SCHIAVI, Alessandro
SCHIAVI, Alessandro. – Nacque a Cesenatico (Forlì) il 28 novembre 1872, primogenito di Aristodemo, medico condotto, e di Domenica Mambelli.
Al liceo di Forlì seguì le lezioni di storia di Giuseppe Mazzatinti, attraverso le quali assorbì gli ideali democratici della tradizione mazziniana. Negli stessi anni accompagnò il padre nelle visite ai malati, entrando in contatto diretto con le misere condizioni di vita delle famiglie contadine. Nel 1891 si trasferì a Roma per frequentare l’università, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza. Uno dei docenti più importanti nella sua formazione fu Angelo Messedaglia, nelle lezioni del quale le discipline giuridiche, politiche, economiche e statistiche si intrecciavano nell’idea di una nuova scienza dell’amministrazione. Conquistato dai problemi politici ed economici della sua epoca, si avvicinò alla militanza socialista e seguì con particolare passione il corso di filosofia della storia di Antonio Labriola. Conseguita la laurea nell’estate del 1895, tornò a vivere a Forlì, dedicandosi alla redazione del settimanale socialista Il Risveglio, diretto da Alessandro Balducci. Presto lo sviluppo organizzativo del Partito socialista gli consentì di emanciparsi dalle angustie della vita di provincia. Nel luglio del 1896 partecipò, come delegato romagnolo, al congresso nazionale del PSI (Partito Socialista Italiano) di Firenze e pochi giorni dopo partì per Londra con l’incarico di seguire i lavori della II Internazionale. Al rientro in Italia arrivò il primo incarico retribuito: la guida della segreteria regionale del partito, con sede a Bologna (settembre-novembre 1896). Infine, a dicembre, il ritorno a Roma, chiamato a far parte della prima redazione dell’Avanti!, quotidiano socialista diretto da Leonida Bissolati.
Nel gennaio 1900 sposò la contessa forlivese Anna Maria Canestri, fervente cattolica, ma con solide tradizioni risorgimentali in famiglia, con la quale ebbe tre figli: Sigfrid, Lia e Silvia.
Nel nuovo clima politico di inizio secolo, ebbe modo di farsi conoscere sia come giornalista sia come studioso di scienze sociali. All’interno della redazione dell’Avanti!, in virtù di una buona conoscenza delle lingue straniere, gli venne assegnata la cura delle notizie dall’estero. Ciò gli permise di affermarsi come corrispondente dall’Italia di numerosi periodici socialisti stranieri. Cominciò a muoversi con dimestichezza tra i maggiori esponenti del socialismo europeo, scambiando lettere con i leader della socialdemocrazia tedesca: Karl Kautsky, Eduard Bernstein, Wilhelm Liebknecht, Rosa Luxemburg. Entrò in contatto con il belga Emile Vinck, esponente di rilievo del riformismo municipale europeo. Mantenne stretti contatti a Parigi, dove collaborò a Mouvement socialiste e alla Petite république socialiste, e a Londra inviando articoli a Justice, organo della Social Democratic Federation. Nei primi anni del secolo e poi nel decennio successivo, cominciò a collaborare con alcune riviste, sia italiane sia straniere, particolarmente attente ai problemi relativi al governo della città: La riforma sociale di Francesco Saverio Nitti e Luigi Einaudi, Critica sociale di Filippo Turati, Il comune moderno di Giulio Casalini e Les annales de la régie directe, diretta a Ginevra da Edgard Milhaud.
Nella primavera del 1903 lasciò Roma per trasferirsi a Milano, assumendo la direzione dell’Ufficio del lavoro della Società Umanitaria, dove subentrò a Giovanni Montemartini. Nei sette anni trascorsi all’Umanitaria, i suoi interessi si definirono secondo due filoni principali: l’edilizia sociale e le indagini statistiche sul lavoro. Nel maggio del 1910, vinse il concorso alla direzione dell’Istituto per le case popolari di Milano. L’anno successivo, presso l’editore Zanichelli di Bologna, pubblicò Le case a buon mercato e le città giardino, uno dei manuali di edilizia popolare più diffusi di quegli anni. Nel 1913, le prime elezioni a suffragio universale maschile furono l’occasione per mettere in evidenza un altro aspetto della sua attività di scienziato sociale: si segnalò come uno dei primi e più attenti cultori delle statistiche elettorali in Italia (Come hanno votato gli elettori italiani, Milano 1914).
Nel 1914, in seguito alla vittoria socialista nelle elezioni comunali a Milano, entrò come assessore al Lavoro nella giunta guidata da Emilio Caldara. Nel contesto della Grande Guerra, dedicò gran parte delle proprie forze a organizzare la politica dei consumi, in un dialogo serrato con il movimento cooperativo milanese. Emerse compiutamente in questi anni la sua statura di intellettuale-tecnico, capace di misurarsi con i problemi concreti dell’amministrazione pubblica.
L’allungarsi e l’inasprirsi del conflitto bellico, la rivoluzione russa e i suoi effetti sulla sinistra italiana ed europea, la continua crescita delle posizioni massimaliste produssero un cambiamento profondo dell’atmosfera politica e sociale del Paese. Lo stesso Schiavi sembrò convincersi, negli anni immediatamente successivi al 1917, che l’Italia stesse vivendo un periodo rivoluzionario. Il fenomeno massimalista gli apparve come un riflesso delle inquietudini e delle speranze prevalenti nella base del partito e come tale non si poteva sottovalutare. In occasione delle elezioni comunali del 1920 assunse, perciò, una posizione autonoma dalla corrente riformista del PSI, accentuando le aperture unitarie verso la sinistra del partito.
La nuova amministrazione milanese guidata da Angelo Filippetti, nella quale entrò come assessore all’Edilizia e ai lavori pubblici, risultò tuttavia bloccata dalle difficoltà finanziarie e dalle divisioni politiche nel campo socialista. Venne sciolta dal governo Facta nell’agosto del 1922 e nei mesi successivi i fascisti presero il controllo della vita cittadina. All’inizio del 1924, venne allontanato anche dalla direzione dell’Istituto case popolari. Dedicò allora le proprie energie al rilancio dell’Università proletaria milanese e al tentativo di affiancarle un centro di documentazione sul movimento operaio intitolato a Giacomo Matteotti: una breve esperienza che si chiuse definitivamente nel dicembre 1925 per decreto prefettizio. Ormai impossibilitato a svolgere qualunque attività politica, a partire dalla primavera del 1926 tornò a vivere nella campagna forlivese. Benché sottoposto al controllo poliziesco e al rischio incombente di perquisizioni e provvedimenti di arresto, riuscì a impostare un lavoro culturale di ampio respiro. Nel 1928 iniziò la collaborazione editoriale con Benedetto Croce e Giovanni Laterza, nell’ambito della quale tradusse le opere di intellettuali di frontiera come Marcel Déat, Henri De Man, George Douglas H. Cole e Harold J. Laski; autori attraverso i quali intese richiamare l’attenzione sul problema di un rinnovamento della concezione dottrinaria del socialismo. Una parte di queste traduzioni confluì nella Biblioteca di cultura moderna diretta da Croce. Nella stessa collana Schiavi promosse la pubblicazione di una breve serie di saggi biografici sulla storia del movimento operaio italiano. La collaborazione con Laterza proseguì intensamente fino alla metà degli anni Trenta, quando l’inasprirsi della censura rese impossibile la prosecuzione dei progetti editoriali intrapresi.
Nella seconda metà di quel decennio assunse particolare rilievo il legame con la redazione del mensile I problemi del lavoro, fondato a Milano nel 1927 da Rinaldo Rigola e da altri ex dirigenti sindacali. La rivista costituì per Schiavi un canale importante verso il dibattito europeo. Su alcuni temi fondamentali, comunque, il dissenso con il gruppo di Rigola rimase molto forte. Schiavi non accettò mai l’idea di una collaborazione tecnica con il corporativismo fascista e continuò, invece, a giudicare irrinunciabili le libertà sindacali e politiche negate dal regime.
Nel corso del 1941 si mise alla ricerca dei carteggi di Turati e, specialmente, della corrispondenza con Anna Kuliscioff. La volontà di recuperare quelle fonti si collocava all’interno della sua riflessione sull’Italia e sull’Europa del dopofascismo e sull’importanza che in quei futuri scenari avrebbe assunto – secondo le sue speranze – il patrimonio di esperienze del socialismo riformista. Andreina Gavazzi Costa, figlia di Kuliscioff e Andrea Costa, gli consegnò nel 1942 le carte di Turati in suo possesso. Schiavi iniziò immediatamente la curatela dell’imponente carteggio Turati-Kuliscioff (F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, I-VI, Torino 1949-1959).
Alla fine del 1944, con la liberazione della Romagna, tornò all’impegno nella vita pubblica, a livello sia locale sia nazionale. Nell’estate del 1945 venne nominato alla Consulta nazionale, dove presiedette il gruppo socialista. Sostenitore di una posizione pienamente autonoma dal PCI (Partito Comunista Italiano), si trovò presto in minoranza all’interno del partito e nel 1946 non venne candidato all’Assemblea costituente. Nel gennaio del 1947 aderì alla scissione socialdemocratica, detta di Palazzo Barberini, uscendo dal Partito socialista per aderire al PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano) di Giuseppe Saragat.
Nel 1948 venne nominato vicepresidente della Banca nazionale del lavoro. L’anno successivo fondò a Roma il Centro italiano di solidarietà sociale che, in quegli anni, realizzò una serie di colonie marine e montane e promosse corsi di istruzione professionale. Sempre nel 1949 venne chiamato alla presidenza del comitato direttivo dell’Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano. Seguì con attenzione e collaborò alla nuova stagione di studi che prese il via con la rivista Movimento operaio diretta da Gianni Bosio e, più in generale, con le iniziative nate intorno alla Biblioteca Feltrinelli di Milano. Nel 1951 fu tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d’Europa, associazione sovranazionale nata per la difesa delle libertà locali e la promozione dell’unità europea a partire dai gangli vitali della vita politica e sociale delle nazioni: i Comuni democratici. A Schiavi venne affidata la presidenza della Commissione per le finanze comunali. L’anno successivo nacque a Roma l’Associazione italiana per il consiglio dei Comuni d’Europa, da lui presieduta. Nelle elezioni politiche del giugno del 1953 venne eletto senatore per il PSDI e fu tra i rappresentanti italiani all’assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dove partecipò ai lavori della Commissione per gli affari sociali.
Morì a Forlì il 17 maggio 1965.
Fonti e Bibl.: Le sue carte sono conservate presso l’Archivio di Stato di Forlì e la Biblioteca comunale Aurelio Saffi di Forlì, che custodisce anche la sua biblioteca personale.
A. S. Indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo ’900, a cura di M. Ridolfi, Cesena 1994; Europeismo e municipalismo. A. S. nel secondo dopoguerra, a cura di P. Dogliani, Cesena 1996; A. Schiavi, Diari e note sparse. 1894-1964, a cura di C. De Maria - D. Mengozzi, Manduria 2003; Inventari delle carte e bibliografia degli scritti di A. S. negli archivi forlivesi, a cura di F. Monti - C. De Maria, Manduria 2003; A. Schiavi, Carteggi, I-II, a cura di C. De Maria, saggio introduttivo di D. Mengozzi, Manduria 2003-2004; S. Bianciardi, A. S. La casa e la città, Manduria 2005; A. Schiavi, Nel socialismo italiano ed europeo, a cura di G. Silei, Manduria 2005; A. S. Il socialista riformista, a cura di G. Silei, Manduria 2006; A. S. e un’idea d’Europa. Scritti e discorsi, a cura di C. De Maria, Bologna 2007; C. De Maria, A. S. Dal riformismo municipale alla federazione europea dei comuni. Una biografia: 1872-1965, Bologna 2008. Per la sua attività nelle istituzioni parlamentari si veda http://www.senato.it/ leg/02/ BGT/Schede/Attsen/00009565.htm (6 gennaio 2018).