TRISSINO, Alessandro
– Figlio naturale di Giovanni, nacque intorno al 1523, secondo le indicazioni desumibili dal fascicolo processuale conservato a Venezia (Archivio di Stato, Sant’Ufficio, b. 19, f. 6).
Poté beneficiare di un ambiente familiare culturalmente ricco e stimolante. Discendente di uno dei casati più antichi di Vicenza, Trissino partecipò sin dalla più tenera età al vivace clima culturale della sua città e, in particolare, si giovò delle discussioni che si tenevano nella villa di Cricoli, dove si radunavano i più noti intellettuali vicentini, tra cui anche lo zio paterno Giovan Giorgio (v. la voce in questo Dizionario; Olivieri, 1967, pp. 54 s.). Proprio il figlio di quest’ultimo, Giulio (1504-1576), canonico e arciprete della cattedrale di Vicenza, sarebbe divenuto il punto di riferimento di Trissino, guidandone la formazione; per il tramite del cugino, infatti, egli entrò a far parte della scuola del mantovano Fulvio Pellegrino Morato che, grazie all’intercessione degli amici Giovanni Battista Egnazio e di Giovan Giorgio Trissino, tra il 1532 e il 1539 ricoprì l’incarico di maestro pubblico di latino a Vicenza. Portavoce di opinioni apertamente protestanti, molto vicino alla corte ferrarese di Renata di Francia, dopo il 1536 Morato diede vita a una vera e propria scuola calvinista; la sua dimora era frequentata da molti giovani nobili e intellettuali vicentini, divenuti in breve tempo figure di spicco del movimento calvinista veneto. Fondamentale nel percorso biografico e religioso di Trissino fu anche il rapporto con Francesco Malchiavelli, consolidatosi tra il 1545 e il 1548, che lo indirizzò allo studio dei principali testi della Riforma, e in particolare della Institutio christianae religionis di Giovanni Calvino (Olivieri, 1967, p. 56; Id., 1992, pp. 324 s., 332-346; A. Stella, 1969, pp. 63 s.).
Trasferitosi a Padova per studiare diritto nei primi anni Quaranta, Trissino ritrovò un ambiente ricco di stimoli e aperto al confronto sulle questioni politiche e religiose più attuali del tempo. Anche in questo contesto coltivò amicizie e legami destinati a segnare il suo itinerario biografico e religioso. Un punto di incontro importante fu la casa di Federico Manusso di Candia, già processato in patria per eresia, che era solito ospitare uomini di diversa estrazione sociale e di varie nazionalità, come emerge dal processo del 1569 a suo carico (Olivieri, 1967, p. 57). Sempre in quel torno di tempo Trissino entrò in contatto con Oddo Quarto di Monopoli che, vicino sin dagli anni Trenta alle dottrine riformate, venne consolidando la sua rete di propaganda calvinista a Monselice presso Padova sul finire del decennio successivo (Beccaria, 1996).
Per ragioni che non è possibile ricostruire, Trissino decise di interrompere gli studi universitari per dedicarsi alla carriera politica. Tra il 1558 e il 1561 fu il primo nunzio a risiedere a Venezia per conto della sua città natale (Fasolo, 1935, pp. 97-99). Grazie al fascicolo processuale a suo carico, apertosi nel 1563, e alle informazioni desumibili da altre cause per eresia, è possibile ricostruire la rete di amicizie e relazioni di Trissino, così come le sue relazioni con il mondo riformato. Nella città lagunare egli prese contatti con vari membri del patriziato vicini agli ambienti del dissenso religioso, quali ad esempio Vittore Pisani, Vittore Correr, Giovanni Paolo e Giovanni Battista Contarini, Girolamo Delfino, Marino da Pesaro, Prassildo Volpe, il conte Sforza Pallavicino, i vicentini Francesco Squarzi, Giulio e Tiberio Piovene. Uomo estremamente socievole («praticava con tutti, né so homo che havesse maggior amicitia di lui», così lo ricordava un testimone; Ambrosini, 1999, p. 29), nel corso delle riunioni, che spesso si tenevano nella dimora di Vincenzo Grimani, Trissino era solito leggere la corrispondenza che gli giungeva da Ginevra dall’amico vicentino Giovan Battista Trento, uno degli esponenti più attivi della propaganda calvinista in terra veneta. Tra i personaggi che prendevano parte a questi incontri merita ricordare anche Ludovico Porto, agostiniano apostata originario di Crema, residente a Venezia dal 1545, molto legato ad Alessandro e a Galeazzo Trissino.
Secondo quanto emerge dalle testimonianze, Trissino era il protagonista di queste ‘congregationi’: oltre a organizzarle, facendole passare come banchetti tra amici, egli ne orientava la discussione, che il più delle volte muoveva dalla riflessione su passi di Agostino relativi alla questione della grazia, alla libertà dell’agire umano, al valore delle opere per approdare all’analisi delle tesi riformate. Né mancavano occasioni di dibattito sulle opere di Niccolò Machiavelli, autore particolarmente caro al movimento eterodosso veneziano per le sue posizioni rispetto al rapporto tra potere politico e Chiesa di Roma. Ma anche il tema della fortuna era oggetto di attenzione da parte di Trissino e dei suoi sodali, che traevano spunti dal Principe e dai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio per dare corpo a meditazioni filosofiche sulla storia e sulle sue leggi (Olivieri, 1967, pp. 58 s.).
Accanto alle questioni religiose più attuali trovava posto anche il dibattito sulle arti magiche e alchemiche, affidato ad alcune donne, tale Franceschina Favra, quarantenne «di poco cervello e ballorda» (Olivieri, 1992, p. 432), e una certa Elena, ebrea di origine mantovana residente nel ghetto e particolarmente ricercata per le sue facoltà divinatorie. Nelle carte processuali entrambe sono indicate dai testimoni come assidue frequentatrici delle riunioni di Trissino e di Porto, capaci di suscitare interesse e curiosità nei loro interlocutori (Olivieri, 1967, pp. 59 s.).
Né mancavano occasioni di confronto con amici e compagni di fede quando Trissino si recava a Vicenza a casa dei parenti Francesco e Ludovico, o nelle località del contado, come nella villa di Lanzé, dove si riunivano numerosi esponenti della nobiltà vicentina, come Alvise Gorgo, Franceschina Trissino, Silvio Muzzan, un non meglio identificato poeta Annibale (morto a Strasburgo) e, talvolta, lo stesso Giovan Battista Trento che, stabilitosi a Ginevra nel 1557, riusciva a compiere qualche viaggio in Italia grazie alla sua attività di commerciante di pellame. Intorno alla villa di Lanzé gravitarono inoltre figure legate all’anabattismo veneto, che rendevano assai vivaci le discussioni sui sacramenti, in cui le posizioni calviniste di Trissino si scontravano con quelle anabattiste che, secondo la documentazione pervenutaci, erano sostenute anche da Trento.
Quest’ultimo mantenne costanti rapporti epistolari con Trissino, e per suo tramite con le conventicole calviniste di Vicenza e di Venezia: le lettere, non firmate, erano dapprima consegnate ai fratelli Nicolò, Pietro Paolo e Bernardino Pellizzari e a Camillo Bonanome, e successivamente giungevano a Bastiano Liliano (iscritto nei ruoli della borghesia ginevrina dal 1572), che le consegnava a Trissino, il quale a sua volta le leggeva ai «fratelli», secondo l’appellativo ricorrente nella documentazione. Di tutto questo fitto scambio epistolare si conserva soltanto una missiva datata 28 giugno 1562, allegata al fascicolo processuale di Trissino, mentre le altre venivano presumibilmente distrutte poco dopo la ricezione per ragioni di prudenza. Proprio il ritrovamento di questa lettera, indirizzata da Trento all’amico, consente di approfondire la fisionomia e le attività dei gruppi ereticali veneti, e il ruolo dello stesso Trissino. Molto intensa era la circolazione di Bibbie, che Trento inviava attraverso un mediatore veneziano, Piero Torniero, il quale le consegnava ai fratelli Pellizzari, i quali a loro volta le recapitavano a Trissino.
Accanto alla distribuzione di libri, quest’ultimo era attivo anche nell’organizzazione di viaggi a Ginevra utili, come precisava, «per portar via una scorpacciata di prediche» (Olivieri, 1967, p. 63).
Lunga e articolata, questa lettera offre una testimonianza significativa anche delle speranze e delle attese che animavano i gruppi eterodossi più nutriti e organizzati della penisola: se la Svizzera e la Germania rappresentavano la possibilità concreta di vivere la propria fede, la Francia era scivolata nel baratro delle guerre di religione che, secondo gli auspici di Trissino, avrebbero dovuto concludersi con la vittoria del principe di Condé Luigi di Borbone e degli ugonotti francesi. Solo una volta raggiunta la pace, si sarebbero potuti inviare al Concilio, nuovamente riunito a Trento, un gruppo di uomini dotti per risolvere le controversie dottrinali e ricomporre la frattura confessionale attuando una decisa riforma della Chiesa di Roma. Profondamente segnati dalla cultura irenica di matrice erasmiana e dalla religiosità valdesiana, Trissino e i suoi compagni di fede, sembrano dunque credere che i margini per una ricomposizione pacifica tra cattolici e protestanti sussistessero ancora nei primi anni Sessanta del Cinquecento.
All’inizio del 1563 il ritrovamento a Como tra le mercanzie dei fratelli Pellizzari di lettere di Trissino indirizzate ad amici emigrati a Lione, unito all’uso che quest’ultimo fece di monete coniate a Ginevra nel contesto veneziano causarono, come si è accennato, l’apertura di un’inchiesta per eresia. Il 14 marzo 1563 fu chiamato a comparire dinanzi agli inquisitori vicentini, e il giorno seguente iniziarono gli interrogatori dell’imputato. Il 2 aprile i giudici decisero di sospendere il processo a causa di un persistente malessere di Trissino, che dietro il pagamento di una malleveria di 1000 ducati, ottenne di poter restare a casa di un suo parente, Francesco Trissino. Si trattò di un trattamento di favore scaturito dalle influenti relazioni su cui l’imputato poteva contare in seno al patriziato veneto, ma destinato a scatenare le proteste dei vertici romani del S. Uffizio, determinati ad appurare la verità, e in particolare a individuare quali fossero gli esponenti più autorevoli coinvolti nel dissenso religioso, e in che misura mantenessero legami con le Chiese calviniste d’Oltralpe.
Alla riapertura del processo, il 20 aprile 1563, il collegio degli inquisitori (in parte mutato nella composizione, grazie alla sostituzione dei membri più moderati con alcuni intransigenti) si mostrò assai più risoluto nel voler ottenere una piena confessione, che l’imputato, nonostante le ripetute torture, non rilasciò, cercando di negare ogni legame con i ‘fratelli’ nominati nelle lettere intercettate. Nel frattempo, Trissino si adoperò per rintracciare un suo compagno di fede, Gian Domenico Roncagli, cavaliere di origine rodigina (al centro di traffici illegali di libri eterodossi e più volte citato nei processi veneziani; Olivieri, 1967, p. 61 nota 19; Stella, 1969, p. 195 nota 119) e, con l’aiuto di Franceschina Trissino, di un membro della famiglia da Porto, di Gian Giacomo Rossetto e di un ‘marangon’, riuscì a fuggire da Vicenza all’alba del 31 maggio 1563 e si stabilì a Chiavenna (Olivieri, 1967, p. 66). Secondo quanto riportato nel processo contro Isabella Frattina (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, b. 25), dopo la fuga Trissino si sarebbe recato a Mantova, prima di emigrare in terra riformata (Stella, 1969, p. 155 nota 29). Comunque sia, l’evasione suscitò scalpore a Roma, dal momento che pochi giorni prima, il 18 e il 22 maggio, il tribunale inquisitoriale e il nunzio avevano chiesto il trasferimento della causa a Venezia. Il 19 agosto fu pubblicato un bando in cui Trissino veniva invitato a presentarsi entro due settimane per essere interrogato, termine che fu spostato due volte su richiesta degli amici Prassildo Volpe e Andrea Bragadin.
A nulla valsero le richieste di Francesco Trissino perché Alessandro si sottoponesse al giudizio degli inquisitori ed evitasse alla famiglia il disonore della scomunica. Dopo l’ultima proroga del 22 gennaio 1564, il 7 marzo il tribunale veneziano lo condannò come eretico contumace, scomunicandolo pubblicamente. Dopo il trasferimento a Chiavenna Trissino mantenne una fitta corrispondenza con i compagni di fede, come Maria da Lendinara, Pietro Bon, Giovanni Fineti, usando lo pseudonimo di Andrea Palanza (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, b. 159, f. 107; Stella, 1969, p. 195 nota 119). Gli scambi epistolari, al pari del traffico di testi proibiti regolarmente inviati da Trissino nel territorio veneto, non sfuggirono all’Inquisizione, che nel 1568 processò alcuni dei suoi amici più cari, vale a dire Maria da Lendinara, e nel 1571 Taddeo Contarini e Paolo del Gorgo per cercare di appurare i mandanti della sua fuga.
Con il pontificato di Pio V gli spazi di libertà si ridussero al minimo: una delibera del Consiglio dei dieci del 12 aprile 1568 ordinò l’espulsione di tutti i sospetti dal territorio della Serenissima entro quindici giorni; di lì a pochi mesi Trissino venne arso in effigie davanti al duomo di Vicenza. Nel frattempo, le sue attività proseguirono senza sosta in terra riformata: grazie al prestigio acquisito nel 1570 egli assunse la carica di pastore a Chiavenna, mentre nel 1574 entrò a far parte della borghesia di Ginevra (Olivieri, 1967, p. 76; Geisendorf, 1963). Nonostante le difficoltà, i rapporti con l’Italia e con i compagni di fede restarono intensi: il 20 luglio 1570 Trissino indirizzò ai ‘fratelli d’Italia’ un opuscolo manoscritto dal titolo Ragionamento della necessità di ritirarsi a vivere nella Chiesa visibile di Gesù Cristo lasciando il papesimo, un’appassionata esortazione a uscire dall’«idolatria e da quella Babilonia spirituale dove regnano gli empi nemici di Dio» (Olivieri, 1967, p. 70) e a seguire il suo esempio abbandonando per sempre le cautele nicodemitiche (Olivieri, 1967, pp. 69-76, e 1992, pp. 422-427).
Negli anni seguenti le notizie su Trissino sono molto scarne: rimase in stretti rapporti con Odoardo Thiene, anch’egli esule religionis causa, e morì forse vicino a Cracovia intorno al 1609 (Vicenza, Biblioteca civica, Mss. 3887-3404: G. da Schio, Persone memorabili in Vicenza).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Savi all’eresia (Sant’Ufficio), b. 19, f. 6; Vicenza, Biblioteca civica, Mss. Libreria Gonzati, n. 25-5-70; B. Morsolin, Giangiorgio Trissino. Monografia d’un gentiluomo letterato nel secolo XVI, Firenze 1894, pp. 379-385; G. Fasolo, Il nunzio permanente di Vicenza a Venezia nel secolo XVI, in Archivio veneto, s. 5, XVII (1935), pp. 90-178 (in partic. 97-99); P. Geisendorf, Livre des habitants de Genève, II, Ginevra 1963, p. 100; A. Olivieri, A. T. e il movimento calvinista vicentino del Cinquecento, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXI (1967), pp. 54-117; A. Stella, Dall’anabattismo al socinianesimo, Padova 1967, pp. 56, 60 s.; Id., Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo, Padova 1969, pp. 155 nota 29, 195, 198 s., 242; G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina. Dal 1563 al 1700, IV, 1, Vicenza 1974, pp. 15-41; A. Olivieri «Microcosmi» familiari e trasmissione «ereticale». I Trissino, in Convegno di studi su Giangiorgio Trissino,... 1979, a cura di N. Pozza, Vicenza 1980, pp. 99-114; Storia di Vicenza, III, L’età della Repubblica veneta, a cura di F. Barbieri - P. Preto, Vicenza 1989, 1, pp. 205, 207 s., 298, 362, 404; 2, pp. 311, 319 s.; A. Olivieri, Riforma ed eresia a Vicenza nel Cinquecento, Roma 1992, ad ind.; Id., Alcuni lettori del «Ragionamento» di A. T. a Vicenza nel 1571: i Pellizzari, i Pestalozza, i Mora Mercanti, in Metodi e ricerche, XXII (1994), pp. 121-132; R. Beccaria, L’esperienza religiosa dell’eterodosso Oddo Quarto da Monopoli, in Bollettino della Società di studi valdesi, CLXXVIII (1996), pp. 3-48 (in partic. pp. 27 s.); F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del ’500, Milano 1999, pp. 29 s., 44, 260 s.; L. Fiorentini, Una famiglia e le sue carte. Inventario del fondo Trissino di contrà Riale (1224-1798), tesi di laurea, Università degli studi di Verona, a.a. 2000-01.