POERIO, Alessandro
POERIO, Alessandro. – Nacque a Napoli il 27 agosto 1802 da Giuseppe, appartenente a una nobile famiglia calabrese (era barone di Belcastro), e da Carolina Sossisergio, figlia di un magistrato di Terra d’Otranto (Lecce).
Primo di tre figli (il fratello Carlo nacque nel 1803; la sorella Carlotta nel 1807), la sua formazione fu affidata al letterato Domenico Simeone Oliva. Nel 1815, restaurata la dominazione borbonica, esiliò insieme alla famiglia al seguito del padre (giurista che aveva collaborato con Giuseppe Bonaparte e con Gioacchino Murat). Si trasferì quindi a Firenze dove, nel novembre 1815, si iscrisse al corso di disegno presso l’Accademia di belle arti, rimanendo in Toscana fino al dicembre 1818. Rientrato a Napoli, nel 1820 ottenne un incarico presso il ministero degli Affari esteri. Arruolatosi nelle truppe guidate da Guglielmo Pepe in difesa della costituzione (concessa da Ferdinando I nel luglio 1820), il 7 marzo 1821 partecipò alla battaglia di Antrodoco, che vide l’esercito napoletano sconfitto dagli austriaci. Fallita la rivoluzione costituzionale, dovette partire ancora una volta in esilio con i familiari: dapprima a Graz e poi, dall’ottobre 1823 dopo un breve soggiorno a Trieste, nuovamente a Firenze.
In quegli anni, durante i quali approfondì lo studio delle lingue (francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco), si dedicò ai suoi primi tentativi poetici (il più antico componimento, A mio padre, fu scritto nell’aprile 1820). Tra di essi anche alcuni frammenti di drammi (Sertorio, Manfredi, Corradino, Barbarossa), collocabili fra il 1824 e il 1830.
Nell’estate del 1825 (dopo un breve soggiorno a Bologna, nel corso del quale studiò la lingua polacca sotto la guida di Giuseppe Mezzofanti), intraprese un lungo viaggio di istruzione in Germania. Passato per Ginevra (dove conobbe Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi), Berna e Basilea, in ottobre, dopo altre tappe intermedie, giunse a Weimar: lì incontrò l’ormai anziano Johann Wolfgang Goethe, al quale offrì la propria versione in italiano de La sposa di Corinto (poi parzialmente pubblicata nei numeri 38 e 46 del periodico Chaos, edito a Weimar dal 1829 al 1831). Spostatosi nello stesso mese a Gottinga, seguì alcuni corsi universitari di storia, diritto, politica e storia naturale; dopo aver risieduto a Lipsia nel primo scorcio del 1826, fece nuovamente ritorno a Weimar nel febbraio di quello stesso anno, dove consegnò a Goethe un’altra traduzione nel frattempo portata a compimento (la tragedia Ifigenia in Tauride, di cui, tuttavia, non rimane alcuna testimonianza manoscritta).
Nelle lettere di quel periodo (Viaggio in Germania, il carteggio letterario e altre prose, a cura di B. Croce, Firenze 1917), oltre a manifestare la delusione per i corsi universitari frequentati e la propria distanza dall’eccesso di ‘misticismo’ riscontrato nella filosofia tedesca (mostrando semmai di prediligere l’eredità dell’Illuminismo francese), ribadì espressamente la propria vocazione letteraria, alimentata dalle letture compiute (Shakespeare, Calderón de la Barca, Byron, Lamartine, Vico, Winckelmann, Herder). Particolarmente degne di nota anche le lettere incentrate sulle conversazioni con Goethe (al quale peraltro scrisse anche una volta tornato in Italia).
Dopo essersi fermato ancora a Gottinga da marzo a giugno 1826, e dopo aver sostato a Berlino, Dresda e Monaco fra luglio e agosto, nel settembre 1826 rientrò a Firenze, dove riprese e consolidò i rapporti non solo con i fuoriusciti napoletani (Antonio Ranieri, Carlo Troya, Pietro Colletta, Matteo e Paolo Emilio Imbriani), ma anche, fra gli altri, con Giovan Pietro Vieusseux, Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini, Niccolò Puccini, Pietro Giordani e con Giacomo Leopardi, che conobbe nel 1827.
Costantemente sorvegliato dalla polizia, nel febbraio 1828 fu agli arresti domiciliari per alcuni giorni, avendo sfidato a duello il segretario della legazione russa in Firenze (in quella circostanza subì anche il sequestro di tutte le sue carte, che gli furono poi restituite).
Negli anni fiorentini si dedicò con una certa regolarità alla produzione poetica, misurandosi con alcuni temi che sarebbero stati centrali anche successivamente: l’amore (per esempio Già non dirò che appieno e A te viene sovente il mio pensiero); la dolente riflessione sulla condizione umana (Splendono gli occhi e le rallegra); l’impegno politico (Uom d’oggi, uom fatto di mollezza); la sensibilità religiosa minata dal dubbio (Rimorso).
Espulso nel novembre 1830 dal Granducato di Toscana insieme al padre (il resto della famiglia aveva già fatto ritorno nel Regno delle Due Sicilie nel giugno 1828) e giunto in dicembre a Parigi, pochi mesi più tardi, nel marzo 1831, si recò a Marsiglia nella speranza (presto abbandonata) di partecipare alla spedizione progettata da Guglielmo Pepe per sostenere i moti scoppiati nel frattempo in Italia. Rientrato quindi stabilmente nella capitale, nel corso del suo soggiorno instaurò una fitta rete di relazioni umane e intellettuali: fu in rapporti, fra gli altri, con George Sand, Victor Cousin, François Guizot, Gabriel Rudolf Ludwig von Sinner, Félicité-Robert de Lamennais, Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy; e ancora, con Cristina di Belgioioso, Vincenzo Bellini, Francesco Paolo Bozzelli, Gaetano Cobianchi, Giovanni Stefani, Pier Silvestro Leopardi.
A partire dalla fine del 1831 si impegnò, insieme al padre, nella ricerca di sottoscrizioni per la fondazione della rivista Bibliothèque française et étrangère, che avrebbe dovuto avere risonanza europea (promisero attiva collaborazione François-Auguste-René de Chateaubriand, August Wilhelm Schlegel, Alexander von Humboldt). Proprio a tale scopo, nell’estate del 1832 i Poerio si spostarono dapprima in Inghilterra e in seguito, nel mese di ottobre, in Belgio; l’iniziativa tramontò tuttavia definitivamente nel 1833, anno in cui Ferdinando II concesse la grazia al padre, che rientrò quindi a Napoli.
Nella primavera del 1834 Poerio intraprese un’assidua frequentazione con Niccolò Tommaseo: fu l’inizio di un duraturo e intenso scambio intellettuale, che contribuì in misura determinante alla sua conversione al cattolicesimo (una conversione, peraltro, tormentata e irrequieta, e contraddistinta dall’avversione per il potere temporale della Chiesa). Trasferitosi nel frattempo a Versailles nel maggio 1834, e tornato nuovamente a Parigi nell’ottobre successivo, dopo quattordici anni di esilio poté finalmente tornare nella città natale: giunto a Napoli nel marzo 1835, ebbe un impiego presso la Banca del Tavoliere delle Puglie e affiancò il padre nell’attività forense.
A Napoli riallacciò in particolare il rapporto di amicizia con Ranieri e con Leopardi. Alla morte di quest’ultimo – avvenuta mentre egli si trovava a Castiglione, nel Salernitano, di ritorno da un lungo soggiorno a Catanzaro, dove si era recato con il padre nel settembre 1836 per un’importante causa legale –, si adoperò attivamente affinché fosse concesso il permesso di erigere il monumento funebre in onore del poeta nella chiesa di S. Vitale.
Gravato dagli impegni lavorativi e dal peggioramento della già cagionevole salute (alla compromissione dell’udito e della vista si aggiunsero forti disturbi nervosi), Poerio agì da elemento di raccordo tra i liberali napoletani e toscani e, parallelamente, continuò a cimentarsi nella scrittura poetica, fino alla pubblicazione, nel 1843, a Parigi della silloge intitolata Alcune liriche.
Uscita anonima presso l’editore Didot, la raccolta ebbe una circolazione assai ridotta. Le trentadue liriche che la componevano, stese tra il 1834 e il 1843, risentivano in particolare dei modelli di Foscolo, Manzoni, Tommaseo, Leopardi, ed erano attraversate da alcune ricorrenti linee tematiche. Da un lato, una tormentata religiosità (Fede, Fantasia, Pentimento), collegata all’idea che il poeta fosse chiamato alla diffusione del ‘Vero’ ma al contempo condannato all’isolamento e al dolore (Solitudine, Il poeta, I poeti venturi). Dall’altro, il motivo patriottico (assai famosa la lirica Il Risorgimento), che si avvaleva delle più diffuse strategie retoriche della poesia risorgimentale: lo scuotimento degli italiani dall’‘ozio’, la sacralità della lotta contro lo straniero, l’esaltazione dei gloriosi esempi della storia (Arnaldo da Brescia, Filippo Strozzi, Enrico Dandolo, Andrea Doria) e della cultura (Dante, A Petrarca, Ugo Foscolo, Tommaso Campanella prigione nel Castel dell’Uovo in Napoli). Tra le poesie risalenti al medesimo periodo, ma escluse dalla silloge, i versi A Giacomo Leopardi dell’ottobre 1834.
Colpito da gravi sventure familiari (nell’agosto 1843 morì il padre; il fratello Carlo fu imprigionato nel 1837, nel 1844 e poi ancora nel 1847), nel febbraio-marzo 1844 ritrovò a Napoli Giuseppe Giusti, che aveva incontrato durante l’esperienza toscana; e tra il settembre e l’ottobre 1845, in occasione del VII Congresso degli scienziati italiani, conobbe Giuseppe Montanelli, al quale fu legato fino alla morte da una stretta amicizia. Recatosi a Roma, dove restò dal febbraio al maggio 1847, alla ricerca di sollievo per i disturbi di salute (ma anche sospinto dalla fiducia inizialmente riposta in Pio IX), nel maggio 1848, dopo aver rifiutato gli incarichi diplomatici proposti dal governo costituzionale presieduto da Troya, si unì alle truppe salpate da Napoli al comando del generale Pepe per dare supporto alla guerra nel Lombardo-Veneto. Dopo vari spostamenti (Ancona, Venezia, Bologna, Ferrara), rimase ancora al seguito di Pepe quando quest’ultimo, disubbidendo all’ordine di ritirata impartito da Ferdinando II, giunse a Venezia con un numero ridotto di soldati nel giugno 1848.
In quel periodo si consacrò anche alle sue ultime prove poetiche: nel dicembre 1847 scrisse due liriche Ai martiri della causa italiana; rispettivamente il 26 giugno 1847 e il 15 gennaio 1848 uscirono sul periodico pisano L’Italia fondato da Montanelli il componimento anonimo Lirica civile e un secondo omaggio A Giacomo Leopardi; nel febbraio 1848 stese le quartine per la Prigionia di Niccolò Tommaseo in Venezia; nel maggio e nel settembre 1848 compose rispettivamente le quartine O Venezia, mai più l’intimo canto e la lirica Voce dell’anima.
Il 7 luglio 1848 Poerio prese parte all’attacco contro il forte di Cavanelle d’Adige occupato dagli austriaci e il 27 ottobre fu tra i soldati che combatterono nella battaglia di Mestre. Rimasto gravemente ferito, subì l’amputazione della gamba destra; insignito del grado di capitano, fu trasportato a Venezia, ospite dalla contessa milanese Rachele Londonio Soranzo.
Proprio a causa delle ferite riportate, morì a Venezia il 3 novembre 1848.
Dopo solenni esequie pubbliche, fu sepolto a Venezia nella tomba della famiglia Paravia.
Opere. Oltre a quelli menzionati, pochi altri testi poetici uscirono a stampa nel corso della sua vita; per un quadro esaustivo si rinvia a N. Coppola, Nota filologica, in Poesie, Bari 1970, pp. 713-861. Da ricordare, tra i molti materiali rimasti inediti, le traduzioni e i commenti alla Bibbia (ibid., pp. 681-707) e i Novantanove pensieri (databili tra il 1835 e il 1841, editi per la prima volta da Vittorio Imbriani in Giornale napoletano della domenica, 2 e 9 luglio 1882). Fra le edizioni postume si segnalano: Poesie edite e postume, la prima volta raccolte con cenni intorno alla sua vita per Mariano D’Ayala, Firenze 1852; Liriche e frammenti inediti, a cura di N. Coppola, Roma 1966.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Poerio-Pironti; Napoli, Biblioteca nazionale, Fondo Imbriani-Poerio; Carte Ranieri; Firenze, Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux - Archivio contemporaneo A. Bonsanti, Fondo Giuseppe Montanelli; lettere, documenti e incisioni di Alessandro Poerio sono conservati in diversi fondi dell’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma (http://www.risorgimento. it/php/page_gen.php?id_sezione=3&id_menu_sx=16, ad vocem (30 luglio 2015); Carteggio inedito, a cura di A. Poerio Riverso, Napoli 2006. Inoltre, A. P. a Venezia. Lettere e documenti del 1848, illustrati da V. Imbriani, Napoli 1884; F. Moroncini, Lettere inedite di A. P. ad A. Ranieri, in Nuova Antologia, 1930, vol. 272, pp. 137-156, 273-302; N. Coppola, A. P. e Giuseppe Montanelli, loro carteggi inediti con aggiunta di altri carteggi del P., in Rassegna storica del Risorgimento, XXX (1943), 1, pp. 33-94; 2, pp. 163-232; 3, pp. 364-377; U. Carpi, Lettere inedite di A. P. a Goethe, in Giornale storico della letteratura italiana, CL (1973), 469, pp. 84-93.
G. Jannone, I Poerio nel loro secondo esilio, in Rassegna nazionale, 1917, vol. 10, pp. 205-224; vol. 12, pp. 175-188; 1918, vol. 14, pp. 32-45; vol. 17, pp. 194-204; 1919, vol. 21, pp. 180-197; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 417 s.; G. Petrocchi, La poesia di A. P., in Id., Fede e poesia dell’Ottocento, Padova 1948, pp. 68 s.; M. Fubini, La poesia di A. P., in Id., Romanticismo italiano, Bari 1971, pp. 365-376; U. Carpi, A. P. fra Leopardi e Tommaseo, in Il Cristallo, XIV (1972), 2, pp. 29-60; L. Bolzoni, Tommaso Campanella di A. P.: una lettura ottocentesca della poesia e della vicenda campanelliana, in Giornale storico della letteratura italiana, CLIII (1976), 483, pp. 419-429; M. Tondo, Una vita per la poesia: A. P., Roma 1983; G. Lonardi, Leopardismo. Tre saggi sugli usi di Leopardi dall’Otto al Novecento, Firenze 1990, passim; N. Bellucci, Leopardi e i contemporanei. Testimonianze dall’Italia e dall’Europa in vita e in morte del poeta, Firenze 1996, pp. 147-149; G. Folena, «Poesie» di A. P., in Id., Scrittori e scritture. Le occasioni della critica, a cura di D. Goldin Folena, Bologna 1997, pp. 146-151; C. Del Vivo, La moglie creola di Giuseppe Montanelli. Storia di Lauretta Cipriani Parra, Pisa 1999, pp. 90 s., 131, 137, 140-142, 144, 167, 195, 215-222, 224 s., 227 s., 240, 255, 264; A. Poerio Riverso, A. P.: vita ed opere, Napoli 2000; E.G. Gerato, Studio critico della vita e delle opere di A. P., Napoli 2006; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Torino 2007, pp. 254, 281, 374; C. Muscetta, Il barone socialista, in Id., Letteratura militante, a cura di R. Luperini, Napoli 2007, pp. 178-181; B. Croce, Una famiglia di patrioti: i Poerio, a cura di G. Galasso, Milano 2010; A. Quondam, Risorgimento a memoria. Le poesie degli italiani, Roma 2011, pp. 259-269.