VOLTA, Alessandro
Nacque a Como il 18 febbraio 1745, sesto figlio di Filippo Volta e di donna Maria Maddalena dei conti Inzaghi. Ricevette al battesimo i nomi di Alessandro, Giuseppe, Antonio, Anastasio. Alessandro non ebbe davvero sviluppo precoce: solo a sette otto anni cominciò a parlare spedito. Più grandicello, mostrò invece spiccata vivacità di ingegno, instancabile curiosità nell'osservare e indagare fatti naturali. A dodici anni fu sul punto di morire annegato per rintracciare, in una fonte di acqua di Monte Verde, presso Como, una vena d'oro, dalla quale i campagni del luogo pretendevano che si distaccassero pagliuzze del prezioso metallo. Questa vocazione allo studio della natura si accentuò poco appresso in modo irresistibile.
Restato presto orfano del padre, che morendo lasciò la famiglia in gravi strettezze, Alessandro fu accolto, con la madre e tre sorelle, in casa dello zio paterno, il canonico Alessandro Questi voleva fare del nipote un legale; il maestro, padre gesuita G. Bonesi, voleva farne un religioso; ma V. a diciassette anni, già ricco di erudizione letteraria, facile versificatore in volgare, in latino e in francese, dialettico irresistibile, facondo e piacevole parlatore, si pose invece a studiare da sé i fenomeni fisici, a meditare le opere di P. van Musschenbroek, G. B. Beccaria, G. A. Nollet, e a sperimentare come e con quello che poteva; incitato e aiutato in questo, sia didatticamente sia materialmente, dal canonico G. C. Gattoni (1741-1809), appassionato ricercatore di fatti naturali e vero amico, compagno e benefattore disinteressatissimo di Volta. Da poco questi si era dato allo studio della fisica, quando nel 1763 scriveva all'abate Nollet esponendo una concezione tendente a unificare i fenomeni elettrici e newtoniani: "vires omnes ex uno eodemque principio consurgere". Con questo tentativo, rimasto poi infruttuoso, anzi appresso da lui stesso rigettato, V. annuncia sé stesso ai grandi fisici contemporanei. Ma la comparsa definitiva dello scienziato avvenne sei anni più tardi, con i celebri scritti De vi attractiva ignis electrici e Novus ac simplicissimus electricorum tentaminum apparatus indirizzati rispettivamente al grande elettrologo Beccaria e al naturalista L. Spallanzani. Volta aveva allora solo venticinque anni, non aveva conseguito la laurea, né la conseguì più tardi.
La scienza elettrica quando Volta esordì era ben poca cosa. Alle prime antiche nozioni del potere attrattivo dell'ambra, Plinio il Vecchio aveva aggiunto l'altra che per eccitare le virtù dell'ambra è necessario strofinarla; e per mille e cinquecento anni si rimase a queste cognizioni, fino a quando G. Gilbert riprende lo studio dei fenomeni elettrici nella sua De arte magnetica. La vera fioritura degli studî sull'elettricità tarda a sbocciare ancora altri centocinquant'anni e coincide con la nascita di Volta. Proprio nel 1745 G. von Kleist scopre il fenomeno famoso detto della bottiglia di Leida; G. Bose accende con la scintilla la polvere da cannone e G. Winkler perfeziona le macchine elettrostatiche. Sono di poco posteriori le esperienze di van Musschenbroek sulle bottiglie di Leida, di P. Cunaeus e von Kleist sull'accumulamento di cariche; i quadri elettrici di G. Bevis; le prime lettere di B. Franklin a P. Collinson circa la concezione dell'elettricità; le "beatificazioni" di G. Bose, gli esperimenti di G. Canton e R. Wilke, i celebri esperimenti di T.F. Dalibard, di Franklin per strappare "coelo fulmen"; la morte di G.G. Richmann nel ripetere l'orgoglioso tentativo; le contrazioni delle rane eccitate con scariche elettriche da L.M. Caldani e dal Beccaria; il famoso e curioso episodio incorso a R. Symmer delle calze nere e bianche elettrizzate eteronimamente nel togliersele di dosso, e mille e mille altri studî ed esperimenti. Fu proprio l'episodio delle calze del Symmer che diede indirettamente spunto al primo lavoro di Volta. Padre Beccaria, ripetendo l'osservazione del Symmer usando il vetro anziché la seta, era stato indotto a pensare "ut facies vitri post explosionem denudata vindicet sibi electricitatem quam habuit ante explosionem, quod est electricitatis vindicis principium".
V., seguendo le concezioni del Franklin, attacca nelle memorie ricordate la concezione dell'elettricità vindice sostenuta dal Beccaria, e si volge in pari tempo ai fenomeni d'influenza dei quali stavano trattando allora il Wilke e F.M. Aepinus. Da allora le scoperte e le invenzioni di V. si seguono ininterrottamente nei varî campi della fisica. Nel 1775 costruisce quel mirabile apparecchio, battezzato da lui col nome di elettroforo perpetuo, che, "sorgente inestinguibile", è il germe delle future macchine a influenza. Nel 1776, mentre costeggia i canneti di Angera sul Lago Maggiore, V. osserva che dal fondo melmoso affiorano copiose bollicine di gas. Egli, che già aveva ottenuto "arie infiammabili", facendo reagire acidi su metalli, pensa che anche quell'aria del canneto possa essere infiammabile, e raccoltala l'accende scoprendo così il gas delle paludi, che i moderni chiamano metano. L'elettrologo si rivela subito anche su queste ricerche sui gas. Egli pensa infatti di servirsi dell'aria infiammabile come gas detonante in un'arma da scoppio provocando l'accensione con la scintilla elettrica. Le applicazioni dell'aria infiammabile si seguono ininterrottamente, sicché egli scriverà: "Quante belle idee... mi vanno ribollendo in testa, eseguibili con questo stratagemma di mandare la scintilla elettrica a fare lo sparo della mia pistola a qualsivoglia distanza... Io non so a quanti migli un fil di ferro tirato sul suolo che si ripiegasse indietro o incontrasse un canale d'acqua di ritorno, condurrebbe... la scintilla commovente. Ma preveggo che... tratti di terra molto bagnata... devierebbe il corso del fuoco elettrico; ma se il fil di ferro fosse sostenuto alto da terra da pali... es. gr., da Como fino a Milano, e venisse fino a pescare nel Canal del Naviglio continuo col mio Lago di Como, non credo impossibile di fare lo sparo della pistola a Milano con una boccia di Leyden scaricata a Como". Eccolo poi a utilizzare le arie infiammabili per costruire un ingegnoso accendilume elettrico, e a trasformare la sua pistola nell'eudiometro, preziosissimo apparecchio d'indagine, ancora oggi usato. Infine, precedendo G. Murdock e F. Lebon nella preparazione del gas illuminante, V. scrive al padre C.G. Campi: "Ho pensato talvolta se vi fossero mezzi per fare uso economico dell'aria infiammabile sostituendola all'olio: basterebbe distillare o abbruciare in vasi chiusi i corpi che venendo bruciati all'aperto possono ardere con fiamma e raccogliere in bocce piene d'acqua l'emanazione che se ne sprigiona". Tra un viaggio all'estero, nel quale avvicina i più grandi scienziati stranieri e prende occasione per sperimentare con A.L. Lavoisier e P.S. Laplace sull'elettrizzazione per evaporazione, e un altro viaggio per studiare l'emanazione dei campi igniti di Pietramala, V. concepisce il condensatore, "apparecchio che portando a uno straordinario ingrandimento i segni elettrici fa si che osservabile divenga e cospicua quella virtù che altrimenti per l'estrema sua debolezza sfuggirebbe ai nostri sensi". Questa sua grande e fattiva attività viene intanto premiata con alti onori: prima con la nomina a professore della scuola di Como (1774), poi con la nomina (1779) a professore di fisica sperimentale all'università di Pavia, in successione del defunto padre scolopio C. Barletti: tutte le società scientifiche, le accademie lo eleggono loro socio, molte lo invitano a illustrare le sue ricerche e le sue scoperte; e gli studenti pavesi, secondo l'usanza dell'epoca, lo eleggono nel 1785 rettore dell'università.
La sua fama è oramai grandissima, e dopo la fama ecco la gloria.
È noto che le mosse per la grande scoperta della pila furono offerte a V. dalle osservazioni elettrofisiologiche compiute su rane morte di fresco da L. Galvani, anatomico dello studio di Bologna. Le circostanze precise in cui il Galvani vide le rane "quasi risorte ad improvvisa vita, rattrarre i nervi e... divincolarsi", si disperdono in varie narrazioni e storielle, nelle quali è difficile sceverare il vero dal fantastico, l'essenziale dall'accessorio. Comunque, sta il fatto che nel 1789 il Galvani sperimentava il "sane iucundum spectaculum" delle contrazioni subite da rane morte, preparate, come ora si dice, alla Galvani: cioè, private della metà superiore, dall'addome in su, scuoiate e con i plessi nervosi lombari messi a nudo. È, in proposito, merito grande dell'anatomico bolognese l'avere egli saputo provare che condizione sufficiente per potere produrre in modo sicuro e cospicuo le contrazioni è che i nervi lombari e i muscoli della coscia siano simultaneamente tocchi con un arco metallico. Quest'ultimo particolare non colpì il Galvani come avrebbe dovuto ma non è da fargliene troppa colpa, ché egli stesso ottenne contrazioni muscolari anche altrimenti, con un solo metallo, sebbene, allora, meno frequenti e più deboli. Il Galvani assimilava la sua rana a una bottiglia di Leida che si scaricava attraverso l'arco. Le esperienze sue, pubblicate nel 1791 nell'opera De viribus electricitatis in motu muscolari commentarius, destarono grande meraviglia e interesse in tutto il mondo scientifico. In Italia furono subito riprese da P. Moscati, G. Aldini, G.V.M. Fabbroni, F. Fontana, Caldani e V.; in Inghilterra da A. Monro, R. Fowler, G. Hunter; in Germania da E.J. Schmuck, F.A. Gren, G.G. Crève, A. von Humboldt, G.C. Ackermann; in Francia da C.-A. Coulomb, G. Pelletan, A.-F. Fourcroy, L.-N. Vauquelin, ecc.
V. dapprima fu sostenitore delle vedute di Galvani e cercò di rintracciare il segno elettrico della bottiglia istologica ideata dall'anatomico bolognese. Poi, posta maggiore attenzione al fatto che, quando l'arco scaricatore è bimetallico, le contrazioni sono più violente, sospettò, indi si persuase e si convinse che non dalla rana, ma dal contatto dei due metalli nascesse il "disequilibrio" elettrico (oggi diremmo la forza elettromotrice), causa delle contrazioni della rana.
In questa morta bestiola V. non vedeva ormai che un sensibilisimo rivelatore di quel disequilibrio; nuovo non era il carattere fisiologico, ma quello fisico del fenomeno: il fluido elettrico era ancora identico a quello che usciva dalle macchine elettrostatiche del Caldani e del Beccaria, soltanto era mosso ora dal semplice contatto dei due metalli diversi. Il Galvani comprendendo che V. col sostenere l'arco bimetallico essere eccitatore, anziché scaricatore, veniva a capovolgere la sua teoria, sostiene le proprie vedute aiutato da una larga e fitta schiera di ammiratori e discepoli. Così hanno inizio lunghe e intrigate serie di esperimenti variati in mille guise diverse; così nasce la celebre disputa tra V. e il Galvani, tra le scuole di Pavia e di Bologna, tra galvaniani e voltiani: esperimenti, ragionamenti, dispute che per anni e anni di seguito arruffarono sempre più la matassa e che si protrassero anche dopo che V. la dipanò con l'invenzione della pila. Il gran fisico comasco, che dalla discussione con gli avversarî era spinto, non meno che questi del resto, ai più sottili ritrovati, varia gli esperimenti nelle più diverse maniere, cercando di sorprendere un nuovo aspetto o un nuovo fatto che decida per la sua tesi. Così, provando e riprovando, pensa di sottoporre sé stesso all'esperimento. "Fortunatamente mi venne in testa che noi abbiamo nella lingua un muscolo nudo..., mobilissimo. Ecco là dunque, io mi dissi, tutte le condizioni richieste per potervi eccitare dei vivi movimenti". E provò. Sulla punta della lingua appoggia una foglia di stagno e, tenendo in contatto con questa un cucchiaio d'argento, tocca con lo stesso cucchiaio un punto più in dentro della lingua. Volta si aspettava di sentirla involontariamente contrarre, invece sentì un sapore acidulo. Inverte la coppia e il sapore cambia diventando amarognolo. L'acutezza e prontezza superano in lui la maraviglia provata e comprende che, mutatis mutandis, si trova ancora di fronte allo stesso fenomeno scoperto dal Galvani: la coppia metallica eccita sulla lingua il nervo del gusto, come nel caso della rana quello preposto alla contrazione muscolare. Facendo scaricare sulla lingua una piccolissima bottiglietta di Leida riconosce che il sapore acidulo corrisponde all'elettricità negativa, l'altro alla positiva. Così la lingua si rivela migliore rivelatore della rana. D'altra parte i galvaniani, comprendendo che il punto debole della loro teoria consisteva nella presenza dell'arco metallico, tentarono e riuscirono a provocare le contrazioni muscolari della rana facendo toccare direttamente tra loro i nervi lombari e i muscoli crurali. Parve allora per un momento che V. fosse vinto; ma egli replicò osservando che anche in quest'ultimo esperimento si ponevano a contatto sostanze di costituzione diversa e che in ciò risiedeva la causa del disequilibrio elettrico. Ma più che confutare le teorie degli avversarî a parole, egli le vuole confutare coi fatti cercando di congegnare un esperimento in modo che in esso non vi sia più alcuna parte di carattere fisiologico. La vittoria arride a V., il quale, superando difficoltà sperimentali grandissime, che ancor oggi sbigottiscono, riesce a mettere in evidenza, usando dapprima la macchinetta di G. Nicholson, poi il suo maraviglioso condensatore munito di elettroscopio, quella forza elettromotrice, nata nel contatto dei due metalli, che egli aveva previsto. I galvaniani credevano di aver vinto togliendo l'arco metallico e lasciando solo la rana; per tutta risposta V. toglie la rana o qualsiasi altro elemento biologico e, sostituitovi l'apparecchio fisico, prova la verità del suo asserto.
Avevano dunque errato il Galvani e i suoi seguaci? La risposta è ai fisiologi: certo merito di V. fu saper sceverare nell'esperimento del Galvani il contributo dovuto ad azioni fisiche: merito che appare ancor oggi grandissimo quando si pensi che dette azioni erano sconosciute e provenivano da un fatto circostanziale, il contatto fra metalli, di non facile interpretazione. L'opera di V. è così eccelsa e per esperimenti e per condotta di esperimenti, che non si sa davvero se in essa e di lui si debba ammirare più l'abilità delle mani o la potenza dell'ingegno.
V. estese immediatamente le indagini dai metalli alle sostanze liquide più svariate, e giunse così a scoprire quali combinazioni tra metalli e metalli, fra metalli e liquidi riescono neutrali, quali elettricamente attive, e infine che le forze elettromotrici si sommano quando vengono costituite catene di coppie bimetalliche tutte nel medesimo ordine separate tra loro da un liquido acido; così: zinco-acqua acidulata-rame, zinco-acqua acidulata-rame, ecc. "Questo è il gran passo da me fatto sulla fine del 1799, passo che mi ha condotto ben tosto alla costruzione del nuovo apparato scotente". Ad esso diede poi il nome di organo elettrico artificiale, quasi a ricordare la lunga disputa col Galvani; poi di apparato elettromotore a colonna. Il nome che gli è rimasto è "pila", cioè colonna, come veramente è per l'edificio di tutta la scienza elettrica. Galvani non vide il trionfo del suo avversario: egli era morto un anno prima.
Durante questi stessi anni di studio indefesso dedicato alla questione suscitata dal Galvani, Volta seppe anche trovare maniera e tempo di eseguire e sviluppare con grandissimo profitto alcuni importanti esperimenti diretti a determinare la legge che lega la pressione di un gas con la temperatura. Volta scoprì così, verso il 1795, non soltanto l'uniforme dilatazione dell'aria e del vapore d'acqua, ma anche la costanza della "quantità di vapore elastico in uno spazio sia esso vuoto d'aria sia occupato da aria di qualsiasi densità". Cosicché V. precede di molti anni G.-L. Gay-Lussac e J. Dalton. Importante osservare che il coefficiente di dilatazione assegnato da V. all'aria è più preciso di quello trovato da Gay-Lussac e assai prossimo a quello poi dato da E.-V. Regnault.
Inoltre in questo stesso periodo un nuovo fatto modifica la vita del grande comasco: il 22 settembre 1794 egli sposa donna Teresa Peregrini dalla quale gli nacquero tre figli: Zamno, Flaminio Luigi e Luigi.
V., chiaramente comprendendo che l'apparato scotente avrebbe formato la principale sua conquista scientifica, raddoppiò in prudenza nel darne notizia, e solo il 20 marz0 1800 annunciava pubblicamente i risultati in una lettera indirizzata a Sir J. Banks, presidente della Società Reale di Londra. La lettera è un vero trattato sulla pila, sul suo uso, sui suoi effetti, sulle sue applicazioni e in essa V. svolge il secondo concetto di corrente elettrica afferrato e affermato per primo da lui. La scoperta e l'invenzione, che si uniscono tra loro nella pila, come non sono da attribuirsi al caso, così non sono il risultato di una sintesi di lavori dispersi e frazionarî compiuti da varî sperimentatori. L'opera di V. è opera di getto del genio creatore, senza aiuto di nessuno, all'insaputa e con sorpresa di tutti. Non è esagerazione affermare che il mondo restò "percosso e attonito" alla notizia dell'invenzione della pila e che non era ancora svanita l'impressione prodotta, che già al nome di V. si inneggiava da tutti. Il segreto della sua vittoria consistette oltre che nell'acutezza del suo ingegno, in quella serenità d'animo, in quella potente concentrazione di pensiero e superiorità di spirito, che gli permisero di sperimentare, studiare e meditare anche quando intorno a lui tumultuava la rivoluzione, divampava la guerra, infieriva la reazione. Non bisogna infatti dimenticare che proprio nel 1799, con la caduta di J.-E. Mac Donald, alla Trebbia, giungeva in Lombardia il generale russo A. B. Suvorov con i suoi Cosacchi.
Il 6 novembre 1801, nel palazzo delle Tuileries, Napoleone, tra gli altri due consoli, G. Régis de Cambacérès e C.F. Lebrun, riceve in piedi il grande comasco, invitato da lui a Parigi per rendergli alto omaggio d'ammirazione e di lode. Nella tornata dell'Istituto di Francia, tenuta il giorno successivo, V. legge, presente Napoleone, la prima parte di una memoria sulla teoria del galvanismo. Alla fine della lettura "il cittadino Bonaparte", come dicono i resoconti dell'Istituto, "propone che la Classe debba dare una medaglia d'oro al cittadino Volta per testimoniare la sua stima particolare per il professore". Il 12 dello stesso mese, V. finisce di leggere la sua memoria e ripete le esperienze fondamentali per la pila. Intanto V. riceve ininterrottamente tributo d'onori e raggiunge quella fulgidissima gloria che seppe sempre circondare con lo splendore della sua modestia. "In mezzo a tante cose che debbono farmi piacere e che sono fin troppo lusinghiere, io non mi invaghisco - scriveva da Parigi alla moglie - a segno di credermi più di quello che sono; e alla vita agitata di una vana gloria preferisco la tranquillità e la dolcezza della vita domestica".
Dopo il trionfo tributatogli all'Istituto di Francia, quegli scienziati francesi che, presente il Primo Console, avevano naturalmente applaudito e approvato la proposta della medaglia d'oro, ostacolarono però l'ammissione di lui a socio dell'Istituto; e per tre volte, fino al 1803, respinsero le relative proposte fatte dall'Accademia.
L'opera di V. fu intesa tutta ad altissimo sentimento patriottico. Egli fu dei primi adepti di quella benemerita Società italiana delle scienze, altrimenti detta dei XL, sorta nel 1782 col nobilissimo fine, come dice il suo statuto, "di riunire gli italiani in un corpo di scienziati nazionali"; egli nutrì vivissimo sentimento patrio ed ebbe profondo amore per l'Italia. Basti a testimoniarlo la lettera scritta da lui verso il 1790 all'illustre catanese G. Gioeni con la quale si compiace che i lavori di questo siano così importanti da "bastare a chiuder la bocca a più d'uno scrittore ultramontano, che non cessano mai di rinfacciare a noi italiani una supina indolenza".
Dopo l'invenzione della pila, l'attività di V. si attenuò; non cessò però del tutto. Numerosi e importanti sono infatti i lavori compiuti da V. dopo il 1800, e sebbene in gran parte siano diretti a sostenere o ad illustrare le precedenti scoperte e invenzioni, non mancanti quelli riguardanti questioni nuove: come, per ricordarne uno solo, il celebre scritto sulla formazione della grandine.
Veramente immensa e ininterrotta è stata adunque, fino agli ultimi anni di vita, l'operosità di V.; ricerche, discussioni, esperimenti, viaggi, lezioni, cariche accademiche e civili, occupazioni domestiche e agrarie (egli diffuse in Lombardia l'uso della patata), non lo avevano mai per lunghi e lunghi anni sorpreso stanco e esaurito. Ma infine la forte fibra di V. doveva purtroppo piegarsi. È da credere che il dolore provato alla notizia del disastro napoleonico in Russia, l'angoscia sofferta nel tumulto politico del 1814, che costò la vita a G. Prina, il regno a E. Beauharnais, e che ricondusse in Milano la dominazione austriaca; non piccola parte abbiano avuto, nell'indebolire la resistenza fisica di V cui, nello stesso torno di tempo, il destino non risparmiava lo strazio della morte del figlio Flaminio. Dolori e sciagure, più che gli anni e il lavoro, avevano invecchiato V., che giunto al suo settantesimo anno di vita si ritira ormai dalla scena del mondo, serenamente aspettando, accanto alla sua fida compagna, il giorno del suo trapasso. Il 28 luglio 1823 un lieve colpo apoplettico colpì il sommo fisico: il pronto intervento del flebotomo lo salvò. Visse ancora valido qualche anno. Infine una lieve influenza, ai primi di marzo del 1827, lo colpì e rapidamente lo condusse all'agonia. Il 5 marzo, alle ore tre del mattino, la morte lo colse, già preparato cristianamente all'estremo trapasso. Così si spengeva questo grande filosofo naturalista, vero "Electricorum Princeps", come lo chiamò M. van Marum.
Lo stesso giorno della morte G. Pedraglio di Colognola ne ritrasse le sembianze. Fu seppellito in piena terra nel cimitero di Camnago. L'anno appresso le spoglie di lui furono esumate e riposte, nel nuovo cimitero di Camnago, nel tempietto che la vedova e i figli avevano fatto erigere.
Bibl.: Moltissime sono le biografie più o meno ampie su A. V. e moltissimi gli scritti che riguardano la figura e l'opera di lui. Tra le tante ricordiamo: T. Bianchi, Vita di A. V., Como 1829; M. Monti, Vita del Volta (Memorie comensi), Como 1867; C. Grandi, A. V., Milano 1899; Z. Volta, A. V. La Giovinezza, Milano 1875; C. Volpati, A. V., Milano 1927; Fr. Fossati, Effemeridi voltiane, Como 1899, e Bibliografia voltiana, in Mem. R. Ist. Lomb., 1900; F. Scolari, Bibliografia voltiana, Roma 1927. Ricca di notizie è la Voltiana, pubblicazione edita nel 1926-1927, in occasione delle feste per il primo centenario della morte di V. La massima parte degli autografi voltiani son conservati presso il Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. Le opere di V. vennero dapprima raccolte in cinque tomi pubblicati a Firenze nel 1816, indi furono nuovamente raccolte con tutti gli scritti nell'Edizione Nazionale edita nel 1927. Cimelî di V. si conservano presso i discendenti di lui, presso l'Istituto Lombardo, presso il Tempio voltiano a Como e presso la R. Università di Pavia. Purtroppo però molti di essi andarono perduti nell'incendio dell'Esposizione Voltiana a Como nel 1899. L'iconografia voltiana è soprattutto derivata (e non sempre fedelmente) dal celebre rame di G. Garavaglia, che appare il più attendibile; in proposito vedi la memoria di C. Poggi su Il salone dei cimeli, pubblicato nella Raccolta voltiana, Como 1899. Le scoperte di V. hanno dato ispirazione a varî pittori tra cui A. G. Bertini (nel quadro del quale V. è fatto più vecchio del vero), A. Rinaldi, N. Cianfanelli, ecc.; moltissimi i monumenti, i busti, non sempre ben riusciti.
Effetto Volta.
1. L'effetto Volta consiste nell'elettrizzazione che si produce in due metalli in seguito al semplice contatto.
Celebre nella storia della scienza l'esperimento di Volta con l'elettroscopio condensatore. Questo è un comune elettroscopio in cui la pallina è sostituita con un disco (fisso) di metallo, per esempio di rame, mentre un altro disco (mobile), coperto di un sottilissimo strato di vernice isolante, è appoggiato al primo e volendo può essere allontanato. Il sistema all'inizio è globalmente scarico e tutto allo stesso potenziale; avvicinando il disco mobile a quello fisso o allontanandolo, nessuna variazione si nota nella posizione delle foglie le quali rimangono chiuse. Una "bilamina" di rame e zinco venga ora, con l'estremo di rame, messa in comunicazione col disco fisso dell'elettroscopio, mentre l'estremo di zinco è in comunicazione col suolo. Tolta quest'ultima e allontanato il disco mobile, le foglie dell'elettroscopio fortemente divergono, rivelando così che una carica è stata ceduta all'elettroscopio per il semplice contatto con la bilamina. Se si ripete l'esperimento invertendo la posizione della bilamina, cioè toccando il disco fisso dell'elettroscopio con lo zinco e mettendo in comunicazione col suolo il rame, l'elettroscopio non accenna alcuna carica. Poiché, quando la parte in rame della bilamina è in contatto col disco, essa può essere considerata un prolungamento del disco stesso e nel secondo caso invece venendo lo zinco a trovarsi tra il rame del disco e il rame della bilamina, il sistema è simmetrico rispetto alle qualità metalliche, le due disposizioni mostrano che nel contatto rame-zinco della bilamina sorge una differenza di potenziale. Questa, si noti, esiste anche quando i metalli sono in comunicazione tra loro e con la terra: dunque, mentre elettrostaticamente la bilamina in comunicazione col suolo formerebbe un sistema tutto al medesimo potenziale, l'eterogeneità dei metalli fa nascere fra essi una differenza di potenziale. Un altro esperimento assai significativo è quello di Q. Majorana. Un sottile filo di quarzo metallizzato pende liberamente da un sostegno col quale è in comunicazione un disco metallico, che con le facce disposte parallelamente al filo può essere avvicinato o allontanato da esso. Alla distanza di 1-2 mm., se il metallo di cui è coperto il filo è fisicamente diverso da quello del disco, si vede il filo di quarzo flettersi verso il disco rivelando così un'attrazione dovuta alla presenza di cariche eteronime.
Numerosi altri esperimenti mostrano che tutte le volte che due corpi costituiti da metalli diversi vengono a contatto, tra i punti immediatamente prossimi alle rispettive superficie libere di essi nasce una differenza di potenziale (1a legge di Volta). Questa risulta indipendente dalla forma, dalla posizione dei due corpi metallici posti a contatto, dall'estensione di questi, ecc.; invece dipende dalla natura chimica dallo stato di aggregazione, dal dielettrico interposto, un poco dalla temperatura e soprattutto dipende dalle condizioni attuali delle superficie: in particolare la pulizia di queste, la temperatura, la brunitura, la lucidatura, l'occlusione di gas, il velo di umidità, ecc., influiscono moltissimo sulla differenza di potenziale. Perché gli esperimenti possano fornire risultati costanti e significativi circa la differenza di potenziale caratteristica, specifica della coppia di metalli in esame, occorre sperimentare in vuoto ultraspinto e con superficie estremamente terse e fresche.
Se si sostituisce il contatto diretto tra due corpi metallici A-Z con una successione di corpi metallici diversi, A-B-C. . .-U-V-Z così da formare una "catena" metallica, e se i contatti sono tutti alla medesima temperatura, la differenza di potenziale fra le superficie dei corpi estremi A, Z è ancora quella di quando essi erano in contatto diretto; se gli estremi della catena sono costituiti dal medesimo metallo, la differenza di potenziale fra questi ultimi è nulla (2a legge di Volta). Questa invarianza della differenza di potenziale agli estremi della catena permette di prevedere la differenza di potenziale V2 − V1 che intercede tra le superficie di due metalli diversi, note le differenze caratteristiche V10, V20 che intercedono tra ciascuna di esse e quella di un particolare metallo, assunto come base dei confronti: V2 − V1 = V20 − V10. La tabella seguente offre tali dati riferiti al rame come metallo base, nell'ipotesi che il dielettrico interposto sia l'aria e che l'unità usata per misurare le differenze di potenziale sia il volt:
I segni + e − all'estremo della serie servono a denotare quali di due metalli a contatto risulti elettropositivo e quale elettronegativo: precisamente si carica positivamente quello che nella serie è dalla parte del segno +, negativamente l'altro.
Nel caso che fra due metalli diversi C1, C2 sia inserito un elettrolita, la differenza di potenziale agli estremi della catena C1-elettrolita-C2 non coincide con quella caratteristica tra C1, C2: la seconda legge di Volta non è applicabile a siffatte catene non totalmente metalliche. Ognuna di esse costituisce allora un elemento voltaico e la differenza di potenziale che si manifesta agli estremi costituisce la cosiddetta forza elettromotrice dell'elemento.
2. È questione molto importante conoscere la localizzazione della differenza di potenziale che costituisce l'effetto Volta tra due metalli. Siano C1, C2 due metalli capaci di scambiare elettroni tra loro. Senza limitare la generalità possiamo supporre che lo scambio avvenga da C1 al vuoto e dal vuoto a C2. L'equilibrio sarà raggiunto tra i due metalli quando i potenziali termodinamici di scambio (detti chimici) tra ciascuno di essi e il vuoto saranno uguali tra loro. Sulle basi della teoria elettronica dei metalli, svolta da W. Pauli e A. Sommerfeld, usando la statistica di E. Fermi segue allora che la differenza di potenziale V2′ − V1′ che intercede tra un punto nell'interno di C2, e un punto dell'interno di C1 è V2′ − V1′ = (ϕ2 − ϕ1)/ε, dove ε indica il valore della carica elettronica e ϕ2, ϕ1 le energie cinetiche massime possedute dagli elettroni rispettivamente nell'interno dei due metalli. D'altra parte, indicata con − W1/ε la differenza di potenziale V1′ − V1 tra un punto interno e un punto esterno immediatamente prossimo alla superficie di C1, e indicata con − W2/ε l'analoga differenza per C2, avremo − W1/ε − V1′ − V1, − W2/ε = V2′ − V2; e quindi combinando con le precedenti, risulta V2 − V1 = [(W2 − ϕ2) − (W1 − ϕ1)]/ε = [(W2 − W2) − (ϕ2 − ϕ1)]/ε. La differenza di potenziale che si misura sperimentalmente, esprime, come abbiamo avvertito, il lavoro che occorre per portare l'unità di carica da un punto estremamente vicino alla superficie di uno dei due metalli a un punto estremamente vicino alla superficie dell'altro metallo: cioè è proprio V2 − V1. Le differenze di potenziale W1/ε, W2/ε, esprimono la variazione di energia potenziale nell'estrazione dell'elettrone, mentre i lavori di estrazione sono W1 − ϕ1, W2 − ϕ2. L'origine di questo lavoro è facilmente spiegabile tenendo presente la costituzione di un metallo. Gli ioni metallici, tenuti insieme rigidamente dalle loro forze reciproche richiamano con le loro cariche positive gli elettroni che tendano ad uscirne: alla superficie del metallo si forma quindi, grosso modo, un doppio strato elettrico di cui lo strato positivo è formato dall'ultimo strato superficiale degli ioni positivi e il negativo da un'atmosfera elettronica, sovrastante esternamente il corpo, costituita dagli elettroni che superano, movendo dall'interno, l'ultimo strato ionico e che da questo sono richiamati. L'altezza di questa atmosfera è dell'ordine delle distanze atomiche. Le differenze V2 − V1 sono sperimentalmente determinabili; i valori delle singole ϕ sono agevolmente calcolabili per via teorica; le quantità W sono ricavabili dai fenomeni di diffrazione elettronica. Mentre i valori delle differenze V2 − V1 risultano compresi tra qualche frazione di volt e un volt o poco più, le quantità W, ϕ risultano assai maggiori, all'ingrosso intorno a 5-15 volt. L'effetto Volta considerato come espressione del lavoro elettrico impegnato nel passaggio attraverso il vuoto (o un dielettrico) di cariche da metallo a metallo diverso, può essere posto in relazione con le costanti caratteristiche dell'effetto fotoelettrico e dell'effetto termoionico.
Bibl.: Numerosissimi sono i lavori sperimentali e teorici sull'argomento. Rimandiamo alle opere di A. V., sopra citate, per quanto concerne le ricerche del grande comasco, e poi in genere ai buoni moderni trattati generali di fisica sperimentale e teorica.