PICCOLOMINI, Alessandro
PICCOLOMINI, Alessandro. – Primogenito di una famiglia piuttosto numerosa, probabilmente composta da altri dieci fratelli e due sorelle, nacque a Siena il 13 giugno 1508 da Angelo (o Agnolo), appartenente al ramo Modanella dei Piccolomini, e da Margherita Santi.
Fin dal 1517 gli vennero assicurati alcuni benefici ecclesiastici, a lui concessi dallo zio, il cardinale Giovanni Piccolomini, come anche la possibilità di accedere agli ordini superiori e al sacerdozio, non appena avesse raggiunto l’età prescritta dai canoni della Chiesa; a ciò si aggiunsero, nel febbraio del 1524, altri benefici e l’assicurazione della nomina ad arciprete della Metropolitana di Siena con uno stipendio di 25 ducati al compimento dei diciassette anni. Nel 1524 o – secondo quanto riferisce Fabiani, 1759, p. 2 – nel 1526, morì il padre Angelo, lasciando la numerosa famiglia priva di una guida; non si hanno notizie precise su questo periodo, ma è lecito supporre, sulla base della testimonianza di Scipione Bargagli, che la famiglia sia stata affidata ad alcuni tutori e che Piccolomini abbia potuto continuare la sua formazione nello Studio cittadino, sotto la guida di Niccolò Cerretani, per gli studi filosofici, e di Carlo Pini, per la matematica e l’astronomia, nonostante non sia documentato il conseguimento della laurea.
La vivacità intellettuale e una precoce intelligenza gli permisero di affermarsi ben presto nella vita culturale della città natale, in particolare all’interno dell’Accademia degli Intronati, sorta verso il 1525 e poi soggetta a diverse rifondazioni a causa del turbolento clima politico, con un programma di equilibrata divulgazione in lingua volgare, sempre in costante equilibrio tra filoginia e gusto del paradosso e della provocazione. La prima partecipazione documentata di Piccolomini a un’attività accademica data all’epifania del gennaio 1532, quando prese parte con il soprannome di Stordito a Il sacrificio, un rito celebrato nelle strade di Siena, nel quale ogni accademico doveva gettare alle fiamme un oggetto che lo legava alla donna amata e recitare un componimento poetico, per poter uscire così dalla prigionia d’amore.
Sempre all’attività dell’Accademia si lega la prima commedia di Piccolomini, l’Amor costante, commissionata dalla Balìa di Siena in occasione della visita di Carlo V a Siena, tra il 24 e il 27 aprile del 1536 (pubbl. Venezia, al segno del Pozzo per Andrea Arrivabene, 1540). La commedia plurilingue, che per ragioni pratiche non fu poi effettivamente rappresentata, mette in scena, all’interno di una trama molto articolata, caratterizzata da continui inganni e svelamenti, la contrastata storia d’amore tra due giovani.
Ascrivibile sempre al programma intronatico sono alcuni volgarizzamenti di autori classici, composti da Piccolomini nella seconda metà degli anni Trenta: il sesto libro dell’Eneide, tradotto verso il 1536, ma inviato in omaggio alla senese Eufrasia Placidi de’ Venturi il 26 dicembre 1537, e stampato tanto nel volume collettivo I sei primi libri dell’Eneide di Virgilio tradotti (Venezia, Niccolò Zoppino, 1540), quanto autonomamente, accompagnato dalle versioni delle due orazioni di Aiace e Ulisse del tredicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio, approntate negli ultimi giorni del 1539, mentre già si trovava a Padova (Venezia, al segno del Pozzo per A. Arrivabene, 1540).
Nella prefatoria alla traduzione di Virgilio Piccolomini annunciava alla sua destinataria il prossimo completamento della traduzione degli Economica di Senofonte, testo che inviò effettivamente alla nobildonna senese nel gennaio del 1538 (andò poi in stampa sempre per A. Arrivabene, Venezia 1540): una versione del trattato antico mediata e adattata alla cultura volgare contemporanea, nel nome di una convinzione che la famiglia e la cura della casa costituiscano le pietre angolari dell’intero edificio sociale.
Al medesimo periodo – la prefatoria è firmata da Lucignano d’Asso il 22 ottobre 1538 – data anche la composizione del Dialogo de la bella creanza de le donne, meglio noto con il titolo La Raffaella, dal nome dell’anziana protagonista dell’operetta. Destinato a riscuotere un immediato successo sin dalla prima edizione (Venezia, per Curzio Navò e fratelli, 1539), il dialogo descrive, memore della lezione boccacciana e aretiniana, una sorta di ars amandi che Raffaella impartisce alla giovane e inesperta Margarita, allo scopo di educarla alla necessità per la donna sposata di procurarsi un amante, pur sempre all’interno di un sistema di regole condiviso e controllato. Forse da leggere in controcanto alla Raffaella, ma in fondo espressione di una medesima propensione verso il pubblico femminile, in un sapiente gioco di contrasti tra filoginia e parodia a sfondo misogino, è l’Orazione in lode delle donne, che pare verosimile attribuire alla stagione senese entro la fine del 1538.
A seguito di questo primo, intenso periodo di attività letteraria, Piccolomini decise di trasferirsi – forse per completare la sua formazione – a Padova sul finire del 1538, raggiungendo così il fratello Giovan Battista, lettore di diritto civile presso lo Studio della città veneta già a partire dall’estate dello stesso anno, e destinato poi a proseguire la carriera accademica a Macerata a partire dal 1542.
L’arrivo a Padova rappresentò una svolta decisiva tanto per le fruttuose relazioni quanto per le esperienze culturali di Piccolomini, senza dimenticare che proprio in questi anni poté far stampare dai torchi dell’editoria veneziana le sue prime opere. Benché non si abbiano notizie del conseguimento di una laurea presso lo Studio patavino, è però sicuro che frequentò le lezioni di matematica e astronomia di Federico Delfino, i cui insegnamenti ed esperimenti ricordò poi anche in opere tarde (La prima parte delle Theoriche, Venezia, G. Varisco & c., 1568, c. 5r, e De nova ecclesiastici calendarii… restituendi forma, Senis, presso Luca Bonetto, 1578, p. 29), di Vincenzo Maggi, in particolare per la retorica, e di Marcantonio Passeri Genova. Accanto alla frequentazione dello Studio fu soprattutto l’esperienza all’Accademia degli Infiammati, ufficialmente sorta ai primi di giugno del 1540 per volontà di Leone Orsini, e della quale Piccolomini ricoprì il ruolo di segretario e poi, tra l’aprile e il novembre del 1541, di principe, a determinarne profondamente gli indirizzi culturali anche per gli anni a venire.
Nel programma di questa istituzione, fortemente influenzata dal pensiero di Pietro Pomponazzi, si intendeva promuovere una nuova gerarchia dei saperi insieme con una profonda valorizzazione del volgare ben oltre il ristretto ambito della lingua letteraria, in nome del desiderio di allargare il suo raggio di azione a tutto il novero delle discipline scientifiche e filosofiche.
Piccolomini spese molte energie per organizzare le attività accademiche, come testimonia il suo attivo coinvolgimento per convincere Bartolomeo Lombardi, chiamato sul finire del 1541, a tenere un corso sulla Poetica aristotelica, ben presto interrotto a causa dell’improvvisa morte dello stesso Lombardi. Ma nel consesso accademico Piccolomini si impegnò anche direttamente a tenere delle lezioni: di alcune delle quali abbiamo solo testimonianze indirette, come quelle sopra l’Etica di Aristotele (De la institutione di tutta la vita de l’homo nato nobile e in città libera…, Venezia, per Geronimo Scoto, 1542, c. 2r), mentre possediamo invece il testo, edito nel 1541 senza autorizzazione dell’autore, di una lezione tenuta il 6 febbraio del 1541 sul sonetto Ora te ’n va superbo, or corri altero della poetessa senese Laudomia Forteguerri. A questo periodo, più precisamente all’agosto del 1540, risale anche una visita alla tomba di Petrarca ad Arquà, per la quale compose un sonetto destinato a suscitare un vivace dialogo poetico con gli accademici infiammati e con alcune poetesse senesi (v. Eisenblicher, 2012, pp. 165-214). Accanto al lavoro di promozione dell’Accademia, Piccolomini, anche forte dei nuovi stimoli che proprio dagli Infiammati dovevano provenirgli, specie dalle figure di Benedetto Varchi e Sperone Speroni, avviò in questi anni un vero e proprio piano di lavoro mirato alla composizione in lingua volgare di opere di filosofia naturale e morale di matrice aristotelica e di trattati scientifici, in particolare di astronomia e cosmografia. Si tratta di un programma, illustrato nei dettagli in una lettera a Pietro Aretino del 24 marzo 1541, che avrebbe impegnato il senese quasi sino agli ultimi anni della sua vita, e che già nel periodo padovano avrebbe dato i primi, significativi frutti.
Nel 1540 pubblicò infatti i trattati astronomici De la sfera del mondo (Venezia, al segno del Pozzo per A. Arrivabene; poi riedito, ampl., nel 1566 per G. Varisco & c.) e De le stelle fisse (Venezia, al segno del Pozzo per A. Arrivabene, 1540), dedicati entrambi a Laudomia Forteguerri, opere il cui valore non risiede tanto nelle novità scientifiche proposte, ché anzi sono solitamente oneste traduzioni di testi noti, ma nella capacità di farsi mediatore e divulgatore di materie scientifiche per un pubblico allargato, come accade per il De le stelle fisse, volume corredato da mappe del cielo che permettono al lettore di individuare facilmente le costellazioni. In nome dei medesimi interessi scientifici, ma per un pubblico più esperto, tradusse in latino il commento di Alessandro di Afrodisia ai Libri metereologicorum di Aristotele, cui seguì, nello stesso volume andato a stampa nel 1540, il trattato De iride.
Sul fronte della filosofia morale nel 1542 diede alle stampe il sopra citato trattato De la institutione di tutta la vita…, pensato come omaggio al figlio di Laudomia Forteguerri, alla quale viene indirizzata la lettera prefatoria, datata 1° gennaio 1540. Articolato in dieci libri, il trattato è un manuale per l’educazione del giovane aristocratico: con un montaggio di ampi passaggi prelevati dall’Etica aristotelica, come anche di alcune sezioni riprese dalla Retorica (in particolare il libro secondo), cui si aggiungono le parti sull’amministrazione della casa e un’ampia trattazione della teoria amorosa, il volume, che poi fu riedito, ampliato e con titolo leggermente variato, nel 1560 (L’institutione morale, Venezia, Giordano Ziletti), rappresenta una sorta di compendio in volgare del cursus ideale del gentiluomo rinascimentale.
La pubblicazione del De la institutione… generò, tuttavia, forti attriti con Sperone Speroni, che accusò, forse non a torto, Piccolomini di aver plagiato i suoi dialoghi; in effetti i punti di contatto sono tali da far ipotizzare che questi avesse voluto di proposito lavorare con i medesimi materiali, ma per proporre una lettura alternativa a quella speroniana, tanto sul piano della gerarchia dei saperi ritenuti necessari, quanto per le forme discorsive, con una preferenza per il trattato monologico contro la forma del dialogo (cfr. Residori, in A. P., 2011). Del resto i rapporti con Speroni si erano già andati deteriorando nell’autunno del 1541, quando il letterato padovano, nell’atto di assumere la carica di principe dell’Accademia, oppose una ferma resistenza, in nome della volontà di riformare l’assetto complessivo dell’istituzione, per garantire un suo ruolo non competitivo con le attività dello Studio. Tra ottobre e novembre del 1541 Piccolomini dovette infatti arginare la crisi, mediando con Speroni e cercando il sostegno di Benedetto Varchi, come documenta il carteggio superstite tra i due relativo proprio a questo giro di mesi. Forse a causa dei crescenti dissapori che venivano prendendo forma a Padova o anche perché attratto dalle notizie che riceveva da Varchi sulle lezioni che Lodovico Boccadiferro teneva nello Studio di Bologna su Aristotele, verso la seconda metà del 1542 si trasferì nella città emiliana, come documenta una lunga orazione funebre per la senese Aurelia Petrucci, inviata proprio da Bologna a Siena il 28 novembre del 1542. Dalla medesima città Piccolomini spedì, sempre a Siena, il 1° febbraio del 1543, un Discorso fatto in tempo di Repubblica per le veglianti discordie de’ suoi cittadini, probabilmente il solo intervento diretto sulle tormentate vicende politiche senesi, nel quale auspicava l’abolizione dei quattro Monti, le fazioni tradizionali di Siena, come unico rimedio per eliminare in modo definitivo la conflittualità sociale.
Verso l’estate del 1543 lasciò Bologna per fare ritorno, dopo una lunga assenza, a Siena, dove era divenuto, già a partire dal 2 aprile del 1540 e per la volontà dell’arcivescovo Francesco Maria Bandini, rettore della Chiesa di S. Giorgio. Il rientro nella città natale segnò anche un nuovo impegno con l’Accademia degli Intronati, riaperta, dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1544, in virtù di un momento di relativa pacificazione degli scontri politici. Proprio in questa occasione cade la composizione dell’Alessandro, la seconda commedia piccolominiana, recitata nel carnevale del 1544 e poi andata a stampa nel 1545 a Roma per G. Cartolari. A Siena tenne anche le lezioni di filosofia morale presso lo Studio nell’anno accademico 1545-46, benché, dalle lettere prefatorie alla traduzione latina della Meccanica di Aristotele (forse già iniziata durante il soggiorno padovano anche grazie all’invito dell’ambasciatore imperiale a Venezia Diego Hurtado de Mendoza) e al Commentarium de certitudine mathematicarum disciplinarum, scritte da Roma rispettivamente il 24 febbraio e il 10 aprile 1546, dobbiamo supporre che viaggiasse frequentemente e soggiornasse spesso nella città capitolina. Da queste due opere si evince inoltre che, in questo periodo, Piccolomini era andato stringendo un solido rapporto con la familia di Francisco Mendoza y Bobadilla, cardinale di Burgos, in particolare con il fratello di questo, Fernando, cui è dedicato il Commentarium.
Sul finire del 1546 Piccolomini decise di trasferirsi stabilmente a Roma, proprio presso il cardinale spagnolo, anche se non si hanno notizie sicure su quale incarico fosse chiamato a svolgere. Di certo in compagnia del cardinale intraprese un viaggio per andare da Roma a Genova nel dicembre del 1548, per partecipare al comitato che doveva accogliere e poi accompagnare il giovane Filippo d’Austria, futuro Filippo II, in viaggio per raggiungere il padre nelle Fiandre. È probabile che il senese seguisse il giovane Asburgo almeno sino a Milano, dove il 6 gennaio 1549 venne rappresentato l’Alessandro, grazie all’allestimento curato da Luca Contile. A causa di un deteriorarsi delle condizioni di salute, rientrò a Siena nella primavera del 1549, dove rimase per un periodo di convalescenza, prima di fare ritorno a Roma almeno a partire dal marzo del 1550.
Gli anni romani furono piuttosto travagliati, da un lato perché la situazione a Siena si stava facendo sempre più turbolenta, dall’altro per i complessi intrighi che si svolgevano in Curia a Roma, specie in occasione del conclave che portò all’elezione di Giulio III. A quel periodo, tra il dicembre del 1549 e il gennaio del 1550, risale un sonetto di Piccolomini inviato a Marcantonio Flaminio, nel quale prendeva apertamente posizione per la salita al soglio pontificio del cardinale Reginald Pole.
Nonostante tali difficoltà, nel 1549 Piccolomini diede alle stampe la raccolta lirica Cento sonetti (Roma, Vincenzo Valgrisi), ispirata al modello oraziano e preceduta da una lunga lettera prefatoria, che costituisce uno fra i più interessanti testi teorici sulla lirica di questi anni; pubblicò poi l’Instrumento della filosofia (Roma, Giovanni Maria Bonelli, 1552) e la Prima e Seconda parte della filosofia naturale (rispett., Roma, V. Valgrisi, 1551 e Venezia, V. Valgrisi, 1554), opere premesse da una convinta rivendicazione della necessità di utilizzare la lingua italiana nei domini della filosofia, come anche di una trattazione ampia e originale della logica, probabilmente uno dei suoi contributi più originali.
A causa della brusca partenza da Roma (nei primi mesi del 1553) del cardinale Mendoza y Bobadilla, dovuta al coinvolgimento dello spagnolo nelle trame di una politica avversa a Giulio III, Piccolomini dovette cercare ospitalità presso la famiglia di Giacomo Cocco, arcivescovo di Corfù, come testimoniano alcune lettere prefatorie alle opere edite in questi anni. In verità non è dato di conoscere con precisione quale compito potesse svolgere Piccolomini che, in ogni caso, non era intenzionato a fare ritorno in patria, a causa della guerra in atto in quel periodo. Certamente sotto la tutela di Cocco nel marzo del 1555 Piccolomini prese gli ordini sacri a Roma e ottenne la promozione al presbiterato; in questa occasione ricevette dallo stesso Cocco il canonicato della chiesa di San Paolo in Silice, nel territorio di Padova.
Le difficili condizioni di salute lo costrinsero a rientrare per brevi soggiorni a Siena tra il 1556 e il 1557, da dove congedò il suo trattato scientifico Della grandezza della terra et dell’acqua (Venezia, Giordano Ziletti, 1558). Dall’estate del 1558 vi si stabilì quindi definitivamente, come apprendiamo dalla lettera prefatoria del suo trattato La prima parte de le theoriche, nella quale esprimeva a Cosimo il desiderio di poter rientrare in una Siena finalmente pacificata.
Questa nuova stagione segnò la ripresa delle attività dell’Accademia degli Intronati, la cui responsabilità fu affidata proprio a Piccolomini, che ricoprì l’incarico di archintronato prima e di censore poi, in una stagione che vide anche la scrittura collettiva della commedia l’Ortensio (per i prologhi v. Refini, 2013, p. 282), allestita in presenza di Cosimo I a Siena il 26 gennaio del 1561. Ancora una volta però la vita dell’Accademia dovette rivelarsi effimera, tanto che già nell’estate del 1559 Piccolomini fu chiamato a prenderne le difese nell’ambito dell’indagine condotta dalla Compagnia di Gesù, sorta per il sospetto che vi serpeggiassero idee ereticali, del resto significativamente presenti a Siena in questo giro d’anni (Marchetti, 1975, p. 174); forse per questa ragione o per difficoltà di altra natura, nell’aprile del 1563 l’Accademia aveva sospeso le attività.
Gli anni senesi, talvolta interrotti da viaggi a Roma, videro Piccolomini, ancora afflitto da gravi problemi di salute, impegnato soprattutto nella traduzione e commento della Retorica (Venezia, per G. Varisco & c., 1565, 1569, 1571, 1572) e della Poetica di Aristotele (Siena, per L. Bonetti, 1572; Venezia, per G. Guarisco & c., 1575), un lungo lavoro che vide la stampa a diverse riprese, sempre accompagnato da importanti riflessioni sul modo di tradurre, compendiate nella Epistola ai lettori del modo di tradurre, allegata al volgarizzamento della Poetica.
All’attività intellettuale si venne presto aggiungendo un consistente impegno legato alla sua carriera ecclesiastica: dall’ottobre del 1564 ottenne il canonicato della chiesa di S. Pietro in Banchi a Siena, e, soprattutto, nel 1574 – dopo lunghe trattative, avviate almeno a partire dal 1569 – ebbe l’incarico di coadiutore dell’arcivescovo di Siena, Francesco Bandini Piccolomini, con il titolo onorifico di Arcivescovo di Patrasso. Tale riconoscimento gli fu conferito dopo il superamento dell’esame in teologia, che sostenne a Siena l’8 luglio 1574 nella chiesa di San Giorgio. Qualche mese dopo, a Roma, presso Santa Maria Maggiore, ebbe formalmente i nuovi titoli, ma solo il 9 maggio 1575 ricevette da papa Gregorio XIII le bolle ufficiali. Il nuovo ufficio non fu privo di difficoltà, dovute da un lato all’atteggiamento non collaborativo e forse in parte ostile di Francesco Bandini Piccolomini, e dall’altro alle visite apostoliche, che impegnarono a fondo Piccolomini a partire dall’estate del 1575, quando il visitatore apostolico Francesco Bossi iniziò una indagine approfondita, destinata a durare almeno sino alla fine dello stesso anno. Nel marzo del 1576 vi fu poi una seconda visita apostolica, questa volta di Giovanni Battista Castelli, che condusse una nuova e ancora più serrata indagine. Dal fitto carteggio che Piccolomini intrattenne con il granduca Francesco de’ Medici e con il fratello di questo, il cardinale Ferdinando, sappiamo inoltre quanto la sua condizione economica fosse precaria, dato che non riusciva a godere dei benefici che gli sarebbero spettati.
Sempre nel 1575 gli fu richiesto dal cardinale Sirleto e da Francesco de’ Medici un intervento sulla questione della riforma del calendario, che Piccolomini concluse e mandò alle stampe a Siena sul finire del 1578, proprio quando le sue condizioni di salute si aggravarono velocemente, tanto che pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 marzo 1579, la Balìa di Siena prendeva i primi provvedimenti in vista di una cerimonia funebre solenne.
Opere. Fra le ristampe e le edizioni più recenti corre l’obbligo di segnalare almeno Alessandro, a cura di F. Cerreta, Siena 1966 (rist. anast. a cura di N. Newbigin, Bologna 1974); L’Amor costante, rist. anast. a cura di N. Newbigin, Bologna 1990; La Raffaella, ovvero Dialogo della bella creanza delle donne, a cura di G. Alfano, Roma 2001; Discorso fatto in tempo di repubblica, rist. anast. a cura di E. Refini - F. Tomasi, Siena 2008; In libros meteorologicorum (rist. anast. della stampa del 1561), a cura di C. Viano, Stuggardt-Bad Cannstadt 2010; Cento sonetti, a cura di F. Tomasi, Gèneve in corso di stampa.
Fonti e Bibl.: Per la biografia: S. Bargagli, Oratione nella morte del reverendissimo Mons. A. P.…, Bologna, per Giovanni Rossi, 1579; G. Fabiani, Memorie per servire alla vita di Mons. A. P., Siena 1759; dettagliato elenco dei manoscritti autografi in E. Refini, A. P., in Autografi dei letterati italiani, Il Cinquecento, II, a cura di M. Motolese - P. Procaccioli - E. Russo, Roma 2013, pp. 281-293.
Nel ricco panorama degli studi si vedano almeno: F. Cerreta, A. P. letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena 1960; V. Marchetti, Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze 1975; D. Seragnoli, Il teatro a Siena nel Cinquecento: progetto e modello drammaturgico nell’Accademia degli intronati, Roma 1980; A. Baldi, Tradizione e parodia in A. P., Lucca, 2001; L. Riccò, La «miniera accademica». Pedagogia, editoria, palcoscenico nella Siena del Cinquecento, Roma 2002; A. Cotugno, P. e Castelvetro traduttori della «Poetica» (con un contributo sulle modalità dell’esegesi aristotelica nel Cinquecento), in Studi di lessicografia italiana, XXIII (2006), pp. 113-219; E. Refini, Per via di annotazioni. Le glosse inedite di A. P. all’«Ars poetica» di Orazio, Lucca 2009; A. Quondam, Forma del vivere. L’etica del gentiluomo e i moralisti italiani, Bologna 2010, pp. 100 s.; A. P. (1508-1579). Un siennois à la croisée des genres et des savoirs, a cura di M.-F. Piéjus - M. Plaisance - M. Residori, Paris 2011 (un regesto aggiornato delle opere a stampa di P. e delle edizioni recenti a pp. 275-286); K. Eisenblicher, The sword and the pen. Women, politics, and poetry in Sixteenth-Century Siena, Notre Dame 2012; M. Sgarbi, The Italian mind. Vernacular logic in Renaissance Italy (1540-1551), Leiden-Boston 2014, pp. 175-212.