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GUIDOTTI, Alessandro

di Emanuele Pigni - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)
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GUIDOTTI, Alessandro

Emanuele Pigni

Nacque a Bologna il 1° sett. 1790 da Annibale, patrizio e senatore di Bologna, e da Costanza dei marchesi Sampieri.

All'età di quindici anni entrò nel corpo dei paggi di Napoleone re d'Italia, a Milano, che faceva le funzioni di scuola militare per i giovani delle più grandi famiglie. In esso, però, non era fissata la durata degli studi; così il G., volendo anticipare il battesimo del fuoco, preferì alla corte del viceré la caserma e ottenne, il 9 luglio 1806, la nomina a sergente nel reggimento veliti reali, uno dei due corpi socialmente scelti della guardia reale italiana.

La nomina di un non ancora sedicenne, privo di esperienza militare, fu probabilmente un caso unico nella storia del corpo dei veliti reali, il quale, avendo tra i suoi compiti la formazione di sottufficiali per l'esercito italiano, traeva i propri sergenti dagli stessi veliti o, in qualche caso, dai graduati istruttori venuti da altri corpi (Pigni, pp. 144 s.). Da sergente dei veliti fece le campagne di Spagna del 1808 e del 1809, con la stessa compagnia (la 2ª del I battaglione) di cui faceva parte come velite semplice un altro futuro generale del 1848, C. De Laugier. Il 9 luglio 1809 all'assalto del castello di Montjuich a Gerona il G., come attesta il suo stato di servizio conservato nell'Archivio di Stato di Milano, "dimostrò moltissimo coraggio, e fu ferito da un'arma da fuoco alla guancia destra lacerata". Quando il distaccamento dei veliti reali fu richiamato in Italia, fu nominato (28 sett. 1809) sottotenente nel III battaglione carabinieri del reggimento veliti reali. Tenente in secondo nel I battaglione granatieri dello stesso reggimento dal 1° dic. 1810, partecipò alla campagna di Russia del 1812; ferito nella battaglia di Malojaroslavec (24 ott. 1812), al termine della tragica ritirata fu promosso tenente in primo nel reggimento veliti reali con decreto vicereale datato dal quartier generale di Marienwerder in Prussia il 5 genn. 1813. Pochi giorni dopo veniva catturato dai Russi nella stessa località. Mentre era prigioniero fu inserito da Napoleone nella nomina di cavalieri della Corona di ferro del 12 febbr. 1813 (Giornale italiano, 25 febbr. 1813, n. 56).

Liberato e rimpatriato nel 1814, dopo la fine del Regno Italico, fu collocato in pensione dal governo austriaco. Poco dopo, però, passò nell'esercito napoletano con il prestigioso incarico di capo squadrone aiutante di campo del re Gioacchino Murat, al seguito del quale fece la sfortunata campagna del 1815 per l'indipendenza italiana. Secondo quanto si diceva a Bologna ancora vivente il G. (Martinelli, p. 4), dopo un fatto d'armi non precisato di quella campagna il re lo decorò sul campo dell'Ordine delle Due Sicilie.

Durante la Restaurazione il G. si ritirò a vita privata, dedicandosi a musica, pittura e viaggi (visitò Francia, Inghilterra, Scozia, Irlanda e Olanda); perduta la pensione militare austriaca, ne ottenne una pontificia (9 scudi al mese nel maggio 1817: Ravioli, 1887, p. 158). Come molti altri reduci dell'esercito italiano di Napoleone, egli però attendeva l'occasione per riprendere le armi per la causa nazionale, che per lui venne nel 1831 con la rivoluzione delle province emiliane e romagnole. Il 4 febbraio, quando il prolegato pontificio di Bologna cedette il potere agli insorti, il G. fu uno dei cinque capi della guardia provinciale nominati con lo stesso decreto del prolegato che istituiva la commissione straordinaria di governo e la guardia provinciale (il decreto, come altri documenti coevi, lo qualifica "marchese", titolo che non risulta essere appartenuto alla famiglia). Ebbe il comando, col grado di colonnello, di un distaccamento di volontari bolognesi che il 16 febbraio partì per raggiungere ad Ancona la "Vanguardia dell'Armata nazionale" comandata dal generale G. Sercognani (che descrisse così la colonna comandata dal G.: "170 uomini senza uniformi, e pessimamente vestiti, con due pezzi da sei, e due cassoni di munizioni, trascinati da dei cavalli che si requisivano a tappa per tappa"; Zama, p. 377).

La "Vanguardia", dopo avere ottenuto la resa della fortezza di Ancona, marciò attraverso l'Umbria puntando su Roma. Il 25 febbraio una colonna di volontari bolognesi e umbri comandata dal G. batté a Magliano Sabino le truppe pontificie, meritando di essere elogiata dal Sercognani nell'ordine del giorno (Zama, pp. 225 s.). In seguito alla convenzione di Ancona del 26 marzo, che poneva fine alla rivoluzione bolognese, la "Vanguardia" si sciolse a Terni. Il G., insieme con molti altri rivoluzionari (tra i quali il generale in capo C. Zucchi, capo battaglione e maggiore nel reggimento veliti reali quando il G. vi era sergente), s'imbarcò ad Ancona sul bastimento "Isotta" che salpò per la Francia, ma fu intercettato il 30 marzo da due golette austriache; con gli altri passeggeri dell'"Isotta" fu fatto prigioniero e portato a Venezia. Successivamente gli fu consentito di emigrare in virtù dell'amnistia concessa da Gregorio XVI ai sudditi ribelli. Visse esule in Svizzera, poi in Francia e in Inghilterra, fino al 1837, quando rimpatriò per assistere la madre inferma.

Ordinata da Pio IX, nel luglio 1847, la formazione della guardia nazionale, al G. ne fu offerto il comando a Bologna col grado di colonnello, che accettò nonostante le non buone condizioni di salute. Nell'infuocato clima politico del marzo 1848 poté capitare anche a lui di essere contestato come "gregoriano" e "retrogrado" in una dimostrazione (prezzolata, secondo Rocca, p. 7) avvenuta a Bologna il 28 marzo; il giorno dopo la guardia civica si recò unita al comando generale per una controdimostrazione a favore del comandante. Il generale Giovanni Durando, comandante in capo dell'armata romana destinata alla campagna del Veneto, volendo avere con sé il G. chiese e ottenne per lui dal ministro pontificio delle Armi la nomina (15 apr. 1848) a generale di brigata nelle truppe di linea.

Congedatosi dalla guardia civica di Bologna, il G. giunse a Treviso alla fine di aprile. Il 6 maggio si recò a Montebelluna, chiamatovi dal Durando, e subito ripartì per succedere al generale Alberto Ferrero Della Marmora nel comando della brigata "indigena" (composta di unità romane, venete, bolognesi, romagnole, napoletane e siciliane) dislocata sul basso Piave, da Breda a Maserada. Il 9 maggio ricevette dal generale Andrea Ferrari, suo comandante di divisione, l'ordine di ripiegare se lo ritenesse opportuno; così fece, portandosi a Treviso, mentre lo stesso Ferrari si ritirava dopo il combattimento di Cornuda. L'11 maggio la brigata del G. eseguì, per ordine di Ferrari, una ricognizione offensiva terminata con una disordinata ritirata che secondo Ravioli (1887, pp. 164 s.) "non fu vergognosa, ma conseguenza legittima e sarei per dire necessaria de' fatti precedenti di Cornuda e di Montebelluna"; la brigata cedette per tragiche fatalità che ne scompaginarono l'ordinamento di marcia per le "cattive disposizioni" datele da Ferrari (ibid., p. 167). Tuttavia quest'ultimo redarguì aspramente il G., accusandolo di tradimento o codardia. Lo stesso 11 maggio Durando incaricò il G. del comando della piazza di Treviso durante l'assenza di Ferrari, che doveva recarsi a Mestre per riordinare le sue truppe; l'incarico, secondo Ravioli, fu un altro colpo al suo onore, essendo quella piazza "teatro d'indisciplina e di rancori non repressi" (ibid.). Partito Ferrari, il G. rifiutò di assumere il comando, volendo compiere un gesto estremo a tutela del proprio onore. Il 12 maggio 1848 gli Austriaci attaccarono la città; armatosi di fucile come un gregario, con alcuni coraggiosi tra i quali il padre U. Bassi (che, secondo una delle leggende fiorite sull'episodio, tentò invano di dissuaderlo dall'esporsi) uscì da porta S. Tommaso e avanzò verso i nemici finché non cadde, colpito mortalmente nel petto.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Regno d'Italia,Ministero della Guerra - Matricole degli ufficiali, b. 17 (stato di servizio del G. come ufficiale del reggimento veliti della guardia reale italiana); Almanacco reale (del Regno d'Italia), 1810, p. 66; 1811, p. 61; 1812, p. 61; 1813, p. 140; [A. Lissoni], Osservazioni, aggiunte, schiarimenti, emende e considerazioni storico-militari all'opera del sig. cav. maggior Vacani intitolata Storia delle campagne e degli assedi degl'Italiani in Spagna, Firenze 1828, pp. 286 s.; [C. De Laugier], Fasti e vicende di guerra dei popoli italiani dal 1801 al 1815, VIII, Firenze 1834, pp. 73, 244; XI, ibid. 1836, pp. 116, 222; XII, ibid. 1838, p. 58; A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana. Cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, Milano 1845, I, p. 259; II, pp. 69, 395; F. Martinelli, Il generale A. Guidotti. Cenni biografici, Bologna 1848; A. Rocca, Cenni biografici del marchese A. G., Bologna 1848; Panteon dei martiri della libertà italiana, I, Torino 1852, pp. 502-512 (con gravi lacune sulla gioventù del G., di cui viene ignorata la carriera militare nel periodo napoleonico); C. Ravioli, La campagna nel Veneto del 1848 tenuta da due divisioni e da corpi franchi degli Stati romani sotto la condotta del generale Giovanni Durando, Roma 1883, pp. 2, 25, 27, 30 s., 38; Id., I reduci dell'epoca napoleonica romani o statisti, Roma 1887, pp. 158-167; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, II, Milano 1887, p. 501; P. Zama, La marcia su Roma del 1831, Milano 1931, pp. 211, 219, 221, 225 s., 228, 291, 377; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, II, Milano 1934, pp. 406, 452; IV, ibid. 1938, pp. 159 s., 163-165; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 379, 381 s.; E. Pigni, La guardia di Napoleone re d'Italia, Milano 2001, pp. 227, 286.

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