PETRUCCI, Alessandro
PETRUCCI, Alessandro. – Nacque a Siena nei primi anni Sessanta del XVI secolo da Pandolfo di Agostino e da Eusta Bulgarini, figlia di Alessandro e di Virginia Chigi (zia paterna del futuro papa Alessandro VII): suo padre, ‘riseduto’ nelle magistrature senesi dal 1560 e dal 1571 cavaliere di grazia nella religione di S. Stefano, nel 1572 aveva fondato nell’Ordine cavalleresco mediceo una commenda di patronato familiare, nella quale, alla sua morte (1621), succedettero i figli Cesare e Timoteo, anch’essi ‘riseduti’.
Nel 1584 Petrucci ottenne la dignità di proposto nel Capitolo dei canonici della cattedrale di Siena. Il 22 aprile 1602 fu nominato vescovo di Massa Marittima e Populonia nella Maremma senese, succedendo nella cattedra episcopale al defunto Achille Sergardi, ma sulla sua mensa vescovile fu imposta una pensione annua di cento ducati a favore del canonico senese Nicolò Sergardi.
Per dodici anni profuse senza risparmio le sue energie e le sue risorse, anche personali, nel governo di questa chiesa maremmana. Istituì e dotò altre sei prebende canonicali nella cattedrale impegnando a tal fine anche parte del patrimonio vescovile, aumentò la dotazione della prebenda dell’arciprete, acquistò con il suo denaro arredi e preziosi per la chiesa cattedrale e ristrutturò quasi ex novo il Palazzo episcopale, ampliandolo e annettendovi orti e giardini, con una spesa che fu valutata superiore ai 3500 scudi, senza però intaccare il valore delle rendite annue del suo ufficio. Impegnato sul versante del disciplinamento del personale ecclesiastico, riuscì a imporre una stretta clausura nel monastero femminile massetano di S. Chiara, avendo assicurato la sopravvivenza a quelle religiose che in precedenza erano costrette a girare per le strade cittadine per chiedere l’elemosina. Adempì ai suoi doveri pastorali, visitando con rigorosa attenzione la sua diocesi, che comprendeva territori posti sia nel Granducato di Toscana, sia nel Principato di Piombino (ma il timore d’incappare nei pirati barbareschi lo dissuase a visitare la più lontana isola di Capraia), erigendo nuove cure d’anime nelle chiese dei castelli maremmani e insediando nella cittadina di Piombino un cenobio di frati ospedalieri di S. Giovanni di Dio.
In quest’intensa attività non mancarono gli scontri con le autorità politiche locali, in particolare con il principe di Piombino, al quale tentò, senza successo, di sottrarre il giuspatronato vantato ed esercitato da tempo immemorabile sulle pievi maremmane dei suoi domini: il vescovo finì per accettare che, pur senza pregiudizio per i diritti episcopali, i sovrani continuassero a presentare i nuovi pievani. Ma la sconfitta più grave la subì da parte degli abitanti di Piombino, in una vicenda che coinvolse il microcosmo locale, i potentati regionali e persino la Corte papale. In questa cittadina marittima, per iniziativa della principessa Isabella Mendoza Appiani, che voleva farsi perdonare da Dio la sua complicità nell’omicidio del marito Alessandro, tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento il Consiglio comunale aveva fondato e dotato un monastero femminile intitolato a S. Anastasia, in locali posti a ridosso della pieve urbana di S. Antimo. Al momento della sua istituzione, il vescovo e la principessa vi inviarono la famosa ‘santa viva’ senese Passitea Crogi con il compito di elaborare le regole claustrali secondo la disciplina delle monache cappuccine, imponendo alle nuove religiose la privazione di ogni bene personale e una rigorosa clausura. Questa scelta, pienamente aderente alle strategie della Controriforma sui monasteri femminili, incontrò una fiera resistenza da parte del ceto dirigente locale, che non si limitò a protestare con i sovrani, ma dette vita a una sorta di sciopero delle monacazioni. Alla fine, nonostante le pressioni esercitate sugli anziani del Consiglio cittadino da parte della principessa Appiani, della corte granducale medicea e della Curia romana, Petrucci dovette arrendersi alla volontà dei piombinesi e Passitea Crogi fu allontanata. Nel maggio del 1616, subentrato a Massa il nuovo vescovo Fabio Piccolomini, furono scritti sotto dettatura dei giuristi laici incaricati dal comune quei regolamenti monastici «più commodi, larghi», che la comunità aveva sollecitato e che consentirono al sodalizio femminile una lunga e prospera vita in comunicazione e collaborazione con il suo particolare contesto sociale.
Il 23 marzo 1615, in seguito alla rinuncia del cardinale Metello Bichi, Petrucci ottenne la cattedra arcivescovile di Siena, ma fu obbligato a lasciare al suo predecessore l’esercizio della giurisdizione temporale sul feudo vescovile di Murlo e la maggior parte delle rendite annue della mensa: su circa 4000 scudi gliene spettarono solo 1200. Non per questo fu meno prodigo nell’elargire le entrate del suo ufficio e le sue rendite personali nei lavori di ristrutturazione del palazzo arcivescovile e nell’edificazione della villa di S. Colomba, fuori le mura di Siena. Anche nella sua terra natale profuse al massimo le sue energie, adempiendo con esattezza e rigore ai compiti di un presule postridentino. Già nel 1615 fondò una Congregazione diocesana composta da 72 sacerdoti secolari; dettò nuove regole per il piccolo seminario diocesano, eretto dal suo predecessore; tenne il sinodo diocesano. Nel 1625 mandò a stampa un libretto di Decreti e costituzioni generali… per il buon governo delle Monache della sua Città, e Diocesi, informati ai principi di segregazione materiale dal mondo e di separazione spirituale dagli affari e dagli interessi temporali: la monaca «in ogni luogo s’astenga d’introdurre ragionamenti di cose impertinenti, o di negozi del secolo, tanto contrarij alla sua condizione, & istituto» (p. 41).
Ridotti ormai tutti i monasteri femminili sotto la giurisdizione arcivescovile e sconfitte le ultime resistenze delle monache contro le disposizioni dei pontefici Pio V e Gregorio XIII, l’impegno di Petrucci a mantenere una disciplina monastica femminile improntata alla più rigorosa clausura emerge anche dalle sue Relationes ad Limina S. Petri inviate alla Congregazione del Concilio, nelle quali, tanto per Massa Marittima quanto per Siena, volle sottolineare la sua assidua vigilanza e il suo intervento finanziario per adempiere all’obbligo di apporre le doppie grate nei parlatori. L’arcivescovo dedicò particolare cura anche alla diffusione dell’insegnamento della dottrina cristiana tramite apposite scuole per i fanciulli e per le fanciulle (ben 15 nella sola Siena e una in ciascuna chiesa parrocchiale extraurbana), secondo quel modello postridentino che in area toscana aveva trovato i suoi interpreti nel lucchese Giovanni Leonardi e nel fiorentino Ippolito Galantini (proprio ai membri laici della sua Congregazione per la Dottrina Cristiana si attribuisce la nascita dell’appellativo di ‘vanchetoni’ o ‘bacchettoni’). Più volte ispezionò la diocesi, facendosi accompagnare oltre che da due canonici della cattedrale anche da padri della Compagnia di Gesù, ma nel corso della visita pastorale del 1624 si trovò invischiato in un aspro conflitto giurisdizionale con le autorità civili intorno al controllo sulle confraternite laicali, sottoposte nel temporale al Concistoro di Siena. Anche in questo caso, la vertenza si concluse con la sconfitta di Petrucci, che dovette sottoscrivere una dichiarazione pubblica, nella quale riconosceva espressamente la dipendenza delle confraternite laicali dalle autorità secolari, in linea con il modello giurisdizionale vigente nel Granducato di Toscana.
Petrucci fu in stretta relazione con ecclesiastici e laici particolarmente attivi sul fronte dell’opera di rigoroso disciplinamento dei fedeli: il cardinale Federico Borromeo, il fiorentino Ippolito Galantini, la già ricordata Passitea Crogi. Quando, il 12 maggio del 1615, Passitea morì, Petrucci fu immediatamente avvertito, come «gli altri amici e divoti», e si affrettò subito a convocare «alcuni Medici e Cerusici de’ più periti» (Marracci, 1669, 1682, p. 82) per accertare e certificare le cicatrici delle stimmate e, soprattutto, la miracolosa assenza del cuore nel suo corpo, come conseguenza del suo matrimonio mistico con Gesù (evidente l’analogia con Caterina Benincasa da Siena). Organizzati i funerali solenni della religiosa per soddisfare la devozione popolare, Petrucci istruì la fase locale della pratica canonica della beatificazione della ‘santa viva’, ma la Curia arcivescovile senese commise tali scorrettezze procedurali che un secolo dopo Prospero Lambertini, chiamato a giudicare della causa, la bloccò sulla base di fondate motivazioni teologiche e canoniche.
Petrucci morì il 7 giugno 1628 e fu sepolto nella chiesa cattedrale di Siena.
Petrucci, che era tenuto «in grande stima dalla Corte Romana e da’ Principi» (Gigli, 1723, 1854), fu un tipico esponente di quel patriziato urbano senese al quale la dinastia medicea lasciò in esclusivo appannaggio la gestione del potere locale, sia in ambito civile (in meno di due secoli un centinaio di membri del suo casato occuparono per 250 volte i prestigiosi stalli di ‘riseduti’), sia in ambito ecclesiastico: non solo le prebende dei corpi canonicali cittadini, ma anche la cattedra arcivescovile e le mense episcopali delle diocesi dell’antico dominio territoriale della Repubblica senese. Tuttavia, l’impegno profuso nella sua attività episcopale e la sua ‘magnificenza’ nel costruire, prima a Massa Marittima e poi a Siena, non solo esposero la sua persona a conflitti con il potere civile, ma non arrecarono alcun vantaggio alle fortune della sua famiglia. Quando, dieci anni dopo la sua morte, la Balìa senese inserì un altro Petrucci nella lista dei candidati al vescovado vacante di Sovana-Pitigliano (il canonico Alessandro, vicario generale della diocesi senese), il designato si affrettò a scrivere al granduca, declinando tanto onore «per non mettere con grosse spese in nuovi disordini la sua Casa» (Archivio di Stato di Firenze, Reggenza Lorenese, f. 265, c. 75r).
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Congr. Concilio, Relationes Dioecesium, 498A (Massa e Populonia), cc. 25r-46; 738A (Siena), cc. 72r-85r; Constitutiones novae congregationis septuaginta duorum sacerdotum instituitae Senis pridie non. Octobris anno salutis fundatae M.DC.XV.… Alexandro Petruccio Senarum Archiepiscopo, Senis 1616; Dottrina cristiana, stampata d’ordine dell’illustrissimo, & r.mo sig. A.P., arcivescovo IX. di Siena… Aggiuntoui le letanie della Madonna… da cantarsi in tutto l’anno, Siena 1616; Lettera pastorale con gli ordini di Monsig. Illustrissimo Rev.mo Arcivescovo di Siena per l’erezione delle Quarant’ore da cominciarsi la Domenica delle Palme 1621 nella Chiesa Metropolitana per durare fino alle 17 ore del Mercoledì Santo e la distribuzione dell’ore, Siena 1621; Decreti e costituzioni generali dell’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore A.P. Arcivescovo di Siena per il buon governo delle Monache della sua Città, e Diocesi, Siena 1625.
I. Ugurgeri Azzolini, Le Pompe Sanesi, o’ vero Relazione delli huomini, e donne illustri di Siena e suo stato, I, Pistoia 1649, pp. 102-103 e 140-141; L. Marracci, Vita della Ven. Madre Passitea Crogi Senese Fondatrice del Monastero delle Religiose Cappuccine nella Città di Siena, Roma 1669, rist. Venezia 1682; G. Gigli, Diario senese in cui si veggono alla giornata tutti gli avvenimenti più ragguardevoli spettanti sì allo spirituale sì al temporale della città e stato di Siena; con la notizia di molte nobili famiglie di essa, I, Lucca 1723, rist. Siena 1854, p. 253; G.A. Pecci, Storia del Vescovado della città di Siena unita alla serie cronologica de’ suoi Vescovi, ed Arcivescovi, Lucca 1748, pp. 362-364; V. Lusini, Capitolo della Metropolitana di Siena. Note storiche, Siena 1893; Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, IV, a cura di P. Gauchat, Monasterii 1935, rist. Padova 1967, pp. 234, 312; B. Casini, I Libri d’Oro delle città di Siena, Montepulciano e Colle Val d’Elsa, in Bullettino senese di storia patria, XCIV (1987), pp. 279-321, XCV (1988), pp. 362-419 (in partic. p. 317); V. Criscuolo, Documenti vaticani su Passitea Crogi, clarissa cappuccina senese (1564-1615), in Collectanea Franciscana, LXII (1992), pp. 651-683; B. Casini, I cavalieri dello Stato senese membri del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, Pisa 1993; G. Greco, La Chiesa di Massa e Populonia in età medicea, in Populonia e Piombino in età medievale e moderna. Convegno di studi (Populonia, 28-29 maggio 1993), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut - G. Garzella, Pisa 1996, pp. 99-125; Id., Dopo il Concilio di Trento, in Storia di Siena, II, Dal Granducato all’Unità, a cura di R. Barzanti - G. Catoni - M. De Gregorio, Siena 1996, pp. 25-39; I ‘riseduti’ della città di Siena in età medicea (1557-1737), a cura di M.A. Ceppari Ridolfi - S. Massai - P. Turrini, in I Libri dei Leoni. La nobiltà di Siena in età medicea (1557-1737), a cura di M. Ascheri, Siena 1996, pp. 503-528 (in partic. pp. 520 s.); D. Barsanti, I Petrucci e la Commenda di San Donato. Storia di una famiglia e del suo patrimonio nelle carte dell’Ordine di Santo Stefano (1565-1797), in L’Ordine di Santo Stefano e la nobiltà senese. Atti del Convegno (Pisa, 8 maggio 1998), Pisa 1998, pp. 25-64; G. Greco, ‘Quella Regola, et Capitoli più commodi, larghi…’. Monache a Piombino nella età moderna, in Religione, cultura e politica nell’Europa moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di C. Ossola - M. Verga - M.A. Visceglia, Firenze 2003, pp. 103-123; Il Seminario di Siena da arcivescovile a regionale 1614-1953/1953-2003, a cura di M. Sangalli, Soveria Mannelli 2003, p. 17.