, 21.095, 21.095a, 17.269-70, Besançon, Musée des beaux-arts, nn. 2.704-05 (attr. a Claude Lorrain), D. 788 (attr. a Vari Goyen); Pontoise, Museo, n.3.033 (gentile indicazione di P. Rosenberg).
Il Lanzi (1796) ricorda come del D. fosse seguace il figlio Eugenio, la cui attività di paesaggista sulle orme del padre è ricordata a Perugia anche dall'Orsini (1784, p. 89; "molti paesi coloriti a tempera sulla carta" nella collezione Floramonti) e dal Siepi (1822, p.644), che scrive che Eugenio aveva decorato con paesaggi ad affresco alcune stanze del palazzo Baglioni. La data di nascita di Eugenio può essere collocata intorno al 1714 sulla base di iscrizioni che chi scrive trascrisse da due tele sul mercato antiquario romano agli inizi degli anni '60, tele che venivano definite le due prime opere eseguite da Eugenio (indicato come "romano") nel 1725 all'età di undici anni. È possibile che la mano, assai più scadente, di Eugenio, possa riconoscersi anche in alcuni fogli di qualità molto scarsa, ma affini a quelli del D., che si trovano nel Gabinetto naz. delle stampe a Roma, e in alcuni dei paesaggi dei capitolo del duomo di Perugia.
Fonti e Bibl.: N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti [1724], a cura di C. Enggass. R. Enggass, Città del Vaticano, pp. 142 s.; B. Orsini, Guida al forestiere per l'augusta città di Perugia..., Perugia 1784, ad Indicem;L. Lanzi, Storia pittorica della Italia..., I, Bassano 1796, pp. 569 s.; C.Gasbarri-V. E. Giuntella, Due diari della Repubblica romana del 1798-99, Roma 1958, p. 24; S. Siepi, Descrizione ... di Perugia, Perugia 1822, ad Indicem;A. Lupattelli, La Pinacoteca Vannucci, Perugia 1909, pp. 77, 143, 197;N. Di Carpegna, Paesisti e vedutisti a Roma nel '600 e nel '700, Roma 1956, pp. 17 s.; L. Magagnato, Disegni del Museo civ. di Bassano da Carpaccio a Canova (catal.), Venezia 1956, p. 78; Il Settecento aRoma (catal.), Roma 1959, p. 147; G. Marchini, La Pinacoteca comunale di Ancona, Ancona 1960, pp. 117-23; F. Mazzini, Guida di Urbino, Vicenza 1962, p. 254; M. Chiarini, Due mostre e un libro..., in Paragone, XVI (1965), 187, p. 65; A. M. Clark, The portraits of artists drawn for NicolaPio, in Master drawings, V (1967), 1, p. 15; M. Chiarini, A. D. as a draughtsman, ibid., 3, pp. 289 ss.; P. Bjuström, Drawings from Stockholm (catal.), New York 1969, p. 265; M. Chiarini. Alcuni quadri di paesaggio nel Museo di belle arti diBudapest, in Bull. du Musèe hongrois des beauxarts, 1969, 32-33, p. 129; A. M. Clark, in Paintingin Italy in the eighteenth century: Rococb to Romanticism, New York 1970, p. 230; M. Chiarini, Vedute romane. Disegni dal XVI al XVIII secolo (catal.), Roma 1971, pp. 56-60; J. Bean-F. Stampfle, Drawings from New York collections, III, The eighteenth century in Italy (catal.), New York 1971, p. 37- E. Schilling, German drawings ... atWindsor Eistle, with a supplement to the cataloguesof Italian and French drawings ... by A. Blunt, London-New York 1971, p. 99; M. Chiarini, Idisegni italiani di paesaggio dal 1600 al 1750, Treviso 1972, pp.XLIX, 70 s.; Id., recens. a M. Roethlisberger, Cavalier Pietro Tempesta and histime, in Paragone, XXIII (1972), 273, p.65; Id., Disegni italiani di paesaggio del Seicento e delSettecento, Firenze 1973, p.63; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d'arte a Firenze dal 1674 al1767, in Mitteil. des Kunsthist. Instilmes in Florenz, XVIII (1974), 1, pp. 39 n. 191, 100; C. Renzetti, A. D...., tesi di laurea, Università di Urbino, facoltà di lettere, a.a. 1974-75; p. Zampetti, Cinque tesi di laurea..., in Notizie da Palazzo Albani, IV (1975), 1, pp. 59 ss.; 2, pp. 82 s.; A. Busiri Vici, Trittico paesistico romano del'700..., Roma 1975, pp. 159-207, 298-355; L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, II, Roma 1977, pp. 906 ss.; III, ibid. 1980, pp. 1014 s., J. Byam Shaw, Drawings by old masters atChrist Church Oxford, I, Oxford 1976, pp. 313 s.; G. Michel-O. Michel, La décoration du Palais Ruspoli en 1715..., in Mélanges de Éceole Françaisede Rome, Moyen-âge-temps modernes, LXXXIX (1977), 3, pp. 268, 282 n. 69; M. Chiarini, Il paesaggio a Roma fra Sei e Settecento, in Antologia dibelle arti, III (1979), 9-12, pp. 148-51; H. Macandrew, Ashmolean Museum Oxford. Catal. of thecollection of drawings, III, Italian schools supplement, Oxford 1980, pp. 172 s.; M. Lucco, in Arte del '600 nel Bellunese (catal.), Padova 1981, ill. 49-50; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 70 s. (s. v. Marchis, Alessio de; anche per Eugenio).