PIRZIO BIROLI, Alessandro
PIRZIO BIROLI, Alessandro. – Nacque a Campobasso il 23 luglio 1877 da Carlo Alberto, militare, e da Marianna Rezzi. Sposò Angela Marini, da cui ebbe tre figli: Eugenia, Carlo e Vittorio Emanuele.
Figlio di un volontario garibaldino, fu avviato all’età di undici anni ai primi studi nel Collegio militare di Roma. Completò il periodo di formazione alla Scuola militare di Modena e nel 1895 ottenne i gradi di ufficiale come sottotenente del 5° reggimento bersaglieri, XIV battaglione, 2ª compagnia. In quegli anni maturò la sua passione sportiva e dal 5° reggimento passò alla Scuola magistrale di scherma, in qualità di maestro di ginnastica per sottufficiali allievi. Dal 1904 al 1907 frequentò la Scuola di guerra di Torino, dove perfezionò la sua cultura tecnica e professionale. Nel 1908 partecipò alle Olimpiadi di Londra, ottenendo l’argento a squadre di scherma nella disciplina della sciabola.
Il 19 luglio 1913 si imbarcò da Siracusa per la Tripolitania e Cirenaica, mobilitato con l’11° reggimento bersaglieri, per essere poi inserito nel Comando della 2ª compagnia montata (settore di Zuara-Nalut). Poco prima dell’entrata in guerra dell‘Italia, per il biennio 1914-15 fu trasferito da effettivo nel Corpo di stato maggiore, prestando servizio all’Ufficio coloniale del comando del Corpo, specializzandosi nelle questioni coloniali con particolare riferimento alla colonia eritrea. Nel 1916 conseguì una nuova promozione, a tenente colonnello, e l’anno seguente, divenuto colonnello, fu chiamato quale capo di stato maggiore della 35ª divisione in Macedonia, con base a Salonicco, schierata nel settore del fiume Cerna (Monastir) in aiuto dei reparti serbi.
Durante quell’esperienza Pirzio Biroli maturò un apprezzamento generico nei riguardi del sentimento nazionale serbo, una considerazione positiva che lo avrebbe guidato nelle letture politiche successive. Dopo la disfatta di Caporetto (ottobre 1917), fu destinato al fronte italiano e da colonnello condusse la VII brigata ‘piumata’ che partecipò alla battaglia del Piave (novembre 1917), nel settore tra Fagaré e Zenson.
Nel dopoguerra, grazie alla stima guadagnata presso un suo influente sottoposto (Luigi Gasparotto), fu nominato capo della missione militare italiana presso la Repubblica dell’Ecuador. Fu proprio Gasparotto, combattente sul Piave, ministro della Guerra del governo di Ivanoe Bonomi, che gli comunicò gli obiettivi della missione, concepita come strumento di «appoggio alla penetrazione economico-demografica italiana nella regione andina» (Soave, 2008, p. 202).
Pirzio Biroli raggiunse Guayaquil il 22 maggio 1922. Sovvertendo i propositi iniziali, la missione assorbì compiti di formazione delle forze armate ecuadoriane, con un ruolo autonomo e istituzionalmente rilevante nelle vicende politiche del Paese sudamericano. Nonostante l’incisività dell’azione politica e militare – resa palese dall’istituzione di un’accademia di guerra e dalla permanenza lì di Pirzio Biroli come capo missione fino al 1927 – furono però raccolti risultati marginali poiché la modestia dei programmi economici rese la missione, secondo le parole dello stesso Pirzio Biroli, «una cornice senza tela» (ibid., p. 205).
La svolta nella sua carriera militare avvenne sul finire del marzo 1935, quando fu collocato ‘fuori quadro’ dal Corpo d’armata perché dichiarato ‘disponibile’ presso il ministero delle Colonie, di cui fu prima sottosegretario e poi ministro suo cugino Alessandro Lessona. Partito per l’Eritrea, assunse il comando del Corpo d’armata indigeno in cui era inquadrato il giovane giornalista Indro Montanelli, volontario in uno dei battaglioni ascari, che furono «uno strumento indispensabile e fedele, ma di rendimento ineguale» (Rochat, 1991, p. 187) nella guerra italiana in Etiopia. Nel suo primo romanzo Montanelli (2010) descrisse con tono apologetico il generale: «Pirzio il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera nera» (p. 88). Quel soprannome era stato ‘conquistato’ nell’avanzata delle sue truppe su Gondar (Amhara) durante la guerra fra Italia ed Etiopia, che iniziò all’alba del 3 ottobre 1935 e si concluse il 5 maggio 1936 con l’occupazione di Addis Abeba e la proclamazione dell’Impero. Tra il dicembre 1935 e il successivo gennaio, Pirzio Biroli fu protagonista della prima battaglia del Tembien. Oltre a quella battaglia partecipò agli scontri di Mai-Ceu, del lago Ascianghi, all’occupazione di Quoram e alla marcia su Dessiè.
Al termine del conflitto divenne generale d’armata per merito di guerra, e nel giugno 1936 fu nominato governatore dell’Amhara. Da Gondar organizzò l’occupazione del governatorato curandone la pacificazione per il successivo anno e mezzo, durante il quale non mancarono gli episodi di repressione verso le popolazioni amhara, che sostanzialmente «non accettarono mai il dominio italiano» (Rochat, 1991, p. 191). Nella seconda metà del maggio 1937 tornò in Italia per un periodo di licenza durato sino a luglio.
Al momento della partenza, Pirzio Biroli descrisse un quadro ottimistico della situazione politico-militare del governatorato. Di diversa opinione era il viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani, convinto che tale fiducia fosse artefatta poiché basata sul presupposto di una fase politica parzialmente stabile. Effettivamente le circostanze precipitarono, deflagrando in una rivolta nei giorni d’assenza del governatore. Con l’insurrezione si accese l’aspra diatriba tra Pirzio Biroli e Graziani, che si accusarono a vicenda per l’instabilità dell’Impero. Graziani indicò il governatore quale responsabile della sommossa perché troppo feroce nella repressione, e soprattutto per aver lasciato «libertà ai residenti e perfino ai sottufficiali dei Carabinieri di adottare provvedimenti sommari» (Archivio centrale dello Stato, Archivio Graziani, b. 36, f. 31/7). Nell’ottobre 1937, in un telegramma diretto a Graziani, il ministro Lessona sembrò chiudere in pareggio «una discussione che non ha motivo di esistere fra due valorosi soldati quali V.E. et Generale Pirzio Biroli. Ciò che preme est stroncare ribellione al più presto il che sembrami sia in via di rapida attuazione» (Archivio Graziani, b. 36, f. 3/7). A dicembre Pirzio Biroli ricevette da Benito Mussolini, che aveva assunto il ministero delle Colonie ad interim, «la lettera di licenziamento, scritta dopo gli evidenti insuccessi nelle operazioni militari contro la resistenza etiopica» (Dominioni, 2008, p. 205). Perduta la protezione di Lessona e sollevato dalla carica di governatore dell’Amhara, Pirzio Biroli tornò in Italia nel gennaio 1938.
Scrisse un memoriale (cinquanta pagine con sette allegati), in cui tentò di discolparsi sostenendo di aver eseguito gli ordini di Graziani e aggiunse che i provvedimenti repressivi efferati dell’estate del 1937 non erano da ascrivere a lui, avendo delegato pieni poteri al segretario generale dell’Amhara, Armando Felsani. Il memoriale coinvolse di fatto molte personalità, «tracciando una linea che va dal governatore generale fino ad un residente, passando per il governatore regionale» (Dominioni, 2003, p. 165).
Da allora e sino al febbraio 1941 Pirzio Biroli non svolse alcuna funzione rilevante, e fu di fatto relegato ai margini della politica militare, da cui fuoriuscì solo grazie agli insuccessi della guerra fascista. Nel febbraio del 1941 fu infatti chiamato alla 9ª armata in Albania per sostituire il generale Mario Vergellino e tra il 14 e il 15 luglio, per ordine del Comando supremo, svolse un’operazione offensiva destinata a restituire al fascismo il controllo del Montenegro, dove era esplosa una rivolta popolare con l’apporto di forze comuniste e nazionaliste. Le autorità civili e militari passarono a Pirzio Biroli, che gestì in Montenegro un regime di direct rule, inedito per le occupazioni fasciste nei Balcani. Nella terza settimana di agosto la crisi montenegrina fu sostanzialmente risolta al prezzo di una repressione durissima che incluse una guerra ai civili fatta di rappresaglie, deportazioni e internamenti.
La sua linea politica viaggiò su un doppio binario, tra proclami di clemenza e severe direttive repressive. Nei fatti, quella normalizzazione incerta causò antagonismi interni al governatorato militare e le indecisioni del governatore provocarono ‘contrordini’ da parte dei generali sottoposti, che radicalizzarono il conflitto. Dal gennaio del 1942, per ottenere una stabilità del territorio Pirzio Biroli optò per una solida alleanza con il movimento nazionalista. La forza dei ‘četnici’ (da čete, che significa «bande») si presentò come un movimento ‘serbista’ dai forti sentimenti anticomunisti e, grazie al loro aiuto, gli occupanti italiani ‘pacificarono’ il Montenegro. Pirzio Biroli ne scrisse in … perché i combattenti del Montenegro sappiano! (Cettigne 1942). In quella fase di relativo consenso per il suo operato, fu insignito della gran croce dell’Aquila tedesca con spada (6 ottobre 1942).
Tuttavia, nel contesto del complessivo fallimento dell’impresa bellica italiana, la situazione politica del governatorato precipitò rovinosamente. Pirzio Biroli difese l’alleanza con i četnici davanti all’opposizione tedesca finché, nel giugno 1943, su imposizione di Berlino, il Comando supremo italiano decise di operare una riorganizzazione militare dell’intero scacchiere balcanico creando il Gruppo armate est. In quella nuova creatura militare erano comprese Grecia, Egeo, Albania e Montenegro e al governatore del Montenegro sarebbero spettati esclusivamente compiti civili. Pirzio Biroli si trovò dunque isolato su più fronti e rifiutò quello che avvertì come un declassamento.
Il ‘leone di Gondar’ tornò a Roma il 23 luglio 1943. Dopo la caduta di Mussolini (25 luglio) restò ad Aqui Terme dal 12 al 24 agosto, in prudente attesa degli eventi. Sorpreso dall’armistizio italiano, l’8 settembre, e temendo una cattura dei tedeschi, si rifugiò «sulle montagne dell’appennino tosco emiliano, fino al 2 di ottobre», come afferma nel suo scritto Il mio calvario, del 1943 (s.l., p. 5). Rientrato a Roma nella mattinata del 3 ottobre apprese la notizia della morte del figlio Carlo, capitano di cavalleria, caduto a Tirana il 16 settembre. In quello stesso giorno La Stampa di Torino scriveva, a proposito di una sua adesione alla Repubblica sociale italiana di Salò, «che fra la salvezza d’Italia e la monarchia, egli, vecchio soldato, non poteva esitare a scegliere il suo posto di combattimento a fianco delle forze dell’Asse» (Le adesioni di Caviglia e Pirzio Biroli). In realtà, l’invito di Mussolini ad accettare il ministero della Difesa nazionale, proposta che era stata vagliata dai tedeschi, si scontrò con il diniego di Pirzio Biroli che «quando fu interpellato, rifiutò» (De Felice, 1997, p. 367).
La costruzione delle forze armate di Salò spettò così al rivale Graziani, personalità idonea anche per il suo antagonismo nei confronti del generale Pietro Badoglio, il nuovo capo del governo, mentre Pirzio Biroli passò le linee tedesche per raggiungere Brindisi. Dal 18 ottobre 1944 fu richiamato in servizio temporaneo e divenne presidente della Commissione militare unica per la concessione e la perdita di decorazioni di valor militare. Collocato in congedo assoluto nel 1954, si ritirò a vita privata nella sua casa di Ciampino ai piedi dei Castelli romani.
Morì a Roma il 20 maggio 1962.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Graziani, bb. 35-36 (con documentazione sul governatorato dell’Amhara); Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 104; Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, Archivio storico, Direzione generale per il personale militare, stato di servizio n. 6547.
L. Gasparotto, Diario di un fante, I-II, Milano 1919, passim; C. Tomaselli, Con le colonne celeri dal Mareb allo Scioa, Milano 1936, pp. 81-96; M. Bombi, L’Etiopia liberata dal novello Alessandro: Pirzio Biroli. Poema eroico, Roma 1937; V. Araldi, Generali dell’Impero. I condottieri della guerra in A.O., Napoli 1940, pp. 57-63; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, II, La conquista dell’impero, 1-2, Roma-Bari 1986, ad ind.; R. Pajović, Boka kotorska u planovima italijanskog vojnog guvernera Crne Gore Aleksandra Pircija Birolija, 1941 godine (Le Bocche di Cattaro nei piani del governatore militare del Montenegro Alessandro Pirzio Biroli, anno 1941), Titograd 1991, pp. 369-373; G. Rochat, Le guerre coloniali dell’Italia fascista, in Le guerre coloniali del fascismo, a cura di A. Del Boca, Roma-Bari 1991, pp. 173-196; R. De Felice, Mussolini l’alleato: 1940-1945, II, La guerra civile: 1943-1945, Torino 1997, pp. 366 s.; L. Guarnieri Calò Carducci, Dizionario storico-biografico degli italiani in Ecuador e in Bolivia, Bologna 2001, ad vocem, pp. 184-185; M. Dominioni, La repressione italiana nella regione di Bahar Dar, in Studi piacentini, 2003, n. 33, pp. 159-170; N. Labanca, Una guerra per l’impero. Memorie della campagna d’Etiopia: 1935-1936, Bologna 2005, passim; M. Dominioni, Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia: 1936-1941, Bari 2008, ad ind.; P. Soave, La ‘scoperta’ geopolitica dell’Ecuador. Mire espansionistiche dell’Italia ed egemonie del dollaro: 1919-1945, Milano 2008, ad ind.; I. Montanelli, XX Battaglione eritreo, a cura di A. Del Boca, Milano 2010, pp. 87-89.