MAGANZA, Alessandro
Figlio del poeta e pittore Giovanni Battista e, probabilmente, di Thia Dal Bianco, nacque a Vicenza nel quartiere di S. Pietro prima del 1556. Avviato dal padre alla pratica della pittura, il M. iniziò poi un secondo tirocinio nella bottega di Giovanni Antonio Fasolo, tramite il quale poté conoscere la maniera dei veronesiani vicentini, in particolare di Giovan Battista Zelotti. Nel 1572 il M. risulta sposato (Saccardo).
Dal matrimonio nacquero Giovanni Battista iuniore (nel 1577), Marcantonio (nel 1578), Girolamo (nel 1586), Vincenzo (tra il 1586 e il 1600) e Dorotea Fiore (intorno al 1600).
Nel 1572 morì Fasolo e il M., su consiglio di Alessandro Vittoria, si trasferì a Venezia, dove si trattenne fino al 1576.
Non è certo difficile valutare quanto il soggiorno a Venezia abbia inciso sulla formazione del M., quanto in particolare egli dovette rimanere impressionato dalla duplice lezione, apparentemente inconciliabile, del Tintoretto (Iacopo Robusti) e del Veronese (Paolo Caliari). Tuttavia un'affinità più intima e immediata sembra avvicinare il M. all'opera di un esordiente veneziano, Palma il Giovane (Iacopo Negretti), che nel 1575 aveva lasciato la sua prima opera in S. Giacomo dell'Orio, e fu proprio questa versione accademizzante ed esornativa del tintorettismo che lo interessò.
Raggiunta una solida pratica di mestiere, intorno al 1576 il M. tornò a Vicenza. A Venezia non sarebbe più tornato e Vicenza sarebbe invece divenuta il centro di un'attività alacre e fortunatissima, che avrebbe dominato il campo per quasi mezzo secolo. Le sue opere e quelle della sua scuola, ovvero dei suoi quattro figli maschi (essendo la sua bottega una vera e propria azienda pittorica a carattere familiare, molto simile a quella dei Bassano), si trovano disseminate nelle chiese vicentine e del territorio circostante; e le principali fonti letterarie (Ridolfi e Boschini) testimoniano della profusione delle tele maganzesche anche a Cremona, Bergamo, Brescia, Salò, Padova e Verona.
Le ragioni di tanto immediato successo risiedono sia nella mancanza di una concorrenza diretta (gli artisti della generazione veronesiana, come Fasolo, Zelotti, Bernardino India e Anselmo Canera, morirono infatti tutti tra l'ottavo e il nono decennio del secolo), sia nell'adozione di un linguaggio pittorico chiaro, facilmente comprensibile, del tutto in linea con le due funzioni che il concilio di Trento aveva affidato alla figura dell'artista: comunicare e persuadere. Il grimaldello del successo fu l'invenzione di un linguaggio "medio", rigoroso e austero nella composizione e nelle scelte coloristiche, attento alle necessità devozionali e liturgiche, ma nello stile, eclettico fino all'eccesso, tanto che è difficile seguire un percorso cronologico coerente senza appigli d'altra natura.
La prima opera nota del M. è la Madonna con il Bambino e i quattro evangelisti del santuario vicentino di Monte Berico, eseguita nel 1580: è un lavoro accurato, eseguito con apprezzabile sicurezza nel disegno agile e netto, come pure nelle campiture di colore, dense e larghe. All'anno successivo risale una tela realizzata in collaborazione con il padre: I ss. Vincenzo e Marco che presentano la città di Vicenza alla Vergine, ora nel duomo vicentino (Lodi, pp. 110, 117). Si riscontra qui, in particolare nel gruppo mariano, un altro dei modelli che il M. consapevolmente e spregiudicatamente imita e riusa, Iacopo Bassano.
Di poco posteriore al 1581 dovrebbe essere l'Adorazione dei magi della collezione privata Porto Colleoni a Thiene (Sgarbi, p. 107), probabilmente eseguita con il contributo del padre: il modello è ovviamente l'Epifania del Veronese in S. Corona a Vicenza del 1573, ma nella stesura del colore è forte l'influenza di Bassano (se ne conoscono due repliche: una nella chiesa parrocchiale di Longara, l'altra, portata a termine nel 1597, sull'altare maggiore di S. Domenico a Vicenza).
Nel 1584 il M. fu protagonista della progettazione della piccola chiesa vicentina di S. Valentino, opera senz'altro non eccelsa eppure di qualche interesse perché permette di arricchire il quadro culturale dell'artista, che evidentemente non era privo di nozioni d'architettura.
Sull'altare maggiore della chiesetta campeggiava un'altra tela del M., probabilmente eseguita negli stessi anni (1584-85): il S. Valentino risana gli infermi (ora nella chiesa dei Ss. Felice e Fortunato), che, pur ricordando nella composizione il Miracolo di s. Agostino dipinto dal Tintoretto per la chiesa di S. Michele (1550), presenta un luminismo chiaro e brillante di impronta veronesiana.
Alla metà degli anni Ottanta si può datare anche la bella pala con la Pietà e santi della chiesa di S. Croce a Vicenza: anche in questo caso i modelli scelti sono il Veronese e il Tintoretto; ma il M. ci mette del suo soprattutto nel gruppo in basso dei dolenti: originali sono le eleganti e patetiche linee di contorno, le leggere impronte luminose che ravvivano l'epidermide del Cristo morto. Nel 1586 terminò la pala d'altare per la chiesa di S. Maria delle Grazie di Vicenza, raffigurante Dio Padre, il Cristo morto e santi, prossima al dipinto del Veronese eseguito nel 1572 per la chiesa vicentina di S. Croce e ora nella chiesa dei Carmini a Venezia. Tra il 1587 e il 1589 il M. realizzò un importante ciclo di sei tele per la cappella del Ss. Sacramento della cattedrale di Vicenza (Binotto, 1998, p. 786).
Nel ciclo, comprendente l'Ultima Cena, l'Orazione nell'orto, la Flagellazione (andata distrutta nel 1945), Gesù presentato al popolo da Pilato, Gesù cade sotto la croce e Gesù inchiodato alla croce, c'è tutta la cultura figurativa del M., dal Tintoretto al Veronese, da Bassano fino a Palma il Giovane. Sul retro di Gesù che cade sotto la croce c'è inoltre un bell'esempio di grafica maganzesca veloce e descrittiva, il cui ductus è vicino a quello di Palma.
Dal Liber provisionum risulta che nel 1588 il M. era attivo nel cantiere del palazzo del Podestà di Vicenza: alla bottega maganzesca era stata infatti affidata la realizzazione della maggior parte dei Ritratti allegorici dei rettori della città; e il M. vi lavorò insieme con i suoi assistenti fino al 1529 (Matarrese, 1998, p. 24).
Questo importante ciclo pittorico di soggetto civico, destinato alle sale di massima rappresentanza del potere di Vicenza, è andato perduto. Si conosce però un gruppo di disegni preparatori, in gran parte di scarso livello qualitativo perché eseguiti dalla bottega, grazie ai quali è stato possibile rintracciare, almeno in via ipotetica, due delle allegorie dipinte (ibid., pp. 24-29): si tratta di due tele conservate nella Pinacoteca di Brera e raffiguranti rispettivamente L'imperatore concede i privilegi ai notai e Il doge conferma i privilegi ai notai, molto rovinate. L'abbondante materiale grafico rimasto della bottega maganzesca e conservato in gran parte a Verona (Fondazione Miniscalchi Erizzo), New York (Collezione J. Scholz, Pierpont Morgan Library), Rotterdam (Boymans-van Beuningen Museum), Parigi (Louvre, Département des arts graphiques) e Monaco (Staatliche Graphische Sammlung), in questa come in altre occasioni decorative, permette innanzi tutto di valutare la qualità dei disegni del M.: vi domina un segno veloce, capace di caratterizzare icasticamente le figure, disinteressato ai particolari, a volte sommario, ma sempre abile nel cogliere le scene nel loro insieme; ma da essi emerge anche una precisa organizzazione del lavoro di bottega, in cui i compiti erano rigorosamente ripartiti e in cui il ruolo di capo, di supervisore e di coordinatore veniva assolto dal maestro. Era lui l'ideatore, il disegnatore e in molti casi anche l'esecutore delle opere, e solo a partire dal secondo decennio del Seicento cominciò a delegare ai figli l'esecuzione pittorica e il compito di trasferire il progetto grafico sulla tela.
Tra il nono e l'ultimo decennio del Cinquecento possono collocarsi alcuni pregevoli olii su pietra nera, tra cui un'Orazione nell'orto e una Flagellazione, entrambe al Museo civico di Vicenza, in cui l'ispirazione sembra venire dai dipinti su analogo supporto di Iacopo Bassano e bottega: la sua pennellata mobile e leggera si adattava meglio alla superficie lucida della pietra, mantenendo una brillantezza e una vivacità coloristica che raramente si riscontra nelle tele.
Al 1591 risale il Battesimo di Cristo nel refettorio del santuario di Monte Berico; di questa tela, fortemente veronesiana nell'impostazione, si conoscono due varianti più tarde: una per la chiesa di S. Stefano a Vicenza, l'altra per la parrocchiale di Marano Vicentino.
Non lontano nel tempo si colloca la pala della chiesa della Misericordia a Vicenza, raffigurante S. Gerolamo Emiliani con alcuni bimbi di fronte a Cristo e alla Madonna, la cui datazione deve essere di poco posteriore al 1592, anno di costruzione della chiesa stessa. Di questo periodo dovrebbe essere anche la Madonna del Rosario della chiesa dell'Immacolata di Montona, recentemente attribuita al M. (Kudis Buric). Agli anni Novanta si fa risalire un piccolo gruppo di ritratti, sulla cui attribuzione al M. la critica non è concorde (Lodi, p. 112; Sgarbi).
Nel 1596 il M. fu chiamato dalla Confraternita del Gonfalone a decorare con quindici tele le pareti e i lacunari del soffitto a cassettoni dell'oratorio, presso la cattedrale di Vicenza; all'impresa, diretta senza dubbio dallo stesso M., parteciparono anche il figlio Giovanni Battista, Andrea Michieli detto il Vicentino, Palma il Giovane e Porfirio Moretti.
I bombardamenti del 18 marzo 1945 hanno completamente distrutto questo straordinario complesso decorativo, di cui rimane solo la documentazione fotografica (Arslan).
Ancora nel 1596 furono costruiti nella chiesa vicentina di S. Pietro l'altare maggiore e i due altari laterali, dedicati a s. Giustina e a s. Mauro, che presumibilmente accolsero in quell'occasione tre dipinti del Maganza.
Rispettivamente, Cristo dona le corone ai ss. Pietro e Paolo, il Martirio di s. Giustina e S. Benedetto accoglie s. Mauro, forse del figlio Giovanni Battista. Notevole soprattutto il Martirio, in cui il tono melodrammatico e caricato dei personaggi rompe per una volta il severo e castigato classicismo della maniera tradizionale del Maganza.
Nel 1598 il M. fu incaricato dai conti Piovene di dipingere la pala per il loro altare nella chiesa di S. Lorenzo a Vicenza.
La tela, S. Bonaventura riceve l'eucaristia da un angelo (ora al Museo civico di Vicenza), dipende dai teleri di Palma nell'oratorio veneziano dei Crociferi, in particolare da quello con Pasquale Cicogna che assiste alla messa; ma se nel prototipo domina uno scarno e pungente realismo, nella sua versione il M. indugia nella descrizione dei particolari (il crocifisso, le candele, le colonne dell'altare) e nell'esasperazione sinuosa e flessuosa di alcune figure (l'angelo in particolare).
Al 1600 risale la Pietà in S. Pietro a Vicenza, opera molto ridipinta, ma di impianto notevole, che mostra un M. ormai maturo. Nel primo decennio del Seicento si susseguono commissioni al M. da parte di confraternite e ordini religiosi.
Per la chiesa dello Spirito Santo a Santorso dipinse un Cristo morto e donatori, ora in S. Francesco a Schio, il cui modello è ancora la Trinità del Veronese ai Carmini; lo schema triangolare di questo dipinto si può riconoscere anche nella Trinità adorata dai ss. Alessandro e Gennaro vescovo dipinta dal M. per la parrocchiale di S. Vito di Leguzzano intorno al 1600.
Nel 1603 il M. prese accordi per dipingere un ciclo di tele destinate al soffitto di S. Domenico a Vicenza.
L'impresa, compiuta prima della fine del 1604, comprendeva tredici tele, raffiguranti al centro l'Incoronazione della Vergine, in ovato, Santi e Profeti tutt'intorno, in ottagoni e rettangoli creati dalla cornice lignea. Sono opere ben calibrate, se pure un po' vacue, ancorate entro schemi tintoretteschi, ma ancora lontane dal mestiere superficiale che avrebbe caratterizzato gli ultimi anni della produzione del Maganza.
Sempre nel 1603 fu iniziata la ricostruzione della chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo a Vicenza; anche in questo caso i filippini scelsero i Maganza, il M. e Giovanni Battista, per elaborare un complesso piano decorativo, che prevedeva nell'attico otto tele con le storie dei santi titolari. Tra il 1604 e il 1610 si può datare la veronesiana Madonna del Rosario della parrocchiale di Barbarano Vicentino, con nella cornice i quindici Misteri del Rosario.
Dovrebbe essere del 1605 la pala con la Natività, ora nella chiesa dei filippini, ma proveniente da quella di S. Lorenzo a Vicenza, per l'altare della famiglia Capra: è firmata dal M. e figli, che forse qui hanno la meglio, soprattutto Giovanni Battista, come si evince dalla rigidità del segno e dalla posa piuttosto banale delle figure.
Nel 1606 il M. eseguì sei piccoli riquadri per l'antico tabernacolo della cappella del Sacramento, ora nella curia vescovile di Vicenza: il Cristo Risorto, la Fede, la Speranza, la Temperanza, la Carità e il Padre Eterno. Di difficile datazione, ma probabilmente dell'inizio del secolo, è anche la decorazione ad affresco con allegorie della Religione e delle Virtù della cupola emisferica della villa Almerico Capra (la "Rotonda") di Andrea Palladio, a cui collaborò anche il figlio Giovanni Battista. Dopo il primo decennio l'attività del M. rallentò sensibilmente; egli affidò gran parte dell'esecuzione e anche della progettazione ai figli, abbandonando ogni pretesa di originalità per una cifra stilistica monocorde.
Di quegli anni sono da ricordare: la pala di S. Vincenzo nell'omonima chiesa di Thiene, firmata e datata 1613; la decorazione della cappella del Rosario di S. Corona a Vicenza (a partire dal 1613), con un ciclo di ben trentadue dipinti, la cui esecuzione fu affidata ai figli, a Giambattista Baragia e Giacomo Bonvicino, tranne la tela con il Trionfo di Sebastiano Venier vincitore dei Turchi, che reca la firma del M. (1619-27); il ciclo dedicato alla Passione per la chiesa di S. Maria Nova a Vicenza, in parte incompiuto (Binotto, 1997); il Martirio di s. Andrea, in S. Pietro a Vicenza; le quattro tele con il Martirio dei ss. Leonzio e Carpoforo nell'oratorio del duomo vicentino.
Durante la pestilenza del 1630 il M. perse i figli Marcantonio, Girolamo e forse Vincenzo. Il M. morì a Vicenza nel 1632, come prova un atto notarile del 17 giugno (Mantese, 1974).
Fonti e Bibl.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte (1648), a cura di D. von Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 231-238; M. Boschini, I gioielli pittoreschi: virtuoso ornamento della città di Vicenza, Venezia 1676, passim; E. Arslan, Vicenza, I, Le chiese, Roma 1956, pp. 113-117, tavv. LXI-LXIII; F. Lodi, Un tardo manierista vicentino: A. M., in Arte veneta, XIX (1965), pp. 108-117; G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV, 1, Vicenza 1974, p. 262; M. Binotto, I dipinti della chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo di Vicenza, in Saggi e memorie di storia dell'arte, XII (1980), p. 82; V. Sgarbi, Palladio e la maniera. I pittori vicentini del Cinquecento e i collaboratori del Palladio 1530-1630 (catal.), Vicenza 1980, pp. 20, 106-120; M. Saccardo, Il bel ciclo pittorico di A. M. fu compiuto nel 1589, in La Voce dei Berici, 27 marzo 1981, p. 5; B.W. Meijer, I Maganza e F. Maffei disegnatori, in Scritti di storia dell'arte in onore di Roberto Salvini, Firenze 1984, pp. 473-481; M. Binotto, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, pp. 795 s.; G. Berra, Un sonetto per due dipinti vicentini di A. M., in Arte veneta, XLVIII (1996), pp. 93-97; M. Binotto, I dipinti dei Maganza nella chiesa di S. Maria Nova, in Carlo Cordellina: collezionista benefattore, a cura di G. Dal Zotto - C. Romanato, Vicenza 1997, pp. 279-287; Id., Vicenza 1540-1600, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, II, Milano 1998, pp. 746, 748, 782, 785 s., 788 s., 803 s.; O. Matarrese, Appunti sulla formazione di A. M. disegnatore e qualche aggiunta al catalogo di Giambattista il Giovane, in Bulletin de l'Association des historiens de l'art italien, IV (1997-98), pp. 23-30; Id., I Maganza per il palazzo del Podestà di Vicenza e un'ipotesi per il palazzo pretorio di Verona, in Verona illustrata, XI (1998), pp. 21-29; N. Kudis Buric, Alcuni contributi all'"accademismo" veneziano fra Cinque e Seicento in Istria, in Arte in Friuli, arte a Trieste, 1998-99, nn. 18-19, pp. 209-211, 218 s.; M. Binotto, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, III, Milano 1999, pp. 1303 s. (con bibl.); S. Mason, Per la grafica dei Maganza, in Arte. Documento, XIII (1999), pp. 210-215; F. Barbieri, Aggiunte ai Maganza: le "Assunte" di Vicenza e di Griante, una teletta di collezione privata, in Per l'arte: da Venezia all'Europa. Studi in onore di Giuseppe Maria Pilo, a cura di M. Piantoni - L. De Rossi, I, Monfalcone 2001, pp. 243-246; O. Matarrese, Precisazioni sulla produzione grafica di A. M. e della sua bottega, in Calepino di disegni, a cura di A. Forlani Tempesti, Rimini 2002, pp. 47-90; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 552; The Dictionary of art, XX, pp. 86 s.