SPADA (Spada Lavini), Alessandro
SPADA (Spada Lavini), Alessandro. – Nacque a Terni il 27 settembre 1798, primogenito del conte Girolamo e di Giulia de’ Medici.
Probabilmente, era nato qualche mese prima a Filottrano e fu battezzato a Terni, dove i genitori andarono a vivere presso Giovanni Spada, fratello del conte Girolamo, dopo essersi allontanati velocemente da Filottrano con il neonato Alessandro perché allarmati dai disordini che si ampliavano nel Dipartimento del Musone. Dai registri delle nascite parrocchiali, che mantenevano il doppio uso religioso e civile, vennero attinte tutte le informazioni che confluirono poi nell’anagrafe civile che cominciò a formarsi a partire dalla convocazione dei plebisciti per le annessioni al costruendo Regno d’Italia.
Alessandro frequentò il liceo di Macerata pur non distinguendosi molto negli studi per la già evidente differenza tra vecchi modi d’insegnamento, che egli aborriva, e nuove sensibilità dei discenti che non erano tenute in alcun conto. Intorno al 1820 si traferì a San Severino come preposto del Registro e nel 1829 fissò la sua dimora nella villa di Monte Polesco (Filottrano), verosimilmente in occasione del suo matrimonio con Isabella Errington, conosciuta a Roma, donna dolce e virtuosa, cultrice della storia, delle lingue moderne, della musica e valente pittrice di paesaggi. Il matrimonio fu breve: Isabella morì dopo pochi anni lasciando alle cure del conte Alessandro quattro figli, tre dei quali, Gualtiero, Giovanni Girolamo e Corrado, tutti già in malferma salute, morirono nonostante le ingenti somme spese per guarirli. Sopravvisse soltanto Tommaso che divenne l’unico erede del conte.
La decisione di dimorare stabilmente nella villa di Monte Polesco ripropose ad Alessandro tutte le questioni della tenuta omonima e i problemi che tanto avevano impegnato le energie intellettive e materiali di suo padre Girolamo. Al contempo Alessandro attivò le relazioni con quegli esponenti della nobiltà locale, fra i quali Giuseppe Bandini, Andrea Cardinali, Edoardo Fabbri, che ormai volgevano le loro attenzioni e i loro propositi, seppur vaghi e confusi, alla possibilità di un’Italia ‘libera e una’.
Nel 1828 il conte Alessandro aveva ripubblicato a Macerata il volumetto del padre Della erba medica e della sua coltivazione. L’operazione editoriale era certamente il segnale di un rinnovato interesse per la gestione della produzione agricola della tenuta di Monte Polesco. Negli anni successivi, infatti, estese gli spazi per i cosiddetti prati artificiali (che servivano a coltivare foraggere per l’alimentazione dei bovini) e ampliò e diversificò la produzione nei soprassuoli, questioni sulle quali suo padre si era molto impegnato. La sua attenzione maggiore fu rivolta, tuttavia, all’allevamento dei bachi da seta nella convinzione che nella sua regolare produzione risiedesse l’accrescimento della ricchezza nazionale. Nell’azienda di Monte Polesco esisteva dal 1818 una bigatteria avviata dal conte Girolamo secondo il metodo di Vincenzo Dandolo di cui egli aveva dato notizia nel suo Ristretto prattico del governo de’ bachi da seta esercitato con nuovi metodi desunto dalle opere del conte Dandolo, Macerata 1820.
L’azienda era, dopo alcuni anni, ormai largamente improduttiva. Alessandro s’industriò a comprenderne le ragioni che coincisero con quelle pubblicate nel 1833 dal conte Lodovico Reina di Como: bisognava cioè riprendere pedissequamente ‘il metodo Dandolo’ e modificarlo in parte. La bigatteria di Monte Polesco, a seguito delle correzioni di Alessandro, divenne la meta di molti visitatori e nella vicina città di Jesi nacquero, in breve tempo, quaranta bigatterie che con il loro prodotto compensarono largamente i coltivatori. Alessandro apparve, allora, come un imprenditore e la sua Guida del Bigattiere, più che un manuale, divenne un preciso prontuario con annessa una Tavola dimostrativa delle spese necessarie per una Bigatteria di once cinque di seme che ebbe tra il 1841 e il 1857 ben quattro ristampe. Studiare, sperimentare, comunicare con la stampa erano stati i tratti distintivi del modo di operare di suo padre: Alessandro vi aderì anche nell’approccio ai nuovi interessi scientifici che scoprì dopo la conoscenza di Humphry Davy, già amico ed estimatore di suo fratello Lavinio, più giovane di tre anni. A differenza della passione prevalente di quest’ultimo per la mineralogia, Alessandro predilesse la geologia. Passava molto tempo a salire su per i dossi degli Appennini con il botanico e malacologo Antonio Orsini sfidando le intemperie dei luoghi e intrattenendosi con i montanari per condividere con loro cibo e informazioni. Divenne così uno studioso molto apprezzato sia in ambito nazionale (fu amico di Achille De Zigno, Giacinto Ottavio Provana di Collegno, Angelo Sismonda, Arcangelo Sacchi, Paolo Savi) e internazionale (vantavano la sua conoscenza Joseph Barclay Pentland, Charles Lyell, Roderick Impey Murchison) per i suoi studi geologici sugli Appennini centrali.
Illustrano quanto accurati fossero i suoi studi e fino a che punto egli li contenesse in un habitus scientifico convincente sia le Osservazioni geologiche su quella parte del versante adriatico compresa tra il Monte Corno e l’Esino, pubblicate con Orsini nella Raccolta di lettere ed altri scritti intorno alla fisica ed alle matematiche (I (1845), 16 e 17, pp. 268-277), sia la relazione Quelques observations géologiques sur les Apennins de l’Italie centrale scritta in elegante francese (lingua che egli parlava e scriveva insieme all’inglese come se fossero sue lingue madri) sempre con Orsini e pubblicata nel Bulletin de la société géologique de France (s. 2, XII (1855), pp. 1202-1233).
A Spada si aprirono, pertanto, le porte delle Accademie scientifiche di Torino, Napoli, Firenze, Dresda; l’Institut de France lo nominò membro effettivo per acclamazione, nel Congresso scientifico di Napoli del 1845 fu nominato segretario della sessione geologica con Sacchi e nel 1861 fu membro della Commissione per la carta geologica d’Italia. Gli interessi geologici non lo distrassero, tuttavia, dagli avvenimenti politici in atto nello Stato pontificio. Si informava del loro procedere anche attraverso le pubblicazioni periodiche che gli giungevano dalla Francia e dall’Inghilterra e andava convincendosi che il destino dello Stato dei papi non dipendesse più dal riconoscimento dell’autonomia delle sue province o dalle dottrine di Cesare Balbo o di Vincenzo Gioberti. A togliergli ogni dubbio fu il precipitare degli eventi nel 1848. Il 24 marzo Pio IX concesse lo Statuto fondamentale del governo temporale degli Stati della Chiesa e a metà settembre, dopo i fatti di Bologna dell’agosto dello stesso anno, conferì l’incarico di formare un nuovo governo a Pellegrino Rossi che assunse anche gli Interni e le Finanze. Rossi chiamò a collaborare con lui uomini politicamente moderati, ma di spiccata energia e qualità tra i quali Spada cui attribuì poteri illimitati nella carica di ispettore straordinario di Stato per le province del Piceno. Poi, lo nominò preside della provincia di Bologna. Ma a Roma in quel fatidico anno, tutto ‘bolliva’ tra l’impossibilità da parte del governo costituzionale di riorganizzare l’amministrazione senza toccare antiche sinecure, prebende, privilegi e le tensioni democratiche che, a breve, avrebbero portato alla proclamazione della Repubblica Romana. Nel mese di novembre la già precaria situazione precipitò con l’assassinio di Rossi e la fuga di Pio IX a Gaeta. Spada resistette a Bologna, dove era stato ben accolto, ma all’annuncio dell’arrivo delle truppe di Radetzky ritornò, velocemente, a Monte Polesco.
Fu a seguito di questa straordinaria esperienza che le sue attenzioni, come quelle di Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini, Marco Minghetti, Alfonso Ferrero della Marmora, Carlo Berti Pichat, Giovanni Durando, Giuseppe Arconati Visconti e Giuseppe Massari con i quali s’incontrò, si rivolsero alla monarchia sabauda, l’unica che unitamente alla guida di Cavour e di Massimo d’Azeglio era riuscita a mantenere una carta costituzionale – lo Statuto fondamentale della monarchia di Savoia pubblicato il 4 marzo 1848 – e che aspirava all’unificazione italiana.
Nel gennaio del 1861 fu nominato senatore del Regno di Sardegna, che si apprestava a trasformarsi, il 17 marzo 1861, in Regno d’Italia, formalmente perché compreso – secondo l’articolo 33, paragrafo 21, dello Statuto – fra «le persone, che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione diretta in ragione de’ loro beni, o della loro industria», di fatto perché fattivo sostenitore dell’unità d’Italia e della monarchia costituzionale sabauda, come poterono affermare sia Minghetti sia Luigi Carlo Farini, a lui prossimi, che succedettero l’uno all’altro al ministero dell’Interno nel terzo governo Cavour, il primo nazionale dopo le elezioni del Parlamento del 27 gennaio 1861 alle quali parteciparono gli aventi diritto al voto delle parti della penisola recentemente annesse al nuovo Stato. Il senatore Spada venne insignito delle onorificenze di rito: ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (25 luglio 1861) e, più tardi, cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia (3 ottobre 1873). Tra il 1861 e il 1863 fu membro della commissione per l’esame del codice civile, di vigilanza della Cassa ecclesiastica, di Finanze. Intervenne nel 1863 nella discussione sulla legge sulla ricchezza mobile e sulla legge di pubblica sicurezza. Poi iniziarono e successivamente s’intensificarono le richieste di congedo, almeno fino al 1867, sia per una rinnovata attenzione al governo del comune di Filottrano, sia per problemi di salute che lo portarono, lentamente, all’infermità.
Morì a Filottrano il 27 gennaio 1876 nella villa di Monte Polesco.
Alla notizia della sua morte, il Consiglio comunale di Filottrano, riunito nello stesso giorno in seduta straordinaria, decretò che il Municipio provvedesse alle sue onoranze funebri e il 14 febbraio decise di affidare la sua memoria a una lapide che venne collocata il 4 giugno, in occasione della festa nazionale dello Statuto. Il Senato regio lo commemorò il 7 marzo 1876 con un medaglione in cui vennero messe in rilievo le sue qualità di scienziato, amministratore e cittadino liberale. La figura del padre Girolamo gli fu sempre accanto come esempio d’innovazione e di prudenza, esempio che egli declinò in un’epoca che poteva confondere e, perfino, oscurare or l’una or l’altra attitudine. Non a caso la storiografia risorgimentale locale ha trascurato completamente la figura di Alessandro Spada esaltando, invece, per meriti nazional-patriottici i suoi cugini, figli dello zio Giovanni: Alberico, Michelangelo, e, soprattutto, Adolfo, il cosiddetto ramo Pesaro della casa Spada.
Fonti e Bibl.: Filottrano (Ancona), Archivio Spada Lavini. Inoltre: E. Bianchi, Ricordo delle pubbliche onoranze al Senatore conte A. S. Lavini, 4 giugno 1876, Jesi 1876; G. Natali, La famiglia dei conti Spada patrizia di Terni, di Pesaro, di San Marino e di Roma, Roma 1896, passim; D. Spadoni, I conti Spada nel Risorgimento italiano, Macerata 1910, pp. 10 s.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, s.v., https://notes9. senato.it/Web/senregno.NSF/S_l?OpenPage.