NERONI, Alessandro
NERONI, Alessandro. – Nacque a Firenze nell’ottobre 1457, unico figlio maschio di Angelo e di Lisabetta di Antonio di Francesco Salviati.
Apparteneva a un’antica famiglia fiorentina, quella dei Diotisalvi, che a metà del Trecento assunse il cognome di Neroni e assurse a notevole potenza alla metà del Quattrocento, quando Diotisalvi di Nerone (1401-1482), zio di Alessandro, divenne uno dei più fidati collaboratori di Cosimo de’ Medici il Vecchio. Ma, a seguito del coinvolgimento dello stesso Diotisalvi nella congiura di Luca Pitti contro Piero de’ Medici, nel 1467 tutta la famiglia fu bandita da Firenze e si trasferì a Roma.
Non si hanno notizie sulla giovinezza di Neroni prima del novembre 1480, quando Sisto IV ordinò con un breve di metterlo in possesso della parrocchia di S. Maria de Vergaria, a Firenze, dal che si deduce che, a questa data, avesse già abbracciato lo stato ecclesiastico. Durante il pontificato di Innocenzo VIII (1484-92), rimase piuttosto defilato, ma si legò al cardinale Juan López, amico e collaboratore di Rodrigo Borgia.
Grazie alla familiarità con un così autorevole personaggio, all’indomani dell’elezione a papa di Borgia come Alessandro VI (1492), poté ottenere ulteriori benefici, come un canonicato della cattedrale di Pistoia e una parrocchia della diocesi di Prato (1495), due pensioni (1496), una parrocchia nella diocesi di Firenze (1500) e un’ulteriore pensione (1501). Si trattava, nel complesso, di una dotazione ancora modesta, che tuttavia andava a sommarsi ai beni di famiglia, di cui probabilmente poté usufruire dopo la morte del padre, defunto nel 1494. Non a caso, già nel 1500 Neroni fu in grado di acquistare una villa suburbana, precedentemente appartenuta al tesoriere di Innocenzo VIII, Sinibaldo Falconi, posta sulle pendici di Monte Mario e spesso utilizzata dagli ambasciatori in visita a Roma.
Durante l’ultima fase del pontificato di Alessandro VI, ottenne i suoi primi incarichi amministrativi. In particolare, tra il 1500 e il 1502 figura come commissario incaricato di sovraintendere ai lavori di fortificazione delle rocche di Civitacastellana e Nepi, nel Patrimonio, un caposaldo della strategia militare dei Borgia in quell’area.
Con il pontificato di Giulio II, proseguì le sue attività al servizio della S. Sede. Nel febbraio 1504 era commissario per recuperare i beni usurpati all’abbazia di Farfa, con facoltà di nominare i beneficiati dell’ente religioso. Nel gennaio 1505 ebbe nuovamente compiti di commissario a Civitacastellana, dove represse le lotte fazionarie e provvide a riattare la rocca. In marzo era nella vicina Nepi e in luglio nelle Marche, per acquistare grano per l’annona di Roma. Dopo essersi occupato degli approvvigionamenti della corte papale, trasferitasi a Viterbo, nel novembre 1505 fu nuovamente incaricato di acquistare e requisire grani per fare fronte alle necessità alimentari di Roma. Fu forse grazie al suo ruolo alla corte papale che poté ristabilire i legami familiari con la Firenze medicea, ottenendo, nel 1508, un canonicato della basilica di S. Lorenzo, che mantenne fino al 1514.
All’inizio del 1512 Giulio II lo nominò alla prestigiosa carica di maestro di casa e protonotario apostolico, che comprendeva il complesso della gestione amministrativa del palazzo apostolico e delle varie necessità della corte papale, ma anche importanti compiti cerimoniali. L’ascesa al soglio papale di Leone X, nel marzo 1513, non comportò la disgrazia del maestro di casa, segno che a questa data i Neroni dovevano essersi definitivamente riconciliati con i Medici. Nondimeno, dopo pochi mesi, il papa nominò un secondo maestro di casa, anch’egli fiorentino, mons. Alterio Biliotti, con il quale Neroni collaborò per alcuni anni, fino al 1516, quando rimase nuovamente titolare unico dell’ufficio.
Assai apprezzato dal pontefice, fu nominato, il 5 novembre 1514, alla precettoria del grande ospedale romano di S. Spirito in Sassia. La carica, che secondo gli statuti era competenza del capitolo dell’Ordine ospitaliero, lo pose al vertice di uno dei più importanti enti assistenziali romani e di un Ordine diffuso in tutta l’Europa. La sua amministrazione fu piuttosto incisiva e contribuì a una migliore gestione dei beni dell’ente, ma anche a una valorizzazione della sua carica di precettore, che nel 1515 fu assimilata a quelle prelatizie.
In questo quadro si collocò l’organizzazione, in occasione della Pentecoste del 1519, di una grande processione nel corso della quale le giovani dotate dall’ospedale sfilarono di fronte al patriziato romano. L’evento fu oggetto di numerose relazioni e di alcune pasquinate, che satireggiarono la volontà di autopromozione che si scorgeva dietro quella «ladra e divota processione» (Pasquinate, 1891, p. 166).
Al di là delle pasquinate, Neroni appare peraltro una personalità ben inserita sia nel mondo curiale sia nella realtà romana dell’epoca. Il cerchio delle sue frequentazioni non è pienamente conosciuto, ma annovera tanto personaggi della nobiltà civica, come il patrizio romano Marc’Antonio Altieri, autore de i Nuptiali, che ne ricordò lo «svegliato ingegno» e la «cura officosa et diligente» (Ferrajoli, 1984, p. 451), quanto esponenti del mondo curiale, come lo scalco segreto di Leone X, il castigliano Gutierre González, insieme col quale fondò e dotò una cappella e una confraternita in onore dell’Immacolata Concezione nella cattedrale di Jaén. Non fu, questo, l’unico episodio di mecenatismo a favore di enti religiosi attuato da Neroni. Nello stesso giro di anni si ricorda, infatti, una sua donazione di 400 fiorini per la realizzazione, nella basilica di S. Lorenzo a Firenze, di due cappelle corali.
Le attività al S. Spirito non esaurirono l’intensa azione dispiegata da Neroni che, tra il 1515 e il 1520, operò come una sorta di factotum al servizio del pontefice. In ragione della sua carica di maggiordomo, si occupò, tra l’altro, dell’ingresso trionfale di Leone X a Firenze, avvenuto il 30 novembre 1515, e in particolare dell’alloggiamento del vasto seguito del pontefice.
Con il passare degli anni, riscattò i beni di famiglia a Firenze e accumulò una notevole fortuna, che destinò a beneficio di vari parenti, attirandosi numerose critiche. Concesse, per esempio, diversi priorati dell’Ordine di S. Spirito ad alcuni giovani nipoti, tra cui Bartolomeo, che, nel luglio 1521, ebbe la precettoria di S. Spirito.
Verso la fine del pontificato di Leone X ottenne il governo di Perugia, del quale dovette limitarsi a percepire le rendite e, pare, fu in predicato per una nomina cardinalizia. Tuttavia nel 1521, la fine del pontificato mediceo segnò un arresto delle prospettive di ascesa di Neroni. Il nuovo papa Adriano VI lo rimosse infatti dalla carica di maestro di casa e, nel 1523, lo inviò come commissario dell’annona nel Patrimonio. Con l’elezione di Clemente VII (novembre 1523), non riottenne la carica di maggiordomo, ma svolse una missione presso Giovanni de’ Medici (dalle Bande Nere), sulla quale non si hanno notizie certe.
Il 16 settembre 1525 il nipote Bartolomeo, sul quale aveva riposto tante speranze, morì di peste. Poco dopo anche Neroni si ammalò e, dopo circa cinque mesi, morì a Roma, nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 1526.
Avendo ottenuto la facoltà di testare, nominò eredi, per metà dei suoi beni, Diotisalvi e Giovanni, figli di Bartolomeo di Nigi di Nerone, e, per l’altra metà, Antonio, Nerone e Carlo, figli di Francesco Maria di Nerone.
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