GUICCIOLI, Alessandro
Nacque a Venezia il 5 marzo 1843 dal marchese Ignazio, ravennate, e dalla romana Faustina dei marchesi Capranica. Compiuti i primi studi nel capoluogo veneto, si iscrisse all'Università di Bologna, dove, nell'agosto 1864, si laureò in giurisprudenza. Contemporaneamente, studiò anche lingue straniere: quando, il 3 febbr. 1866, fu nominato volontario effettivo nella carriera diplomatica presso il ministero degli Esteri, parlava e scriveva correttamente il francese, l'inglese e il tedesco.
Questi i passi più significativi compiuti dal G. nella prima fase della sua carriera diplomatica. Il 4 sett. 1866 fu nominato addetto di legazione a Londra, e il successivo 22 ottobre segretario di ambasciata a Vienna. Il 30 sett. 1869, venne chiamato a prestare servizio presso la Divisione politica del ministero degli Esteri (fu, tra l'altro, segretario particolare dell'allora ministro L.F. Menabrea). Il 7 sett. 1870 accompagnò il conte G. Ponza di San Martino, latore della lettera di Vittorio Emanuele II a Pio IX che preannunciava l'imminente entrata delle truppe italiane in territorio pontificio, e pochi giorni dopo fu da E. Visconti Venosta destinato, in qualità di addetto diplomatico, al quartiere generale di R. Cadorna, cosicché poté entrare tra i primi a Roma la mattina del 20 settembre. Negli anni immediatamente successivi, fu prima nominato addetto al gabinetto del senatore G. Gadda, regio commissario in Roma (14 apr. 1871), poi venne richiamato presso la Divisione politica del ministero degli Esteri (10 luglio 1871), e finalmente promosso a segretario di legazione di II classe (27 febbr. 1872).
Il 30 dic. 1874 il G. abbandonò temporaneamente la carriera diplomatica per candidarsi alle elezioni politiche supplementari della XII legislatura nel collegio di San Giovanni in Persiceto. Eletto deputato, gli elettori di quel collegio gli confermarono la fiducia nelle elezioni del 5 nov. 1876, le prime dopo la caduta della Destra, cui il G. apparteneva, e del 1880, ma non in quelle del 1882, le prime a scrutinio di lista.
Durante la permanenza a Montecitorio, nel corso della quale fu tra l'altro segretario della Camera, maturò in cuor suo una profonda avversione per le istituzioni parlamentari. "Comincio ad essere profondamente disgustato del sistema parlamentare", annotò nel suo Diario il 2 luglio 1878. E qualche tempo dopo, il 23 apr. 1882, aggiungeva: "È impossibile che vi siano ordine, disciplina, adempimento del dovere nel regime parlamentare. Questo è un sistema di sterili approssimazioni, un dissolvente forse lento ma irreparabile di tutto quanto dovrebbe esservi di organico nello Stato". Dietro il suo deciso e convinto antiparlamentarismo, il G. nascondeva una profonda avversione per la democrazia e le sue istituzioni, e un ideale di vita e di Stato di tipo aristocratico e talvolta assolutistico. Ad accrescere il suo disgusto per il sistema democratico contribuivano la considerazione e la tolleranza, a suo avviso eccessive, che in esso trovavano le organizzazioni e le manifestazioni, spesso tumultuose, dei ceti popolari. Il G. giudicava "stoltezza" il permettere l'esistenza di associazioni "che, per il nome stesso che portano, sono la negazione delle basi dell'ordinamento politico attuale dello Stato" (Diario, 31 maggio 1877). I pubblici comizi, poi, costituivano, a suo parere, "una forma di manifestazione barbara, pericolosa, antiquata, ingannevole" (ibid.).
Insofferente del sistema democratico, il G. non risparmiò critiche alla Sinistra, giunta al potere nel 1876. "Abbiamo da fare con gente senza coscienza che non ha altro obiettivo se non quello di restare al governo", scrisse nel Diario l'8 ott. 1881. Pesanti giudizi pronunciò anche su singoli esponenti della Sinistra, a cominciare da A. Depretis, del quale avversò la politica trasformistica e sottolineò ripetutamente la "insincerità" e le "ambiguità", oltre che la "debolezza" nei confronti di anarchici e socialisti, specie in Romagna. Non fu tenero nemmeno con esponenti della Destra quali R. Bonghi e M. Minghetti. Manifestò invece "stima illimitata e affetto immenso" per Q. Sella, un uomo "veramente superiore", di cui "è difficile dire […] che cosa […] sia maggiore, se il cuore o la mente": di lui scrisse un'apprezzata biografia, nella quale invitò i futuri storici a non dimenticare la "indomabile energia" con la quale il Sella "sacrificando se stesso, strappò l'Italia all'onta ed alla rovina del fallimento", e l'"influenza decisiva che esercitò sulla nostra politica in momenti supremi per l'avvenire della patria" (Q. Sella, I, p. III).
Dopo la sconfitta elettorale del 29 ott. 1882, il G. tentò ripetutamente, ma inutilmente, di ritornare alla vita politica attiva. Sul finire dell'età di Depretis, si accostò non senza un pizzico di opportunismo a F. Crispi, da lui precedentemente definito un democratico "da quattro soldi" e del quale ora apprezzava soprattutto l'ammirazione per la Germania e per O. von Bismarck. E poiché anche un ritorno in diplomazia si presentava al momento assai problematico, da buon "romano", quale si riteneva, cominciò a partecipare intensamente alla vita amministrativa della capitale. Più volte consigliere comunale, il 10 ott. 1887 fu nominato assessore alla Pubblica Istruzione. Il 10 genn. 1888, in seguito alla clamorosa destituzione del sindaco L. Torlonia, il Crispi lo volle facente funzione di sindaco; qualche mese dopo, il 24 ott. 1888, fu eletto sindaco di Roma al primo scrutinio, con la maggioranza assoluta dei voti. Rimase alla guida della città fino al 20 nov. 1889, giorno in cui gli successe A. Armellini.
La sua esperienza in Campidoglio fu segnata da avvenimenti di grande risonanza quali la crisi operaia, sfociata nei tumulti dell'8-9 febbr. 1889, e l'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno (9 giugno di quello stesso anno). Nell'una e nell'altra circostanza la sua condotta non fu esente da critiche, che lo amareggiarono e accentuarono in lui il desiderio di abbandonare la vita politico-amministrativa e ritornare in diplomazia. Ma la sua destinazione era per il momento un'altra: la prefettura di Firenze. La nomina a prefetto, dovuta principalmente al re e alla regina, oltre che a Crispi, diventato ormai il suo primario punto di riferimento, fu decretata il 12 giugno 1890. A Firenze, il G. non ebbe vita facile, a motivo della diffidenza con cui fu guardato per le sue consuetudini aristocratiche e delle ostilità subito manifestate nei suoi confronti da antimoderati capeggiati dai deputati F. Guicciardini e A. Brunicardi. Tali ostilità si fecero più marcate durante il primo ministero Rudinì e soprattutto in occasione delle elezioni politiche del 1892, allorché, dietro sollecitazioni dei due deputati appena citati, G. Zanardelli e il ministro della Pubblica Istruzione F. Martini fecero pressioni su G. Giolitti, presidente del Consiglio, perché il G. fosse trasferito ad altra prefettura. Giolitti, che non si fidava di un uomo notoriamente di destra e per di più strettamente legato a Crispi, non tardò ad accontentarli: il 12 marzo 1893, il G. fu richiamato a Roma e messo a disposizione del ministero dell'Interno.
Inutilmente, nel settembre di quello stesso anno, sperò di prendere il posto di A. Calenda di Tavani, sospeso dalle funzioni di prefetto di Roma in seguito ai tumulti per i fatti di Aigues-Mortes. Gli fu preferito G. Cavasola, e il G. non nascose il suo risentimento: nella lettera a C. Perazzi del 26 ott. 1893, commentò duramente il recente discorso di Giolitti a Dronero, definendolo "vacuo, leggero, sfacciato, mendace, volgare nelle idee, nei sentimenti e nelle forme" (Roma, Museo centr. del Risorgimento, b. 903/27-29).
Con il ritorno di Crispi al potere (15 dic. 1893), il nome del G. ricominciò a circolare negli ambienti del ministero dell'Interno. E allorché nell'estate del 1894 il prefetto Cavasola fu trasferito da Roma a Palermo, il G. fu chiamato a succedergli, tra la soddisfazione di larga parte dell'opinione pubblica romana, specie moderata, e il vivo disappunto di Giolitti, che il 24 ottobre di quello stesso anno, in una lettera a re Umberto, ebbe a lamentarsi che fosse stato nominato prefetto di Roma un funzionario "che il Ministero passato aveva messo a disposizione" (Dalle carte di Giovanni Giolitti…, p. 213).
Nel periodo della sua prefettura (estate 1894 - primavera 1896), il G. svolse il suo lavoro con scrupolo e regolarità, come dimostra il Foglio periodico della prefettura di Roma, dove, anno per anno, venivano registrati gli atti ufficiali amministrativi: annullamenti di delibere di giunte e di Consigli comunali, istruzioni ai sindaci sull'applicazione di leggi, direttive di diversa natura, richieste di informazioni di vario genere, e così via. In genere, operò in spirito di devozione e fedeltà a Crispi, anche se talvolta, sia pure non pubblicamente, prese le distanze dal capo del governo, criticandone passi e orientamenti (ad esempio, in tema di opere pie, tenne un atteggiamento "addirittura contrario alla legge e soprattutto ad una sua rigorosa applicazione", specie quando si pensi che, durante la sua gestione, "l'azione di vigilanza rallentò, e gli interventi di concentramento, trasformazione e raggruppamento [delle opere pie] cessarono del tutto" (Guercio, p. 824).
Pur nella fedeltà ai valori della Destra, quando si trattava di amministrare la cosa pubblica il G. non negava la sua collaborazione a persone diversamente orientate. In età crispina, in coincidenza con i venti di conciliazione che spiravano tra Stato e Chiesa, il G. manifestò segni di maggiore attenzione per il fatto religioso. Seguì con grande fiducia e partecipazione i passi compiuti da Crispi per affrettare la pace tra l'Italia e la S. Sede, e non nascose la sua delusione allorché, alla vigilia delle elezioni politiche del 1895, con la nota lettera del 14 maggio al cardinale vicario L.M. Parocchi, Leone XIII ribadì la validità del non expedit mandando in fumo le speranze conciliatoriste del presidente del Consiglio e dei suoi seguaci: "Il voltafaccia del Vaticano rispetto al Governo è stato odioso", commentò nel Diario il 30 maggio di quell'anno.
Nella veste di prefetto il G. visitò ospizi e carceri, cercò di alleviare le gravi difficoltà economiche in cui si dibattevano alcuni Comuni della provincia (per es., Morolo), prestò particolare attenzione ai problemi dell'ordine pubblico, mostrandosi intransigente e inflessibile nei confronti dei "sovversivi", specie anarchici e socialisti (il 22 ott. 1894, anche a Roma e provincia, come nel resto d'Italia, furono sciolte le associazioni "sovversive"). Più volte il suo nome si trovò al centro di accese polemiche: fu così, ad esempio, al momento delle dimissioni di E. Ruspoli da sindaco della capitale (7 nov. 1894); e così pure in occasione della tempestosa seduta parlamentare del 27 nov. 1895 (nella circostanza, S. Barzilai lo accusò di aver ostacolato nelle ultime elezioni politiche la candidatura di A. Guy a Frosinone, perché, come presidente di corte d'appello, aveva assolto alcuni socialisti).
Caduto Crispi (10 marzo 1896), il G. dovette lasciare la prefettura di Roma. Fino a quel momento, i suoi rapporti con A. Starrabba di Rudinì, nuovo presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, erano stati buoni solo apparentemente: pur tra manifestazioni di rispetto e perfino di amicizia, il prefetto non aveva nascosto, nel recente passato, un senso di profonda avversione per Rudinì, soprattutto a motivo dei suoi atteggiamenti anticrispini e delle sue aperture a F. Cavallotti e a G. Zanardelli. Appariva perciò problematica la conferma di un fedele seguace di Crispi alla guida della prefettura di Roma. E infatti, il 9 apr. 1896, da un secco telegramma di Rudinì, il G. apprese di essere stato collocato a disposizione del ministero. Restò inattivo fino al 20 marzo 1898, allorché fu nominato prefetto di Torino.
Nel suo periodo torinese, G. non ebbe problemi con L. Pelloux e con G. Saracco, immediati successori di Rudinì. Cominciò ad averne con Giolitti, al potere dal febbraio 1901 prima come ministro dell'Interno nel gabinetto Zanardelli, poi come presidente del Consiglio. Il rapporto tra i due fu complessivamente teso e difficile, ma ciò nonostante il G. rimase al suo posto per ben quattro anni, forse soprattutto per le aderenze e per la protezione di cui godeva a corte. Durante la grave crisi operaia dei primissimi anni del Novecento (nel corso della quale si distinse per una efficace opera di mediazione tra lavoratori e datori di lavoro), e in particolare in occasione dello sciopero dei gasisti (febbraio-marzo 1902), si ebbero, tra il Giolitti e il G., momenti di acuta tensione, che però non impedirono al primo di lodare in Parlamento il G. e di definirlo "una delle menti più equilibrate e più serene, un ottimo funzionario […] assolutamente imparziale nel giudicare gli avvenimenti" (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, 14 marzo 1902).
Il G. lasciò Torino il 10 luglio 1904, dopo che inutilmente, qualche mese prima, il re gli aveva proposto la prefettura di Napoli. Riprese invece la carriera diplomatica, e tutto si svolse "d'ufficio", cioè senza alcuna preventiva consultazione. Era stato l'amico T. Tittoni, nuovo ministro degli Esteri dal novembre del 1903, a comunicargli, il 9 giugno 1904, la sua nomina a inviato straordinario e ministro plenipotenziario di II classe con destinazione Belgrado; nomina che fu formalizzata con r.d. 30 giugno di quello stesso anno. A Belgrado, il G. restò fino al 1908. Il 28 giugno di quell'anno, fu trasferito con credenziali di ambasciatore a Tokio, dove arrivò il successivo 4 novembre. Durante questa sua missione fu promosso con r.d. 18 giugno 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario di I classe. Gravemente ammalato, il 4 dic. 1915 fu messo a disposizione del ministero degli Esteri, e il 7 genn. 1917 fu collocato a riposo per ragioni di età.
Il G. morì a Roma il 3 ott. 1922.
Qualche anno prima, pensando al suo Diario e alla morte, aveva scritto: "Si succedono l'un dopo l'altro i volumi del mio Diario. L'ultimo rimarrà interrotto: un bacio della mia Olga [Benkendorff, moglie del G.] lo compirà. Spero poter morire ripetendo le parole di Gregorio VII: "Amai la giustizia, odiai l'iniquità"" (Diario, 1° maggio 1905).
Scritti del G.: Lettera… agli elettori del collegio di San Giovanni in Persiceto, Roma 1876; Quintino Sella, I-II, Rovigo 1887-88 (nel 1980 C. Ghisalberti ne ha curato una ristampa anastatica premettendovi un'ampia Prefazione); Parole… in memoria di Costantino Perazzi, Torino 1898. Il G. lasciò anche un manoscritto, apparso a puntate nella Nuova Antologia a partire dall'agosto-novembre 1932, e poi ripubblicato, a cura di A. Alberti, con il titolo I Guiccioli. Memorie di una famiglia patrizia, I-II, Bologna 1934-35, e il Diario, compilato dal 1861 al 1863 (in I Guiccioli, II, pp. 175-201) e dal 1876 al 1908. Pure questa seconda parte del Diario fu pubblicata a puntate sulla Nuova Antologia, a cura di A. Alberti, a partire dal 1° luglio 1935 (se ne vedano le esatte indicazioni, oltre che negli Indici per autori e per materie della Nuova Antologia dal 1931 al 1950, compilati da L. Giuliani, Roma 1955, pp. 53 s., in M. Belardinelli, La politica interna, in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, II, Firenze 1972, pp. 674 s.). Le puntate del Diario relative agli anni 1890-1908 furono successivamente raccolte in due volumi per iniziativa e a cura di A. Alberti: A. Guiccioli, Diario del 1890, 1891, 1892, 1893, Roma s.d. (in realtà, il volume comprende anche gli anni 1894-98); e Diario del 1899, 1900, 1901, 1902, 1903, Roma s.d. (comprende anche gli anni 1904-08). Esaltato in ambienti culturali fascisti (che richiamarono l'attenzione soprattutto sulle pagine in cui l'autore manifestava insofferenza e disprezzo per le istituzioni democratiche), e giudicato positivamente da ex collaboratori di Crispi quali G. Palumbo Cardella (si vedano l'ampio suo dattiloscritto L'opera di governo di Crispi. Commento al Diario del marchese G., conservato in Roma, Arch. centr. dello Stato, Palumbo Cardella, b. 17, f. 172, e la sintesi che del documento fece la Nuova Antologia, 1° febbr. 1941, pp. 303-306), il Diario non piacque a B. Croce, che ne parlò male sulle pagine de La Critica, XL (1942), p. 218. In tempi più vicini a noi, il Diario è stato raccolto in volume (con criteri alquanto discutibili, almeno dal punto di vista scientifico) sotto il titolo "un po' troppo semplicistico" (C. Ghisalberti, p. VI) di Diario di un conservatore, Milano [1973]. Rispetto a quello apparso sulla Nuova Antologia, questa edizione presenta numerosi tagli: le annotazioni relative a molti giorni sono state o eliminate (è il caso, ad esempio, di quelle che si riferiscono al 1°, al 3 e al 4 luglio 1894) o abbreviate (ad esempio, quelle del 16 gennaio e del 9 febbr. 1895).
Fonti e Bibl.: Si vedano anzitutto i fascicoli personali in Roma, Arch. stor. diplomatico del Ministero degli Affari esteri, Personale VII. 12, f. A. G., e Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Divisione I, s. 1, b. 10, f. 2525; s. 2, b. 408, f. 9311; Personale fuori servizio, versamento 1930, 1ª serie riservata, b. 10, f. A. G.; Gabinetto, Ruoli matricolari personali, reg. 27, f. 4; Crispi Roma, ff. 483, 568 (XLI), 491, 639, 648-XI; Giolitti Roma, b. 4; Arch. di Stato di Roma, Prefettura (vedere le bb. relative agli anni 1887-89 e 1894-96); Questura (vedere le bb. relative agli anni 1887-89 e 1894-96); Castellani (nella b. 3 è conservato il diario inedito intitolato Ricordi e appunti); Roma, Museo centr. del Risorgimento, dove, nelle bb. 264/93, 296/32 297/9 e 96, 299/71, 303/50, 310/97, 330/9, 331/67, 482/28 e 903/30, si conservano le lettere del G. a D. Farini; nella b. 903/27-29 quelle a C. Perazzi; nelle bb. 661/26 e 666/15 quelle a F. Crispi; nelle bb. 732/37, 738/16 e 880/43 quelle a Grazia Mancini Pierantoni; nelle bb., rispettivamente, 984/46 e 836/4 quelle al sen. A. Pierantoni e a R. Giovagnoli; nella b. 903/30 quelle a Q. Sella; Roma, Arch. stor. Capitolino, Atti del Consiglio comunale di Roma, voll. relativi agli anni 1886-89, passim.
Atti parlamentari, Camera, Discussioni: interventi del G. si ebbero il 22 giugno 1880, pp. 639 s.; il 5 luglio 1880, p. 1041 (per presentare il disegno di legge per il monumento a Vittorio Emanuele II in Roma, che fu poi discusso in aula il 14 di quello stesso mese); il 9 dic. 1880, pp. 2496-2498; il 10 dic. 1880, pp. 2557 ss.; il 9 maggio 1881, pp. 5484 s.; il 14 giugno 1882, p. 11619; il 24 giugno 1882, pp. 12071 ss. Per l'atteggiamento del G. in occasione delle votazioni, Camera, Indice della sessione unica 1880-81-82 della XIV legislatura, XIII, pp. 196 ss. Riferimenti al G. negli interventi di S. Barzilai, 27 nov. 1896, pp. 2565 s., e di G. Giolitti, 14 marzo 1902, p. 153. Si veda inoltre Senato, Discussioni, leg. XXVI, 16 nov. 1922, pp. 4004 s. (commemorazione del G. fatta dal presidente T. Tittoni).
I documenti diplomatici italiani, s. 5, voll. I, II, IV e V, ad indices; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1962, ad ind.; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, Milano 1962, I, L'Italia di fine secolo. 1885-1900, a cura di P. D'Angiolini, p. 213, e II, Dieci anni al potere. 1901-1909, a cura di G. Carocci, ad indices; E. Morelli, I fondi archivistici del Museo centr. del Risorgimento, Roma 1993, pp. 66, 207.
P. Vigo, Annali d'Italia, Milano 1913, I, p. 226; G. Natale, Giolitti e gli Italiani, Cernusco sul Naviglio 1949, pp. 246 s.; G. Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad ind.; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951, ad ind.; C. Casalegno, La regina Margherita, Torino 1956, pp. 93, 158; G. Spadolini, I repubblicani dopo l'Unità, Firenze 1963, p. 168; F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano 1965, ad ind.; G. Manacorda, Crisi econom. e lotta politica in Italia 1892-1896, Torino 1968, p. 112; R. Cadorna, La liberazione di Roma nel 1870, a cura di G. Talamo, Milano 1970, pp. 109, 220; G. Spadolini, Giolitti e i cattolici, Firenze 1970, pp. 176, 229; E. Vitale, La riforma degli istituti di emissione e gli "scandali bancari" in Italia 1892-1896, I, Roma 1972, p. 437; A. Caracciolo, Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1974, ad ind.; U. Levra, Il colpo di Stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia 1896-1900, Milano 1975, p. 129; M. Belardinelli, Un esperimento liberal-conservatore: i governi di Rudinì (1896-1898), Roma 1976, ad ind.; M. Casella, Democrazia, socialismo, movimento operaio a Roma (1892-1894), Roma 1979, passim; A. Aquarone, L'Italia giolittiana (1896-1915), I, Le premesse politiche ed economiche, Bologna 1981, pp. 63, 114, 230; G. Monsagrati, recens. alla riedizione curata da C. Ghisalberti di Quintino Sella, in Rass. stor. del Risorgimento, LXIX (1982), pp. 342-345; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento. Il tramonto della "città santa". Nascita di una capitale, Bologna 1985, ad ind.; G. Talamo - G. Bonetta, Roma nel Novecento. Da Giolitti alla Repubblica, Bologna 1987, p. 196; A. Aquarone, L'Italia giolittiana, Bologna 1988, p. 184; R. Ugolini, A. G., in Il Parlamento italiano. 1861-1988, III, 1870-1874. Il periodo della Destra. Da Lanza a Minghetti, Milano 1989, pp. 450 s.; M. Guercio, La prefettura di Roma, in Le riforme crispine, I, Amministrazione statale, Milano 1990, pp. 785-854 passim; V. Pacifici, Angelo Annaratone (1844-1922). La condizione dei prefetti nell'Italia liberale, Roma 1990, ad ind.; D. D'Urso, Storie di prefetti, Alessandria 1991, passim; E. Gustapane, Le fonti per la storiografia dei prefetti, in Storia, amministrazione, Costituzione, I (1993), p. 269; Il Lazio. Istituzioni e società nell'età contemporanea, a cura della Fondazione Pietro Nenni, I-II, Roma 1993, passim (specialmente il saggio di A. Ciampani, Sistema locale e soggetti sociali nel Lazio post-unitario: legislazioni e processi di sviluppo, II, pp. 295 ss.); E. Gizzi, Il prefetto nell'età liberale, in Civitas, XLIV (1993), 2, p. 9; M. Casella, Il marchese A. G. parlamentare, prefetto e diplomatico dell'Italia postunitaria, in Arch. stor. italiano, CLII (1994), pp. 317-396; F. Fonzi, La pubblicaz. di una fonte preziosa dell'Italia postunitaria: il Diario Farini, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXXII (1995), in partic. pp. 583 ss. (ove il Diario del G. è messo a confronto con quello di D. Farini); V.G. Pacifici, La provincia nel Regno d'Italia, Roma 1995, pp. 482, 487; M. Casella, Roma fine Ottocento. Forze politiche e religiose, lotte elettorali, fermenti sociali (1889-1900), Napoli 1995, passim; Id., Prefetti dell'Italia liberale. Andrea Calenda di Tavani, Giannetto Cavasola, A. G., Napoli 1996, pp. 5-20, 253-418; A. Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti. La "questione di Roma" tra politica nazionale e progetti vaticani (1876-1883), Roma 2000, ad ind.; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell'Italia unita nelle tredici legislature del Regno, Roma 1896, ad nomen; Annuario diplomatico del Regno d'Italia, Roma 1909, pp. 182 ss.; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, s.v.; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad ind.; La formaz. della diplomazia naz. (1861-1915), II, Repertorio bio-bibliogr. dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, pp. 387 s.