ROSSI, Alessandro
– Nacque a Schio il 21 novembre 1819 da Francesco e da Teresa Beretta, quinto di sette figli.
Così lui stesso descrisse un itinerario familiare e imprenditoriale con radici nella pastorizia e nella manifattura: «Mio bisavolo era pastore nei Sette Comuni, mio avolo ne scese mercante di lane e fittuario, mio padre fondò nel 1817 quell’industria che io continuai e continueranno i miei figli senz’altro blasone che l’onestà, spero, e l’amor del prossimo» (Fontana, 1990, p. 41).
La biografia di Alessandro Rossi, riconosciuto capofila dell’industrialità italiana – imprenditore leader del settore laniero italiano nel secondo Ottocento, deputato e senatore, protagonista del dibattito sulle politiche economiche, pubblicista – costituisce un tassello significativo della storia della regione veneta e ne rispecchia le tipicità: la particolarità di un cattolicesimo che esprimeva una ‘religiosità naturale’ e diffusa, la presenza di un clero capillarmente inserito nelle reti associative, il mantenimento del nesso tra imprenditoria e agricoltura e il suo rinnovamento nella chiave del controllo sociale, una rappresentanza politica ben radicata localmente che non necessitava della legittimazione romana e non ne rincorreva le dinamiche sono alcuni degli elementi alla base della ‘genealogia’ di un modello di sviluppo che si inoltra fino alla fine del Novecento, quando il Veneto emerge come protagonista dello sviluppo nella ‘terza Italia’.
La sua famiglia, già affermata nell’ambito di lavorazione e vendita della lana che caratterizzava da secoli l’economia scledense, lo educò amorevolmente e con fermezza nel segno della fede cattolica. La madre apparteneva a una delle più importanti dinastie di lanaioli della zona di Schio ed era nipote di Sebastiano Bologna, senatore e notabile del Regno d’Italia; donna energica e attiva, fu molto presente nella formazione morale e religiosa dei figli, due dei quali, Giovanni e Gaetano, scelsero il sacerdozio. Nel 1809 il padre di Rossi era passato dall’attività commerciale e agricola a quella industriale; nel 1839 il suo opificio, con circa 160 operai, poteva contare su una rete commerciale estesa all’Italia settentrionale.
Alessandro intraprese gli studi nel seminario vescovile di Vicenza, dove ebbe come precettore il gesuita Andrea Sandri, con il quale condivise sentimenti antiaustriaci e patriottici. Non si iscrisse all’università, ma nel 1836 entrò nella fabbrica paterna come operaio e dopo tre anni fu chiamato a condividere la direzione dell’azienda.
Si distinse per l’attitudine a coltivare studi economici ma anche storici, sociologici, filologici e letterari, che condusse assiduamente per tutta la vita, così come amò dedicarsi alla composizione di versi e poemetti. Si avvicinò al pensiero degli illuministi inglesi e francesi anche attraverso la frequentazione dell’abate Pietro Maraschin, insigne geologo e studioso in contatto con gli ambienti più qualificati della cultura europea. Il suo fidanzamento con Maria Maddalena Maraschin (1825-1905), figlia di Giovanni, possidente e amministratore di cospicui beni finanziari e nipote dell’abate Pietro, gli consentì di frequentare la biblioteca di quest’ultimo, dove studiò sistematicamente i fisiocrati e opere di politica economica (di Adam Smith, Joseph Priesley, Jeremy Bentham, John Stuart-Mill, Edmund Burke, David Ricardo e altri) mettendo particolarmente a fuoco il tema dei rapporti tra agricoltura e industria.
Fra il 1841 e il 1842 intraprese un lungo viaggio in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Lussemburgo: «Partii con un doppio proposito, di ammirare quante più opere del genio umano fossero state create nelle arti, e di vedere quante più macchine lo stesso genio dell’uomo andava inventando [...] tre forze mi attraevano, di cui noi eravamo scarsi e mancanti: quella dell’acciaio, del vapore e dell’elettricità» (Cappi Bentivegna, 1955, p. 73). Grazie anche alle commesse per conto della ditta presso Manchester, Oldham, Birmingham, Sheffield, visitò fabbriche, fonderie, tintorie e miniere (Avagliano, 1970, p. 33); inviò sistematicamente dettagliati resoconti al padre sugli affari in corso e si interessò sia agli aspetti tecnici della produzione sia allo stato del lavoro operaio e particolarmente al degrado delle condizioni di vita nelle grandi concentrazioni industriali. A Parigi entrò in contatto con i sansimoniani e si abbonò alla loro rivista, il Globe.
I suoi rapporti con il mondo industriale europeo si consolidarono nel tempo e si concretizzarono attraverso l’importazione di macchinari, tecnici, impiegati e dirigenti, con il concorso dei quali trasformò radicalmente l’assetto produttivo dei suoi stabilimenti. La costruzione di una rete informativa e relazionale divenne uno dei principali fattori del suo successo imprenditoriale e politico, sostenuta, come dimostra il ricchissimo carteggio, da un’eccezionale vena epistolare. In particolare, strinse rapporti e amicizie personali a Verviers, capitale laniera del Belgio, un ambiente per lui fondamentale sotto il profilo dell’aggiornamento tecnologico e dal punto di vista della riflessione intellettuale, che attinse a un milieu pervaso sia dal laicismo liberale sia dal cattolicesimo sociale.
Il padre morì nel 1845 e Alessandro gli succedette nella direzione dell’azienda, procedendo al rinnovamento degli impianti con l’acquisto della filatrice meccanica Mull-Jenni, l’introduzione della prima macchina a vapore e dei primi telai meccanici.
Il 3 novembre 1846, dopo sei anni di fidanzamento, sposò Maria Maddalena Maraschin, dalla quale ebbe undici figli (Francesco, Giovanni, Teresa, Giuseppe, Gaetano, Luigi, Caterina, Maddalena, Luigia, Antonio e Anna Maria).
Venne arrestato per un breve periodo durante le agitazioni quarantottesche e in seguito sorvegliato dalle autorità austriache, che gli ritirarono il passaporto.
Tra il 1852 e il 1857 acquistò altri lanifici di Schio, allargando l’area dell’azienda verso la zona collinare; nel 1859 cominciarono i lavori di ampliamento dell’opificio, affidati ad Antonio Caregaro Negrin, celebre architetto vicentino e patriota. Nel contempo avviò il progetto di costruzione del giardino Jacquard, che si sviluppava come un teatro all’aperto di fronte alla fabbrica principale ed esprimeva in embrione la concezione insieme ricreativa e allegorica poi applicata nella progettazione del nuovo quartiere operaio. Nel 1865 acquistò a Sant’Orso l’antica villa Bonifacio-Velo, con la chiesa di S. Spirito e gran parte dei terreni circostanti, la ristrutturò nel solco della tradizione secolare che aveva popolato il Veneto di ville padronali e ne fece la dimora di famiglia.
Nel 1861 avviò la costruzione della ‘fabbrica alta’, progettata dal belga Auguste Vivroux, che racchiudeva al suo interno tutte le varie fasi della lavorazione della lana e fu l’edifico-simbolo di una nuova stagione, pensato per rispondere alle occasioni aperte con il raggiungimento dell’Unità d’Italia. In quell’anno l’azienda contava ottocento operai e un fatturato di tre milioni di lire, con ‘case di vendita’ a Biella, Firenze, Milano, Napoli e Padova; all’Esposizione internazionale di Londra del 1862 l’impresa si presentava completamente meccanizzata e verticalizzata. Nel 1865 Schio raggiunse la massima concentrazione industriale dell’area vicentina e dopo l’annessione del Veneto all’Italia il Lanificio Rossi (poi noto come Lanerossi) si avviò a dominare il mercato nazionale.
La partecipazione all’Esposizione internazionale di Parigi, nel 1867, contribuì a stimolare ulteriori iniziative imprenditoriali con la creazione ex novo di un impianto dotato delle tecniche più avanzate nella produzione di filati pettinati, inaugurato a Rocchette-Piovene nel 1869 insieme alla costruzione di un impianto idraulico, per la produzione della necessaria forza motrice, per il cui finanziamento Rossi si rivolse a capitalisti veneti, lombardi, belgi e svizzeri. Nel 1868 costituì una nuova società in accomandita semplice, la Alessandro Rossi e C., che come soci accomandatari aveva lo stesso Rossi e l’ingegnere Ernesto Stumm, e costruì altri stabilimenti con i quali l’azienda si allargò nella zona dell’alto Vicentino.
Fu eletto deputato nel collegio di Schio per due legislature, il 25 novembre 1866 e poi, il 10 marzo 1867, nelle file della Destra; non si ricandidò a causa delle responsabilità che lo trattenevano a Schio, ma nel 1870 venne nominato senatore e divenne una figura ponte tra ambiente politico e mondo imprenditoriale. Il suo apporto fu guidato da un forte spirito pragmatico, non dall’appartenenza agli schieramenti, e il principale obiettivo della sua vita politica fu il potenziamento dell’Italia industriale, a partire dalle condizioni economiche reali e dalla valorizzazione delle tradizioni umane e sociali tipiche di un Paese a vocazione manifatturiera. Esaltò la nazione e le sue risorse, denunciandone al contempo i profili di arretratezza (nelle infrastrutture, nella scarsa disponibilità di capitali) sullo sfondo delle sfide poste sia dai Paesi più industrializzati sia dai grandi produttori di materie prime. Avversò l’eccessivo rigore di Silvio Spaventa e di Quintino Sella, sostenne il suffragio universale maschile e i propositi di riforme sociali di Agostino Depretis. Nel 1872, insieme a Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, fece parte della commissione Jacini per l’inchiesta agraria.
Per tutto l’arco degli anni Sessanta fu morbidamente liberista, convinto che l’industria per sua natura fosse ‘cosmopolita’. Lamentò tuttavia lo scarso studio e la superficialità con i quali, da parte governativa, erano stati redatti i trattati commerciali. Cominciò a sviluppare un pensiero incline al protezionismo nel corso degli anni Settanta, con interventi che affrontarono i problemi della sovrapproduzione industriale in un mercato internazionale non regolato, il risultato negativo della libera concorrenza sui salari operai e il ruolo crescente del capitalismo finanziario, che faceva scendere o salire i prezzi indipendentemente da cause economiche.
Osservando le politiche dei vari Paesi europei considerò come il liberismo fosse diventato una retorica staccata dalla prassi e, guardando al mondo tedesco, si spese sempre più energicamente, fino a guidare la battaglia parlamentare, per l’adozione di dazi protezionistici in grado di dare impulso all’industria nazionale. Con lui dissentì a questo proposito, tra gli altri, l’amico Fedele Lampertico. Quest’ultimo gli fu invece accanto quando, in appoggio alla politica coloniale di Crispi, avviò iniziative di sostegno alla colonizzazione agricola in Eritrea e all’attività missionaria cattolica assieme a un altro vicentino, Attilio Brunialti, con il quale condivise anche l’interesse per i viaggi e le esplorazioni geografiche. Tra le sue battaglie vi fu quella per lo sviluppo della Marina mercantile italiana, della quale stigmatizzò l’arretratezza dovuta all’inerzia degli armatori e al mancato rinnovamento tecnologico della flotta.
Fu un instancabile comunicatore: al suo attivo si contano circa 250 pubblicazioni, soprattutto in forma di conferenze, discorsi parlamentari, interventi a tema. Con uno stile disinvolto, eclettico, spesso ironico e pungente, divulgò le sue convinzioni e polemizzò con i suoi avversari per influenzare e convincere la classe dirigente ad affrontare i «grandi problemi della produzione e del traffico internazionale in un’epoca di integrazione mondiale dei mercati» (Lanaro, 1971, p. 53 ). Non gli interessò fondare un suo giornale, ma collaborò in particolare alla Rassegna nazionale con articoli e una rubrica fissa, alla Nuova Antologia, al Sole, al Giornale delle Colonie, spesso sostenendo finanziariamente le testate.
Si occupò costantemente dell’organizzazione, della formazione professionale e dell’educazione ‘morale’ della nuova generazione operaia, sradicata dalle antiche consuetudini e costretta ai tempi e alla disciplina di fabbrica; fu l’artefice di un ampio disegno di patronage impostato sull’idea della condivisione degli utili d’impresa con le maestranze attraverso istituzioni per la tutela dei lavoratori e delle loro famiglie. Sul significato delle sue pionieristiche realizzazioni gli studi hanno espresso differenti valutazioni, dall’esaltazione agiografica alla sottolineatura dei tratti autoritari e contrari all’organizzazione di classe evidenti nel suo operato. Nel 1861 fondò a Schio una Società di mutuo soccorso e nel 1867 un asilo per bambini dai 3 ai 7 anni, aperto ai figli di operai anche non dipendenti del Lanificio e fornito di palestre, servizio sanitario, sale da bagno e di giochi, con un parco di tremila metri quadrati.
A partire dal 1872 cominciò la grande opera di ammodernamento del centro laniero, secondo un piano regolatore che non previde sventramenti, ma la costruzione di una Nuova Schio con scuole, biblioteche, bagni pubblici, teatro, chiesa e ospedale: una «città sociale» come «strumento di salvaguardia e riscrittura al tempo stesso della cultura contadina nell’età della produzione di massa e del lavoro salariato» (Lanaro, 1984, p. 73). Il progetto, basato su un’ampia ricognizione della casistica europea e ispirato al modello delle città-giardino, venne affidato all’architetto Antonio Caregaro Negrin. L’insediamento del nucleo familiare operaio in un abitato armonico, gerarchico e differenziato al suo interno, anche per il costo delle abitazioni, mirava a incentivare il risparmio e il desiderio di miglioramento sociale. Agli inizi del 1876, quando risultò un rallentamento nel progresso dei lavori, acquistò personalmente dalla società anonima, costituita nel 1873, il nuovo quartiere, che intestò ai figli maggiori Francesco e Giovanni. Nello stesso periodo promosse la realizzazione di vie di comunicazione stradali e ferroviarie nell’area alto vicentina. Non fu invece favorevole all’introduzione di provvedimenti per il controllo governativo sul lavoro minorile e femminile nelle fabbriche, ritenendoli lesivi dell’autonomia imprenditoriale nei confronti delle maestranze e su questo punto polemizzò in particolare con Luigi Luzzatti.
La crisi che investì l’industria italiana negli anni Settanta portò l’azienda a fondersi, nel 1873, con altre tre imprese del settore tessile. Ma fu la contemporanea scelta di costituire una società anonima a rendere l’imprenditore protagonista di una svolta storica. Nella visione rossiana questa forma societaria, trovando in se stessa la garanzia delle risorse finanziarie, aveva il pregio di affrancare l’impresa dalla dipendenza dagli istituti bancari. Il riassetto aziendale fu basato su un sistema di quattro ‘gerenze autonome’, delle quali Rossi volle fortemente tutelata l’indipendenza dal consiglio di amministrazione, due delle quali con a capo i figli Giovanni e Gaetano. L’anonima, con un capitale di 30 milioni di lire diviso in 120.000 azioni, ebbe come principale azionista l’industriale cotoniero Eugenio Cantoni, mentre Alessandro Rossi ricoprì le cariche di direttore generale tecnico e di presidente. Il titolo VI dello statuto era dedicato alle istituzioni operaie: il 10% degli utili netti dell’anonima veniva diviso a metà tra le istituzioni operaie e Alessandro Rossi, che poi rinunciò alla sua spettanza.
Il suo impegno personale in tutte le fasi di crescita e riassetto aziendale fu costante e minuzioso. Cruciale fu l’attenzione rivolta all’andamento del mercato interno e al mutamento dei consumi, prima guardando alle classi medie e poi puntando sull’aumento della capacità di acquisto di quelle «popolane», con l’avvio di un’efficace attività pubblicitaria (Avagliano, 1970, p. 43).
Nelle sue riflessioni sull’istruzione secondaria denunciò la scarsa attenzione della classe dirigente al settore professionale, incoraggiando una pedagogia che avvicinasse la nazione alla civiltà industriale e la liberasse dal burocratismo, in un intreccio fecondo tra «arti usuali» e «arti liberali»; gli Stati Uniti e il modello americano del self made man rappresentarono per lui la realizzazione di un progresso fondato sulla libertà, il senso del dovere e lo spirito pratico, qualità che ritenne alla base della costruzione di una civiltà fondata su una «vera democrazia cristiana» (A. Rossi, L’etica del successo, 1895, cit. in Avagliano, 1998, p. 180). Nel 1877 promosse e finanziò la fondazione della Scuola industriale di Vicenza, in collaborazione con Lampertico, mentre l’anno dopo costruì a sue spese l’asilo di maternità per bambini fino ai tre anni di vita.
Nel 1879 fu inaugurato a Schio il monumento al tessitore (un operaio con la navetta in mano), commissionato allo scultore Giulio Monteverde; sul basamento, tra le altre, la massima «eguali dinnanzi al telaio come dinnanzi a Dio». Nel 1883 creò a Sant’Orso un podere-modello, con frutteti, viti, ortaggi, una Scuola di orticoltura e pomologia e una fabbrica di conserve alimentari pubblicizzate con tecniche grafiche raffinate e slogan innovativi quale, ad esempio, «Non è più il tempo che Berta filava».
Rossi si dimise dalla presidenza del Lanificio nel 1892, ma continuò l’attività finanziaria, politica e pubblicistica. Pianificò l’inserimento della terza generazione rossiana nell’anonima e seguì con affetto la formazione dei figli, impostata sulla formazione tecnica e umanistica, con frequenti viaggi all’estero di studio e lavoro. Per il figlio maggiore, Francesco, nel 1878 acquistò la cartiera di Arsiero, che vide con ciò rilanciata l’attività produttiva.
Negli ultimi anni di vita dell’imprenditore il Lanificio continuò a crescere, impiegando alla fine del secolo 5000 operai e aumentando le sue quotazioni in Borsa.
Dopo una breve malattia, morì il 28 febbraio 1898 nella tenuta di Sant’Orso.
La sua città gli eresse nel 1902 un monumento in bronzo dell’architetto Monteverde e diede il suo nome alla piazza del Duomo. I figli e i numerosi discendenti di Alessandro Rossi continuarono a essere presenti nell’assetto societario e imprenditoriale della Lanerossi nella prima metà del Novecento, con una dispersione progressiva culminata nel 1959, quando uscirono dalla società i principali azionisti, guidati da Franco Marinotti, in concomitanza con la scalata borsistica al titolo del finanziere siciliano Michele Virgillito. Nel 1964 la società divenne proprietà dell’ENI e nel 1987 fu acquistata dai Marzotto, che smobilitarono gli stabilimenti a partire dagli anni Novanta e che tutt’ora mantengono la proprietà del marchio.
Opere. Appello agli industriali italiani, Monza 1867; Dell’arte della lana in Italia e all’estero, Firenze 1869; Prefazione a W.E. Channing, Della educazione personale e dello coltura di se stesso, Padova 1870; Di una nuova economia politica. Lettura di A. R. all’Accademia olimpica di Vicenza. 7 maggio 1871, Padova 1871; Lanificio Rossi. Discorso del Presidente del consiglio d’amministrazione e direttore generale tecnico comm. A. R. senatore del Regno all’assemblea generale dell’8 marzo 1874, Milano 1874; Di un progetto di legge sulle fabbriche. Risposta a Luigi Luzzatti, in Giornale degli economisti, 1877; Le trasformazioni dell’industria ed i loro effetti in Inghilterra e in America, in Nuova Antologia, 1877, n. 35, pp. 900-916, n. 36, pp. 424 ss.; Le trasformazioni industriali ed i loro effetti nella economia degli Stati, ibid., 1878, n. 38, pp. 301-321; Dell’odierna crisi della nostra marina mercantile, ibid., 1879, n. 48, pp. 326-375; Questione operaia e questione sociale, Torino 1879; Intervento all’Assemblea dei Comizi agrari della provincia di Vicenza dell’8 gennaio 1885, in Bollettino dell’Unione dei comizi vicentini, XVIII (1885), 2, pp. 22-36; L’etica del successo, Firenze 1895 (anche in L. Avagliano, A. R. Fondare l’Italia industriale, Roma 1998, pp. 175-205). Per l’elenco più aggiornato degli scritti di Alessandro Rossi cfr. G.A. Cisotto, Per una bibliografia delle opere di A. R., in Schio e A. R. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, a cura di G.L. Fontana, I, Roma 1985, pp. 779-793.
Fonti e Bibl.: Schio, Biblioteca civica Renato Bortoli, Sezione Archivi e fondi storici, Archivio personale del senatore Alessandro Rossi; A. R. Senatore del Regno. Ricordi, Schio XXVIII, febbraio 1899.
F. Cappi Bentivegna, A. R. e i suoi tempi, Firenze 1955; Il Nord nella storia d’Italia. Antologia politica dell’Italia industriale, a cura di L. Cafagna, Bari 1962, ad ind.; L. Avagliano, A. R. e le origini dell’Italia industriale, Napoli 1970; S. Lanaro, Mercantilismo agrario e formazione del capitale nel pensiero di A. R., in Quaderni storici, 1971, n. 1, pp. 48-156; E.M. Simini, Le origini a Schio, in La classe gli uomini e i partiti. Storia del movimento operaio e socialista in una provincia bianca: il Vicentino (1873-1948), prefazione di G. Quazza, a cura di E. Franzina, Vicenza 1982, pp. 149-180; S. Lanaro, Genealogia di un modello, e Id., Dopo il ’66. Una regione in patria, entrambi in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi. Il Veneto, a cura di S. Lanaro, Torino 1984, rispettivamente pp. 5-96 e 409-468; Schio e A. R. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, a cura di G.L. Fontana, I-II, Roma 1985-1986 (in partic. E. Franzina, Emigrazione, navalismo e politica coloniale in A. R. (1868-1898), I, pp. 569-621; G. Zalin, Federico List e A. R. Considerazioni sulle origini e sulla natura del protezionismo in Occidente, I, pp. 523-567); G. Fiocca, A. R., in Il Parlamento italiano. 1861-1988, VIII, Milano 1990, pp. 432 s.; G.L. Fontana, Mercanti, pionieri e capitani d’industria. Imprenditori e imprese nel Vicentino tra ’700 e ’900, Vicenza 1990, pp. 41-75; L. Avagliano, A. R. Fondare l’Italia industriale, Roma 1998; Ad A. R. 1898. Nel centenario della morte. 1998, a cura dell’ANLA, Gruppo Lanerossi anziani d’azienda, Schio 1998; Fedele Lampertico. Carteggi e diari 1842-1906, III, a cura di R. Camurri - G.L. Fontana, Venezia 2011, pp. 671-754; J. Condie - A. Ramsay, The Gardens of Venice and the Veneto, London 2013, pp. 211-218; Camera dei deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/ deputato/ alessandro-rossi-18191121; Archivio storico del Senato, I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/ web/ senregno.nsf/317f3dc642f7f5e5c1257114 00599b3a/c4e7085a9f36ebd54125646f005f2374?OpenDocument.
Desidero ringraziare per la preziosa collaborazione la dott.ssa Tiziana Cadaldini della Biblioteca civica Renato Bortoli di Schio e Alvise Rossi di Schio per le informazioni sulla famiglia Rossi.