TASSONI, Alessandro
TASSONI, Alessandro. – Nacque a Modena il 28 settembre 1565 da nobile e antica famiglia cittadina, nipote del cronachista Alessandro Tassoni seniore (v. la voce in questo Dizionario) e figlio di Bernardino, morto il 2 luglio 1566, e di Gismonda o Sigismonda Pellicciari, deceduta il 18 marzo 1568.
Dopo la morte del padre, suoi tutori furono il nonno materno, Giovanni Pellicciari e, poi, lo zio Marcantonio. Nel 1568, a conclusione di un processo intentato da Paolo Fortezza ad Alessandro seniore, Tassoni perse la casa avita nella parrocchia di S. Agata.
Fu istruito nelle lettere greche e latine dal maestro Lazzaro Labadini. Nella prima metà degli anni Ottanta cominciò gli studi universitari a Ferrara, dove si laureò in utroque iure il 14 novembre 1585. Qui frequentò le lezioni dell’aristotelico Cesare Cremonini e conobbe Francesco Patrizi. Dalla fine degli anni Ottanta fu a Bologna, dove conobbe il filosofo Camillo Baldi, seguì le lezioni di Claudio Betti, del giurista Federico Pendasio e di Ulisse Aldrovandi. Prima del 1594, e forse ancora negli anni Ottanta, frequentò l’Università di Pisa e le lezioni di Giovanni Talentoni da Fivizzano.
Al 1583 risale la composizione della prima opera letteraria, la tragedia L’Enrico (edita solo modernamente), ambientata alla corte d’Inghilterra; nel 1587 Tassoni appose alla tragedia una breve prosa (Locus penitentiae) nella quale prendeva le distanze dall’opera. Il 21 giugno 1589 fu nominato all’Accademia della Crusca su proposta di Michelangelo Buonarroti il Giovane, ma non risulta che abbia mai frequentato adunanze dell’accademia.
Nella prima metà degli anni Novanta rivelò una forte propensione alla violenza: nel 1591 a Bologna andò a processo per aver bastonato un pittore; nel 1594 a Modena si rese colpevole di nuove aggressioni, tanto da ricevere, nel 1596, un bando dagli Stati Estensi, mai però applicato. Nel 1594, da una relazione con Lucia Mezzadri, popolana di origini garfagnine, nacque il figlio Marzio, legittimato da Alfonso II d’Este e nominato erede nel primo dei nove testamenti noti di Tassoni (1596). A questi anni risale la Difesa di Alessandro il Macedone, in tre dialoghi, dove Tassoni rigettava l’identificazione dell’Alessandro posto da Dante fra i tiranni con il re dei Macedoni.
Lasciandosi alle spalle le sregolatezze della vita modenese, si trasferì a Roma nel maggio del 1597. Il 25 novembre dedicò ad Alessandro d’Este il Ragionamento [...] intorno ad alcune cose notate nel Duodecimo dell’Inferno di Dante, che in parte riassumeva la materia della Difesa di Alessandro. Al 1598 potrebbe risalire anche lo scritto Sopra l’editto pubblicato da Enrico IV, dove, spregiudicatamente, si dichiarava a favore dell’editto di Nantes. Nel 1598 entrò al servizio del cardinale Ascanio Colonna che nel 1600 seguì in Spagna. In questo periodo tradusse la Politica di Giusto Lipsio, non senza contaminarla con prelievi dai Discorsi e dal Principe di Niccolò Machiavelli. Nell’estate del 1598 allestì una silloge di trecento luoghi tacitiani. Al 1600 risalgono le traduzioni manoscritte della Vita di Agricola e della Germania, delle quali curò anche l’edizione del testo latino; a questo stesso anno potrebbe risalire pure un compendio latino dei primi otto libri degli Annales Ecclesiastici di Cesare Baronio.
Gli spostamenti di Tassoni negli anni 1600-03 sono ricostruibili a partire dal carteggio con Colonna e dalla Relazione sopra l’andata del Cardinal Ascanio Colonna in Ispagna in cui, nel 1613, Tassoni descrisse impietosamente le difficoltà incontrate dal cardinale durante gli anni spagnoli. Quando nel luglio del 1602 il cardinale divenne viceré di Aragona, Tassoni fu rispedito in Italia per ottenere l’approvazione di Clemente VIII. Il 12 ottobre ricevette la tonsura clericale dal vescovo di Sidone Leonardo Abela. Il 3 o 4 novembre partì alla volta di Modena, dove restò una decina di giorni per sbrigare questioni legate alla cura del figlio Marzio. Il 27 novembre si rimise in viaggio da Genova verso la Spagna; nominato da Colonna «assistente di sua sorella e segretario e agente generale di tutte le cose sue d’Italia» (A. Tassoni, Annali e scritti storici e politici, I, 1990, pp. 198 s.), ripartì via terra per l’Italia già il 3 o il 4 aprile e il 28 maggio rientrò a Roma. I rapporti con il cardinale, però, si deteriorarono velocemente: il 6 aprile 1604 Tassoni fu licenziato. La rottura fu traumatica e in parte alimentò il successivo antispagnolismo tassoniano: nel 1606 stese e fece circolare la Pro Reipublicae Venetae episcopis ad S. D. N. Paulum V apologia, una risposta polemica alla Contra Reipublicae Venetae episcopos sententia del cardinale.
Tra il 1603 e il 1607 cominciò a frequentare l’Accademia degli Umoristi, fondata nel 1600 da Paolo Mancini e Gaspare Salviani, della quale divenne membro con il nome di Bisquadro; ne fu principe tra il 1606 e il 1607 e per essa propose anche un’impresa. Vi declamò un paradossale Encomio del boia (G.V. Rossi, Ianii Nicii Erithraei Pinacotheca, 1645, p. 187), poi edito – in forma rivista e con il titolo Se il boia sia infame – nella Parte de’ quisiti. Forse ancora declamato presso gli Umoristi e risalente a quegli anni, è il Discorso in biasimo delle lettere, germe di quello che diventerà il settimo libro dei Pensieri. A partire dal 1607 e sino al 1621 fece occasionalmente da segretario al cardinale Bartolomeo Cesi, nel palazzo del quale trovò spesso ospitalità. Nonostante la vicinanza ai Cesi, Tassoni potrebbe non essere mai stato formalmente ascritto all’Accademia dei Lincei.
Tornato a Modena nella seconda metà del 1607, fu coinvolto in un processo che lo contrappose al cugino Niccolò, il quale voleva impugnare la legittimazione del figlio Marzio ottenuta da Alfonso II. Nel terzo testamento tassoniano, redatto il 2 marzo 1609, i parenti e il figlio appena legittimato (definito «perverso» e «di costumi enormi», A. Tassoni, Lettere, 1901-1910, p. 290) furono esclusi dalla successione, a favore di Alfonso III d’Este, che con i proventi dell’eredità avrebbe dovuto fondare in Modena un’accademia letteraria. Marzio, che divenne uomo d’armi ma fu sempre malsopportato dal padre, ebbe da questo momento in poi un ruolo piuttosto marginale nei testamenti.
A Modena, nel 1608, una sua opera fu per la prima volta data alle stampe: si trattava della prima Parte de’ quisiti, raccolta (dedicata all’Accademia della Crusca) di 151 brevi prose che trattavano di curiosità fisiche, storiche, linguistiche, politiche e di costume, sul modello dei problemi accademici: questa pubblicazione costituisce il primo nucleo di quelli che, a partire dal 1612, sarebbero divenuti i Pensieri diversi. Nel gennaio del 1609, a pochi mesi dalla morte di Colonna, stampò le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca.
A partire da un volume postillato attorno al 1602, durante il viaggio verso la Spagna, Tassoni concluse una prima stesura manoscritta dell’opera per la quale ottenne una licenza di stampa già nel 1606 (lo testimonia la prima redazione manoscritta dell’opera: Modena, Biblioteca Estense universitaria, Dep. Coll. S. Carlo 3). Le Considerazioni consistono in una sistematica operazione di smantellamento dell’autorità poetica di Francesco Petrarca, ottenuta attraverso un’irriverente contaminazione di rilievi eruditi con freddure e punture critiche. L’opera, verosimilmente composta a Roma dopo la rottura con Ascanio, è leggibile anche come una sottile rivincita di Tassoni sul poeta che i Colonna sentivano più vicino.
Il tono dissacrante delle Considerazioni scatenò una delle più rilevanti polemiche letterarie del primo Seicento, quella che oppose Tassoni a uno studente ventenne dell’Università di Padova, Giuseppe degli Aromatari, dietro al quale egli riconobbe l’influenza di Cremonini – già suo professore a Ferrara – e di Paolo Beni. Le Risposte di Gioseffo degli Aromatari alle Considerazioni furono impresse a Padova nel marzo del 1611. A metà maggio Tassoni inviò la propria replica, gli Avvertimenti di Crescenzio Pepe, all’alto funzionario estense Alfonso Molza, perché la facesse stampare: la voluminosa risposta dell’Aromatari, i Dialoghi di Falcidio Melampodio (1613), si fece attendere per quasi due anni, ma la replica fu immediata. La Tenda rossa fu stampata alla fine dello stesso anno. Reagendo agli stimoli offerti dalla polemica, Tassoni allestì un interfoliato delle Considerazioni (Modena, Biblioteca Estense universitaria, α.S.2.10) con correzioni e annotazioni successive: da questo volume è stata tratta l’edizione posta da Ludovico Antonio Muratori a corredo delle sue Rime petrarchesche del 1711.
Tra il 1609 e la fine del 1612 Tassoni attese a un ingente incremento e a una risistemazione in nove parti del materiale già confluito nei Quisiti a stampa; nell’ottobre del 1612 fu così impressa a Modena, per i tipi dello stampatore bergamasco Giovanni Maria Verdi, la Varietà di pensieri. Tra il 1612 e il 1613 compose il decimo libro dei Pensieri sul paragone degli ingegni antichi e di quelli moderni, uno dei punti d’avvio dell’europea Querelle des Anciens et des Modernes.
In questi anni Tassoni postillò anche un esemplare, oggi perduto, della prima impressione del Vocabolario della Crusca del 1612. Spesso pungente e ironico verso i compilatori del Vocabolario, propose qui nuove voci escluse e correzioni di lemmi, segnalò prestiti lessicali da spagnolo e provenzale, formulò proposte etimologiche. Il postillato fu la base per la scrittura titolata l’Incognito da Modana contro ad alcune voci del Vocabolario della Crusca.
A partire dal 1613, si legò agli ambasciatori sabaudi nello Stato pontificio, Carlo Costa di Polonghera e il suo successore Alessandro Scaglia. Sempre in questo anno compose un Manifesto secondo di pretension del Serenissimo di Savoia contro il Serenissimo di Mantova, nel quale sosteneva la causa piemontese nella diatriba per la successione nel controllo del Monferrato; il piemontese Onorato Claretti lo coinvolse nel mai compiuto progetto, che vedeva impegnato anche Giovan Battista Marino, di una raccolta di lettere di scrittori illustri contemporanei da dedicare ai Savoia. A dicembre Carlo Emanuele conferì a Tassoni un donativo, mai incassato, di 200 ducatoni. Al 1613 risalgono anche le prime attestazioni della duratura amicizia con il più giovane Fulvio Testi: i due si incontrarono a Roma tra il novembre e il dicembre di quell’anno.
Nel giugno del 1614 a Modena furono diffuse scritture infamanti contro Tassoni: grazie a Testi e ad Annibale Sassi gli autori furono riconosciuti in Alessandro Brusantini e Maiolino Bisaccioni, che già a luglio fu incarcerato e processato a Reggio Emilia, e in ottobre condannato all’esilio dal Ducato. Rispondendo a un ordine di Carlo Emanuele, nell’agosto del 1614 Scaglia commissionò a Tassoni una scrittura sulla guerra di Monferrato che mostrasse come l’intervento piemontese fosse conseguito a una provocazione spagnola. Il 20 dicembre il duca ricevette le Filippiche, edite anonime per la prima volta dopo il maggio del 1615 in una raccolta di scritti politici titolata La quinta essenza della ragion di stato.
La prima è un’esortazione – che contamina Demostene e Cicerone con ricordi danteschi, petrarcheschi e machiavelliani – rivolta alle potenze italiane a unirsi nella battaglia antispagnola combattuta da Carlo Emanuele; la seconda, scritta dopo il trattato di Asti del 10 dicembre 1614, risponde a coloro i quali si erano immaginati la rapida sconfitta di Carlo Emanuele e prosegue sui toni denigratori contro la Spagna già propri della prima prosa.
L’anonimato di Tassoni durò poco: le Filippiche circolavano a Modena a suo nome già nell’aprile del 1615 e, nell’agosto, anche in Spagna. Per proteggerlo dai rischi ai quali si era esposto nel difendere la causa sabauda, il 24 aprile 1615 Scaglia suggerì a Carlo Emanuele I di nominarlo gentiluomo di casa Savoia. Tassoni ricevette una pensione di 300 ducati che, come altri esborsi del Savoia, non riuscì mai a incassare.
La composizione della Secchia rapita cominciò verso la fine del 1614. Nel febbraio 1615 Tassoni ne aveva già ultimati cinque canti; a dicembre ne spedì i primi dieci al canonico padovano Albertino Barisoni, autore degli argomenti del poema. Antonio Querenghi era intanto stato incaricato di attendere a Modena alla stampa del poema.
Attraverso forme di manipolazione della storia, legittimate dalla teorizzazione aristotelico-tassiana, la Secchia fonde momenti della guerra tra Modena e Bologna del 1249 – come la battaglia della Fossalta e la cattura di re Enzo – e di quella del 1325 – quali, ad esempio, la battaglia di Zappolino e il furto della secchia di legno ai bolognesi. Questi episodi medievali dovevano somigliare alle coeve e poco eroiche scaramucce tra Modena e Lucca per il domino della Garfagnana. Dietro a molti personaggi della Secchia potevano essere ravvisati personaggi reali contemporanei. Il loro riconoscimento è uno dei meccanismi più importanti per il funzionamento del poema, così come lo è la satira, anche poetico-letteraria.
Al maggio del 1616 risale la prima redazione autografa conservata del poema, in dieci canti; Tassoni ne aveva però da sempre preventivati dodici, sul modello dell’Eneide. Nell’agosto i censori padovani respinsero il poema, suscitando l’amaro sfogo dell’autore, che si disse pronto a stamparlo in segreto fuori d’Italia. Il 19 novembre chiese che l’autografo della Secchia fosse spedito a Modena ad Annibale Sassi. Il modenese Giuseppe Fontanelli si era infatti proposto di far stampare l’opera a Ferrara, Bologna o Modena. Nel giugno del 1617 accordi per una stampa modenese della Secchia, da condurre sotto il controllo di Giovan Battista Milani e Fulvio Testi, furono presi con Giuliano Cassiani; questi fu però incarcerato a metà luglio per aver impresso le ottave antispagnole di Testi. Tassoni dovette a questo punto far fronte a una ben più grave iattura: il veneziano Giovanni Battista Ciotti, che da tre anni gli prometteva vanamente di stampare i Pensieri, gli aveva restituito solo una parte dei due interfogliati dell’opera dei quali era in possesso. Del primo ritornò soltanto l’inedito libro X; nel luglio del 1617 anche il secondo esemplare dei Pensieri andò perduto per via di un furto subito in casa da Barisoni. Ad agosto Tassoni fu dunque costretto a trascrivere i materiali rimastigli su un interfoliato della Varietà di pensieri ottenuto da Querenghi. Nel novembre del 1617 stava componendo i due ultimi canti della Secchia, il primo dei quali era pronto il 6 gennaio 1618.
È dell’aprile 1618 la notizia che Francesco Bracciolini stava componendo un poema che Tassoni temeva essere in concorrenza con la Secchia: si faceva dunque sempre più necessario per Tassoni arrivare alla pubblicazione dell’opera. Il braccioliniano Scherno degli dèi sarebbe stato stampato proprio quell’anno, alimentando tra i contemporanei dubbi sulla primazia nell’invenzione del genere eroicomico.
Intanto, a marzo, Paolo Coccapani, amico di Tassoni, aveva stretto a Carpi un accordo editoriale con Girolamo Vaschieri per la stampa dei Pensieri: i Dieci libri di pensieri diversi uscirono solo nel febbraio del 1620. I quesiti delle sezioni già edite salivano a 241 e, per la prima volta, vi compariva il Libro decimo. Il 2 giugno 1618 fu nominato segretario dell’ambasciata di Roma e gentiluomo del cardinale Maurizio; per i due anni successivi, rimase a servizio di Scaglia.
Mentre la Secchia era in lettura presso il S. Uffizio romano, Claretti propose a Tassoni di stamparla a Lione e dedicarla al principe Tomaso di Savoia. In vista della possibile stampa lionese, nel dicembre del 1618 compose la prefazione A chi legge, scritta a nome di Alessio Balbani. L’accento è qui posto sulla buona accoglienza riservata e sulla novità della nuova forma «mista d’eroico e comico, di faceto e di grave». Sia il progetto di stampa lionese della Secchia sia quello padovano fallirono entro il 1619.
Il 24 marzo 1620 Tassoni fu finalmente invitato a recarsi a Torino per prendere servizio come segretario del cardinale Maurizio di Savoia. Partì il 5 maggio e arrivò a Torino all’inizio di giugno. In quei mesi Carlo Emanuele, insoddisfatto dell’aiuto ricevuto dai francesi, stava cercando di riaprire un dialogo con la Spagna. Tassoni, autore delle Filippiche e inviso agli spagnoli, era ormai per i Savoia un personaggio imbarazzante; non fu, pertanto, mai propriamente ricevuto né da Carlo Emanuele né da Maurizio. Amareggiato, Tassoni passò i mesi finali dell’anno nell’abbazia di Staffarda, presso Saluzzo, protetta da Alessandro Scaglia, al quale affidò una copia della Secchia rapita per farla stampare a Lione; una seconda copia era stata spedita a Marino perché facesse lo stesso a Parigi. Il 2 febbraio 1621, all’avviso dell’imminente morte di Paolo V, gli fu ordinato di raggiungere a Roma il cardinale Maurizio. Ricevette durante il viaggio la notizia dell’elezione di Gregorio XV: a questo evento avrebbe poi dedicato una Relazione sopra il conclave in cui fu eletto papa Gregorio XV, ultimo e forse maggiore esempio del suo tacitismo.
La stampa parigina della Secchia si concluse a marzo: Tassoni, che nella princeps impressa da Toussaint Du Bray compariva sotto lo pseudonimo di Aldrovinci Melisone, ne avrebbe ricevuto la prima copia il 23 di quel mese. Marino non avrebbe più curato la stampa, compito che fu affidato a Jean Chapelain, il quale stese anche la lettera di dedica a Madame de Bonnoeil. La prima edizione della Secchia era accompagnata dal primo canto di un poema epico che narrava l’impresa americana di Cristoforo Colombo: l’Oceano (iniziato, forse, in polemica con il Mondo nuovo di Tommaso Stigliani e a partire dal 1617), introdotto da una lettera prefatoria nella quale erano citati i precedenti poetici di Stigliani e di Giovanni Villifranchi, criticati per aver seguito il modello della Liberata e dell’Eneide, e non quello dell’Odissea. Tassoni compose anche la prima ottava del secondo canto trascrivendola, tra il 1624 e il 1630, su un proprio esemplare della Commedia, ma il poema rimase sempre allo stadio di abbozzo.
La Secchia giunse subito all’attenzione del papa e del S. Uffizio: il 6 agosto 1622 il libro fu sospeso. Tassoni sospettò una delazione di Alessandro Brusantini (che, insieme con il padre Paolo, vi era stato impietosamente ritratto nel personaggio del conte di Culagna). La sopraggiunta morte di Gregorio XV (8 luglio 1623) e la successiva elezione di Maffeo Barberini portarono a una svolta nelle sorti censorie dell’opera. Urbano VIII si limitò infatti a suggerire a Tassoni la correzione di quattro o cinque parole. Il letterato prese dunque accordi con Giovan Battista Brogiotti, libraio-editore, per una nuova edizione dell’opera, che uscì a Roma, tra il giugno e il settembre del 1624, con il falso luogo di stampa di Ronciglione. Nel gennaio del 1622 Tassoni aveva cercato di avviare una trattativa con Ciotti per un’edizione veneziana dei suoi Annali; Claretti gli proponeva, in alternativa, di imprimerli a Lione. L’opera, avviata nel 1615, constava ormai di circa mille e quattrocento fogli, e si intitolava Compendio dell’una e l’altra istoria, ecclesiastica e seculare, estratto per via d’annali dal cardinal Baronio et altri diversi autori dal nascimento di Giesù Cristo fino al mille e ducento. Con molte considerazioni curiose.
Dopo il ritorno a Roma da Torino, Tassoni non riuscì mai a entrare a servizio di Maurizio di Savoia, che, offeso con lui, richiese persino a Francesco Barberini di mandarlo in esilio. Secondo il Savoia, Tassoni non si sarebbe mai presentato in casa sua, lo avrebbe evitato per strada e persino calunniato. Non prima del 1627, Tassoni cercò di vendicare i maltrattamenti subiti e riscattarsi dalle accuse stendendo un tragicomico resoconto delle proprie vicissitudini con i Savoia, la Relazione delle cose di Piemonte. Nel gennaio del 1626, entrò a servizio del cardinale Ludovico Ludovisi, molto vicino alla Spagna. A questo periodo è ascrivibile la stesura della Guerra della Valtellina, opera storiografica giuntaci incompleta sull’importante episodio della guerra dei Trent’anni, svoltosi tra il 1620 e il 1626.
Nel 1630 diede alle stampe a Venezia, presso Giacomo Scaglia, l’ultima edizione da lui controllata della Secchia rapita: furono qui per la prima volta impresse le Dichiarazioni, un bizzarro autocommento ironico al poema, attribuito all’accademico umorista Gaspare Salviani, e inoltre una seconda prefazione, che il poeta firmò con lo pseudonimo di Paulino Castelvecchio.
Continuò in questo periodo a lavorare agli Annali: nell’ottavo testamento, steso il 6 maggio 1631, si dichiarò intento a espandere l’opera, che ormai superava i limiti cronologici degli Annales di Baronio di ben duecento anni, arrivando sino al 1400. Lasciò per l’ultima volta Roma il 23 maggio 1632, e raggiunse a Bologna Ludovisi, che morì nella notte tra il 17 e il 18 novembre. Fu quindi piuttosto naturale accettare l’offerta di Francesco I d’Este, che gli proponeva una provvisione di 300 scudi e la residenza in stanze del Castello.
Tornato a Modena, diede un’ultima prova della propria intemperanza. Venuto a sapere di un sonetto contro di lui e le sue Considerazioni, composto nel 1621 dall’ormai defunto frate Livio Galanti, scrisse una risposta per le rime avviando un violento scambio poetico con i sostenitori della causa francescana. La polemica culminò, nel 1633, con la bastonatura, su ordine di Tassoni, del vicario del convento di S. Margherita. Da una lettera del 19 gennaio 1633 risulta che Tassoni avesse avviato trattative per la vendita dei libri rimasti a Roma, parte dei quali fu effettivamente acquistata il 7 maggio da Cassiano dal Pozzo, e in altra parte andò dispersa.
Morì a Modena il 25 aprile 1635 e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro. Nell’ultimo testamento lasciava a Fulvio Testi tutti i suoi libri, con preghiera che questi procurasse la stampa degli Annali, l’opera che lo aveva maggiormente impegnato negli ultimi anni di vita.
Opere. Per un’esauriente bibliografia delle edizioni di opere tassoniane, si veda Puliatti, 1969-1970, I. La maggior parte della produzione di Tassoni è stata pubblicata per le cure di P. Puliatti in: Scritti inediti, Modena 1975; Lettere, I-II, Bari 1978; Pensieri e scritti preparatori, Modena 1986; La secchia rapita e scritti poetici, Modena 1989 (dove sono raccolte e organizzate anche le disomogenee Rime); Annali e scritti storici e politici, I-II, Modena 1990-1993 (l’edizione degli Annali si interrompe però all’anno 759). L’edizione di riferimento della Secchia si deve a O. Besomi: La secchia rapita, I-II, Padova 1987-1990. Il solo commento moderno alla Secchia è quello di Pietro Papini: La secchia rapita, Firenze 1912; oggi gli va affiancata la Lettura della Secchia rapita, a cura di D. Conrieri - P. Guaragnella, Lecce 2017. Le lettere al cardinale Colonna sono edite da F. Sacchiero Parri, Lettere e minute inedite di Alessandro Tassoni, Lugano 1997. Per le postille alla Crusca: A. Tassoni, Postille al primo Vocabolario della Crusca, a cura di A. Masini, Firenze 2006. Mancano di edizione moderna le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca, Modena 1609, e gli scritti relativi alla polemica con Aromatari. Inedita resta anche la giovanile Grammatica italo-francese composta per uno che italiano non parla più che tanto (Modena, Biblioteca Estense universitaria, α. J. 9. 11).
Fonti e Bibl.: Il processo per la legittimazione di Marzio si legge in Archivio di Stato di Modena, Archivio notarile, Modena, b. 2552, ins. F. Fondamentali per la ricostruzione della biografia di Tassoni, oltre alle Lettere, sono G.V. Rossi, Iani Nicii Erithraei Pinacotheca, Coloniae Agrippine 1645, pp. 185-188; L.A. Muratori, Vita di Alessandro Tassoni, in La secchia rapita, Modena 1744, pp. 1-60; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I-VI, Modena 1781-1786, V, pp. 180-217. Sette testamenti sono editi in A. Tassoni, Lettere, a cura di G. Rossi, I-II, Bologna 1901-1910, pp. 289-333, dei primi due è data notizia nel ricchissimo saggio di V. Santi, Il fico di Alessandro Tassoni, in Memorie della reale Accademia di scienze, lettere ed arti, s. 3, XIV (1922), pp. 11-136 (del quale si veda anche Alessandro Tassoni fra malfattori e parassiti, in Giornale storico della letteratura italiana, 1903, vol. 43, pp. 259-277).
T. Casini, A. T. e la Crusca, in Giornale storico della letteratura italiana, 1885, vol. 2, pp. 93 s.; T. Sandonnini, A. T. e il Sant’Uffizio, ibid., 1887, vol. 9, pp. 345-380; G. Rua, A. T. e Carlo Emanuele I di Savoia. Le prime relazioni, la genesi delle Filippiche, ibid., 1898, vol. 32, pp. 281-326; V. Santi, A. T. e il Cardinal Ascanio Colonna, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, s. 5, II (1903), pp. 197-233; Id., La storia nella Secchia rapita, I-II, Modena 1906-1909; F. Carta, La scrittura di A. T., in Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari, a cura di T. Casini - V. Santi, prefazione di G. Pascoli, Modena 1908, pp. 179-207; G. Boccolari, Il diploma di laurea di A. T., in Studi tassoniani. Atti e memorie del Convegno nazionale di studi... 1965, Modena 1966, pp. 93-101; F. Testi, Lettere, a cura di M.L. Doglio, I-III, Bari 1967, passim; V. Castronuovo, Bisaccioni, Maiolino, in Dizionario biografico degli Italiani, X, Roma 1968, pp. 639-643; P. Puliatti, Bibliografia di A. T., I-II, Firenze 1969-1970; R. D’Agostino, Due note tassoniane, in Filologia e critica, IV (1979), pp. 416-433; Id., T. contro Stigliani, Napoli, 1983; G. Mazzacurati, A. T. e l’epifania dei «moderni», in Id., Rinascimenti in transito, Roma 1996, pp. 159-185; G. Arbizzoni, Poesia epica, eroicomica, satirica, burlesca. La poesia rusticale toscana. La «poesia figurata», in Letteratura italiana, diretta da E. Malato, V, Roma 1997, pp. 727-770; U. Motta, Antonio Querenghi (1546-1633): un letterato padovano nella Roma del tardo Rinascimento, Milano 1997, passim; M.C. Cabani, La pianella di Scarpinello. T. e la nascita dell’eroicomico, Lucca 1999; A. Daniele, “Una pura disputa di cose poetiche, senza rancore di sorte alcuna”. A. T., Cesare Cremonini e Giuseppe degli Aromatari, in La memoria innamorata. Indagini e letture petrarchesche, Roma-Padova 2005, pp. 219-247; M. Olivari, Le relazioni italo-spagnole nel primo Seicento: fatti, stereotipi, discorsi critici (Parte II), in Rivista di filologia e letterature ispaniche, XI (2008), pp. 153-182; E. Selmi, Preti, Guarini, Marino e dintorni: questioni di poesia e storia culturale nelle Accademie del primo Seicento, in L’Ellisse, V (2010), pp. 77-119; G. Bucchi, Un manoscritto parzialmente autografo di A. T. e due sue traduzioni inedite da Tacito, in Giornale storico della letteratura italiana, 2014, vol. 191, pp. 211-217; Id., Il Vecchio Mondo di Tassoni: l’impasse dell’“Oceano”, in Epica e oceano, a cura di R. Gigliucci, in Studi (e testi) italiani, XXIV (2014), pp. 99-114; Id., La tragedia (e la farsa) delle cose umane. T. e Tacito, in Studi secenteschi, LVI (2015), pp. 3-29. P. Pellizzari, Echi letterari della prima guerra del Monferrato: la prosa di A.T., in Monferrato 1613. La vigilia di una crisi europea, a cura di P. Merlin - F. Ieva, Roma 2016, pp. 179-196; A. T. Poeta, erudito, diplomatico nell’Europa dell’età moderna, a cura di M.C. Cabani - D. Tongiorgi, Modena 2017 (in partic. i saggi di A. Battistini, C. Carminati, G. Biondi, G. Bucchi, L. Ferraro, A. Lazzarini, M. Leone, G. Signorotto); L. Ferraro, Nel laboratorio di A. T.: lo studio del Furioso e la pratica della postilla, Firenze 2018; R. Ferro, Carteggi del tardo Rinascimento: lettere di Giovan Battista Strozzi il Giovane e Girolamo Preti, Pisa 2018, passim; V. Nider, Pedro Fernández de Navarrete y las Respuestas a las Filippiche de A. T., in Storiografia e teatro tra Italia e Penisola Iberica, a cura di M. Graziani - S. Vuelta García, Firenze 2019, in corso di stampa.