SACCHETTI, Alessandro
– Nacque a Roma nel 1589 da Giovanni Battista e da Francesca Altoviti.
Apparteneva a un ramo della famiglia di banchieri e mercanti fiorentini trasferitosi nella città dei papi intorno al 1573 e in forte ascesa grazie ai solidi contatti intessuti all’interno della curia pontificia. Sotto la guida del padre, infatti, il fratello Giulio si era avviato alla carriera ecclesiastica, mentre gli altri fratelli – Marcello, Matteo e Giovan Francesco – apparivano impegnati nella conduzione del banco, nelle intraprese mercantili, negli investimenti finanziari, nella gestione degli uffici della corte di Roma.
Mancano notizie sui suoi studi e sulla sua formazione. Di sicuro però non volle adattarsi a intraprendere una professione nei campi del diritto o dell’economia, come sarebbe stato lecito attendersi. Morto il padre nel 1620, iniziò subito e con decisione la carriera militare. Nel 1621, come molti altri gentiluomini toscani intenzionati a combattere a fianco degli Asburgo, si trasferì nella Germania sconvolta dalla guerra dei Trent’anni, accompagnato da una lettera di Cristina di Lorena, madre del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici.
Sacchetti appare nelle fonti attivo come cavalleggero ‘venturiere’, ovvero senza una carica formale, accanto ad altri giovani nobili romani (come Virginio e Cosimo Orsini) e fiorentini (come Vincenzo Landi). Tutti seguivano Torquato Conti, in quei mesi impegnato contro il principe transilvano Bethlen Gábor a sud del Danubio. Ma questa sua prima esperienza si concluse presto, entro il 1623. Nell’autunno di quell’anno, infatti, si trovava nelle Fiandre, dove secondo gli Avvisi di Roma era arrivato «per sua curiosità» (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 1094, c. 94r). Nella seconda metà di dicembre la Segreteria pontificia lo richiamò in Italia, offrendogli il grado di governatore generale dell’armi di Romagna con 80 scudi al mese di stipendio.
La promozione si doveva al nuovo clima originato dall’ascesa al soglio pontificio di Urbano VIII. Con la famiglia Barberini, infatti, i Sacchetti avevano rapporti consolidati, che si tradussero quasi immediatamente nella nomina di Marcello a depositario generale (e tesoriere segreto) del papa e che, di lì a poco, avrebbero determinato la nomina del fratello Giulio prima a nunzio in Spagna e poi a cardinale. Per Alessandro si era anche ventilato il comando di una delle galere pontificie, ma le voci non erano state poi confermate.
Rientrando dalle Fiandre nella penisola nelle settimane a cavallo tra il 1623 e il 1624, Sacchetti passò in Valtellina, dove operava un esercito pontificio, inviatovi dal predecessore di papa Barberini, Gregorio XV, allo scopo di presidiare la valle e i suoi forti. Il quadrante infatti, dopo che nel 1620 i cattolici si erano sollevati contro i Grigioni protestanti, sembrava destinato a fornire un casus belli alla rivalità franco-spagnola. Urbano VIII aveva inviato sul posto, nell’ottobre del 1623, un fratello di Alessandro, Giovan Francesco, con l’incarico di commissario generale delle truppe, ovvero di ufficiale più alto nel settore dell’amministrazione militare. Alessandro verosimilmente collaborò con lui, in particolare nella revisione degli organici delle compagnie arruolate. Quindi, il 24 marzo 1624, arrivò a Rimini, sede del governatore dell’armi di Romagna. Aveva istruzioni di concentrarsi sul governo delle milizie territoriali per farne un bacino di arruolamento per i contingenti professionisti. In questo compito trovò molte difficoltà. Con migliori risultati si occupò delle fortificazioni della provincia. Nella stessa Rimini promosse lavori alla rocca e vi istituì una scuola di artiglieria.
In Valtellina la situazione degenerò nell’inverno 1624-25, quando i francesi invasero la valle e ne espulsero i soldati pontifici. Il papa reagì con decisione, allestendo un corpo di spedizione da inviare nell’Italia settentrionale sotto il comando di Torquato Conti. Sacchetti ebbe il grado di sergente maggiore (ossia di secondo in comando) in uno dei tre reggimenti arruolati, inizialmente concentrato nel Ferrarese. Alla fine del 1625 l’esercito arruolato fu rivisto in previsione di un suo ritorno in forze nella valle. Conti ne avrebbe mantenuto il comando coadiuvato da tre mastri di campo, tra cui Sacchetti.
Le truppe pontificie rimasero nel Ferrarese per tutta la primavera del 1626 e solo in maggio raggiunsero Monza. La ratifica del trattato di Monçon tra Francia e Spagna, che faceva della valle una zona neutrale, cambiò gli obiettivi della missione. Usciti di scena i due principali contendenti, le forze pontificie avrebbero dovuto controllare le mosse degli alleati della Francia, i veneziani e i Grigioni svizzeri, combattendoli in caso si fossero opposti alla prevista restituzione dei forti ai pontifici, in vista della loro demolizione. Fu proprio il reggimento di Sacchetti – insieme a quello sotto il comando di Giuseppe Ginetti – a occuparsi di questa operazione, conclusa entro il febbraio del 1627.
Fra il 1627 e il 1628 Sacchetti tornò in Germania. Non si conoscono dettagli sul teatro di operazioni nel quale fu impegnato. Ebbe un incarico stipendiato, che però i fratelli Matteo e Giulio giudicarono non adeguato a paragone con le spese sostenute. Così, dopo un soggiorno a Vienna, nella vana speranza di ottenere un comando superiore, rientrò in Italia alla fine di novembre 1628. Inizialmente, la corte pontificia pensò di affidargli la difesa delle province settentrionali dello Stato della Chiesa. Si era infatti in un momento delicato, poiché, dopo l’inizio della guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, un esercito francese era sul punto di entrare nell’Italia settentrionale in soccorso del pretendente Carlo Gonzaga di Nevers. Tuttavia, l’ipotesi non venne realizzata: altri ufficiali, come Pietro Aldobrandini, non intendevano riconoscere la sua autorità. Così, nell’estate del 1629, quando era imminente la discesa in Italia di un esercito imperiale per cacciare Nevers da Mantova, Sacchetti appare attivo solo come comandante di reggimento dislocato nel Bolognese. Soltanto a metà settembre del 1630 ricevette la nomina a generale delle armi di Ferrara, dove si trovava anche il fratello Giulio, creato cardinale il 19 gennaio 1626 e legato di Ferrara il 17 marzo 1627. Sacchetti rimase in carica solo un anno circa. Nel maggio del 1631 era già a Roma. Non si hanno notizie di suoi ulteriori incarichi di comando.
Dopo il 1637, morto il fratello Giovan Francesco, divenne il capo laico della famiglia, sempre molto unita e appoggiata al sostegno del cardinale Giulio. Non pensò a sposarsi, ma proseguì alcune iniziative già avviate dai fratelli, come i lavori alla villa romana detta del Pigneto. Concepì nuovi progetti, comprendenti anche un ninfeo, documentati da pagamenti per sculture e per lavori in stucco: fino al 1644 furono spesi 10.400 scudi.
Gli interessi di Sacchetti erano estesi anche alla pittura. Fu amico di Guido Reni: con certezza gli appartenne l’Anima beata (detta anche l’Amor divino). Nelle sue stanze all’interno del palazzo di famiglia del rione Ponte, preso in affitto dagli Sforza, si trovavano ritratti, tra cui quello di Urbano VIII di Pietro da Cortona oggi ai Musei Capitolini, quadri di argomento storico e religioso, arazzi con le storie di Alessandro Magno. Commissionò verosimilmente allo stesso Pietro da Cortona la Vittoria di Alessandro Magno su Dario, sempre ai Capitolini.
Morì a Roma nel 1648.
Fonti e Bibl.: I. Fosi, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma 1997, ad ind.; C. Sodini, L’Ercole Tirreno. Guerra e dinastia medicea nella prima metà del ‘600, Firenze 2001, ad ind.; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa. 1560-1644, Roma 2003, ad ind.; L.H. Zirpolo, Ave Papa, Ave Papabile: the Sacchetti family, their art patronage, and political aspirations, Toronto 2005, ad ind.; J.M. Merz, Pietro da Cortona and Roman Baroque architecture, New Haven 2008, pp. 139-141.