GUIDICCIONI, Alessandro
Nacque a Lucca da Nicolao di Alessandro e da Margherita di Ambrogio, che ebbero altri due figli, Orazio e Lucrezia, e fu battezzato in S. Frediano l'8 nov. 1524. La famiglia del G., collegata da forti vincoli economici e personali ai Farnese, era tra le più influenti della Repubblica.
Il 18 ag. 1535 il G. ricevette dallo zio Giovanni, vescovo di Fossombrone, l'ufficio di canonico della cattedrale e la relativa prebenda e il 26 ott. 1536 fu ordinato sacerdote. Addottoratosi inutroque iure, il G. promosse un generoso mecenatismo in campo letterario, come testimoniano varie opere a lui dedicate di carattere sacro e profano, pubblicate dall'editore lucchese Vincenzo Busdraghi.
Il 5 genn. 1549 rinunciò al suo ufficio e il 9 dello stesso mese fu designato coadiutore del prozio Bartolomeo con diritto di successione nella diocesi di Lucca. Il 27 novembre, dopo la morte del congiunto, fu nominato vescovo e accolto trionfalmente in città. Si insediò nella diocesi l'8 maggio 1550, dopo aver indugiato a Roma qualche mese.
Da poco insediato, il giovanissimo vescovo inviò il vicario Antonio de Preti da Imola presso la S. Sede per presentare al S. Uffizio lamentele nei confronti del governo, accusato di essere tollerante verso gli eretici e di non rispettare le libertà ecclesiastiche. La Repubblica prese le sue contromisure nei confronti del G.: inviò Giovanni Tegrimi come ambasciatore stabile a Roma e istruì speciali commissioni per tutelarsi da ulteriori intromissioni. Ciononostante le autorità di Lucca preferirono in seguito avere come interlocutore il G. piuttosto che il S. Uffizio, avvertito come ancora più esterno e invadente.
Quando, all'inizio del 1554, il pontefice Giulio III propose ai Lucchesi il domenicano Tommaso Stella come inquisitore al posto del G., il nuovo ambasciatore della Repubblica a Roma Girolamo Lucchesini sollevò obiezioni. Il 7 febbr. 1554 la commissione eletta ad hoc dal Consiglio confermò il G., affiancato dall'Offizio sopra la religione e da due frati teologi. La scelta fu accolta dal S. Uffizio che, il 13 marzo 1555, ampliò i poteri del G. conferendogli autorità apostolica e consentendogli autonomia nel giudizio. Il 21 giugno 1555 il nuovo papa, Paolo IV Carafa, limitò per i tre mesi successivi i poteri del vescovo alla sola autorità ordinaria, ma già il 31 marzo 1556, con un breve, richiese espressamente al governo di favorire l'Inquisizione e fornire un adeguato braccio secolare ai suoi rappresentanti.
Il 28 apr. 1556 il G. poté dunque fare arrestare tre "populari" senza informare il potere secolare. Ancora il 4 e il 15 giugno fece citare in giudizio nove patrizi che di lì a poco emigrarono a Ginevra e in Francia. Il conflitto giurisdizionale tra il G. e la Repubblica raggiunse un momento acuto il 21 ag. 1556, quando il Consiglio accusò il G. di negligenza e pretese di procedere contro ecclesiastici colpevoli di reati comuni. Per tutta risposta il G. punì il podestà con un'ammenda e con la scomunica per avere trattenuto in carcere un suo servitore. Il governo lucchese non esitò allora a inviare come ambasciatore presso la S. Sede l'ex vescovo di Ajaccio, Giovanni Battista Bernardi, per chiedere la rimozione del G. a favore del cardinal nipote Carlo Carafa. Alla fine del mese fu il G. a recarsi a Roma, intenzionato a denunciare il comportamento dei suoi concittadini. Il G. revocò la scomunica al podestà solo il 30 ag. 1557, su diretto intervento del re di Spagna Filippo II e del cardinale Cristoforo Madruzzo, ma non fece ritorno nella sua diocesi. Dalla dimora romana del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, dove restò ancora per qualche mese, favorì la comparizione di fronte al S. Uffizio di altri quattro lucchesi, che abiurarono il 29 genn. 1559, insieme con i tre concittadini già incarcerati.
Il G. intrattenne rapporti tutt'altro che distesi anche con i rappresentanti del prestigioso convento di S. Frediano, retto dalla Congregazione dei canonici regolari lateranensi; particolarmente duro si rivelò lo scontro con il priore Celso Massimiliano Martinengo, incline alla Riforma ed estremamente geloso dei privilegi del suo ordine.
Dal 1561 al 1563 il G. fu vicelegato del cardinale Alessandro Farnese in Avignone, dove si distinse nella lotta contro gli ugonotti. Scelse poi di tornare nella sua diocesi - nonostante la proposta del Farnese, che lo avrebbe voluto al concilio di Trento, ormai vicino alla conclusione - e non se ne allontanò fino alla morte, dedicandosi prevalentemente alla cura pastorale ed evitando per circa undici anni di entrare in contrasto con le autorità civili. Avviò un'efficace azione di riforma morale e disciplinare, sviluppando un controllo capillare sugli ecclesiastici e sui fedeli. Già nel gennaio 1560 fece stampare un editto "in volgar idioma a maggior intelligenza de' semplici sacerdoti" (Arch. di Stato di Lucca, Notarile, I, 3474) in attesa delle decisioni di una successiva assemblea da lui presieduta, anticipando le linee del suo orientamento futuro. Indisse il primo sinodo il 12 nov. 1564, subito dopo l'accettazione dei decreti tridentini da parte della Repubblica. Le Lucensis Ecclesiae constitutiones synodales (Lucca, Busdraghi, 1571) derivate da questa prima assemblea della Chiesa lucchese furono distribuite tre anni dopo. Le decisioni dei successivi sinodi (1574, 1579, 1581, 1589, 1590, 1593) furono pubblicate in sintesi, con ogni probabilità, nel 1594 (Ecclesiae Lucensis constitutiones pluribus frequentibus synodis late et ad compendium relatae, Lucae, apud Vincentium Busdraghium ad instantiam Octaviani Guidoboni). Le Regole per le classi dei sacerdoti et per ogni altro chierico della diocesi di Lucca furono edite in volgare per la prima volta probabilmente nel 1577, e furono più volte ristampate per i curati di campagna (Lucca, Busdraghi, 1580, 1588). Il controllo sull'applicazione delle norme era demandato alle visite (1553-98), trascritte in 21 volumi di cui ben 17 si riferiscono a ispezioni nel contado e 3 alla città (Lucca, Arch. arcivescovile, Visite pastorali, voll. 20-21, 34). Nel 1574 il G. istituì un seminario presso la cattedrale di S. Martino, che sopravvisse a stento fino al 1616; pensava di aprirne altri due a Camaiore e a San Miniato, ma abbandonò il progetto.
La prima preoccupazione del G. era la formazione di un gruppo di curati degni della loro responsabilità. Già l'editto del 1560 conteneva norme relative al comportamento del clero secolare, e i testi sinodali riprendevano puntualmente queste disposizioni, articolandole (Alli sacerdoti della sua diocesi, salute nel Signore, Lucca, Busdraghi, 1567, 1581, 1589).
Le Regole organizzavano il clero come una vera e propria congregazione secolare suddivisa in classi (pievani, parroci, rettori, sacerdoti semplici, cappellani) per sorvegliarne capillarmente il comportamento. Il priore doveva essere nominato dal vescovo, mentre il "soppriore" e il camerlengo dovevano essere eletti dal basso. La preparazione del clero prevedeva anche un confronto con la cultura e le pratiche sociali della tradizione popolare, radicate e diffuse specialmente nel contado.
In questo quadro, di grande rilievo secondo il G. era l'uso delle immagini per illustrare ai fedeli analfabeti le vite dei santi e la storia sacra come una Biblia pauperum, ma ammoniva i parroci a non farne oggetto di venerazione di tipo pagano. Negli anni '60-'70, il G. promosse feste religiose e processioni (in particolare nella Quaresima del 1562 e del 1575) e offrì nuovi luoghi di culto: nel 1588 istituì la festa della Madonna delle Grazie (Decreto sulla Madonna de' miracoli, Lucca, Busdraghi, 1588) e consacrò le chiese di S. Chiara e di S. Nicolao; nel 1597 fece traslare le reliquie di s. Paolino in una nuova chiesa, a quel santo dedicata. L'educazione religiosa degli adulti fu affrontata dal sinodo del 1564, ma fu soprattutto attraverso i Sermoni sopra i s. Sacramenti e i nove Avvertimenti per il popolo da leggersi durante le festività, entrambi compresi nelle Regole, che il G. diede vita a un vero e proprio corso catechistico per uomini e donne.
Assolutamente centrale nella sua azione pastorale fu l'educazione dei fanciulli. A questo scopo egli fornì al clero curato del contado, nel capitolo Ordini sopra le scuole della dottrina cristiana, delle regole, precise indicazioni per la formazione di scuole regolari per bambini. In questo progetto il G. fu aiutato, negli anni '60, dal francescano Antonio Giovanni da Busseto e, dieci anni più tardi e con maggiore incisività, da Giovanni Leonardi e dalla sua congregazione, eretta canonicamente nel 1583.
Dal 1563 il G. presiedette il tribunale vescovile preposto alla repressione del dissenso religioso, preoccupandosi di salvaguardare le proprie prerogative giurisdizionali. Da un lato nel 1565 giustificava dinanzi al pontefice l'operato delle autorità secolari: nel 1568 addirittura si adoperò con decisione perché non si realizzasse il progetto del S. Uffizio volto a utilizzare i parroci lucchesi come inquisitori. D'altra parte si deve osservare però come l'Offizio sopra la religione, istituito nel 1545 per sottoporre i Lucchesi al controllo dell'Inquisizione, abbia goduto di un'elevata autonomia quando il G. non risiedeva nella diocesi. Nel 1574 il G. intraprese un procedimento giudiziario nei confronti di tre mercanti di Norimberga e del loro agente commerciale, obbligandoli a comunicarsi secondo l'uso romano e ad abiurare la confessione augustana. Una rimostranza di questi ultimi presso gli Anziani della loro città provocò un contenzioso politico-diplomatico con Lucca: l'incidente contribuì a scavare un nuovo solco di diffidenza tra il governo repubblicano e il G., che nel 1586 si lamentava presso Sisto V perché il Consiglio aveva fatto imprigionare il notaio episcopale Taddeo Giorgi, colpevole di avere prodotto innanzi al governo un documento falso: la questione fu composta dal pontefice.
Nel 1596-97 il G. accolse una disposizione del papa Clemente VIII, al fine di riprendere il controllo sui tedeschi residenti a Lucca e chiedere l'allontanamento dei lucchesi da Norimberga.
Una decisa ingerenza della S. Sede avvenne nel 1575, con la visita apostolica di Giovanni Battista Castelli, vescovo di Rimini. Nel periodo immediatamente successivo il G. collaborò con il S. Uffizio nell'ampia inchiesta da questo promossa in seguito alle delazioni rilasciate presso l'inquisitore di Pisa dal mercante lucchese Lorenzo Dal Fabbro, autore di un vero e proprio complotto antioligarchico, da Giovanni Leonardi e da un gruppo di loro seguaci, chierici e laici. Il ruolo svolto dal G. in questa vicenda sembra però nel complesso piuttosto marginale; al contrario, egli sembra avere in qualche modo favorito attivamente, nel 1596, la congiura antioligarchica e filomedicea del mercante Bernardino Antelminelli.
Improntato a estrema moderazione appare d'altro canto l'atteggiamento adottato dal G. nei confronti della stregoneria e di reati simili. Nelle Regole e nelle Constitutiones synodales il G. separava esplicitamente il concetto di medicina empirica da quello di maleficio e influenza magica, raccomandando ai confessori di riferire con scrupolo a lui stesso quest'ultimo genere di credenze. Nei casi noti di stregoneria, sospetto sortilegio o negromanzia, in cui il G. fu coinvolto come giudice (nel 1571, 1589, 1598), egli dimostra sempre una spiccata tendenza ad affidare l'incarico alle autorità repubblicane, o comunque a sottrarsi e a praticare la tortura solo dietro pressione del S. Uffizio.
Il 27 nov. 1600, dopo circa cinquantuno anni, il G. rassegnò il vescovato a favore del cugino Alessandro. Morì il 7 nov. 1605 e fu sepolto nella cattedrale di S. Martino.
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