OLIVERIO, Alessandro
OLIVERIO, Alessandro. – Poche sono le testimonianze documentarie su questo pittore, attivo a Venezia nella prima metà del XVI secolo, del quale restano incerti tanto il luogo di nascita quanto l’identità del ramo familiare.
Le rare informazioni disponibili non permettono infatti di confermare né l’ipotesi di una sua provenienza bergamasca, accreditata presso gli studiosi moderni dai tempi di Ludwig (1903), né tanto meno quella di una sua estrazione vicentina, cui fa riferimento una notizia tratta dall’inventario seicentesco della collezione del patrizio berico Girolamo Gualdo (Gualdo jr., 1650, p. 19). L’unico dato certo è costituito dall’appellativo «V.[enetus]» che accompagna il suo nome nella sola opera firmata e che può essere ragionevolmente assunto quale indizio indiretto di una paternità veneziana.
Nulla di preciso si conosce sulla sua formazione, attendibilmente svoltasi a Venezia nei primi anni del Cinquecento a contatto con la dominante tradizione belliniana. Le scarne notizie d’archivio fin qui reperite – rese note, anche se talora sulla base di trascrizioni inesatte o parziali, da Gustav Ludwig (1903; cfr. anche 1905) – si concentrano infatti tutte nel quarto decennio, quando plausibilmente doveva aver avviato già da tempo la professione pittorica.
Il primo documento conosciuto risale al 7 ottobre 1532, quando presenziò alla stesura del testamento di Angela di Fedrigo, vicentina, moglie di Alvise di Serafino da Bergamo, già garzone di Jacopo Negretti (Palma il Vecchio). Una successiva testimonianza, spesso equivocata se non addirittura espunta (Ciardi Dupré, 1975), riguarda invece una petizione relativa a una causa di successione ereditaria inoltrata ai Giudici del proprio da tale Slava, moglie del pittore, il 9 agosto 1539.
Nella lettera la donna, definita «uxor [e non relicta, cioè vedova, come erroneamente riportato da Ludwig, 1903, p. 81] ser Alexandri Oliveri pictoris», richiedeva di entrare in possesso dei beni del defunto Marc’Antonio, figlio del suo primo matrimonio col quondam Matteo Chiudi, notaio di Traù (odierna Trogir, Croazia). Considerato il tenore della missiva, si può supporre che alla data i due coniugi fossero di età avanzata, come del resto sembra far intendere anche l’interrogatorio del teste appositamente convocato dai giudici, dal quale si evince che la postulante non doveva aver avuto ulteriori figli dal matrimonio con Oliverio («non scio che lej habia habuto alij fioli con el ditto quondam Marchiò [recte Matteo] over con alij»: Archivio di Stato di Venezia, Giudici del proprio. Lettere, reg. 13, c. 80r).
La difficile ricostruzione della sua attività artistica si basa su un unico dipinto firmato, un Ritratto di gentiluomo già nella coll. Hamilton – dove era conservato fino al 1882 con un’altisonante attribuzione a Leonardo da Vinci – in cui è presente sulla balaustra inferiore l’iscrizione in lettere capitali «Alesander Oliverius V.» (Dublino, National Gallery of Ireland).
L’opera, di alta qualità complessiva, ritrae frontalmente a mezzo busto un uomo di circa trent’anni, dalla folta capigliatura castana e dal ricco abito di pelliccia nero, alle cui spalle si distende un suggestivo paesaggio collinare reso attraverso caratteristiche tonalità grigio-celestine. L’analisi del dato stilistico, in cui convivono componenti veneziane (Bartolomeo Veneto, Marco Basaiti) e atmosfere nordiche, ha suggerito una datazione approssimativa attorno al 1515-20 (Ciardi Dupré, 1975), confermata anche dal curioso dettaglio del monile al collo dell’effigiato (uno stuzzicadenti, per Amstrong, 1906), la cui presenza si riscontra in altri ritratti veneti dello stesso periodo o di poco successivi (Bernardino Licinio, Ritratto di Stefano Nani, Londra, National Gallery; Lorenzo Lotto, Ritratto di Lucina Brembati, Bergamo, Acc. Carrara).
A partire dal confronto con questo dipinto si è venuto precisando su base attributiva un piccolo catalogo formato soprattutto da opere devozionali e ritratti, che oggi è arrivato a contare oltre una decina di esemplari, non sempre però di pacifica e condivisa assegnazione (Tempestini, 1976).
Tra le proposte maggiormente accreditate un posto di sicuro rilievo spetta ai due teleri con la Madonna in trono con il Bambino e angeli musicanti (Dublino, National Gallery of Ireland) e la Madonna in trono con il Bambino e i ss. Lorenzo e Sebastiano, già nell’oratorio di S. Lorenzo a Bovolenta (Padova, Museo diocesano), in cui sono state notate caratteristiche di fusione atmosferica e di resa anatomica comuni al ritratto dublinese. Attorno a questi due dipinti è stato raggruppato in tempi diversi (Tempestini, 1979; Ervas, 2010) un piccolo nucleo abbastanza uniforme di Madonne con il Bambino e santi composto in prevalenza da esemplari provenienti dal mercato antiquario (la documentazione fotografica si trova nella cartella ‘Oliverio’ della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze), contraddistinto da alcuni dettagli ricorrenti, tra cui la forma delle nubi oppure il peculiare trattamento dei lineamenti facciali (bocche sottili, setti nasali allungati), individuabili quali motivo-firma di Oliverio.
Sulla base di questi criteri gli sono state di recente assegnate o confermate altre opere di soggetto devozionale, tra cui due ulteriori Madonne col Bambino (Venezia, Museo Correr; Baltimora, Walters Art Gallery), nonché un più controverso gruppo di dipinti su tavola di soggetto cristologico (Notre Dame University, Indiana; mercato antiquario), in precedenza conteso tra Girolamo da Santacroce e Jacopo de’ Barbari (Ervas, 2010). A questa specifica tipologia figurativa fa peraltro riferimento anche la più antica testimonianza collezionistica fin qui nota, relativa a una irrintracciabile «figura del Salvatore fino al petto» conservata nel Seicento nella raccolta Gualdo a Vicenza (Gualdo jr., 1650, p. 19).
Meno consistente appare al momento il suo corpus ritrattistico, che sconta una serie di vecchie attribuzioni molto dubbie e discutibili (una rassegna critica in Tempestini, 1976). Tra le opere più sicure si possono comunque segnalare una tavola centinata con un singolare Ritratto di giovane (già Newhouse Gall., New York), in precedenza assegnata tra gli altri a Girolamo da Santacroce (Heineman, 1962, p. 172), nonché un interessante Ritratto virile (Bordeaux, Musée des beaux-arts) che presenta numerosi dettagli accostabili al prototipo dublinese, al quale rimandano puntualmente la foggia dell’abito come pure la particolare resa del paesaggio e degli elementi atmosferici (Ervas, 2010).
Questo gruppo di dipinti ha permesso di puntualizzare lo spettro di riferimenti formali del pittore che, a partire da una formazione di stampo belliniano, venne in seguito aggiornando la propria cultura figurativa a contatto con l’ambiente dei Santacroce, e in particolare del caposcuola Girolamo (Fiocco, 1916), col quale il catalogo di Oliverio sembra per lunghi tratti sovrapporsi, distaccandosene tuttavia per una maggiore sensibilità al dato naturalistico (Ervas, 2010).
Sono altrettanto scarsi i dettagli biografici successivi al 1540. Le ultime notizie che lo riguardano risalgono all’ottobre 1542, quando Oliverio – allora residente a Venezia, in contrada Borgoloco nei pressi di S. Lorenzo – ottenne un modesto prestito di 6 lire da Lorenzo Lotto, lasciando come garanzia «azuro ultramarin sazj 4 con la carta», depositati in pegno presso il gioielliere Bartolomeo Carpan (Libro di spese diverse, sec. XVI, c. 3v). Circa due anni più tardi, nell’agosto 1544, lo stesso Lorenzo Lotto provvedeva a condonare il debito al compare «bisognoso», restituendogli indietro le preziose pietre «gratis senza denari» (ibid., c. 4r). Oltre a testimoniare lo stato di indigenza del pittore, questo episodio potrebbe contribuire a sostanziare l’ipotesi di un legame con Girolamo da Santacroce, il quale proprio nell’autunno 1542 risultava aver collaborato con Lotto per alcune commissioni per i domenicani di Ss. Giovanni e Paolo (ibid., c. 197r).
Non è nota la data della morte, probabilmente avvenuta a Venezia.
Fonti e Bibl.: L. Lotto, Libro di spese diverse (sec. XVI), a cura di F. Grimaldi - K. Sordi, Loreto 2003, cc. 3v-4r, 197r; G. Gualdo jr., Giardino di Chà Gualdo (1650), a cura di L. Puppi, Firenze 1972, p. 19; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei: Die bergamasken in Venedig, in Jahrbuch der königlich preussischen Kunstsammlungen, App., XXIV (1903), pp. 81 s.; XXVI (1905), pp. 155 s.; W. Amstrong, A. O., in The Burlington Magazine, X (1906), p. 126; G. Fiocco, I pittori da Santacroce, in L’arte, XIX (1916), pp. 196-198; B. Berenson, Pitture italiane del Rinascimento. La scuola veneta, I, London-Firenze 1958, p. 126; F. Heineman, Giovanni Bellini e i belliniani, I, Vicenza 1962, pp. 263 s.; M.G. Ciardi Dupré, A. O., in Pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Cinquecento, I, Bergamo 1975, pp. 469-485 (con ulteriore bibl.); A. Tempestini, Pittori bergamaschi del primo Cinquecento, in Antichità viva, XV (1976), 5, p. 59; Id., Tre schede venete, in Itinerari, I (1979), pp. 77-79; P. Ervas, Per un catalogo di A. O., in Arte veneta, LXVII (2010), pp. 149-155; U. Thieme - F. Becker, Künsterlexikon, XXV, p. 600.