LAZZERINI, Alessandro
Discendente della famiglia di scultori Lazzarini, nacque a Carrara il 7 nov. 1860 da Giuseppe Ferdinando e da Teonia Ghetti.
Il padre del L., Giuseppe Ferdinando, nacque a Carrara il 15 dic. 1831, figlio della seconda moglie di Roberto Lazzarini, Maria Anna Brugnoli; fu alla stesura del suo certificato anagrafico che si verificò la variazione del cognome da Lazzarini in Lazzerini (Lazzerini, Tre secoli…, p. 37). Giuseppe Ferdinando ereditò, dopo la morte del fratello maggiore Alessandro Lazzarini, celibe, lo studio della famiglia.
Iscrittosi nel 1848 presso la locale Accademia di belle arti, nel 1853 vinse il pensionato triennale di scultura a Roma, dove, sotto la guida di P. Tenerani, eseguì la statua di S. Sebastiano, poi collocata nella sede dell'Associazione invalidi e mutilati di guerra di Carrara; quindi il gruppo di Agaar e Ismaele, presentato all'Esposizione italiana di Firenze nel 1861. Mentre la statua di Esmeralda, realizzata anch'essa durante il periodo romano, venne inviata all'Esposizione universale di Parigi del 1865. Al 1856 risale anche la Fanciulla che intreccia una ghirlanda, donata nel 1859 dal Comune di Carrara a Vittorio Emanuele II (Firenze, Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti). Oltre al Genio della Nautica, commissionatogli dal re d'Italia e replicato nel 1864 a Genova per Oddone di Savoia, duca di Monferrato, nel 1867 realizzò Silvia, presentata all'Esposizione di Parigi nel 1877, e l'Educatrice, esposta a quella di Dublino nel 1891. Professore ordinario dell'Accademia di belle arti della sua città dal 1858, ne assunse la direzione, mantenendola fino alla morte, avvenuta a Carrara il 3 dic. 1895.
Particolarmente prolifico nella scultura d'invenzione, la sua produzione non si impone in generale per originalità o ardite soluzioni stilistiche, anche se i risultati raggiunti si presentano comunque di buon livello per le modalità tecniche e per le scelte formali. Tra i rapporti professionali intrattenuti con gli artisti del tempo, si segnala quello con Giovanni Dupré per conto del quale eseguì, tra il 1869 e il 1875, svariati elementi del Monumento a Cavour di Torino. Ma fu soprattutto con la scuola danese formatasi dopo la morte di Thorvaldsen che sviluppò i suoi principali contatti professionali. In particolare con Herman Wilhelm Bissen e suo figlio Gottlieb Wilhelm Christian, Theobald Stein, Carl Jacobsen e Ludvig Brandstrup. Infine per il Thorvaldsens Museum di Copenhagen eseguì numerose copie direttamente tratte dai modelli originali del maestro danese (Passeggia, L'originale e il suo doppio).
Il L., indirizzato prima agli studi classici presso il collegio Cicognini di Prato, si iscrisse poi all'Accademia di belle arti di Carrara, ma l'esclusione, nel 1882, dal pensionato triennale di Roma determinò la sua scelta di ritirarsi dal mondo accademico per proseguire autonomamente la propria formazione artistica. L'incarico, ricevuto quello stesso anno, per l'esecuzione del busto ritratto di Vittoria Augusta di Borbone, destinato a villa Marlia a Lucca, fu l'occasione per entrare nei circuiti artistici più in vista e alla moda del tempo. Nella stessa villa realizzò il Monumento funebre a Carlo e Penelope di Borbone, inaugurato il 28 maggio 1888, mentre l'anno successivo eseguì quello del capitano Domenico Ferrari, a Camogli, in provincia di Genova.
La decisione di stabilirsi in un ambiente più ricco di stimoli e sollecitazioni rispetto a quello apuano, lo indusse a trasferirsi a Firenze dove, nel 1889, aprì uno studio in via A. Poliziano. La realizzazione, nel 1897, del Monumento a Giuseppe Mazzoni per la città di Prato e il trasferimento nello studio più ampio di via Nazionale, frequentato tra gli altri da G. Fattori e dai fratelli Alinari (Lazzerini, cit., p. 64), ne sancirono definitivamente la notorietà.
Con la statua À l'oeuvre, i cui eco stilistici sono ripresi nel piccolo gesso Accordo conservato a Carrara (Passeggia, 1997, pp. 110 s.), conseguì la medaglia di bronzo all'Esposizione universale di Parigi del 1900. Nel 1903 prese parte alla V Esposizione internazionale d'arte di Venezia con il gruppo in gesso Verso la gloria; nel 1905, presentò sempre a Venezia, La Forza (Parigi, Louvre). Nel 1906 realizzò la serie dei sei busti raffiguranti L. van Beethoven, Angelica Catalani, Ch. Gounod, G. Rossini, G. Verdi e R. Wagner per l'atrio del Metropolitan theater di New York dove rimasero fino al 1964, anno a partire dal quale, a causa di una ristrutturazione, se ne persero completamente le tracce (ibid., pp. 116-121).
Risale invece al 1908 la vittoria del concorso per il Monumento a Francesco Petrarca ad Arezzo. L'opera, che avrebbe dovuto consacrare definitivamente l'attività del L., fu invece fonte di costanti amarezze per circa vent'anni e venne inaugurata soltanto il 25 nov. 1928 (per la travagliata storia del monumento che, per i costi troppo elevati e il risultato finale fortemente criticato, suscitò numerose polemiche, si veda Loffredo, 1999; 2000-2001). Per la cittadina toscana eseguì inoltre il Monumento a G. Vasari nel 1911 e quello ai Caduti di guerra del cimitero, nel 1922. Nel 1910 furono poi realizzati sia il Monumento a G.B. Pergolesi nella città di Jesi, del quale si conserva a Carrara ancora il calco originale (Passeggia, 1997, pp. 122 s.), sia le sculture, progettate in collaborazione con l'architetto G. Heredia, per il grande emiciclo di B. Juárez a Città del Messico. Nel 1912 realizzò il Monumento a C.A. Fabbricotti, uno degli esponenti più in vista dell'oligarchia marmifera apuana per la cappella di famiglia nella tenuta di Marinella di Sarzana. Il L. fu professore onorario dell'Accademia di belle arti di Firenze e, dal 1911 al 1914, vi svolse anche attività di docente.
In generale la produzione del L. appare, per temi e modi stilistici, estremamente vicina alle linee guida indicate da U. Ojetti, fermo sostenitore di una scultura destinata alla rappresentazione delle tematiche civiche attraverso l'interpretazione della grande tradizione italiana. Affinità peraltro attestata anche dalla presenza di un biglietto scritto nel 1906 in cui lo stesso Ojetti affermava: "Ella - e mi è piaciuto dichiararlo sul mio giornale in pubblico - è già a tal punto della sua arte che l'opera perfetta e vera appare imminente" (Carrara, Arch. privato della famiglia, Carteggio Ojetti). Opinione ulteriormente ribadita in una breve pubblicazione sulla Biennale di Milano del 1906 in cui il critico sottolineava come alcuni giovani artisti, tra cui il L., avessero finalmente reso il momento "propizio pel risorgere della scultura italiana" mostrando "per me d'essere vicini all'opera degna".
Il successo personale non impedì comunque al L. di proseguire nell'attività di famiglia, collaborando con numerosi artisti sia italiani sia stranieri. In ambito nazionale, tra le collaborazioni più rilevanti vi è senza dubbio quella con L. Andreotti, per il quale riprodusse la statua di Donna nuda in Apricena nel 1920 e il gruppo dedicato alla Madre italiana in S. Croce a Firenze nel 1924. Per quel che riguarda l'estero curò soprattutto l'attività per la Danimarca, realizzando, tra l'altro, opere di J.A. Jerichau, E. Borch e S. Sinding, conservate presso la Ny Carlsberg Glyptotek, e di B. Thorvaldsen per il Thorvaldsens Museum a Copenaghen; quindi lo Het Relief di J.F. Willumsen per il Willumsens Museum, a Frederikssund.
La crisi economica alla fine degli anni Venti e la perdita d'immagine determinata dall'evidente attardamento stilistico-formale rispetto all'evoluzione artistica dell'epoca, furono certamente all'origine sia della chiusura dello studio fiorentino sia della vendita di numerose proprietà carraresi tra cui lo storico laboratorio nell'attuale via Fratelli Rosselli. Il L. proseguì comunque nell'attività, pur così drasticamente ridotta, fino alla morte, avvenuta a Carrara l'8 genn. 1942.
Il L. ebbe un figlio, Roberto, dalla moglie Corinna Salvini, sposata nel 1890, autore di un dattiloscritto datato 1960, dal titolo Tre secoli di vita e attività artistica in Carrara e nel mondo della famiglia Lazzarini o Lazzerini (in particolare sul L. pp. 51-97), che si conserva presso la Biblioteca civica di Carrara, in cui si ricostruiscono le sorti della famiglia e della bottega familiare.
Fonti e Bibl.: Carrara, Arch. privato della famiglia Lazzerini; U. Ojetti, L'arte nell'Esposizione di Milano, Milano 1906, p. 58; G. Mazzoni, A. L. e il monumento a Petrarca in Arezzo, in Vita d'arte, II (1909), 3, pp. 253-267; R. Soria, American artists of Italian heritage, 1776-1945, London-Toronto 1993, p. 101; L. Passeggia, Il gesso e la memoria: il laboratorio Lazzerini 1812-1942, Massa 1997, ad nomen; Id., Arte e imprenditoria nella Carrara del primo Novecento. A. L.: la riscoperta di un protagonista, in Atti e memorie dell'Accademia Aruntica di Carrara, Massa 1998, pp. 231-235; M. Loffredo, Il monumento nazionale a F. Petrarca, in Annali aretini, VII (1999), pp. 285-317; VIII-IX (2000-01), pp. 85-317; L. Passeggia, On the trail of the art industry. Danish sculpture and the Lazzerini workshop of Carrara between the eighteenth and the nineteenth centuries, in Analecta Romana Instituti Danici, XXVI (2001), pp. 179-196; Id., L'originale e il suo doppio. La vicenda dei "Thorvaldsen" replicati dal laboratorio Lazzerini di Carrara nelle carte del Thorvaldsens Museum Arkiv di Copenhagen, ibid., in corso di pubblicazione; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 493 (p. 494 per Giuseppe Ferdinando).