RICCARDI, Alessandro
RICCARDI, Alessandro. – Nacque il 15 marzo 1678 da Francesco, originario di Fondi.
Dopo la prematura morte del padre, fu affidato alla tutela del nonno Alessandro. In seguito la madre sposò Giuseppe Lucina, intellettuale dotato di una vasta cultura.
Nel 1695 Riccardi fu protagonista di un episodio che movimentò la scena napoletana, contribuendo a fargli acquistare la fama di uomo tutt’altro che incline alla moderazione: nel duomo di Napoli schiaffeggiò un sacerdote che aveva preso dalla sorella Veronica la parola di unirsi in matrimonio con tale Giuseppe Maria Sorrentino senza il consenso suo e del nonno. La vicenda ebbe significativi echi politici. Ne fu investito il Collaterale, che attribuì alla Vicaria la delegazione a trattare la causa. Riccardi fu difeso da Nicolò Caravita, uomo di punta dello schieramento anticurialista, autore, in quello stesso anno, di un importante scritto sul S. Uffizio.
Caravita si mostrò molto abile nel patrocinio del suo assistito, attribuendo l’accaduto a intemperanza giovanile, negando che la violenza fosse stata consumata in prossimità della cappella del Tesoro di S. Gennaro, dove era custodito il sangue del santo, e utilizzando una testimonianza da cui risultava che l’inquisito non si era recato nel duomo munito di armi da fuoco.
Il primo significativo impegno pubblico di Riccardi fu, all’indomani della venuta degli austriaci (1707), la redazione di un memoriale che conteneva un nutrito programma di riforme. In esso si sosteneva la necessità di superare i molteplici ostacoli che impedivano lo sviluppo del Mezzogiorno, anzitutto l’ingente estrazione di risorse che avveniva costantemente a vantaggio della Corte romana. Era il preannuncio del successivo impegno di Riccardi in occasione della controversia beneficiaria. Ma il giurista aggiungeva che le migliaia di giovani che affollavano i tribunali, svolgendo un’attività del tutto improduttiva, avrebbero potuto più utilmente dedicarsi ai traffici commerciali.
Il testo riccardiano è una testimonianza eloquente di come gli esponenti più avvertiti della cultura giuridica napoletana fossero capaci di diagnosi lucidamente autocritiche: la scientia iuris doveva aprirsi alla considerazione delle dinamiche economiche e la mediazione ministeriale superare gli angusti moduli autocelebrativi che erano posti a presidio dell’arbitrio delle magistrature. Perciò Riccardi proponeva di sottoporre a sindacato i magistrati e di utilizzare la visita come strumento di controllo e di repressione degli abusi. Nel memoriale non mancavano di essere recepite proposte gradite all’aristocrazia. Tale era quella di estendere la successione feudale al quinto grado. Ma anche la richiesta di attribuire gli uffici ai regnicoli, altra tradizionale rivendicazione aristocratica, veniva giustificata in considerazione del fatto che i ministri stranieri sottoponevano sovente i nobili a trattamenti indegni del loro status. Quelle aperture erano attenuate dalla proposta di prevedere la nomina di un secondo eletto del popolo: proposta che, se attuata, avrebbe ridimensionato il peso della componente aristocratica all’interno della Municipalità napoletana. Ma il memoriale riccardiano rifletteva in maniera evidente la fluidità degli assetti politici che fu propria della fase immediatamente successiva alla svolta dinastica. In quel tornante l’aristocrazia puntò a realizzare una netta soluzione di continuità rispetto alla respublica dei togati. Ciò indusse anche un esponente del ceto civile come Riccardi ad accoglierne alcune richieste e a ritenere decisiva, ai fini della strutturazione dei nuovi assetti costituzionali, l’accurata predisposizione delle nuove istanze di grazie.
Di lì a pochi mesi quelle incertezze sarebbero state superate dall’imporsi del nuovo corso politico inaugurato da Serafino Biscardi. Sconfitte le aspirazioni politiche dell’aristocrazia, si affermò un modello di governo fondato su uno stretto raccordo fra il potere centrale e l’ala più avanzata del ministero togato. L’esautorazione, nel 1709, del Collaterale vecchio, ossia dei reggenti maggiormente legati alla tradizione, e l’istituzione, nel 1710, di una Giunta di commercio, la cui stessa composizione, aperta agli esponenti del mondo economico, segnava un superamento dell’esclusivismo giuridico, furono i principali effetti di quella svolta politica. Già nel 1708, attraverso l’emanazione di un editto che disponeva il sequestro delle rendite dei benefici ecclesiastici posseduti dai forestieri, la Corte dava infatti prova di un forte decisionismo in una materia cruciale, emblematica dell’intreccio esistente fra economia e giurisdizione.
In un Collaterale non ancora rinnovato si levarono diverse voci critiche o tese a dilazionare l’applicazione del provvedimento. Invece, Riccardi redasse a sostegno di quella misura le Ragioni del Regno di Napoli nella causa de’ suoi benefici ecclesiastici, [s.l.] 18 giugno 1708. Fu seguito da altri due esponenti della cultura giuridica moderna, Gaetano Argento con il De re beneficiaria.e Costantino Grimaldi con le Considerazioni teologico-politiche.
Il testo riccardiano si caratterizzava per l’uso di un linguaggio colorito e aspro. Il giurista non esitava a parlare di preti degni «più di zappa che di stola» (p. 11). Quanto alla pretesa dipendenza feudale del Regno di Napoli dalla Sede apostolica, era tesi di cui non si sarebbe riuscito a convincere nemmeno un «Cinese» o un «Timimambuso» (p. 23). Ma l’invettiva non era disgiunta dall’adozione di solide argomentazioni giuridiche. Essendo in contrasto con il diritto divino e naturale, la consuetudine di attribuire i benefici agli stranieri – notava Riccardi – non poteva dar vita a una valida prescrizione (ibid.).
Le repliche non si fecero attendere. Giovanni Bortoni redasse un’anonima Risposta alla scrittura pubblicata addi 18 giugno 1708 col titolo Ragioni del Regno di Napoli nella causa de’ suoi benefici ecclesiastici ([s.l.] 1708). Carlo Maiello pubblicò uno scritto intitolato Regni Neapolitani erga Petri cathedram religio adversus calumnias Anonymi vindicata (Napoli 1708).
La controreplica di Riccardi fu affidata alle Considerazioni sopra al nuovo libro intitolato Regni Neapolitani erga Petri cathedram religio adversus calumnias Anonymi vindicata (Cologna 1709). In quest’ultimo testo si avvertivano i segni di un giurisdizionalismo di tipo nuovo, per tanti versi anticipatore di quello giannoniano.
Riccardi, per esempio, prendeva le distanze dal cesaropapismo degli imperatori bizantini, a cui pure tradizionalmente gli anticurialisti guardavano come a un modello. Criticava, nel contempo, Ugo Grozio che, nel De imperio, aveva attribuito ai principi un dominio assoluto nelle materie religiose, e Roberto Bellarmino che, con i suoi schemi teorici, aveva finito per svilire oltre misura i poteri laici (pp. 111-115). Dallo scritto di Riccardi usciva inoltre fortemente ridimensionato il topos del principe protettore dei canoni. Il giurista notava infatti che le persone e i beni sacri, per la loro peculiare natura, non cessavano di essere soggetti alla giurisdizione del sovrano (p. 120). Né le esenzioni di cui godevano facevano venir meno il potere dei principi, i soli cui competesse concedere quei privilegi (p. 124). Al sovrano spettava decidere la destinazione non solo dei beni dei laici, ma anche di quelli sacri, al fine di assicurare il benessere dello Stato (pp. 125 s.). Perciò, nel vietare di attribuire i benefici agli stranieri, i principi assolvevano il compito di promuovere la ricchezza e la felicità terrena dei sudditi (pp. 11 s.). Notevole anche la polemica contro il tentativo di considerare materie di fede questioni che riguardavano la realtà naturale o il fondamento e i limiti del potere dei pontefici. Articolo di fede – notava il giurista – era esclusivamente il primato del pontefice, mentre l’estensione del suo potere di giudicare le cause delle chiese particolari era una mera questione di disciplina (pp. 52 s., 64-69). Nel chiudere le Considerazioni, Riccardi scriveva di aver dovuto interrompere il lavoro perché era già pronta l’imbarcazione che lo avrebbe condotto a Corte (p. 237).
Iniziò così la lunga esperienza barcellonese e poi viennese del giurista napoletano. Ed è da Barcellona che, all’inizio del 1711, Carlo III sollecitò ripetutamente il viceré Carlo Borromeo Arese a pagare a Riccardi gli emolumenti dovutigli (Ricuperati, 1970, p. 97): interventi evidentemente resi necessari da un’incrinatura intervenuta nei rapporti fra il giurista e settori importanti degli ambienti di governo napoletani.
Nel febbraio del 1710 la Curia romana proibiva gli scritti di Argento, Grimaldi e Riccardi sulla questione beneficiaria. Fu probabilmente in seguito alle pressioni di quest’ultimo che la corte di Barcellona deliberò, per ritorsione, nei confronti di Bortoni e Maiello, la drastica misura dell’espulsione dal Regno. Misura richiesta, fra l’altro, a Napoli, dalle deputazioni dei Capitoli, del S. Uffizio e dei Benefici. Ma le magistrature napoletane si pronunciarono contro l’adozione di quel provvedimento. La questione fu discussa in due sedute della Giunta di giurisdizione del marzo 1710 e dell’ottobre 1711. Si dichiarò nettamente contrario allo sfratto di Bortoni e Maiello anche un anticurialista intransigente come l’avvocato fiscale della Giunta Nicolò Caravita. Egli motivò la sua posizione con argomentazioni di stampo garantista: espellendo i due ecclesiastici senza un regolare processo, le magistrature napoletane avrebbero prestato il fianco all’accusa di incoerenza perché avrebbero rinnegato la battaglia da esse condotta contro il processo chiuso che adottava la Chiesa nel perseguire le eresie. Argento non mancò di criticare i toni usati da Riccardi nella controversia beneficiaria, sostenendo che lui e Grimaldi erano stati costretti a intervenire con i loro scritti per prendere le distanze da quel radicalismo. Eppure, Riccardi aveva dedicato le sue Considerazioni proprio ad Argento e in quell’opera non aveva mancato di citare ripetutamente il De re beneficiaria.
Riccardi percorreva intanto una carriera estremamente fortunata nelle magistrature viennesi. Profiscale e poi fiscale del Consiglio di Spagna (rispettivamente dall’aprile del 1714 e dal dicembre del 1717), nel 1723 fu preposto, insieme con Pio Nicolò Garelli, alla Biblioteca Palatina. A Vienna Riccardi, oltre a svolgere un rilevante ruolo politico, fu animatore della vita culturale. Nella sua casa si teneva «una fioritissima conversazione di uomini letterati» (Giannone, 1971, p. 99). Secondo la testimonianza giannoniana, era frequente che, durante quegli incontri, Riccardi commentasse le opere di Cartesio (ibid., p. 120): segno dell’influenza esercitata sul giurista napoletano dal filosofo di La Haye. Dalla Vita risulta anche il forte legame politico-culturale che collegava Giannone a Riccardi. Fu quest’ultimo a mettere in guardia lo storico dauno dalle «calunnie ed imposture» orchestrate contro di lui. Riccardi lesse l’Istoria civile «da capo a fondo» e, pur rimproverando all’autore alcuni «abbagli», la difese, sostenendo che era «dotta, sincera ed innocente» (ibid., p. 100).
Nel novembre del 1724 Riccardi decise di partire alla volta di Napoli (dove si era già fermato fra il 1713 e il 1714). Lo accompagnava la fama di anticurialista rigoroso e intransigente: «odioso» alla Curia romana, come ebbe modo di scrivere Giannone (ibid., p. 101). Infatti, durante il viaggio, a Roma, corse il rischio di essere arrestato dai cursori del S. Uffizio. A Napoli, dove giunse alla metà di dicembre del 1724, trovò un clima fortemente segnato dalla pretesa del cardinale Michele Federico Althann di imporre un indirizzo politico autocratico. Il viceré, puntando sull’acquiescenza della corte di Vienna, dovuta al fatto di essersi adoperato, con successo, per risolvere l’annoso problema dell’investitura, aveva inaugurato una politica tesa a demolire i capisaldi della tradizione anticurialistica e le fondamenta stesse della costituzione ministeriale.
Morì a Verona il 28 marzo 1726 in casa di Scipione Maffei, dove si era fermato durante il viaggio di ritorno a Vienna.
Le onoranze funebri celebrate a Napoli assunsero i caratteri di una sfida lanciata agli artefici del nuovo corso politico dagli intellettuali rimasti fedeli a un coerente impegno anticurialistico. Nel corso della cerimonia, celebrata nella chiesa di S. Pietro a Majella il 29 luglio, l’orazione funebre fu tenuta da un giovane e promettente giurista, Francesco Rapolla. Un altro giovane giurista, Giovanni Pallante, scrisse in quell’occasione un’Elegia, in cui esaltò l’anticurialismo di Riccardi e attaccò Giambattista Vico. Il grande filosofo appariva troppo accondiscendente nei confronti del nuovo establishment: ne aveva dato prova curando la raccolta di componimenti poetici apparsa in memoria della madre di Althann. Ma in quell’occasione Riccardi fu attaccato da Nicolò Capasso, che in un sonetto inveì contro la cerimonia funebre tenuta in onore di chi era stato irrispettoso della religione e dell’autorità ecclesiastica. A Riccardi Capasso, che pure era stato autore, nel 1717, di un robusto trattato sull’Inquisizione, in cui aveva sostenuto posizioni lungimiranti sul tema cruciale della libertà di coscienza, e al quale il Collaterale aveva affidato la revisione ufficiale dell’Istoria civile (Giannone, 1971, pp. 73, 78 s.), dedicò anche l’ode De vera pedanteria, deplorandone, insieme, la presunzione e la miscredenza: una netta presa di distanza da un radicalismo che neanche un intellettuale appartenente appieno al fronte dei moderni si sentiva di condividere.
Fonti e Bibl.: N. Caravita, Nota in cui si tratta delle nullità proposte nella causa della forgiudica minacciata contro D. Alessandro Riccardo, [s.l.] 1695; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 99-103; G. Ricuperati, A. R. e le richieste del «ceto civile» all’Austria nel 1707, in Rivista storica italiana, LXXXI (1969), pp. 745-777; Id., L’esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1970, p. 97; P. Giannone, Vita di Pietro Giannone, in Id., Opere, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971, p. 99; R. Ajello, Vico e R. nella crisi politica del 1726, in Id., Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli 1976, pp. 147-225; I. Ascione, Schiaffi, politica e poesia. Il radicalismo napoletano al tempo di Vico, in Frontiera d’Europa, 1996, n. 1, pp. 5-68; D. Luongo, Modelli costituzionali a confronto. Il dibattito sulle grazie a Napoli all’inizio dell’età austriaca, ibid., 1998, n. 1, pp. 102-106; Id., Vis jurisprudentiae. Teoria e prassi della moderazione giuridica in Gaetano Argento, Napoli 2001, pp. 26-84, 119-131; Id., R., A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII- XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1677 s.