LESSONA, Alessandro
Nacque a Roma da Carlo, insigne giurista, e da Agnese Pirzio Biroli, il 9 sett. 1891. Il L. frequentò il liceo a Pisa dove il padre insegnava presso la facoltà di giurisprudenza.
Iscrittosi in un primo tempo proprio a giurisprudenza, il L. abbandonò gli studi universitari per entrare, nel 1910, a Modena nella Scuola militare, uscendone nel 1912 sottotenente di cavalleria. Tenente allo scoppio della Grande Guerra e capitano nel 1917, attraversò il conflitto passando su vari fronti, non sempre in prima linea. Si guadagnò comunque una medaglia d'argento al valor militare a Monfalcone (15 maggio 1916).
Meritano di essere ricordati il periodo trascorso dal L. in Macedonia, dove maturò una certa conoscenza della realtà balcanica che gli sarebbe stata utile in futuro, e poi quello in Francia, presso le unità italiane del II corpo d'armata. Per le sue conoscenze, e forse per la sua pratica del francese, a Parigi, al tempo della conferenza della pace, il L. fu segretario particolare di A. Diaz.
Alla fine della guerra si trovò, ventisettenne non laureato, a girovagare, accanto o dietro, i vertici militari nazionali. Nel 1919 era addetto all'ispettorato generale dell'Esercito, nel luglio 1920 capo di gabinetto di G. Lanza di Trabia, sottosegretario al ministero della Guerra, incarico che ricoprì ancora nel luglio 1921, questa volta con L. Macchi. Nel 1922 era all'ispettorato ippico, poi al comando della III brigata di cavalleria, con il generale L. Ayraldi di Robbiolo (nei giorni della marcia su Roma il L. si sarebbe trovato in Umbria per una commissione di rimonta).
Erano tutte cariche dell'amministrazione centrale ma di rilievo tutto sommato minore. Fecero assaporare al L. il gusto del comando, l'importanza della politica e certi privilegi diffusi nei vertici romani: ma si trattava pur sempre di possibilità più che di stabili realtà. Peraltro, in quegli anni, il L. si trovò a servire governi fra loro assai diversi, da V.E. Orlando a G. Giolitti, da F.S. Nitti a L. Facta: probabilmente non si preoccupò più di tanto delle differenze, coperto dall'uniforme militare che ancora vestiva. Partecipò, sia pur lateralmente, anche alle prime prove dell'associazionismo combattentistico postbellico.
Nel 1922, al culmine della crisi dello Stato liberale, il L. dovette sentirsi insoddisfatto. La classe dirigente liberale franava, e con essa quel tanto di affidamento che egli poteva avervi fatto. A settembre 1923 scivolò in posizione ausiliaria e poi in aspettativa per riduzione quadri: l'Esercito si disfaceva di lui. Maturò così la decisione di abbandonare Roma: si trasferì a Chiavari, nella casa della madre (il padre era morto nel 1919), e di lì tentò una nuova vita. Monarchico sempre, si avvicinò al movimento fascista. Rapidamente, per taluni troppo rapidamente, il L. fece di Chiavari, e più in generale della Liguria, il proprio trampolino.
Vi fece valere, talora forse anche millantò, contatti e appoggi romani. Sfruttò le debolezze del sistema politico locale, dispiegando una frenetica attività. Ottenne presto una posizione di rilievo tra i fascisti: screditò il locale sindaco e si scontrò con successo con il commissario prefettizio L. Amari, intrecciò rapporti con le forze economiche (fra cui il Banco di Chiavari, in contrasto con la concorrente Cassa di risparmio di Chiavari), riuscì quindi a farsi inserire nel direttorio della federazione fascista di Genova, combatté con asprezze polemiche il popolarismo nella regione, animò pubblicazioni fasciste locali come La Settimana e La Fiamma.
Fu tutto sommato rapidamente che, fra 1923 e 1924, ottenne la candidatura a deputato nelle elezioni del 6 apr. 1924. Vi riportò una netta vittoria, con circa 6500 preferenze su 13.500 voti per il listone, a dimostrazione dell'avvenuta conquista di una solida base. Fu così uno fra i sette deputati fascisti sui dodici eletti del listone espressi dalla Liguria. A una distanza sorprendentemente breve da quando, pochi mesi prima, aveva abbandonato gli uffici ministeriali e l'uniforme militare, il L. poteva riprendere i suoi contatti (per la verità mai abbandonati) con Roma, questa volta dalla prestigiosa posizione di uno scranno parlamentare. Ma questo non era ancora sufficiente per l'ambizioso Lessona.
Fra 1924 e 1928 il L. si dedicò a consolidare e ampliare la propria influenza politica. Pur senza diventare un vero e proprio ras del Partito nazionale fascista (PNF), in pochi anni si affermò figura di spicco anche per incarichi nazionali (nient'altro che questo significavano le anonime accuse piovutegli di possedere segrete documentazioni sull'omicidio Matteotti). Il più importante fu, nel 1925, la sua missione segreta in Albania presso l'allora presidente, poi autoproclamatosi re, Ahmet bey Zogolli (poi Ahmet Zogu): missione che fu uno degli antefatti, per quanto non il più importante, del trattato di Tirana del 22 nov. 1927.
In effetti il L. si era offerto quale intermediario presso le più alte cariche dello Stato e imprenditori liguri con interessi petroliferi in Albania, i fratelli Carlo e Gildo Pugni, quando a Roma si pensò di utilizzarlo come canale per una diplomazia parallela. Per conto dei Pugni e poi del ministero degli Esteri, il L. si recò quindi più volte a Tirana (a partire dall'aprile 1925): contrariamente alle posizioni del segretario generale degli Esteri, S. Contarini, che auspicava una penetrazione economica graduale e un accordo con Tirana consensuale con Belgrado, il L., come altri esponenti del fascismo anche all'interno di quello stesso ministero, era invece fautore di un immediato accordo politico che sottomettesse Tirana a Roma. Nel successivo dicembre, fu poi lo stesso B. Mussolini a fermare l'intera operazione.
In Parlamento il L. non si fece particolarmente notare: alcune prese di posizione - come quella in difesa dell'ordinamento dell'Esercito voluto dal ministro A. Di Giorgio, poi però abbandonato da Mussolini - non furono molto utili a promuoverne l'immagine. Più fruttuosi furono per lui gli incarichi ricoperti nel movimento fascista ligure, fra cui alcune cariche in enti economici locali.
Il 26 luglio 1926 fu nominato segretario della federazione di Savona; riuscì a far elevare la città a capoluogo di provincia (2 genn. 1927) e a dotarla di un rinnovato bacino. Sempre a Savona, nel dicembre 1926 fu insignito della cittadinanza onoraria e, dall'aprile 1927, fu comandante della legione Premuda della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN, 34ª legione). Nel luglio 1926, a Genova, fu segretario della federazione fascista delle Riviere liguri, impegnato in una difficile epurazione del partito; nel 1928, per qualche tempo, commissario straordinario della federazione di Cuneo. In questi anni fu anche commissario straordinario della Lega navale italiana.
Intanto, nel luglio 1926, il L. era riuscito anche a laurearsi in giurisprudenza presso l'Università di Siena. Nel luglio 1928 arrivò l'occasione importante: fu nominato sottosegretario all'Economia nazionale dal ministro A. Martelli, che "lo vide ragazzo a Pisa e a Firenze". Vi rimase con compiti vari, ma incerti, sino al settembre 1929, quando passò - sempre come sottosegretario - al ministero delle Colonie, con E. De Bono; vi sarebbe rimasto sino al 1937, divenendone infine ministro e legando il proprio nome all'impresa etiopica. Poco dopo la nomina a sottosegretario, il 26 febbr. 1929, si sposò con un'esponente dell'aristocrazia romana, Marta dei marchesi Patrizi Naro Montoro, da cui ebbe tre figli.
L'ascesa politica del L. non era dovuta a sue specifiche competenze, ma si inquadrava piuttosto nella trama dei legami personali interni alla classe dirigente fascista, nella complessa alchimia della gestione mussoliniana del potere, nei bilanciamenti regionali interni al PNF. Il L., inoltre, si presentava all'appuntamento con il governo non proprio mondo da sospetti e dicerie che toccavano i trascorsi massonici della sua famiglia e suoi personali, il rapido arricchimento, la gestione del potere in chiave personalistica nella regione d'origine, la tarda (e da lui retrodatata) adesione al fascismo. Delle molte denunce anonime ricevute dalla polizia politica a suo riguardo, peraltro consuete nella quotidiana gestione del potere durante la dittatura fascista, alcune erano probabilmente fondate, altre mere speculazioni. Tuttavia, indipendentemente dalla loro fondatezza, esse si fecero col tempo sempre più rumorose e insistenti; di esse il L. venne a conoscenza e da esse fu costretto in più occasioni a discolparsi: anche così il dittatore teneva in pugno i suoi uomini, persino quelli che gli si presentavano, come il L., meno minacciosi.
Difficile dire dei contenuti dell'attività politica come sottosegretario alle Colonie: il L. non brillava di luce propria, né prese iniziative che caratterizzassero la sua gestione. Al massimo, interpretò in senso radicale alcuni Leitmotive della politica del regime: in campo coloniale, si dichiarò a favore della colonizzazione demografica della Libia e tenne a battesimo la nascita della rivista Azione coloniale di M. Pomilio; in campo diplomatico firmò su Gerarchia articoli duri contro il pacifismo internazionalistico e la Società delle nazioni.
Un ruolo più spiccato ed evidente si configurò solo con l'avvio dell'impresa etiopica, in particolare quando (gennaio 1935) De Bono lasciò le Colonie per assumere la carica di alto commissario per l'Africa Orientale e poi comandante in capo delle truppe destinate alla guerra. Fu lo stesso De Bono a chiedere che il L. restasse come sottosegretario, con Mussolini quale ministro.
Per il L. si trattò di una felice congiuntura: il quadrumviro pensava di lasciare al proprio posto una personalità mediocre e controllabile, il dittatore non voleva scontentare il vecchio squadrista ed era più sicuro avendo alle Colonie un esecutore fedele che sembrava dare garanzia di continuità.
Nel 1935 e 1936 il L. prese in mano la preparazione amministrativa della spedizione in Etiopia. Ebbe contatti frequenti con Mussolini; fu in realtà il ministro di fatto delle Colonie, in un ministero che peraltro conosceva da molti anni. Era pur sempre stretto fra vasi di ferro: il dittatore, De Bono (sino alla sua defenestrazione nell'ottobre 1935), P. Badoglio (sino alla conquista dell'Etiopia, 5-9 maggio 1936), R. Graziani; tuttavia si ricavò propri margini d'azione anche oscillando fra poteri e personalità così spiccate.
Appoggiò, in successione, i supremi responsabili delle operazioni militari, ben attento però a non discostarsi mai dalla linea politico-strategica di Mussolini: finì per diventare il più scrupoloso sostenitore della politica di separazione razziale nell'Africa orientale italiana (AOI). Fra 1936 e 1937, si illuse di chiudere definitivamente con De Bono accusandolo di malversazioni: ma il quadrumviro contrattaccò baldanzosamente e il tutto finì in una sfida a duello e in una vertenza che coinvolse alcune fra le più alte personalità del regime e un giurì d'onore segreto.
Al momento della conquista dell'Etiopia il L. non poteva non essere premiato: l'11 giugno 1936 divenne quindi ministro delle Colonie, mentre il suo ministero l'anno successivo veniva ridenominato "dell'Africa Italiana". La promozione ministeriale era quindi in qualche modo scontata, mentre il L. si illuse che fosse dovuta alle sue capacità o al suo aumentato ruolo politico: l'enfasi della propaganda di regime sull'avvio di quel "piano dell'Impero" che avrebbe dovuto rigenerare l'Italia finì per ingannare proprio chi l'aveva promosso.
La guerra era finita ma l'Etiopia non era affatto conquistata, come dimostrato dall'attentato a Graziani del febbraio 1937 (in quel caso il L., ancora una volta, non perse occasione per accennare a differenziarsi dal viceré, prendendo le distanze da alcuni aspetti della brutale politica di repressione da lui attuata); finanziariamente l'AOI non solo non aiutava il Paese ma stava dilapidando le risorse del regime; la politica razzista voluta da Mussolini e attuata dal L. metteva in evidenza tutti i suoi problemi; il corporativismo coloniale auspicato dallo stesso L. ristagnava. Insomma tutte le promesse lanciate dalla propaganda prima e durante i mesi del conflitto non venivano mantenute: non solo l'Impero non decollava, ma rischiava di far affondare l'Italia. Oltre che delle voci circa un suo personale arricchimento (due dei cinque governatori nominati dopo la conquista dell'Etiopia, A. Pirzio Biroli e V. De Feo, erano suoi cugini), il L. finì per pagare le conseguenze di tutto questo.
Nella primavera del 1937, in Senato il L. fu aspramente e pubblicamente criticato dai senatori A. Theodoli e L. Bongiovanni. Nell'estate anticipò la volontà del duce di sostituire Graziani con un viceré civile: forse pensava di potergli succedere, certo finì per apparire un avversario dei militari e quantomeno un sostenitore della nascente burocrazia coloniale civile. Sembra si fosse riavvicinato a I. Balbo, al punto che Mussolini faceva controllare i loro incontri (luglio 1937). Nel settembre di quello stesso anno D. Fossa, il più alto rappresentante del PNF ad Addis Abeba, criticò radicalmente la politica del L.; Mussolini non lo liquidò subito, ma l'indebolimento del ministro era evidente.
Il L. fu infine allontanato il 19 nov. 1937 e ciò segnò la sua fine politica; il colpo fu appena attutito dalle 100.000 lire provenienti dai fondi segreti di Mussolini (di cui il L. siglò la ricevuta tre giorni più tardi) e dalla nomina, richiesta e ottenuta, a professore ordinario di storia e politica coloniale presso la facoltà di scienze politiche di Roma; non a caso il L., che pur era deputato dal 1924, nel marzo 1939 non entrò nella Camera dei fasci. Visse delle risorse accumulate, ma era ormai messo da parte.
L'essere rimasto in ombra nell'ultima fase del fascismo finì in parte per salvarlo: non ebbe infatti ruoli politici attivi negli anni più bui del regime, quelli dell'alleanza politica e militare con il nazismo e quelli della sconfitta nella guerra. Dopo il 25 luglio 1943 non lasciò Roma per Salò. Sopravvisse quindi alla guerra e nel dopoguerra scampò ai processi politici dell'epurazione e uscì assolto da quelli per gli illeciti profitti avvenuti durante il regime fascista.
In verità l'Etiopia di Hailé Selassié aveva richiesto il giudizio contro il L. per crimini di guerra compiuti nel 1935-36. Ma Addis Abeba fu lasciata sola dalla comunità internazionale e Roma stava facendo di tutto per evitare di essere portata sul banco degli accusati di una possibile "Norimberga italiana": ciò giocò a favore del L., che uscì quasi indenne nel passaggio dal fascismo alla democrazia.
All'inizio degli anni Cinquanta si iscrisse al Movimento sociale italiano (MSI), ma il suo non aver aderito a Salò gli fu spesso rimproverato e i suoi vecchi trascorsi con Graziani viceré non dovettero aiutarlo quando il generale fu fatto presidente onorario del partito. Si incontrò allora, nel 1954-55, con il "comandante" A. Lauro e fu per un certo periodo segretario del suo Partito monarchico popolare (PMP), dal naufragio del quale, però, seppe tenersi alla larga. Scrisse e intervenne più volte sulla stampa di destra.
Dai primi anni Sessanta, quando A. Del Boca iniziava a documentare la storia della campagna d'Etiopia e il ricorso italiano ai gas, il L. si ritagliò il ruolo di difensore di una causa persa, sostenendo che l'Italia fascista non aveva usato l'arma proibita. Ritrovò con sé, in questa occasione, una platea ancora abbastanza ampia di reduci e di nostalgici che, nelle elezioni dell'aprile 1963, gli valse un seggio senatoriale a Firenze per il MSI.
Intervenne in aula e in commissione Difesa su temi di ordinamento militare e di trattamenti pensionistici per i reduci, si professò corporativista e contrario alle agitazioni sociali, fu critico di Ch. de Gaulle e favorevole a una "Europa-patria" anticomunista.
Non ottenne un secondo mandato e, tranne qualche carica onorifica, non rientrò più nella vita pubblica.
Il L. morì a Firenze il 10 nov. 1991.
Tra le opere del L. si ricordano: Cinque giornate in trincea, Pinerolo 1916; Scritti e discorsi coloniali, Milano 1935; La missione dell'Italia in Africa, Roma 1936; L'Africa italiana nel primo anno dell'Impero, ibid. 1937; Verso l'Impero. Memorie per la storia del conflitto italo-etiopico, Firenze 1939; L'Africa settentrionale nella politica mediterranea, Roma 1940; Relazione sulla politica interna e sull'organizzazione del Partito monarchico popolare italiano, ibid. 1954; Memorie, Firenze 1958; In Italia ha vinto il comunismo, Roma 1961; Crepuscolo nero, Firenze 1969; Un ministro di Mussolini racconta, Milano 1973.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato e Carteggio ordinario, ad nomen; D. Lischi, A. L., Roma 1928; E. Canevari, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, Roma 1950, I, pp. 350, 380 s.; A. Del Boca, La guerra d'Abissinia 1935-1941, Milano 1965, ad ind.; G. Bianchi, Rivelazioni sul conflitto italo-etiopico, Milano 1967, ad ind.; P. Pastorelli, Italia e Albania, 1924-1927. Origini diplomatiche del trattato di Tirana del 22 nov. 1927, Firenze 1967, ad ind.; G. Rochat, L'Esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Bari 1967, ad ind.; Id., Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia. Studi e documenti 1932-1936, Milano 1971, ad ind.; R. De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, ad ind.; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, I-IV, Roma-Bari 1979-84, ad indices; G. Ciano, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1980, ad ind.; G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, ad ind.; G. Rochat, Italo Balbo, Torino 1986, ad ind.; A. Roselli, Italia e Albania. Relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna 1986, ad ind.; R. Graziani, Una vita per l'Italia. "Ho difeso la Patria", present. di I. Montanelli, Milano 1986, ad ind.; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, I-II, Roma-Bari 1986-88, ad indices; C.G. Segrè, Italo Balbo, Bologna 1988, ad ind.; R. De Felice, Mussolini l'alleato 1940-1945, I, L'Italia in guerra 1940-1943, 2, Crisi e agonia del regime, Torino 1990, ad ind.; M. Caravale, A. L., in Il Parlamento italiano 1861-1988, XII, 1, Milano s.d. [ma 1990], ad ind.; A. Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d'Etiopia (con contributi di G. Rochat, F. Pedriali e R. Gentilli), Roma 1996, ad ind.; N. Labanca, Oltremare. Storia dell'espansione coloniale italiana, Bologna 2002, ad indicem. Vedi anche ad nomen: Guida Monaci (per gli anni 1939, 1943, 1945, 1951, 1955, 1963, 1965, 1969, 1975); Who's who in Italy 1957-58; I deputati e senatori del IV Parlamento repubblicano; Chi è? (per gli anni 1928, 1931, 1936, 1957, 1961), sub voce.