ALESSANDRO Nevskij, duca di Novgorod e in seguito granduca di Vladimir e di tutta la Russia
Nato il 30 maggio 1220, morto il 14 novembre 1263. Secondogenito del granduca Jaroslav Vsevolodovič, all'età di otto anni fu insediato, quale duca, a Novgorod, insieme col fratello maggiore Feodor. Nel 1239, sposò Alessandra, figlia di Briac̄islav, duca di Polock. Mentre i Tartari invadevano la Russia, e suo padre, primo fra i principi della casa di Rjurik, si sottometteva a Bātū ed intraprendeva il viaggio verso Karakorum per prestare omaggio al grande khan, il ventenne A. rimase nel territorio libero dalle orde mongole, e rivelò le sue qualità di capitano nelle guerre contro i popoli cristiani d'Occidente. Gli Svedesi stavano terminando la conquista della Finlandia, e un loro esercito, condotto da Birger, invadeva il territorio novgorodiano. Il giovane duca mosse loro incontro e, sul fiume Neva, riportò il 15 luglio 1240 la vittoria, da cui trasse l'epiteto rimastogli nella storia. Un anno dopo, l'Ordine dei cavalieri Porta-Spada, crudeli cristianizzatori della Livonia e dell'Estonia, occupava Pskov; ma A. li respinse e, dopo una faticosa campagna, sbaragliò l'oste germanica nella "battaglia sul ghiaccio", sul lago Peipus (5 aprile 1242).
Negli anni seguenti furono pure coronate da successo tre spedizioni contro i Lituani, nazione ancora pagana, la quale cominciava allora a costituirsi in stato.
Intanto erano sorti screzî abbastanza gravi fra il duca e l'oligarchia di mercanti, gelosa delle proprie prerogative, nel governo della "libera città" di Novgorod. A capo di compagni d'armi, che le brillanti vittorie gli rendevano devoti, A. intendeva rafforzare l'autorità monarchica. Si palesavano fin da allora la sua paziente tenacia, l'arte diplomatica cauta ma fermissima nei propositi, l'indole calcolatrice. Il desiderio di garantirsi contro l'indocilità dei sudditi, non meno che gl'interessi di famiglia, lo indussero a ricercare un buon accordo con i dominatori tartari. Suo padre Jaroslav era morto durante il viaggio in Mongolia. A. e suo fratello Andrea, presentatisi umilmente al khan Bātū, vennero alla loro volta spediti verso la improvvisata metropoli sui confini della Cina. Partiti nel 1247, tornarono solo nel 1250: Andrea, investito del granducato di Vladimir, e Alessandro della signoria su Kiev (allora un mucchio di rovine) e Novgorod. Ma non erano passati due anni, e l'equilibrio, raggiunto con tanti stenti, apparve minacciato da catastrofici eventi. Andrea si era lasciato trascinare in un movimento di ribellione contro l'Orda d'oro, all'avvicinarsi della spedizione punitiva, fuggì in Svezia; l'intero paese fu di nuovo devastato. A. si gettò allo sbaraglio, per salvare la dinastia e la nazione. Si recò a Sarāy, la capitale dei Tartari dell'Orda d'oro; con doni e con prove di devozione riuscì a rabbonire Sarṭaq, figlio e vicario del khan Bātū, e ottenne per sé il diploma (yarlyk) di granduca, nonché l'amnistia per il fratello fuoruscito. S'insediò quindi a Vladimir, affidando il governo di Novgorod a suo figlio Basilio. Nella politica di remissività rispetto al sovrano mongolo A. fu aiutato dal metropolita Cirillo, mentre buona parte delle popolazioni russe, non ancora educate al regime dispotico, male si rassegnava all'obbrobrio di tale servitù. Difficoltà gravi suscitarono i novgorodiani che, in un primo momento, cacciarono addirittura Basilio, vedendo in lui la lunga mano del padre. Ma quando questi lo ebbe reinsediato con la forza, il giovane principe prestò orecchio al partito della resistenza patriottica, e approvò il rifiuto dei novgorodiani di sottostare al censimento cui procedevano i funzionarî tartari agli effetti dell'annuo tributo. A. intervenne energicamente: destituì il figlio, impose obbedienza ai maggiorenti della città, si recò all'Orda d'oro per ammansire UlaUci (Ulaghcī, altro figlio di Bātū). Il censimento fu fatto (1259). Ma A. non godette di lunga tranquillità. Nel 1262 le città sotto il suo diretto dominio, Vladimir, Jaroslav, Rostov, erano in tumulto e massacrarono gli esattori tartari. Di nuovo il granduca si vide costretto a reprimere l'inconsulto amor di patria dei suoi connazionali. E dovette per la quarta volta andare ad implorare la clemenza del potentato barbaro. Durante il ritorno s'ammalò e morì. Le troppe fatiche e le ansie incessanti avevano fiaccato quest'uomo di fibra certo non comune, che non aveva ancora raggiunto l'età di quarantaquattro anni. Si era in pieno, rigidissimo inverno: eppure, non solo la famiglia ducale e il metropolita, ma il "popolo tutto di Vladimir" venne incontro alla salma del principe fino a Bogoljubovo. Con rapidità straordinaria si era diffusa la convinzione che egli, coscienzioso, freddo calcolatore, metodico in guerra e in pace, "aveva instancabilmente operato per la salvezza del popolo ortodosso". Nei 1380 il rinvenimento delle sue spoglie, risparmiate dalla corruzione, fu sufficiente motivo per ascriverlo nel novero dei santi. Quando sulle rive della Neva, illustrate dal suo valore, venne edificata la nuova capitale dell'impero, i resti mortali di A., trasportativi nel 1724, diventarono la reliquia più santa di Pietroburgo.
Bibl.: Nella Seconda cronaca di Pskov si trovano i particolari più caratteristici sulla vita di Alessandro Nevskij. Per le altre fonti e per l'esposizione dei fatti conviene tuttora ricorrere a S. Solovev, Istorija Rossij s drevnejšich vremen (Storia delle Russie dagli antichissimi tempi), III, Pietroburgo 1894; V. Ključevskij, Kurs russkoj istorij (Corso di storia russa), II, 3ª ed., Mosca 1923 (trad. tedesca della setssa: W. Kliutschewskij, Geschichte Russlands, II, Lipsia 1925); in italiano: E. Šmurlo, Storia della Russia, I, Roma 1928.