ALESSANDRO Severo (M. Aurelius Severus Alexander), imperatore romano dal 222 al 235 d. C
Nacque il 1° ottobre del 208 in Arca Cesarea, antica città della Siria divenuta colonia romana. Il suo nome originario, a quanto sembra, era Alessiano. Del padre di lui, Gessio Marciano, sappiamo assai poco: egli dev'esser morto, al più tardi, nei primi anni dell'impero di Elagabalo, poiché negli avvenimenti che seguirono non se ne ha più menzione, mentre domina invece la figura della madre, Giulia Avita Mamea, figlia di Mesa e sorella di Soemiade. Alessiano aveva ricevuta la prima educazione, insieme col cugino Elagabalo, presso la nonna Mesa, relegata ad Emesa, ed era stato consacrato come lui al culto del dio Sole. Quando Elagabalo, gridato imperatore, si trasferì a Roma (218), vennero al suo seguito anehe Mamea e Alessiano. Questi però fu tenuto dalla madre lontano dai disordini della corte, il che gli permise di raccogliere le simpatie di quella parte delle milizie che era disgustata della vita di Elagabalo. Le cose giunsero al punto che questi dovette consentire ad adottare Alessiano e a farlo cesare; l'adottato prese il nome di Marco Aurelio Severo Alessandro (luglio 221). Se non che Elagabalo si trovò presto costretto a fargli ancora nuove concessioni, investendolo del titolo di imperatore e d'augusto, mentre d'altra parte cercava il modo di sbarazzarsene. Prima che questo gli riuscisse, fu tolto di mezzo da un'insurrezione militare, in cui ebbe mano Mamea (marzo 222).
Alessandro fu, così, solo imperatore. Egli non aveva che tredici anni e mezzo; il governo dell'impero perciò rimaneva sempre nelle mani della vecchia Mesa, alla quale si aggiungeva ora Mamea, che rimase presto sola, essendo Mesa morta poco tempo dopo. Per assicurarsi il favore dell'esercito, Mamea divulgava che Alessandro era figlio di Caracalla; ma gli effetti di quest'artifizio, che dava ad Alessandro una terza paternità, non pare siano stati molto notevoli. La prima cura del nuovo governo fu di ripulire la corte di tutti gl'inquilini immondi e dare il bando al cerimoniale e al fasto che Elagabalo vi aveva introdotti. Un partito ostile al nuovo imperatore non mancava, e gli stessi prefetti del pretorio, Flaviano e Cresto, dovevano guardare con poca simpatia al nuovo governo. Fu messo perciò accanto a loro, come terzo prefetto, Domizio Ulpiano, il famoso giureconsulto, che li tolse di mezzo, non sappiamo con quale procedimento. Sembra dubbia la notizia che al loro posto sia succeduto un altro giureconsulto, Giulio Paolo; questi, ad ogni modo, fece parte con Ulpiano dei consigli dell'imperatore. È l'età dei grandi giureconsulti, anzi l'ed in cui la giurisprudenza compenetra tutta l'amministrazione dell'impero. E il governo di Alessandro ha la sua importanza in questo sorprendente esperimento di un potere sorto da una rivoluzione militare, che sente di posar sull'esercito, e tuttavia intende d'instaurare la preminenza del potere civile sul militare, e ricondurre il senato alla funzione di primo organo dello stato. Il senato, infatti, fu reintegrato nell'antica autorità, ed ebbe nell'amministrazione pubblica una parte che sembrò ancora più larga di quella che aveva avuta dalla costituzione augustea. Nelle adunanze l'imperatore si teneva pari agli altri senatori. Una consulta di sedici di essi era chiamata ad assistere l'imperatore nella trattazione degli affari politici, e una rappresentanza del senato prendeva parte al consiglio istituito per gli affari giudiziarî. Fu, d'altra parte, eliminata l'incompatibilità tra l'ufficio di prefetto del pretorio e la carica di senatore, e i prefetti sedettero in senato col grado consolare.
Anche quest'opera di restaurazione non fu perciò disgiunta, né poteva, da innovazioni e da riforme, che toccarono l'ordinamento delle antiche magistrature; quella degli edili fu soppressa, e sostituita con un ufficio nuovo, i "curatori della città", ch'erano scelti fra i consolari e formavano il consiglio del "prefetto della città", che ne era il presidente. Si faceva così un passo avanti nella distinzione fra l'amministrazione della città e quella dello stato. E una distinzione meglio definita fu portata nelle provincie fra le competenze dei funzionarî civili e quelle dei militari. Ci rimangono notizie e documenti di un ampio complesso di disposizioni legislative dell'età di Alessandro, le quali toccano quasi tutti i rami dell'amministrazione. Fu dato nuovo vigore alla massima che nei rapporti coi cittadini lo stato deve sottostare alle regole giuridiche comuni: "non vi ha nulla così proprio del regime imperiale, come obbedire alle norme della legge". Furono chiariti e determinati meglio il diritto e il procedimento fiscale: venne escluso il carattere di reato di lesa maestà dalla violazione del giuramento fatto in nome dell'imperatore e dalle sentenze dei giudici non conformi alle regole emanate dal potere imperiale. Si cercò di migliorare la condizione degli schiavi e di favorire il loro passaggio allo stato di libertà. Altre disposizioni furono intese al miglioramento dei costumi, e ad elevare il sentimento del dovere nei rapporti della famiglia; furono presi provvedimenti a favore delle provincie, e si cercò di attenuare il peso delle imposte. La viabilità fu curata e migliorata, e la città di Roma ebbe, accanto a quelle di Nerone, nuove terme, l'apertura delle quali fu celebrata sulle monete.
Al tempo stesso, il governo di Alessandro non lasciava di occuparsi dell'esercito, di vigilare sulla giustizia delle promozioni, sui bisogni degli approvvigionamenti, di cercar tutto ciò che potesse far argine al malumore che la sua politica ingenerava fra i soldati, e diminuire le ragioni della loro tracotante indisciplina. Fu questo lo scoglio contro il quale l'esperimento del governo civile di Alessandro s'infranse. Il regime di Caracalla e di Elagabalo aveva lasciato larghi rimpianti tra le milizie, le quali non volevano saperne di un imperatore in toga. Moti sediziosi scoppiavano qua e là. Le vie di Roma furono per tre giorni teatro di conflitti fra pretoriani e cittadini, e la peggio naturalmente fu di questi ultimi. L'odio dei pretoriani era principalmente rivolto contro Ulpiano, a cui non si perdonava la morte di Flaviano e di Cresto. Dopo che varî attentati erano falliti egli fu infine ucciso sotto gli stessi occhi dell'imperatore, che invano aveva cercato di salvarlo (228).
Ai confini dell'impero romano sorgeva intanto il nuovo regno persiano, sotto la dinastia dei Sassanidi. Il re Artaserse (Ardashīr), dopo aver ricostituito in gran parte i confini dell'antico regno ad oriente, venne ad occupare la Mesopotamia, mentre alcuni reparti del suo esercito si spingevano verso la Cappadocia per tagliare ai Romani le comunicazioni con l'Armenia. Alessandro dovette apprestarsi a una campagna in Oriente e si recò ad Antiochia. L'esercito romano era in preda all'anarchia, e d'altro canto la casa imperiale non amava le imprese militari. I confini dell'impero furono salvati, ma non senza gravi perdite, e la ritirata delle legioni che operavano nell'Armenia, voluta da Alessandro nel cuor dell'inverno, ebbe effetti disastrosi (231-33). Così, mentre Alessandro, tornato a Roma, celebrava un trionfo e magnificava in un discorso al senato le sue vittorie, il malcontento dell'esercito ingigantiva. L'ira dei soldati si appuntava adesso contro Mamea, accusata d'ingordigia e chiamata responsabile dei danni subiti dall'esercito. Le sedizioni militari si facevano più gravi e più frequenti: una, sul Reno, finì col trionfare.
Alessandro non poté fermarsi a Roma che un anno circa. Un'invasione di Germani lo costrinse a mettersi in cammino verso il confine del Reno, alla volta di Magonza. Ma anche qui, sebbene le armi romane avessero ottenuto qualche successo, Alessandro, più che impegnarsi a fondo, preferiva di venire a trattative con gl'invasori. Egli era circondato di milizie malfide: voci sinistre si facevano correre sulle sue intenzioni riguardo all'esercito: un reparto di reclute gridò imperatore il suo comandante, Massimino. Alessandro venne presto abbandonato, e fu ucciso dai ribelli nella sua tenda, insieme con la madre (fine dell'inverno del 235).
Alessandro era d'animo nobile e mite; ma se, cresciuto, si trovò in grado di valutare i mali dell'impero, non trovò in sé le qualità necessarie a darvi rimedio, né la fortuna gli mise vicino un uomo adatto a farlo. La madre che gli fu sempre al fianco, immancabilmente, estinse in lui i germi d'ogni energia e d'ogni iniziativa personale. Il tentativo di restaurazione civile non poteva aver successo se non a patto di esser preceduto dalla restaurazione della disciplina militare: e i ministri di Alessandro non furono che uomini di toga. Egli, per altro, non ci appare personalmente molto penetrato di romanità. Aveva buona cultura ellenica, mostrava ammirate disposizioni artistiche, ma conosceva poco il latino e lo parlava per conseguenza di rado e mal volentieri. In fondo all'anima egli era rimasto un orientale. Era sacerdote dell'Urbe, ma non dimenticò di essere sacerdote del Sole; nel suo larario teneva, tra le altre, le immagini di Orfeo, Apollonio di Tiana, Abramo e Cristo. Bisogna inoltre ricordare che Mamea, se non è favola, cercò d'istruirsi con Origene sulle dottrine del cristianesimo.
Fonti: Le fonti dell'impero di Alessandro, oltre alle iscrizioni (v. Dessau, Inscript. lat. selectae, I, p. 474 segg., per altro insufficiente) e le monete (in Cohen, Médailles e Babelon, Description) sono Cassio Dione, contemporaneo (LXXIX e LXXX), ed Erodiano, che scriveva pochi anni dopo (V-VI). La vita di Lampridio, negli Scriptores Historiae Augustae, è assai ampia, in confronto alle altre, ma dev'esser letta con precauzione, date non poche incertezze che esistono intorno all'autenticità di alcune notizie o di alcuni passi del testo. Indispensabili a consultare sono le raccolte giuridiche romane (Hänel, Corpus legum, p. 975 segg. e il Corpus iuris civilis).
Bibl.: E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, I, 1889, p. 396 segg.; Groebe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, 1896, col. 2526 segg.; Klebs, Prosopogr. imperatorum Rom., Berlino 1897, I, p. 215 seg.; Callegari (varî scritti su Al. Sev., 1895-1902); Schiller, Geschichte des röm. Kaiserreich, I, pp. 764-783; Thiele, De Severo Alexandro imperatore, Berlino 1909; Jardé, Études critiques sur la vie et le régne de Sév. Alexandre, Parigi 1925.