GUAGNINI, Alessandro
Primo figlio maschio di Ambrogio e Bartolomea Montagna nacque a Verona. Quanto all'anno di nascita, le anagrafi cittadine lo registrano come nato nel 1534 o nel 1535; secondo L. Chodžko sarebbe nato nel 1538, attribuendo egli al G. l'età di 76 anni al momento della morte, avvenuta nel 1614.
Il G. si firmava anche Guagnino, Guagnin, Guagni e si fregiava del titolo di "comes palatinus palatii Lateranensis", attribuito nel 1450 da Niccolò V al bisavolo Giacomo Guadagnini de' Rezzoni. La famiglia, proveniente dal Monferrato, all'inizio del XV secolo appare già ben inserita nella vita cittadina: nel 1409 il cavalier Matteo era membro del Consiglio cittadino e nel corso del secolo altri Guagnini ricoprirono incarichi importanti nell'amministrazione della città.
Famiglia in vista e piuttosto benestante, inserita negli elenchi dei nobili di secondo grado, per cause non accertate negli anni Settanta del XVI secolo dovette subire un rovescio di fortuna e dal campione d'estimo del 1545 i Guagnini appaiono in serie difficoltà economiche. Non si trattava di una crisi passeggera se, intorno al 1555, il padre Ambrogio decise di lasciare la famiglia a Verona e andare a cercare fortuna in Polonia. Lì si arruolò nell'esercito e un paio di anni dopo chiamò presso di sé il G. per un posto di geniere. Nel 1561 il G. e suo padre poterono conoscere personalmente il re, Sigismondo II Augusto, e ciò aprì loro l'accesso a incarichi di maggiore responsabilità nell'esercito del Regno polacco-lituano impegnato dal 1558 nella guerra per la Livonia contro l'Impero moscovita.
Il G. fu nominato comandante della guarnigione di stanza a Vitebsk - incarico che ricoprirà per circa 18 anni - e partecipò a tutte le fasi della guerra sotto il comando di G. Chodkjewicz combattendo in Russia e in Valacchia, prendendo parte all'assedio di Pskov e alla conquista di Polock e di Velikie Luki. Perfettamente inserito nella sua nuova patria, nel 1569 il G. fu insignito del titolo di cavaliere e ricevette la cittadinanza polacca.
Nell'estate del 1578, però, lasciò Cracovia con l'intenzione di tornare a stabilirsi in Italia. Il G. aveva ormai oltre quaranta anni, forse cominciava a sentire il peso degli obblighi militari, forse lo disturbava non avere instaurato con il nuovo sovrano polacco, Stefano Báthory, rapporti cordiali come con Sigismondo II; era comunque determinato a cambiare radicalmente la propria vita utilizzando in altro modo la ricca esperienza accumulata.
In autunno era a Venezia e il 6 nov. 1578 si presentò al Senato con una lettera commendatizia di Stefano Báthory (datata da Varsavia il 12 marzo di quell'anno), proponendosi alla Repubblica come tramite per vantaggiosi commerci con il Nord. A Danzica, distante poche leghe da una città di cui si vantava padrone (la Filippone delle fonti va probabilmente identificata con Philippsdorf, piccolo villaggio e non certo città) avrebbe potuto far costruire due grandi navi e portarle cariche di merci preziose a Venezia entro l'anno successivo (pece, legname, corde e quant'altro servisse). Per il G. condizione necessaria per la conclusione dell'affare era però che il Senato intervenisse presso le autorità veronesi a tutela di suoi interessi personali, non meglio precisati, nella città d'origine.
Di questi interessi che sarebbero stati lesi nella città si parla di continuo nella corrispondenza del G., anche in seguito, ma sempre in maniera così generica e indefinita che non è possibile individuarli con precisione né comprendere quali sarebbero stati i torti subiti. Quel che appare certo è che le sue disponibilità economiche erano largamente inferiori all'impresa che si offriva di realizzare.
Sollecitati dalla Serenissima, i Cinque savi alla mercanzia gli offrirono un prestito di 2700 ducati per ogni nave da costruire; la somma doveva essere restituita entro due anni, ma il G. non trovò alcun concittadino disposto a garantire per lui. Non ritenne di esporsi neppure il fedele e assai benestante amico Federico Serego, che in altri momenti difficili lo aiutò con prestiti e doni; a lui il G. chiese non solo di offrirsi garante ma addirittura di trovargli moglie. Gli sforzi per superare le difficoltà economiche che ostacolavano l'attuazione del suo progetto fallirono e nel settembre 1579 il G. finì in carcere per debiti.
Nel 1581 era nuovamente all'estero, a Stoccolma, al servizio di Caterina Jagellone, sorella di Sigismondo II Augusto e moglie di Giovanni III re di Svezia.
I sovrani svedesi ambivano a sviluppare rapporti commerciali con la Repubblica veneta e a questo scopo sul finire di quell'anno inviarono a Venezia il G., che partì dopo aver sottoscritto al veneziano Angelo Ventura una delega a curare i propri affari per tre anni. Questa volta il dialogo con la Serenissima sembrava bene avviato: Giovanni Giustiniani si recò a Stoccolma mentre Girolamo Corner e Alvise Priuli ottennero la licenza di commerciare in Svezia, ma ancora una volta l'impresa non ebbe il seguito sperato.
Forse il G. si fermò a Verona, nei tre anni previsti nella delega, per tutelare i suoi interessi, ma tra il 1584 e il 1585 abbandonò l'Italia e tornò in Svezia. L'anno successivo era di nuovo in Polonia; si stabilì a Cracovia e, probabilmente nello stesso 1586, prese moglie.
Il G. morì a Cracovia nel 1614; pochi decenni dopo la sua casata si sarebbe estinta "con il Vescovo di una città principale del regno polacco" (Dal Pozzo, 1679, p. 99).
Più che alla vita avventurosa, e alle sfortunate imprese commerciali, il nome e la fama del G. sono legati a un'opera storica e descrittiva dei paesi orientali dell'Europa, Sarmatiae Europeae descriptio, quae Regnum Poloniae, Lituaniam, Samogitiam, Russiam, Masoviam, Prussiam, Pomeraniam, Livoniam et Moschoviae Tartariaeque partem complectitur (Cracovia 1578; Spira 1581).
Come emerge dall'elenco delle edizioni (Estreicher, pp. 480-486) l'opera ottenne una immediata fortuna e fu più volte edita - tutta o in parte - già alla fine del XVI secolo: G.B. Ramusio la comprese, nella versione italiana di messer Bartolomeo Dionigi da Fano, nel suo Navigazioni e viaggi (II, Venezia 1583) e nel 1611, a Cracovia, uscì la traduzione polacca curata da Marcin Paszkowski. Ad ampliarne il successo contribuì in buona misura la polemica che accompagnò la pubblicazione: la Sarmatiae Europeae descriptio era appena uscita dai torchi di M. Wierzbiety che Maciej Stryjkowski, modesto autore di versi e soldato di stanza a Vitebsk, accusò il G. di aver rubato e pubblicato con il suo nome la descrizione della Polonia che lui gli aveva affidato manoscritta allorché era stato costretto a partire per la Turchia. Il G. tentò di far cadere la cosa non rispondendo alle accuse di Stryjkowski - e forse il suo primo ritorno in patria potrebbe essere legato anche a quelle voci non lusinghiere sul suo conto - ma le accuse furono riprese, esaminate, diffuse dai contemporanei e successivamente.
Gli studiosi si divisero subito in sostenitori del plagio (soprattutto autori polacchi; nel 1761 Laurent Mizler nella sua Recueil des historiens de Pologne pubblicò l'opera attribuendola direttamente allo Stryikowski) e difensori del Guagnini. L'opinione attualmente prevalente è che il G. non avrebbe letteralmente copiato il manoscritto dello Stryjkowski, ma avrebbe, senza mai citarla, ampiamente saccheggiato - soprattutto per la parte dedicata alla vicenda di Enrico di Valois eletto re di Polonia nel 1573 - la sua opera polacca in versi: Goniec cnothy do prawich szlachciców uczyniony (Cracovia 1576; ma nel 1574 lo Stryjkowski aveva pubblicato altre due opere dedicate all'elezione e incoronazione di Enrico di Valois).
Pur volendo assolvere l'autore dall'accusa di plagio, è difficile definire originale la Descriptio del G., perché egli ha attinto in larghissima misura non solo ai versi dello Stryjkowski ma anche agli altri testi disponibili; in particolare, per la Moscovia, ai diffusissimi Rerum Moscoviticarumcommentarii di Sigismund von Herberstein (Basileae 1551) e dalle pagine su Ivan IV di Albert Schlitting, stese in tedesco tra il 1570 e 1571 (e prontamente tradotte in latino dal nunzio pontificio Vincenzo Dal Portico). Solo nelle pagine che rispecchiano la sua esperienza diretta - quelle dedicate ad alcune città polacche, come Vitebsk che negli anni aveva avuto modo di conoscere a fondo e alle popolazioni di quelli che definisce "tatari campestri" - è possibile trovare tracce di originalità.
L'opera, dedicata a Stefano Báthory, si articola in cinque libri. Il primo tratta della Polonia e della sua storia fino all'incoronazione di Stefano; il secondo descrive il Granducato di Lituania e la sua storia; il terzo parla delle regioni prussiane, di recente acquisizione; il quarto delle terre di Livonia; il quinto del tradizionale nemico della Polonia: il Regno di Moscovia.
Quest'ultimo contribuì maggiormente alla fortuna dell'opera. In quegli anni l'attenzione di gran parte dell'Europa, scossa nelle sue certezze dalla frattura religiosa originata dalla Riforma e dalla minaccia turca che appariva inarrestabile, si era volta con particolare interesse all'Impero russo.
Soprattutto la Repubblica veneta accreditava il sovrano moscovita come l'unico in grado di contrastare l'espansionismo turco, nella certezza che con il suo aiuto il fronte cristiano avrebbe potuto sconfiggere definitivamente gli infedeli e riconquistare i Balcani. Da parte sua, invece, il Regno polacco-lituano era strenuamente contrario ad accogliere nel consesso dei principi cristiani il potente vicino con cui era in guerra da tempo, e dissuadeva il Papato da alleanze con i Moscoviti sottolineando la loro diversa confessione e la crudeltà del sovrano regnante. Per di più, nei primi anni Settanta, Ivan IV Vasil´evič appariva un candidato al trono polacco non necessariamente perdente, perché sostenuto con convinzione da parte della nobiltà lituana che pensava avrebbe avuto in lui, di fede ortodossa, un sostenitore della tradizione di tolleranza sancita dalle leggi del Regno e assicurata sino ad allora dalla lealtà degli Jagelloni, ma che si temeva sarebbe stata poco garantita dagli altri candidati, soprattutto dagli Asburgo. Questo insieme di fattori produsse un insolito numero di scritti sulla Moscovia, la sua storia e la personalità del sovrano regnante, divenuto oggetto di narrazioni poco lusinghiere che lo presentavano all'opinione pubblica europea come un barbaro tiranno, autore di inaudite crudeltà nei confronti dei suoi sudditi, soprattutto quelli di estrazione aristocratica. Tra questi scritti le pagine del G. trovarono ampio spazio e furono più volte edite in pochi anni, contribuendo a consolidare la connotazione tutta negativa dello zar moscovita che in Europa ne avrebbe accompagnato a lungo la memoria.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Verona, Antico Arch. del Comune, Raccolte di atti di interesse pubblico e di estratti di atti consiliari: I.A. Verza, Veronensium civium nomina quae in comitiis magnifici consilij ac in officiis magnificae civitatis reperiuntur; Verona, Biblioteca comunale, Mss., 1656, n. 808: A. Torresani, Elogia historica nobilium Veronae, II, p. 408; Rerum Moscoviticarum auctores varii, Frankfurt a.M. 1600; G. Dal Pozzo, Lago, fortezza e rocca di Garda, Verona 1679, p. 99; Id., Collegii Veronensis advocatorum elogia, Veronae 1763, pp. 78 s.; L. Chodžko, Relazione storica, geografica, politica, legislativa, scientifica, letteraria della Polonia antica e moderna, I-IV, Livorno 1831, ad ind.; S. Ciampi, Bibliografia critica delle antiche reciproche corrispondenze…, Firenze 1839, ad ind.; K. Estreicher, Bibliografia polska XV-XVI Stólecia, Kraków 1875, pp. 480-486; F.M. Sobieszcanski, A.Gwagnini, in Encyklopedyja Powszechna, XI, Warszawa 1892, pp. 76-83; C. Cipolla, Un italiano nella Polonia e nella Svezia tra il XVI e il XVII secolo, in Miscellanea di storia italiana, XXVI (1887), pp. 5, 547-657; Id., Un nuovo documento riguardante A. G., ibid., XL (1904), pp. 205-209; A. Cartolari, Cenni sopra varie famiglie illustri di Verona, Bologna 1969; G.G. Kozlova, Ob opisanii Moskovii Aleksandra Gvan´ini (A proposito della descrizione della Moscovia di A. G.), in Antičnost´ i sovremennost´: k 80 letiju F.A. Petrovskogo (Antichità e presente: per l'80° compleanno di F.A. Petrovskij), a cura di M.E. Grabar´-Passek, Moskva 1972, pp. 434-444; E. Morando di Custoza, Genealogie veronesi, Verona 1980, pp. 147, 266; G.M. Nicolai, Il grande orso bianco. Viaggiatori italiani in Russia, Roma 1999, pp. 93-100; The Modern Encyclopedia of Russian and soviet history, XIII, pp. 173-176 (H.F. Graham).