PAVOLINI, Alessandro
PAVOLINI, Alessandro. – Nacque a Firenze il 27 settembre 1903 da Paolo Emilio e Margherita Cantagalli.
Il padre (1864-1942) era un indologo di fama internazionale e uno specialista di letterature finniche. La madre apparteneva a un’importante famiglia dell’alta borghesia fiorentina. Il fratello maggiore Corrado, di formazione futurista, fu scrittore, critico letterario e regista.
Diplomatosi al liceo classico Michelangiolo di Firenze, il giovane Pavolini frequentò giurisprudenza all’Università di Roma e scienze sociali presso l’Istituto superiore di studi Cesare Alfieri, laurendosi nel 1924. Dopo avere condiviso l’esaltazione nazionalista della prima guerra mondiale, aderì nell’ottobre 1920 ai Fasci di combattimento, partecipando attivamente alle ‘spedizioni punitive’ contro gli avversari politici e sociali. Di passaggio a Roma il 28 ottobre 1922 per sostenere alcuni esami universitari, si unì agli squadristi toscani che concludevano la marcia su Roma. Nel 1924, durante la crisi seguita al rapimento e all’assassinio di Giacomo Matteotti, sostenne la tesi della ‘seconda ondata’ fascista che avrebbe dovuto completare la conquista dello Stato e cancellare ogni opposizione politica. Tradusse tale intendimento in azioni eclatanti e violente come l’assalto all’Università di Firenze per impedire a Gaetano Salvemini di tenere le sue lezioni.
In quegli anni giovanili, Pavolini coltivava la politica e scriveva su riviste come Rivoluzione fascista, Battaglie fasciste, Critica fascista, ma era anche molto affascinato dal teatro e dalla letteratura. La svolta si ebbe nel 1927 quando, grazie alla protezione del segretario del partito Augusto Turati e del marchese Luigi Ridolfi, egli divenne vicefederale del capoluogo toscano. Nel 1929 subentrò a Ridolfi, eletto alla Camera in occasione del primo plebiscito, nella carica di federale di Firenze.
Sul fronte letterario, fondò allora la rivista Il Bargello, di gran lunga la testata fascista più interessante del tempo. Pavolini si mostrava – o fingeva di essere – aperto e tollerante, accogliendo nel periodico molti giovani dal futuro promettente, come Indro Montanelli, riuscendo in tal modo nell’intento tutto politico di incanalarli nell’alveo del fascismo. Un disegno che nel 1934 ampliò e perfezionò, insieme a Giuseppe Bottai, con i Littoriali della cultura e dell’arte.
Nel 1929 si era sposato con Teresa Franzi. L’anno seguente nacque il primogenito Ferruccio, seguito da Maria Vittoria (1931) e da Vanni (1938).
A Firenze, in qualità di federale diede un grande impulso alla federazione provinciale del PNF (Partito Nazionale Fascista) portando i suoi iscritti da poco più di 31.000 nel 1929 a quasi 45.000 alla fine del 1933. Sviluppò una fitta rete di case del fascio in campagna e di gruppi rionali urbani, che avevano lo scopo di controllare e conquistare allo stesso tempo la popolazione attraverso la promozione di una sociabilità politicizzata fatta di tornei sportivi e attività ricreative, corsi formativi e gite. Si impegnò, inoltre, nel rimodellare il profilo della città attraverso una peculiare declinazione fascista della fiorentinità e una proposta di sviluppo basata sul trinomio artigianato, cultura e turismo che, fra il 1931 e il 1933, si tradusse in iniziative come la reinvenzione del calcio storico e della tradizione dell’annuale partita in costume, la fiera nazionale dell’artigianato e il Maggio musicale.
La costruzione di una fama di fascista acculturato e moderato contribuì al suo ingresso nel circolo del vero artefice della sua fortuna politica: Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini e dal 1935 ministro per la Stampa e la Propaganda. Trasferitosi a Roma nel 1934, dopo la sua elezione alla Camera dei fasci e delle corporazioni in occasione del secondo plebiscito, Pavolini ottenne un contratto da inviato speciale del Corriere della sera e la carica di presidente della Confederazione fascista artisti e professionisti.
Durante il suo soggiorno romano crebbero l’intesa e l’amicizia con Ciano. Con l’inizio del conflitto etiopico, alla fine dell’estate del 1935, numerosi gerarchi partirono volontari: a Ciano venne assegnato il comando di una squadriglia aerea da bombardamento, «la Disperata». Insieme al ministro partì anche Pavolini, assegnato sullo stesso aereo, nella doppia veste di inviato per il Corriere della sera e di ufficiale osservatore.
Il suo compito fu quello di eroicizzare le gesta belliche del capitano Ciano e di esaltare il carattere ‘romano’ e ‘civilizzatore’ dell’impresa coloniale, come quando illustrò i lavori di ingrandimento del porto eritreo di Massaua (La titanica opera compiuta in Eritrea, in Corriere della sera, 17 settembre 1935). Nelle sue corrispondenze trasparivano assenza di pietà e disprezzo verso il nemico, e senso di superiorità verso gli autoctoni, considerati come distanti anni luce dai colonizzatori europei.
Dopo la fine della guerra, nel maggio 1936, Pavolini fece ritorno in Italia. Era ormai uno degli astri nascenti del regime: pienamente inserito nel milieu del neoministro degli Esteri Ciano, che lo considerava un valente e fidato gregario nell’ascesa verso il potere. Grazie a questo legame, nell’autunno del 1939, mentre prevaleva la linea attendista di Ciano verso l’entrata in guerra, da lui condivisa, Pavolini succeddette a Dino Alfieri alla direzione del ministero della Cultura popolare (Minculpop), erede di quello per la Stampa e la Propaganda.
Pavolini era in grado di scegliere i direttori di tutti i quotidiani e controllava la programmazione radiofonica, cinematografica e teatrale nei più piccoli dettagli. Nel settore della carta stampata, esercitò il suo controllo a mezzo di riunioni periodiche coi direttori dei quotidiani, e con le ‘veline’, note di servizio inviate periodicamente ai giornali contenenti oggetto e modalità delle notizie da comunicare. Nel campo cinematografico incoraggiò nuovi scrittori e registi, che nel secondo dopoguerra furono protagonisti della rinascita del cinema italiano, fra i quali Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis. Il suo sogno era quello di ripetere in grande l’esperimento culturale fiorentino, che gli aveva dato notorietà politica a livello nazionale.
L’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940 lo relegò tuttavia al ruolo di ‘addetto stampa’ del regime. La sua attività si concretizzò pertanto nel seguire pedissequamente le direttive propagandistiche mussoliniane. Finché le versioni della propaganda non si discostarono eccessivamente dalla realtà dei fatti, Pavolini seppe orchestrare sapientemente i mezzi di comunicazione, segnalando, ad esempio, l’esito felice di una battaglia senza però svalutare i meriti del nemico. Ma non fu sempre ascoltato dai direttori dei quotidiani e dai giornalisti che, per piaggeria e ambizione personale, non di rado, scrivevano articoli che trasformavano le rotte dell’esercito italiano in Nordafrica in ‘capolavori di strategia difensiva’. Consapevole di ciò, alla fine si limitò semplicemente a indicare le notizie alle quali dare maggiore risalto. L’intervento dei tedeschi nei Balcani e in Nordafrica migliorò la situazione militare, fornendogli materiali retorici per promuovere molteplici edizioni di pamphlets che esaltavano la comunione di spiriti e di intenti fra soldati italiani e tedeschi (Cosa hanno fatto gli inglesi in Cirenaica, Roma 1941).
Di fronte ai continui insuccessi bellici, nel febbraio 1943, Mussolini decise di cambiare il governo, licenziando quasi tutti i suoi ministri, compreso Pavolini, al quale fu affidata la direzione de Il Messaggero. L’ex ministro, fino a pochi giorni prima a capo della macchina propagandistica fascista, ne divenne un semplice ingranaggio. Dopo il 25 luglio 1943, si rifugiò in Germania, maturando una scelta di campo a favore della Repubblica sociale italiana (RSI) che lo portò consapevolmente verso la ‘bella morte’. Nominato segretario del Partito fascista repubblicano fu tra i registi del processo di Verona che si svolse all’inizio del 1944 e terminò con la condanna a morte e la fucilazione, fra gli altri, del suo vecchio protettore Ciano, del quale ebbe cura di non far pervenire le domande di grazia a Mussolini.
Per Pavolini non vi fu più alcuno spazio per la politica o per il giornalismo. Con l’aiuto del generale delle Waffen-SS Karl Wolff, creò una sua milizia personale – le brigate nere – consacrandosi a una lotta sanguinaria contro la Resistenza. Diventato capo dell’ala intransigente del fascismo repubblicano, recuperò gli squadristi degli anni Venti, che, emarginati dal fascismo istituzionale, furono utilizzati come manovalanza nella lotta antipartigiana.
Nel corso del 1944 il territorio della RSI andò via via riducendosi mano a mano che gli Alleati avanzavano. A giugno fu liberata Roma, ad agosto Firenze, dove Pavolini organizzò squadre di cecchini che continuarono a operare anche dopo la liberazione alleata. A metà dicembre 1944 i tedeschi sferrarono una violenta e inaspettata offensiva nelle Ardenne, mettendo gli americani in temporanea difficoltà. Mussolini approfittò dell’occasione per tornare a parlare in pubblico. Pavolini era accanto a lui.
Negli ultimi mesi prima del crollo della RSI, coltivò senza successo il progetto del ‘ridotto alpino repubblicano’ (rar), l’ultima fortezza in cui lui e i fedelissimi avrebbero dovuto fare quadrato intorno a Mussolini per morire valorosamente nel tentativo di un’estrema difesa. Il progetto, ineseguibile a causa della carenza di mezzi (Wolff, in segrete trattative di resa con gli Alleati, aveva smesso di rifornire le brigate nere di armi e carburante) rimase sulla carta.
All’indomani del 25 aprile 1945, dopo aver fatto fuggire in Svizzera l’attrice Doris Duranti alla quale era legato sentimentalmente dal 1941 e che lo aveva seguito nell’esperienza della RSI, Pavolini scortò con una colonna motorizzata Mussolini in fuga da Milano. Catturato poco dopo l’ex duce da una banda partigiana, fu fucilato sul lungolago di Dongo il 28 aprile 1945.
Scritti e discorsi: Giro d’Italia. Romanzo sportivo, Foligno 1928; L’indipendenza finlandese, Roma 1928; Enrico Toti. L’italiano più epico della sua generazione, in Il Carroccio, XXXVI (1934), 5, pp. 456-458; Nuovo Baltico. Viaggio, Firenze 1935 (nuova edizione: a cura di M. Soldani, con un saggio introduttivo di L. De Anna e uno scritto di M. Pavolini, Milano 1998); Disperata, Firenze 1937; I nuovi orientamenti costituzionali degli Stati, Milano 1938; Le arti in Italia, I, Milano 1938; Scomparsa d’Angela. Racconti, Milano-Verona 1940; Ogni soldato è fascista, ogni fascista è soldato. Discorso tenuto ai fascisti e al popolo di Firenze il 31 dicembre 1940, Roma 1941; Rapporto sull’attività dell’Istituto per le relazioni culturali con l’estero nel triennio 1939-1942, Roma 1942; 28 ottobre 1943. Ritorno alle origini, Venezia 1944; Il figliuol prodigo dell’eroismo. Ettore Muti, Milano 1944; Le tappe della rinascita, Milano 1944.
Fonti e Bibl.: Documenti, lettere di e a Pavolini sono rinvenibili in: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce; Partito nazionale fascista; Milizia volontaria sicurezza nazionale; Ministero della cultura popolare, Gabinetto (1939-1943); Direzione generale servizi della propaganda, poi per gli scambi culturali (1939-1943); Direzione generale teatro e musica (1939-1943); Direzione generale per la cinematografia (1939-1943); RSI, Brigate nere; Partito fascista repubblicano; Miscellanea. Inoltre: P.V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Roma-Bari 1975, ad ind.; M. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze 1978, ad ind.; G. Bottai, Diario, I, 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, ad ind.; S. Colarizi, L’opinione degli italiani sotto il regime (1929-1943), Rom-Bari 1991; M. Innocenti, Telefoni bianchi, amori neri, Milano 1999, pp. 91-102; A. Petacco, Il superfascista. Vita e morte di A. P., Milano 1999; N. Di Forti, A. P. aveva deciso come morire, Palermo 1999; M. Martelli, Le brigate nere. L’esercito di P. e la Repubblica di Salò, Montespertoli 1999; D. Gagliani, Brigate nere, Torino 1999; S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma 2000, pp. 88, 290, 417, 437, 439-441; F.M. Snowden, P. A., in Dizionario del fascismo, a cura di V. de Grazia - S. Luzzatto, II, Roma 2003, pp. 351-354; L. La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista, 1919-1943, Roma 2003, ad ind.; M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista, Milano 2003, ad ind.; 1933-2003. Le ragioni di un Festival. Nascita e ambiente culturale del Maggio musicale fiorentino, a cura di M. Bucci - G. Vitali, Antologia Vieusseux, X (2004), 28; Ministri e giornalisti. La guerra e il Minculpop (1939-1943), a cura di N. Tranfaglia, Torino 2005, ad ind.; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna 2006, ad ind.; L. Pavolini, Accanto alla tigre, Roma 2010; G. Teodori, A. P. La vita, le imprese e la morte dell’uomo che inventò la propaganda fascista, Roma 2011; A. Soldani, L’ultimo poeta armato. A. P. segretario del partito fascista repubblicano, Milano 2012; M. König, Censura, controllo e notizie a valanga. La collaborazione tra Italia e Germania nella stampa e nella radio 1940-41, in Italia contemporanea, 2013, vol. 271, pp. 233–255; M. Mazzoni, Aprile 1929: A. P. federale di Firenze, in Storia di Firenze. Il portale per la storia della città, http://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=aprile-1929-alessandro-pavolini-federale-di-firenze.