PAMPURINO, Alessandro
PAMPURINO, Alessandro. – Non si conosce la data di nascita di questo pittore originario di Cremona, figlio secondogenito di Francesco, maestro di muratura attivo sul finire del Quattrocento.
Le date relative al suo primo impegno noto, le miniature di due corali del duomo pagategli nel 1482 e 1484, quando era già magister, fanno ritenere che fosse nato attorno al 1460-62 (Gregori, 1985). Alcune indicazioni documentarie (Mischiati, 1991, docc. 8 e 9b; Carte Bonetti), che lo dicono emancipato dal padre a partire dal 1488 circa e sposato verso il 1498 con Susanna Assandri (mentre nel 1508 la moglie era Maria Colombi) sembrerebbero tuttavia posticipare la nascita di qualche anno.
Secondo le fonti anche due dei suoi fratelli, Antonio, il maggiore, e Giacomo, erano pittori (Miller, 1985, doc. 14). Come il padre, erano invece dediti all’arte della muratura il nonno Antoniolo e il prozio Giacomo (Artisti, committenti, opere e luoghi. Arte e architettura a Cremona negli atti dei notai (1440-1468), a cura di V. Leoni - M. Visioli, Pisa 2012, passim); ed era probabilmente il bisavolo quel Francesco muratore documentato a Mantova fra il 1419 e il 1427 (S. L’Occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento (1382-1459), Mantova 2005, pp. 86-87, 122).
Le nove iniziali miniate del Codice VII della cattedrale, un antifonario del 1482 oggi nel Museo civico di Cremona, gli sono state assegnate da Mina Gregori (1985), cui spetta il recupero del pittore grazie all’attribuzione di un nucleo omogeneo di dipinti riferito in precedenza a Pedro Fernández, lo Pseudo Bramantino (Tanzi, 1984), in una differente visione complessiva della pittura cremonese a cavallo tra i due secoli che coinvolge appunto la statura artistica di Pampurino. Alle figurazioni dell’antifonario, che riflettono il clima locale fra tradizione bembesca e influenze ferraresi con un notevole scarto stilistico rispetto alle opere accertate, è stato accostato il rovinato frontespizio del salterio della cattedrale (Codice XII) scritto nel 1484 (Passoni, 2004).
Entro un catalogo limitato, dalla qualità diseguale e sottoposto per di più a notevoli oscillazioni interpretative, è stata di recente riferita a Pampurino la Madonna in trono con il Bambino fra i ss. Giovanni evangelista e Gerolamo affrescata nella cappella Meli in S. Lorenzo, riscoperta da poco (Tanzi, 2005, p. 132 n. 65).
La presenza di Pampurino fra gli artisti attivi all’interno del vasto ambiente annesso alla chiesa era già stata ipotizzata nel Settecento da Giambattista Biffi ([sec. XVIII], 1989, p. 31) che collegò dubitativamente al pittore le «picciole imagini di Dio Padre, della Nonziata e dell’Arcangelo» entro la perduta ancona principale, mentre una fonte dallo stesso monastero olivetano lo informava delle «pitture antiche, ma nobilmente fatte di mano credesi del Pampurino» nella cappella (Id., ms. in coll. priv., c. 48v).
Notizie certe sull’attività di Pampurino, relative a opere in gran parte scomparse, si trovano a partire dal 1490 e si infittiscono verso la fine del secolo.
Il 12 gennaio 1490 Benedino Granelli gli commissionò un’ancona raffigurante la Madonna con il Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Agnese, un pallio di tela con la Madonna e il Bambino tra i ss. Sebastiano e Rocco e una «quartina» con Cristo in pietà, nonché la propria arma sulla cappa di un camino (Bonetti, 1914). A parte quest’appendice privata, i dipinti erano destinati alla chiesa di S. Maria in Betlem, dove Granelli aveva il proprio altare (Cremona, Biblioteca statale, Mss., Bresciani 4: G. Bresciani, Historia ecclesiastica, II, sec. XVII, p. 243). Nel dicembre dello stesso anno «maestro Lisandro» figura nella variegata congerie di pittori convocati a Milano per decorare la sala della Balla nel castello di Porta Giovia (Beltrami, 1894, p. 454). Il 30 dicembre 1496 ricevette un pagamento dalla fabbriceria della cattedrale per una generica commissione in qualità di «pictor librorum» (Sacchi, 1872, p. 179). Non è dato sapere se risalissero allo stesso anno gli affreschi con figure di santi registrati nel primo Settecento in S. Gallo (Arisi, c. 162), che recavano una data illeggibile nella terza cifra ed erano già scomparsi nella seconda metà del secolo. Tuttavia l’opera che dovette segnare l’affermazione nell’ambiente locale fu la decorazione della nuova abside di S. Domenico, una delle chiese più importanti della città dopo il duomo, richiestagli il 1o febbraio 1497 (Malaguzzi Valeri, 1902); circa tre anni più tardi, allo scadere del 1500, terminò di dipingere la cassa e le ante dell’organo appena costruito (Mischiati, 1989).
Agli impegni per i domenicani si avvicendò negli anni seguenti l’apprezzamento di Corradolo Stanga, protonario apostolico, a lungo al servizio degli Sforza con importanti incarichi diplomatici.
Al 6 novembre 1504 risale il contratto relativo alla cappella di s. Antonio da Padova in S. Francesco (Id., 1991), che non ebbe seguito – rinnovato nel 1508, fu rescisso nel 1513, dopo la morte dello Stanga – ma che offre una testimonianza interessante sui gusti del raffinato committente: prevedeva infatti affreschi monocromi sia nelle 18 storie del santo alle pareti sia nella sua immagine, affiancata dai ss. Francesco e Bonaventura, in luogo dell’ancona; mentre la volta, campita a cinabro, si completava nelle lunette con busti di santi francescani.
Per lo Stanga Pampurino realizzò nel 1508 le ante dell’organo di S. Antonio abate con l’Annunciazione sul lato interno e i Ss. Paolo eremita e Antonio abate all’esterno, oggi in S. Michele. L’accertamento documentario (Id., 1989) ha permesso di attribuire definitivamente a lui gli altri dipinti collegati per via stilistica, il soffitto con Apollo e le muse del Victoria and Albert Museum di Londra e tre tavole ancora in S. Michele con la Pietà e i Ss. Nicola da Tolentino e Antonio da Padova.
Caposaldo della sua produzione nota, le tempere dispiegano i riferimenti culturali del pittore, filtrati attraverso l’ambiente locale in una peculiare commistione: l’ascendente ferrarese e quello mantegnesco si coniugano con gli interessi prospettici nelle inquadrature architettoniche viste di sotto in su e nello squadro delle figure, illuminate obliquamente, che rimandano all’area milanese e in particolare alle ricerche di Bramantino; il modello diretto delle ante interne è peraltro l’Annunciazione dipinta nel 1507 in duomo dall’incontrastato caposcuola locale, Boccaccio Boccaccino.
Precedenti alle ante sono considerati il soffitto e le tavole. Il primo fu dipinto nel monastero della Colomba in contrada Belvedere: il termine post quem si riconosce nel 1497-98, quando il cenobio cistercense fu unito al monastero agostiniano di S. Monica, retto da Francesca Bianca Sforza, sorella di Ludovico il Moro. Una controversia sorta fra le monache suggerisce però che il luogo non entrasse nella disponibilità della badessa milanese prima del 1500 (C. Bonetti, L’unione dei conventi di S. Monica e S. Colomba, in La Provincia, 25 luglio 1911). La volta quadrata, suddivisa illusionisticamente a ombrello, accoglie nelle vele e nelle lunette le raffigurazioni monocrome delle muse e di Apollo derivate dai cosiddetti tarocchi del Mantegna, mentre al centro l’oculo che si apre sul cielo, dal quale si sporgono tre figure, è una piana citazione della Camera degli Sposi a Mantova; nelle lunette minori i profili romani rientrano nel repertorio all’antica in voga in questi anni a Cremona, così come le candelabre che saturano le parti decorative. Gli affreschi furono strappati nel 1887 da Giuseppe Steffanoni su incarico dell’antiquario fiorentino Stefano Bardini (Natale, 1993, pp. 85 s.) e venduti due anni più tardi al museo londinese; nell’archivio di quest’ultimo, il ritrovamento delle fotografie di tre pennacchi stilisticamente omogenei al soffitto, uno dei quali firmato, ha confermato l’attribuzione a Pampurino (Fahy, 2000).
Nella Pietà in S. Michele, in cui al disegno inciso dei panneggi si unisce la marcata espressività della Vergine, sono presenti accenti più decisamente ferraresi, vicini a Ercole De Roberti, in una tenuta qualitativa che cede nei due santi laterali a un’esecuzione semplificata.
Dopo le ante d’organo del 1508, nel 1511 Pampurino partecipò alla decorazione a grottesche delle volte della navata centrale del duomo, completandone due entro un’impresa iniziata nel 1509 da Boccaccino e conclusa nel 1513 da Bernardino Ricca, oggi perduta.
Gli affreschi della chiesa vecchia di Scandolara Ravara, firmati, decorano il piccolo presbiterio della parrocchiale campestre, impoveriti e in parte manomessi da interventi successivi.
A fronte dell’elegante invenzione prospettica di impronta bramantesca costituita da un’esedra nelle cui nicchie sono appaiati gli apostoli, aperta al centro su un paesaggio che vede l’Assunzione della Vergine verso il Redentore dipinto nella calotta absidale, l’esecuzione è a tratti corsiva, specialmente in quest’ultima figura, faticosa copia del Dio Padre di Boccaccino nel duomo di Cremona, del 1507. L’insieme, che comprende anche tre trittici affrescati nella navata, uno dei quali datato 1513, indica la probabile collaborazione di aiuti e una cronologia dilatata nel secondo decennio del secolo. Fra i disegni ascritti al pittore (Bora, 1984; Gregori, 1985; Bora, 1985; Id., 1997) spicca lo studio preparatorio per S. Filippo (Francoforte, Städelsches Kunstinstitut), uno degli apostoli che costituiscono la parte più rimarchevole della decorazione.
Altre opere riferite a Pampurino sono il S. Antonio da Padova dell’Accademia Carrara di Bergamo (Tanzi, 1997, p. 49) e il S. Girolamo penitente della collezione Borromeo all’Isola Bella (Id., Arcigoticissimo Bembo, Milano 2011, p. 125, n. 62).
La morte di Pampurino si colloca entro il dicembre 1526, quando un documento (Miller, 1985, doc. 20) cita i suoi eredi.
Fonti e Bibl.: Cremona, Biblioteca statale, Mss., AA.2.16: D. Arisi, Accademiade’ pittori, scultori ed architetti cremonesi (sec. XVIII), c. 162; Carte Bonetti, vol. V (sec. XX), cc. 52v; Cremona, coll. priv.: G. Biffi, Lettere, notizie, appunti e frammentidiversi sull’arte e gli artefici cremonesi (ms. sec. XVIII); A. Lamo, Discorso [1584], Cremona 1774, p. 26; G. Biffi, Memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi (sec. XVIII), a cura di L. Bandera Gregori, Cremona 1989, pp. 31 s.; G.B. Zaist, Notizie istoriche de’ pittori, scultori ed architetti cremonesi, Cremona 1774, I, pp. 42 s.; G. Grasselli, Abecedario biografico, Milano 1827, pp. 194 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A his-tory of painting in North Italy (1871), a cura di T. Borenius, III, London 1912, pp. 333, 346; F. Sacchi, Notizie pittoriche cremonesi, Cremona 1872, pp. 178 s.; L. Beltrami, Il Castello di Milano, Milano 1894; F. Malaguzzi Valeri, Documenti sull’arte cremonese, in Rassegna d’arte, I (1902), 11-12, p. 187; C. Bonetti, Un’opera sconosciuta di A. P., in La Provincia, 25 giugno 1914; G. Bora, Nota sui disegni lombardi del Cinque e Seicento, in Paragone, XXXV (1984), 413, pp. 3-35; M. Tanzi, Per gli esordi cremonesi dello Pseudo Bramantino, in Bollettino d’arte, LXIX (1984), 26, pp. 13-30; M. Gregori, in I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento (catal.), Milano 1985, pp. 42-50; G. Bora, Disegni, ibid., p. 269; R.S. Miller, Regesto dei documenti, ibid., p. 457; M. Fabiański, The Cremonese ceiling examined in its original Studiolosetting, in Artibus et Historiae, IX (1988), 17, pp. 189-212; M. Tanzi, Ipotesi per Paolo Antonio De Scazoli, in Itinerari, V (1988), pp. 103 s.; O. Mischiati, Documenti sull’organaria padana rinascimentale. II. Organari a Cremona, in L’Organo, XXIII (1989), pp. 59-321; M. Gregori, in Pittura a Cremona dal Romanico al Settecento, Milano 1990, pp. 19-22, 242-246; Id., Appunti in margine ai recenti ritrovamenti documentari sulla pittura cremonese, in Paragone, XLII (1991), 493-495, pp. 95-99; O. Mischiati, Documenti inediti sulla pittura a Cremona nella prima metà del Cinquecento, ibid., pp. 101-133; M. Natale, Le “primato bergamasco”: dépose des peintures murales et histoire du goût, in Geschichte der Restaurierung in Europa. Akten des internationalen Kongresses “Restauriergeschichte”… 1991, II, Worms 1993, pp. 80-87; G. Bora, in I segni dell’arte. Il Cinque-cento da Praga a Cremona (catal.), a cura di G. Bora - M. Zlatohlávek, Milano 1997, pp. 10 s., 145-147; M. Tanzi, Pedro Fernández da Murcia lo Pseudo Bramantino, Milano 1997, pp. 45-53; Id., Lungo la Paullese 1, in B. Agosti et al., Quattro pezzi lombardi, Brescia 1998, pp. 101-103; E. Fahy, L’archivio fotografico di Stefano Bardini. Dipinti, disegni, miniature, stampe, Firenze 2000, pp. 13, 26, 84-87; A. Gioli, in Il Cinquecento lombardo (catal.), Milano 2000, pp. 196 s.; M.C. Passoni, ad vocem in Dizionario biografico dei miniatori italiani, a cura di M. Bollati, Milano 2004, pp. 847-853; M. Tanzi, Bonifacio Bembo massacrato (ovvero le disavventure della Storia dell’arte), in Prospettiva, 2005, nn. 115-116, pp. 110-134.