VITELLI, Alessandro
Nacque nel 1499 a Città di Castello, figlio naturale del condottiero Paolo, condannato a morte per tradimento dalla Repubblica Fiorentina nell’ottobre dello stesso anno.
Nel 1514, insieme al fratello Niccolò, fu ospitato a Perugia dal cognato Gentile Baglioni (sposato con Giulia, loro sorella). Nel 1522, con il cugino Vitello, tentò invano di difendere la città dall’attacco di Malatesta e Orazio Baglioni (figli del cugino di Gentile, Giampaolo, e appoggiati da Francesco Maria della Rovere e Camillo Orsini). Si pose quindi al servizio del cardinale Giulio de' Medici, eletto papa l’anno successivo con il nome di Clemente VII. Nel 1527, in occasione della discesa dell’esercito imperiale alla volta di Roma, riuscì ad arrestare a Frosinone l’avanzata, da Sud, del viceré di Napoli Charles de Lannoy.
Passato con Pier Maria III de’ Rossi (fratello di Angela, moglie del cugino Vitello e sua futura consorte) nelle file imperiali, si spostò in seguito in Umbria. In settembre, assediato da Michele Antonio di Saluzzo, Federico Gonzaga di Bozzolo e Francesco Maria della Rovere nell’abbazia di S. Pietro di Bovara, fra Trevi e Pisignano, fu costretto alla resa e si ritirò a Ponte San Giovanni, per curare la ferita a un braccio provocata da un colpo d’archibugio. Nell’agosto 1529 si pose agli ordini del principe d’Orange Philibert de Chalon, comandante della spedizione imperiale diretta in Toscana per restituire ai Medici Firenze (che due anni prima si era proclamata Repubblica). Dopo aver espugnato Poppi, ristabilitosi da una ferita a un ginocchio, fronteggiò sul finire dell’anno l’abate di Farfa Napoleone Orsini, giunto in soccorso della Repubblica: ridotta all’obbedienza Monterchi, si ritirò a Citerna per poi sconfiggere la fanteria dell’abate e conquistare Anghiari e Sansepolcro.
Insieme al commissario Taddeo Guiducci, agli inizi del 1530 prese Montepulciano e altri castelli, risalendo per la Val di Chiana e il Valdarno. Il 24 febbraio assistette, a Bologna, all’incoronazione imperiale di Carlo V nella basilica di S.Petronio. Tornato in Toscana, occupò San Dalmazio (nella Val di Cecina) e Volterra, presto riconquistata dalle truppe fiorentine guidate da Francesco Ferrucci. In giugno conquistò Empoli e, passando per Fucecchio, si ricongiunse con la fazione pistoiese dei Panciatichi, guidata da suo cugino Niccolò Bracciolini e in lotta contro i filofiorentini Cancellieri. Con i pistoiesi e con alcuni soldati spagnoli (precedentemente ammutinatisi) partecipò il 3 agosto alla vittoria imperiale di Gavinana, che decretò la fine della Repubblica Fiorentina.
Nello stesso anno sposò Angela de’ Rossi di San Secondo (1506-73), figlia del marchese Troilo I e di Bianca Riario, e vedova di Vitello Vitelli. Dal matrimonio nacquero almeno sei figli, che diedero vita al ramo più longevo della famiglia Vitelli: Vitellozzo (1532-68), vescovo di Città di Castello e cardinale; Giacomo, signore di Amatrice (m. 1582); Vincenzo (1542-83) e Alfonso (m. 1591), signori di Citerna; Beatrice (m. 1602), entrata nel monastero agostiniano di Ognissanti, a Città di Castello, con il nome di Olimpia; Giulio, chierico di Camera (m. 1630). Alessandro ebbe inoltre due figlie naturali, Antea e Doralice.
Per la moglie, nel 1531, fece costruire il palazzo Vitelli alla Cannoniera, sede attuale della Pinacoteca di Città di Castello, nel quale si segnalano in particolare le committenze a Cristofano Gherardi, detto il Doceno (su disegni di Vasari) e a Cola dell’Amatrice (Nicola Filotesio), cui negli anni Quaranta, oltre agli affreschi, fu affidato forse anche l’ampliamento del palazzo.
Sul finire del 1530 si trasferì a Firenze, al servizio del futuro duca Alessandro de’ Medici, nel generale timore dei fiorentini per i suoi sentimenti di rivalsa rispetto alla morte del padre e per la prepotenza delle sue truppe. Il 10 agosto 1535 il cardinale Ippolito de’ Medici morì e circolò la voce che fosse stato avvelenato dal proprio siniscalco Giovanni Andrea de’ Franceschi, forse corrotto da Vitelli per conto del duca Alessandro. Il duca stesso fu ucciso clamorosamente il 6 gennaio 1537, per mano di suo cugino Lorenzino. Vitelli, che si trovava allora nel suo feudo di Citerna, tornò prontamente a Firenze. Convinto da Francesco Guicciardini e dagli altri ottimati a schierarsi a favore del giovane Cosimo, ne favorì l’elezione il 9 gennaio. La notte seguente, con un colpo di mano, occupò tuttavia la Fortezza (recentemente costruita) in nome di Carlo V, ma ritagliandosi di fatto un margine di autonomia rispetto alle direttive imperiali. I suoi soldati si abbandonarono intanto ai saccheggi, depredando le case del defunto duca Alessandro, di Lorenzino e di Cosimo stesso.
Il 1° agosto 1537 accerchiò e sconfisse a Montemurlo l’avanguardia dei fuorusciti fiorentini guidati da Filippo Strozzi. Mentre Baccio Valori e altri furono giustiziati nel giro di un mese, Strozzi fu rinchiuso nella Fortezza, di cui era stato tra i principali finanziatori. Dal carcere – pochi mesi prima di togliersi la vita, nel dicembre 1538 – dedicò al suo guardiano Alessandro Vitelli l’operetta di Polibio Del modo dell’accampare (stampata nel 1552 da L. Torrentino, con dedica del curatore Lelio Carani a Camillo di Vitello Vitelli). Vitelli era allora al vertice del proprio prestigio e della propria influenza. Nel 1538 il concittadino Girolamo Cerboni gli dedicò il De obsidione Tifernatum di Roberto Orsi da Rimini, stampato a Città di Castello da Antonio Mazzocchi e Niccolò Gucci. Nel giugno dello stesso anno cedette la fortezza a don Juan de Luna, ottenendo in cambio da Carlo V il feudo di Amatrice.
Inviso a Cosimo, lasciò Firenze per porsi al servizio di Paolo III. Da questi fu inviato contro Perugia, dove tra maggio e giugno 1540 l’esercito papale guidato da Pier Luigi Farnese, figlio del pontefice, riuscì a venire a capo della cosiddetta guerra del sale, che portò all’annessione del territorio perugino allo Stato della Chiesa. Nel marzo dell’anno successivo Vitelli seguì Pier Luigi nella spedizione contro Ascanio Colonna, ribellatosi anch’egli alla politica fiscale di Paolo III e asserragliatosi nei suoi castelli di Rocca di Papa e Paliano (espugnati e rasi al suolo dalle truppe farnesiane).
Nell’estate del 1542 fu inviato da Paolo III in Ungheria per supportare Gioacchino II di Hohenzollern, principe elettore di Brandeburgo, incaricato dal re dei Romani Ferdinando I di respingere l’avanzata ottomana. Al comando di oltre tremila fanti, e seguito dai giovani nipoti Astorre e Adriano Baglioni (figli di Gentile), Vitelli si segnalò per il suo valore militare nel tentativo di espugnare Pest, contrastando le scorrerie dei turchi provenienti da Buda. Con l’approssimarsi dell’inverno i comandanti dell’esercito cristiano, che aveva dato prova di scarsa coesione, decisero di ritirarsi. Entro la fine dell’anno Vitelli, non senza gravi perdite, ricondusse in Italia le sue truppe.
Nel luglio 1546 fu nuovamente inviato dal pontefice a nord delle Alpi, in Germania, per appoggiare Carlo V contro la Lega di Smalcalda. Per conto di Ottavio Farnese, figlio di Pier Luigi e genero dell’imperatore (di cui aveva sposato la figlia Margherita), Vitelli guidò un contingente di 12.000 fanti e 800 cavalieri, che in agosto, presso Landshut, si unì per un anno all’esercito imperiale. Gli obiettivi di Paolo III e di Carlo V, tuttavia, non coincidevano: il primo intendeva reprimere militarmente i protestanti, il secondo pacificare i suoi domini, anche passando attraverso accordi separati con i ribelli. Dopo due mesi di scaramucce con il nemico tra Nördlingen, Gerolfingen, Ingolstadt e Donauwörth, le truppe pontificie iniziarono a disperdersi. Come pattuito, il papa le richiamò in Italia alla fine di gennaio 1547, ma Ottavio, su pressione dell’imperatore, non fu sollecito a obbedire, e il contingente rientrò in Italia (con forti perdite) solo sul finire dell’estate, quando la morte violenta di Pier Luigi Farnese, assassinato a Piacenza il 10 settembre, sconvolse completamente i piani del figlio.
Mentre Piacenza e il territorio fino al Taro venivano occupati dalle truppe imperiali al comando di Ferrante Gonzaga, Ottavio prese possesso di Parma e nominò luogotenente generale Alessandro Vitelli, che in novembre seguì a Roma il nuovo duca, richiamato dal papa.
Passato al servizio di Giulio III, a partire da maggio del 1551 si trovò a fronteggiare lo stesso Ottavio Farnese, appoggiato da Enrico II di Francia, prendendo il comando dell’esercito papale per conto del nipote del pontefice, Giovambattista del Monte. Le azioni belliche si concentrarono intorno a Mirandola, il cui assedio si rivelò particolarmente difficile per le truppe pontificie e imperiali, colpite peraltro da un’epidemia. Nell’aprile 1552 il papa firmò un armistizio con Ottavio, assolvendolo in seguito delle sanzioni comminategli.
Sul finire del 1552, Vitelli fu nominato maestro di campo generale delle truppe inviate da Carlo V alla guerra di Siena, in supporto a Cosimo. Vitelli convinse il comandante del contingente imperiale, il viceré di Sicilia (e cognato di Cosimo) García de Toledo, a optare per una strategia di accerchiamento che cominciò dalla Val di Chiana, dove caddero Turrita, Sinalunga e Lucignano, per spostarsi a Monticchiello, che accettò la resa dopo un mese, e quindi a Montalcino, che resistette all’assedio per oltre due mesi, costringendo infine l’esercito imperiale a lasciare il campo. Intanto, nell’autunno del 1553, mutarono gli accordi tra Carlo V e Cosimo, il quale riuscì a ottenere il pieno comando della spedizione senese e il licenziamento di buona parte del contingente imperiale.
Vitelli morì a Citerna il 1° febbraio 1554, e fu sepolto a Città di Castello.
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