Sardi, Alessandro
Poligrafo (Ferrara 1520 c. - ivi 1588), fu memorialista, critico, studioso di scienze antiquarie, e soprattutto, con i Libri cinque della Historia Estense dedicati al duca Alfonso II e conservati manoscritti nella biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, storico dello stato estense al pari del padre Gaspare, ma " molto migliore del padre ", secondo R. Bacchelli. Gli scritti del S. sono in gran parte inediti, e forse ancora dispersi - se vogliamo usare una pittoresca espressione del Barotti - " negli armari tra la polvere e le tarme ". Sei discorsi furono stampati nel 1586 e ristampati nel 1636 a Venezia, in unico volume, col titolo: Discorsi del S. Alessandro Sardo Della Bellezza. Della Nobilità. Della Poesia di Dante. De i Precetti Historici. Delle qualità del Generale. Del Terremoto. Il terzo discorso (Della Poesia di D., considerata nello Inferno), rivolto a Orazio Malagucci, è il più esteso ed è " quello per cui il volume ha qualche pregio per i raccoglitori " (Bongi).
Trattasi di una dissertazione che, esaminando in modo ovviamente sommario, ma anche con qualche esteriore minuziosità, valori retorici e aspetti morali e filosofici della prima cantica, e illustrandone l'ordinamento complesso e ingegnoso, sostiene esser D. " buono e primo poeta eroico nella nostra lingua ": " Adunque se D. ha in versi eroici narrato vivamente una azione vera e illustre, se la ha ampliata con narrazioni favolose connesse e dipendenti, se vi ha posto tutti gli ornamenti poetici, se continuamente ha tenuto la mira all'allegoria, così, conducendo l'uomo alla cognizione di Dio, non solamente egli è buono poeta, ma ancora è perfetto poeta: perché perfetto è quello che non manca del proprio fine ". E precisa che a levargli tale perfezione non valgono " il titolo, che ad alcuni appare impertinente a quello poema, il miscuglio e le innovazioni delle voci, la bassezza e la viltà di alcune comparazioni vituperate da altri, e gli errori creduti in lui ".
Oltre alle varie cause del titolo di Comedia che il S. illustra (volontà di " fuggir l'arroganza ", essendo il poema composto " in stile mediocre e alle volte umile "; presenza nel poema di persone non sempre illustri, come quelle che popolano la Tragedia di Virgilio, " ma mediocri e anco basse "; possibile riferimento alla commedia antica, di Aristofane e poi di Plauto, ove entrano persone di " diversa qualità " e si biasimano i loro vizi e peccati; possibile riferimento alla commedia nuova, di Menandro, ove " lo stato reo e vizioso si tramuta in buono e virtuoso "), interessa il discorso sul " miscuglio delle voci ", secondo il quale D. non solo seguì Omero riproducendo la " varietà delle lingue ", ma anche fece toscane tutte le parole da lui usate, " nel modo medesimo che i poeti e gli oratori romani fecero romane e latine quelle straniere ": un riconoscimento del plurilinguismo dantesco (e della molteplicità, della varietà dantesca) che vuol conciliarsi con i miti cinquecenteschi della purezza, dell'armonia, dell'unità.
Bibl. - G. Ferri, in Numinum et Heroum Origines di A.S., Roma 1775; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, 750, e IV, ibid. 1749, 257, 589; G. Barotti, Memorie de' letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, 199-203; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, II, ibid. 1804, 159; Biografia universale antica e moderna, LI, Venezia 1829, 104-105; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, II, Roma 1895, 402-403; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Milano 1958, 296-297.